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Discussione del documento: Documento di economia e finanza 2011-Camera Seduta n. 469 di giovedì 28 aprile 2011

 

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2011 (Doc. LVII n. 4)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del Documento di economia e finanza 2011.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto

stenografico della seduta del 19 aprile 2011.

Ricordo che il procedimento si svolgerà secondo le modalità previste dall'articolo 118-bis del

Regolamento, in base a quanto stabilito nel parere della Giunta per il Regolamento del 14 luglio

2010, parere il cui impianto risulta tuttora compatibile con le nuove procedure introdotte dalla legge

7 aprile 2011, n. 39, che ha da ultimo apportato modifiche alla legge di contabilità e finanza

pubblica n. 196 del 2009.

In particolare, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 118-bis, le risoluzioni riferite al

Documento di economia e finanza devono essere presentate nel corso della discussione.

Il tempo complessivo per i relatori di minoranza, pari a 20 minuti, è stato ripartito per metà in parti

uguali e per metà in proporzione alla consistenza dei gruppi di appartenenza, al fine di consentire a

tutti i relatori di minoranza un tempo minimo congruo per l'illustrazione delle proprie posizioni.

Pertanto i tempi a disposizione dei relatori di minoranza risultano i seguenti: Baretta: 11 minuti;

Ciccanti: 5 minuti; Borghesi: 4 minuti.

(Discussione - Doc. LVII, n. 4)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il

Governo si riserva di intervenire al termine della discussione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Toccafondi.

GABRIELE TOCCAFONDI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, rappresentante del

Governo, onorevoli colleghi, il Documento oggi all'esame dell'Aula rappresenta il primo atto del

nuovo ciclo di programmazione economica e finanziaria delineato in attuazione del cosiddetto

semestre europeo dalla legge n. 39 del 2011 di modifica della legge di contabilità e finanza

pubblica.

A seguito delle modifiche introdotte dalla disciplina di bilancio, il Documento di economia e

finanza diviene così il principale strumento della programmazione economico-finanziaria e

comprende lo schema del Programma di stabilità e lo schema del Programma nazionale di riforma. I

contenuti specifici del Documento sono articolati in tre sezioni.

La prima espone lo schema del Programma di stabilità che contiene tutti gli elementi e le

informazioni richieste dai regolamenti dell'Unione europea con specifico riferimento agli obiettivi

da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico. La seconda parte contiene una

sezione di dati e informazioni volte a individuare regole generali sull'evoluzione della spesa delle

amministrazioni pubbliche in linea con l'esigenza, evidenziata in sede europea, di individuare forme

efficaci di controllo dell'andamento della spesa pubblica.

La terza sezione reca, infine, lo schema del cosiddetto PNR, ovvero Programma nazionale di

riforma, che costituisce la più rilevante novità del Documento di economia e finanza. È questo un

documento strategico che definisce gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi

nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati nella nuova «Strategia

europea 2020».

In tale ambito sono indicati lo stato di avanzamento delle riforme avviate, le priorità del Paese con

le principali riforme da attuare, gli squilibri macroeconomici nazionali e i fattori di natura

macroeconomica che incidono sulla competitività, i prevedibili effetti delle riforme proposte in

termini di crescita dell'economia, di rafforzamento della competitività del sistema economico e di

aumento dell'occupazione.

Come si può comprendere, le nuove regole del semestre europeo sono decisamente modificate. Il

punto centrale resta sempre il debito da abbattere, ma i controlli e le azioni per analizzarlo,

controllarlo o diminuirlo, sono modificate. La crisi internazionale, che ha colpito anche l'Europa, ci

ha insegnato che le vecchie regole, le analisi e le forme di controllo adottate, non sono state di aiuto

per comprendere cosa stava accadendo, soprattutto ad alcuni Paesi europei.

Cambiano le regole, quindi, diventano più stringenti, ma il semestre europeo non deve risolversi in

un mero adeguamento procedurale, ma incidere anche sui contenuti del dibattito politico, favorendo

l'adozione di quelle decisioni, talvolta non facili, ma alle quali è legato il futuro del Paese.

Nessuna regola potrà mai essere imposta totalmente. Le riforme devono essere condivise e deve

essere compresa l'utilità soprattutto per le generazioni future, perché quello che la crisi ci ha

insegnato è che occorrono riforme strutturali per affrontare i problemi e, in particolare, la riduzione

del debito pubblico nazionale. Assume al riguardo particolare rilevanza il Programma nazionale di

riforma quale strumento attuativo della nuova strategia europea.

Attraverso il PNR l'Unione europea intende sollecitare, promuovere e facilitare l'attuazione di

determinati interventi nei singoli Stati membri, senza peraltro sostituirsi in alcun modo ai Governi e

ai Parlamenti nazionali. È bene, innanzitutto, sottolineare come gli obiettivi della strategia europea

coincidano pienamente con le priorità nazionali in materia di politica economica. Ciò vale, in

particolare, per le riforme strutturali volte ad accrescere la competitività e la produzione del sistema

Italia.

Il Programma nazionale di riforma rappresenta, quindi, un'importante occasione per avviare una

discussione pubblica a partire dalle sedi parlamentari, ma con l'obiettivo di coinvolgere le forze

economiche e sociali e sensibilizzare i cittadini sulle riforme necessarie a promuovere la crescita

economica nella misura necessaria ad assicurare la stabilità dei conti pubblici.

Il coinvolgimento dell'opinione pubblica appare necessaria al fine di superare quelle resistenze che,

va riconosciuto, hanno sino ad oggi ostacolato l'approvazione di una serie di riforme di carattere

strutturale di cui pure il Paese ha estremamente bisogno.

L'Italia inoltre ha tutto l'interesse a sollecitare l'Unione europea a procedere nella direzione

suddetta. L'Italia ha bisogno di riforme strutturali, ma è anche interessata a che gli altri Paesi

membri facciano la propria parte per trarne i relativi benefici. Tornando al Documento di economia

e finanza, segnalo in primo luogo che la prima sezione del Documento dà conto dell'andamento

dell'economia mondiale, che nell'ultimo scorcio del 2010 ha registrato un rallentamento della

crescita; nel 2011 dovrebbe invece riscontrarsi una crescita economica globale del 4 per cento ed

un'espansione del commercio mondiale pari al 7,1 per cento. Per quanto riguarda l'economia

italiana, il Documento registra gli effetti delle incertezze che caratterizzano le prospettive

economiche mondiali, determinate dal difficile contesto internazionale e dall'esaurirsi delle

politiche di stimolo fiscale e monetario che hanno caratterizzato il trascorso biennio. In questo

contesto, rivedendo in senso prudenziale le stime contenute nella Decisione di finanza pubblica per

gli anni 2011-2013, il Documento prevede una crescita del PIL dell'1,1 per cento per il 2011,

dell'1,3 per cento per il 2012, dell'1,5 per cento per il 2013 e per il 2014 è prevista una crescita

dell'1,6 per cento.

Per quanto concerne i risultati del 2010, il Documento evidenzia come l'economia italiana sia

cresciuta dell'1,3 per cento, ad un tasso analogo a quello registrato da altri Paesi europei,

leggermente superiore a quanto stimato nella Decisione di finanza pubblica presentata a settembre

2010. In particolare, nel 2012, come richiesto dalla Commissione europea per la chiusura della

procedura per il disavanzo eccessivo aperta contro l'Italia nel 2009, il saldo strutturale scenderà

sotto la soglia del 3 per cento, attestandosi intorno al 2,2 per cento. Per quanto riguarda il debito

pubblico, il Documento prevede che nell'anno in corso il rapporto tra debito e PIL passi al 120 per

cento per poi iniziare un progressivo calo, arrivando nel 2014 ad una previsione debito, PIL pari al

112,8 per cento.

Nel loro complesso, le indicazioni contenute nel Documento in ordine alle previsioni di finanza

pubblica confermano l'opportunità degli orientamenti assunti in questi anni dal Governo, che ha

portato avanti con coerenza una politica volta ad assicurare la stabilità e la solidità dei bilanci

pubblici, che costituisce presupposto imprescindibile per una crescita duratura ed equa. Nel nostro

Paese fra debito e crescita si confonde spesso la causa con l'effetto. C'è l'idea che non cresciamo e

quindi non ci sono avanzi per diminuire il debito. Forse la questione sta esattamente all'opposto:

abbiamo un debito che non ci consente di crescere. Quindi mettere i conti in ordine è coerente

affinché la crescita sia reale e duratura, altrimenti il rischio è quello di crescere ma solo per pagare

più interessi sul debito pubblico.

Venendo al Programma nazionale di riforma contenuto nel Documento, ricordo che in vista

dell'avvio del semestre europeo del gennaio 2011, l'Italia ha già presentato lo scorso autunno, come

stabilito per ciascuno Stato membro dalla Commissione europea per la fase transitoria, un progetto

preliminare di Programma nazionale di riforma, in merito al quale la Commissione bilancio si è

espressa con una risoluzione votata all'unanimità. Tale risoluzione indicava alcune questioni

ritenute essenziali, ovvero quella meridionale, quella fiscale, quella nucleare e quella legale, per

favorire la crescita senza incrementare il disavanzo e nel rispetto dei vincoli di riduzione del debito

pubblico. Sono riforme, quelle contenute nel Programma nazionale di riforma, che consentono la

crescita. Crescita rappresenta la parola d'ordine di ogni intervento sul tema economico che riguarda

il nostro Paese, ma occorre anche dire che la parola crescita deve necessariamente avere bisogno di

risorse.

Il bilancio pubblico può costituire la base per giusti interventi pubblici riferiti alla crescita solo nei

limiti in cui l'economia reale crea un'effettiva disponibilità di risorse. I dati economici e finanziari

del nostro Paese, soprattutto negli ultimi anni, ci dicono che la situazione economica non consente

l'espansione degli interventi pubblici, ma che è sempre più urgente abbattere il debito pubblico, vera

e propria zavorra per il Paese e la sua economia. Per decenni abbiamo speso più delle nostre

possibilità, con effetti negativi che stiamo pagando tuttora.

La ricchezza, prima di essere distribuita, va creata. La redistribuzione di ciò che non c'è, ci fa

sicuramente sentire più uguali, ma nel senso di più poveri, non creando per questo le maggiori

eguaglianze che il nostro Paese vuole raggiungere. Conclusivamente, ritengo che il Documento al

nostro esame - pur essendo il primo redatto nella vigenza delle nuove regole nazionali ed europee -

abbia ben interpretato lo spirito del semestre europeo e consentirà all'Italia di presentarsi con stime

e riforme credibili, destinate ad essere implementate nei prossimi anni, ma che potranno

sicuramente essere oggetto di positiva valutazione da parte dell'istituzione europea e degli Stati

membri.

Come emerso anche nel corso delle audizioni svoltesi in Commissione, le previsioni contenute nel

Documento di economia e finanza sono state stilate secondo criteri estremamente prudenziali,

garantendo in tal modo la credibilità del nostro Paese nei contesti europei e nei mercati

internazionali. Le problematiche individuate nel Documento e le riforme indicate per farvi fronte

sono il frutto di un'analisi che largamente coincide con i documenti approvati unanimemente dalla

Commissione bilancio in questi mesi. Mi auguro che lo spirito di collaborazione possa proseguire

perché è opinione di tutti che l'Italia abbia assoluto bisogno di riforme strutturali e che le riforme si

fanno insieme (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della

seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Toccafondi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri

costantemente seguiti. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, la discussione di oggi

avrebbe meritato una ben maggiore attenzione da parte della Camera dei deputati e dell'opinione

pubblica. Le scelte che stiamo per compiere potranno segnare le prospettive economiche e sociali

del nostro Paese alla luce della nuova governance europea oltre l'attuale negativa congiuntura. Il

punto di partenza deve essere l'affermarsi di una cultura economica che prenda coscienza del fatto

che misure di stabilizzazione necessarie e coraggiose non raggiungeranno l'obiettivo inderogabile

del risanamento della finanza pubblica senza una robusta crescita economica che favorisca

condizioni generali di benessere materiale, di progresso civile, di equità sociale e di riequilibrio

territoriale.

È l'assenza di questa prospettiva la critica principale che rivolgiamo al Documento di economia e

finanza, che peraltro non poteva che essere costruito così, essendo dall'inizio della legislatura - sono

passati ormai tre anni ed un bilancio si impone - che il Governo traccheggia tra un risanamento

incompiuto ed crescita non perseguita. Si tratta di un buco strategico derivato dal confronto tra la

durezza della situazione economica e sociale che la crisi ha esasperato e, da un lato, l'illusione ottica

del «tutto va bene» dispensata dalla propaganda del Premier e, dall'altro, l'evidente e rassegnato

pessimismo del Ministro Tremonti sulla possibilità dell'Europa, e ancor più dell'Italia, di competere

nel nuovo scenario globale.

L'esito è un imprevisto quanto tardivo realismo. Il programma di stabilità rivede al ribasso le

valutazioni contenute nel precedente Documento di finanza pubblica. Si mantiene per tutto il

periodo ampiamente al di sotto della crescita del 2 per cento prevista allora. Come rilevato anche

dalla Corte dei conti, il debito pubblico è pari al 120 per cento del PIL nel 2011 e scende al 119 per

cento nel 2012. L'indebitamento è al 3,9 per cento nel 2011 e al 2,7 per cento nel 2012. La pressione

fiscale è francamente eccessiva, il 42,6 per cento, e si aggiunge un'ulteriore forte caduta degli

investimenti pubblici, 28 miliardi rispetto ai 32 del 2010. In questo quadro, il Governo

ineffabilmente prevede di rinviare al biennio 2013-2014 ovvero, sia detto neanche tanto per inciso,

alla prossima legislatura, l'onere di una massiccia manovra di circa 2 o 3 punti di PIL, pari a 20,3

miliardi di euro nel 2013 e 40 miliardi nel 2014.

Si tratta di un aggiustamento che si profila di gran lunga superiore a quello compiuto per rispettare i

parametri di Maastricht e per poter partecipare fin dall'inizio alla moneta unica europea, mentre per

il prossimo biennio 2011-2012 ci si affida all'andamento spontaneo dell'economia e della finanza,

non essendo previsti stimoli alla crescita, nuove misure strutturali di riforma, interventi di

contenimento del disavanzo né azioni di riqualificazione della spesa. Il Governo prevede però,

senza fornire indicazioni precise, tagli alla spesa dall'1 al 2 per cento l'anno. Nel complesso, tra il

2010 e il 2014 la spesa primaria corrente si ridurrebbe, in termini reali, di quasi il 7 per cento. C'è

da chiedersi se sarà possibile raggiungere questi obiettivi e se non bisognerà prevedere un negoziato

con la Commissione europea per una diversa modulazione degli obiettivi. Se dunque la variabile

principale ai fini della stabilità finanziaria è la crescita, il Programma nazionale di riforma appare lo

specchio dei limiti e dell'inefficacia della politica del Governo. Il PNR infatti solo in parte fa

programmi o disegna riforme future, piuttosto ripropone azioni già intraprese attribuendogli meriti

che non abbiamo visto. Per il resto, solo obiettivi modestissimi che non recuperano il gap con

l'Europa anzi, come ha rilevato l'ISTAT, con queste scelte nel 2020 diventeremo il fanalino di coda

della Comunità.

Non intendo, signor Presidente, entrare più di tanto nel merito dei punti del Documento, rinviando

alla lettura della relazione scritta consegnata e alla risoluzione che abbiamo presentato e sulla quale

chiediamo il voto delle Camere, ma voglio esprimermi brevemente accennando alcuni titoli, in

primo luogo il fisco. Alla politica fiscale viene dedicato uno spazio ampio ma vuoto, l'ennesima

promessa di una riforma si sgonfia, di fronte all'assenza di scelte concrete, al peso del debito

pubblico. Abbiamo già notato l'eccesso di carico fiscale e bisogna ben passare dalle parole ai fatti.

La priorità va data all'impresa e al lavoro, soprattutto rispetto alla rendita, recuperando i contenuti

della mozione a prima firma Bersani. che la Camera ha approvato.

Servirebbe invece avere anche un moderno sistema di ammortizzatori sociali di tutela universali, di

cui godere indipendentemente dal settore, dalla dimensione di impresa e dalla tipologia contrattuale.

Del tutto inaccettabile è l'assenza di un piano concreto di contrasto alla povertà. Il DEF insomma

richiama esplicitamente anche il legame fra infrastrutture e sviluppo, ma prevede un risparmio di

circa 15 miliardi di euro nel 2014, quando è proprio l'Europa a raccomandare di perseguire il

risanamento dei conti pubblici senza penalizzare gli investimenti nelle infrastrutture. L'energia è

uno dei punti in cui meglio è rappresentata l'assenza di una strategia compiuta. Solo pochi mesi fa

nel precedente Programma nazionale di riforma il Governo affidava ogni prospettiva di crescita alla

sola energia nucleare. Dopo il disastro giapponese saggiamente ha annullato anche gli studi e non

sarà facile, checché ne pensi Berlusconi, riprendere il tema in tempi brevi. Sennonché, mentre

rinunciava al nucleare, il Governo tagliava gli incentivi alle rinnovabili, oggi dunque non c'è un

piano energetico.

Per quanto riguarda la competitività, il Programma nazionale di riforma la affronta indirettamente

solo nella sezione lavoro, attraverso l'obiettivo di rafforzare il legame fra salari reali e produttività,

questione importante ma non esaustiva. Innovazione tecnologica ed impiantistica, politiche

commerciali sostenute dal Governo, credito propulsivo e politiche territoriali costituiscono

altrettanti fattori di sviluppo ed è necessario che la politica industriale torni ad essere una delle

componenti della più generale strategia di politica economica dell'Italia. A fronte di queste

ambizioni, appare estremamente deludente in materia di ricerca e innovazione l'obiettivo fissato dal

PNR per il 2020.

Il PNR afferma che la volontà di modernizzare la scuola e l'università, ma ciò contrasta nettamente

con le riduzioni di risorse effettuate. È clamoroso il fatto che gli obiettivi di crescita su questi

argomenti sono, al 2020, gli ultimi in Europa. Nessuno specifico progetto per il settore primario,

mentre non è più rinviabile l'individuazione di misure strategiche per l'agroalimentare. Anche

l'obiettivo della riduzione dei divari regionali è in sé condivisibile, tuttavia l'analisi non è

convincente perché la retorica delle due economie con andamenti differenti non considera che il

problema della crescita italiana riguarda sia il Nord che il Sud.

È pur vero, però, che va data da subito al Mezzogiorno una priorità che oggi non è prevista. Il

Documento di economia e finanza profila anche l'ennesima riforma della pubblica amministrazione,

certamente strategica, soprattutto se il Governo non si limitasse ad annunciarla, ma la realizzasse

davvero. Come abbiamo già detto, a tre anni dall'inizio della legislatura è tempo di trarre bilanci,

anziché annunciare sempre nuovi ed altri interventi. Ad esempio, le misure per la semplificazione

degli adempimenti amministrativi non sono state realizzate. Si pensi al trasferimento sulla rete

Internet dello sportello unico per le imprese o alle fantomatiche «zone a burocrazia zero», mentre

per le imprese, come ha ricordato Confindustria, la semplificazione degli adempimenti

amministrativi è essenziale.

Infine, fondamentale per la competitività è anche la riforma del processo civile. Signor Presidente,

questo è solo un elenco, necessariamente incompleto, ma sufficiente a dimostrare, in definitiva,

come l'impulso espansivo del programma di riforme fin qui attuato sia, per stessa ammissione del

Documento di economia e finanza, molto modesto, non sufficiente a condurre la crescita in

prossimità di quel 2 per cento necessario a conciliare l'obiettivo di ridurre l'indebitamento e il debito

pubblico.

Per questi motivi il nostro parere sulla manovra economica è negativo e abbiamo ritenuto necessario

presentare la nostra risoluzione. Ciò che è necessario, dunque, è un cambio di strategia. Per

contribuirvi, il Partito Democratico ha elaborato un proprio Programma nazionale di riforma, che,

nel pieno rispetto delle regole, raggiunga gli obiettivi di equità e di efficienza nel quadro di una

politica economica europea per il sostegno alla domanda interna. Non bisogna rassegnarsi al declino

annunciato: le difficoltà possono essere affrontate. L'Italia è tuttora uno dei grandi Paesi del mondo,

con risorse naturali, artistiche, produttive e logistiche che le permettono di ambire ad un ruolo da

protagonista nel mutato e complesso panorama globale (Applausi dei deputati del gruppo Partito

Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Ciccanti.

AMEDEO CICCANTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli

colleghi, questo Documento di economia e finanza è una novità che si inserisce in quel pacchetto di

riforme che va sotto il nome di Patto per l'euro, approvato dal Consiglio europeo per un maggior

controllo sulla sostenibilità dei saldi di bilancio e il debito dei Paesi membri, al fine di minimizzare

i rischi di nuove crisi finanziarie.

Si inizia il 2011 con una procedura di controllo preventivo detta «semestre europeo», dove sono

indicati due riferimenti importanti: il Programma di stabilità e il Piano nazionale di riforma, di cui

stiamo discutendo oggi. Il Programma di stabilità ha due obiettivi principali nell'indicare la strategia

di riequilibrio dei conti pubblici. Il primo è la correzione del disavanzo: nel 2010 è sceso del 4,6 per

cento del PIL, ma nel triennio 2011-2014 deve scendere al pareggio sostanziale, ossia deve scendere

di 4,6 punti. Tale obiettivo viene perseguito in due fasi: nel biennio 2011-2012 attraverso le misure

inerziali definite negli anni precedenti, da ultimo con la manovra estiva del decreto-legge n. 78 del

2010, con una previsione di crescita del PIL dell'1 per cento, la metà della media europea, il più

basso dell'Eurozona; nel biennio 2013-2014, con una manovra strutturale aggiuntiva di ben 40

miliardi, pari a 2 punti di PIL.

Per l'intero arco di tempo non sono indicati gli effetti depressivi dei tagli di spese lineari, ossia

come incideranno sulla riduzione dei consumi interni, con determinazione di una bassa crescita. Il

secondo obiettivo di riequilibrio contabile è quello del rientro del debito pubblico, come è stato

detto. Il Patto per l'euro prevede l'indicizzazione della formula del Trattato di Maastricht, laddove si

parla di rientro ad un ritmo adeguato. Tale ritmo, dal 2015, sarà pesato come un ventesimo del

debito eccedente il 60 per cento per ogni anno, in un arco di tempo di dieci anni. Tradotto in euro,

significa che dal 2015 l'Italia dovrà fare manovre da 3-4 punti di PIL per ogni anno, ossia 30-40

miliardi l'anno. Se non adempie, il nostro Paese sarà sanzionato con multe che variano da 4 a 7

miliardi di euro l'anno. Vi sono due azioni da compiere immediatamente con questo Documento di

economia e finanza: una è predisporre ulteriori misure di contenimento del disavanzo, agendo sulla

spesa strutturale primaria, migliorando così il saldo primario.

La seconda è migliorare la crescita per migliorare non solo i fondamentali della ricchezza nazionale,

ma anche per migliorare il rapporto con il disavanzo e il debito. In questo Documento di economia e

finanza non si fa nessuna delle due azioni.

Secondo la Corte dei conti, non quindi l'opposizione, la riduzione del disavanzo si ottiene con un

alto livello di pressione fiscale, nel 2010 addirittura del 42,6 per cento, e una forte caduta degli

investimenti rispetto al livello minimo del 2010, dovuto soprattutto al blocco delle spese in conto

capitale che nelle amministrazioni pubbliche sono scese di ben il 18 per cento. Quindi, non una

riduzione del disavanzo di tipo strutturale, ma temporanea e congiunturale. Lo dimostra l'aumento

del debito pubblico cresciuto al 119 per cento nel 2010 e si prevede il 120 per cento nel 2011.

Arriviamo agli appuntamenti europei non solo impreparati, ma completamente fuori linea. Due sono

le considerazioni. Una è che questo Governo non è capace di riformare la spesa pubblica secondo

criteri selettivi e ci si affida alla ragioneria anziché alla politica. La seconda è che sono

probabilmente dei furbi perché non si fanno scelte impopolari verso la base elettorale che li ha

eletti, che li sostiene, preoccupandosi più dei voti che dell'Italia, rinviando così quella cura da

cavallo a dopo le elezioni del 2013. In tutti e due i casi si dimostra di non avere una cultura di

Governo e di pensare solo alle fortune personali.

Il Documento di economia e finanza, oltre a focalizzare gli squilibri di bilancio, si preoccupa della

crescita dei Paesi europei secondo la strategia di Lisbona 2020. Tale strategia è verificata attraverso

un Programma nazionale di riforma di cui, ovviamente, si deve misurare l'impatto economico e

finanziario nel Documento di economia e finanza.

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, la prego di concludere.

AMEDEO CICCANTI, Relatore di minoranza. Niente di tutto questo viene fatto.

Dice la Corte dei conti, non l'opposizione, a pagina 10 dell'audizione del 20 aprile scorso: «il piano

nazionale per le riforme appare uno specchio dei limiti e delle lentezze che si frappongono ad una

effettiva e duratura ripresa delle politiche di sviluppo».

La Confindustria però è andata oltre. Di fronte a questo scenario, dove tutti corrono e noi

camminiamo, la Confindustria ha messo due dita negli occhi del Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, la prego di concludere.

AMEDEO CICCANTI, Relatore di minoranza. Vado a terminare, signor Presidente, mi dia un

minuto soltanto per concludere.

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, i tempi questa mattina sono particolarmente stretti, quindi

concluda.

AMEDEO CICCANTI, Relatore di minoranza. Concludo, signor Presidente.

È la Confindustria stessa a dirvi che vi è in un silenzio sulla riforma del sistema giudiziario,

un'inconsistenza degli interventi in materia di infrastrutture e trasporti e esprime, sostanzialmente,

un giudizio negativo in prospettiva. Si va avanti guardando indietro. Questo vi dice la

Confindustria, non certo l'opposizione. Perciò è stata un'occasione mancata.

Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della

seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente

seguiti.

Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Borghesi, per quattro minuti.

ANTONIO BORGHESI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, il gruppo Italia dei Valori

giudica questo Documento carente, non sufficiente, poco trasparente, poco chiaro e, per certi versi,

anche «misterioso».

Questo lo vediamo quando passiamo ad esaminare il Programma nazionale di riforma che dovrebbe

contenere le intenzioni del Governo. Si parla di interventi per favorire l'energia, ma dopo il «trucco»

del referendum sul nucleare si dovrebbe scrivere molto di più di quanto è stato scritto.

Questo è un Governo che, in questi tre anni, sul piano delle ristrutturazioni dell'edilizia, di cui parla

come elemento per muovere l'economia, è in realtà andato al contrario, perché ha ridotto da dieci a

cinque anni il tempo di detrazione degli interventi infrastrutturali fatti nelle abitazioni per il

risparmio energetico. Ha tentato di togliere il 55 per cento degli interventi per il risparmio

dell'energia e non vi è riuscito solo perché l'opposizione ha protestato fortemente. Dice che vuole

lavorare sulle infrastrutture, ma dopo dieci anni... dieci anni di legge obiettivo solo il 20 per cento

dei lotti è stato completato e il 55 per cento delle opere contenute nella legge obiettivo non è stato

mai neppure iniziato. La riforma fiscale, dice che faranno la riforma fiscale. È l'ennesimo annuncio,

l'hanno già fatto nel 1994, nel 2003, lo rifanno oggi e non lo hanno mai assolutamente portato in

fondo. Per cui è un oggetto misterioso. Non vi è scritto dove vanno a prendere i soldi per farla e vi è

una pressione fiscale che, invece, viene data addirittura in aumento rispetto a quella attuale.

È chiaro ed evidente che il documento è carente: la Banca d'Italia dice che ci vogliono 35 miliardi

di euro per rispettare il progetto e il raggiungimento dell'obiettivo; la Corte dei conti parla di 40

miliardi; Tremonti ha continuamente negato che ci fosse bisogno di una manovra aggiuntiva, salvo

finalmente riconoscerla, poche decine di giorni fa, dicendo però che è una manovra più bassa e che

si farà dopo le elezioni.

E già si parla di «manovra lacrime e sangue». Non c'è dubbio che se la farà Tremonti sarà una

«manovra lacrime e sangue», perché a pagare saranno sempre i soliti. L'Italia dei Valori, all'interno

di questo documento, prevede invece una manovra senza lacrime, ma con sangue, il sangue di

coloro che non hanno mai pagato le tasse in questi anni, con un contributo di solidarietà nazionale

da parte di quelli che hanno portato soldi all'estero e poi li hanno reimportati senza pagare, una

manovra per prevedere altre ipotesi di questo tipo (ad esempio, noi pensiamo all'intervento sulle

rendite speculative, per una tassazione diversa da quella attuale). Ma, naturalmente, non

dimentichiamo che vi sono altre strade, perché non siano lacrime per i normali cittadini: lo

smobilizzo di un patrimonio pubblico di 700 miliardi di euro, la cessione dei crediti rappresentati da

300 miliardi di cartelle esattoriali non pagate (300 miliardi di euro!)...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Borghesi.

ANTONIO BORGHESI, Relatore di minoranza. ...per non dimenticare - e concludo, signor

Presidente - interventi per i costi e gli sprechi della politica, a partire dall'abolizione delle province -

che noi continuiamo a suggerire -, dal blocco delle auto blu, dall'abolizione dei 25 mila posti di

amministratori e delle 7 mila società a partecipazione degli enti locali.

Sono tutti interventi che si possono realizzare e che non rappresenterebbero lacrime per i cittadini,

forse un po' di sangue in più per chi non ha mai pagato le tasse (Applausi dei deputati del gruppo

Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Sono così conclusi gli interventi dei relatori.

È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, mi rivolgo ai colleghi e in particolare al sottosegretario

Casero, rilevando che sarebbe stata importante la presenza stamani del Ministro dell'economia e

delle finanze.

Viene, infatti, da fare una riflessione immediata, guardando il Documento di economia e finanza

2011. Ma, davvero, onorevole relatore Toccafondi, questo è un documento di programmazione

economico-finanziaria? Lei ne ha illustrato i pregi. Io penso che si faccia una grande fatica a

coglierli. Se ci si impegna un po' a confrontare questo PNR con quelli degli altri Paesi, non si può

non avere un moto di vergogna. Si continua a rappresentare un quadro ottimistico della situazione

italiana e del suo futuro, ma la realtà è molto diversa ed è caratterizzata, purtroppo, da eccezionale

gravità.

Per rientrare nei vincoli europei - ne ha fatto cenno prima il relatore di minoranza Ciccanti - si

dovrebbero realizzare manovre di riduzione del debito, pari a circa 40 miliardi di euro all'anno per

venti anni, entro il 2014 si deve predisporre una manovra di pari importo per ridurre il deficit e

realizzare il pareggio di bilancio e tutto ciò mentre la crescita è stagnante, aumenta la

disoccupazione, specialmente quella giovanile, assieme al divario fra nord e sud.

Il Governo, invece di chiamare ad una comune assunzione di responsabilità e lanciare un forte piano

di riforme per sostenere la crescita, sceglie di galleggiare e rinvia ogni intervento di riduzione del

debito al 2014 - cioè a chi verrà dopo di noi - evitando di fare una «operazione verità» con i

cittadini elettori. E lo fa - e questo è un'aggravante - con spocchia e con superbia, tipiche di un

provincialismo senza respiro, come abbiamo visto in questi giorni e anche con riferimento ai meriti

rivendicati con riguardo all'eventuale candidatura di Draghi alla guida della BCE. Magari andasse

così! Ma non credo che questo sia il frutto del prestigio del Governo italiano.

Tutto ciò avviene con l'aggravante di un'assenza di visione del futuro del Paese, che appare smarrito

e senza una direttrice di crescita: il PNR è un elenco ripetitivo di misure generiche, prive di

organicità e priorità, senza indicazione delle specifiche misure indispensabili per rimettere in moto

un Paese bloccato.

Avremmo invece bisogno di aumentare la nostra crescita più degli altri Paesi, sia perché da molti

anni noi cresciamo meno, sia perché solo crescendo è possibile reggere la disciplina finanziaria

senza che il Paese sprofondi in un ulteriore differenziale negativo rispetto agli altri. Andrebbe

ripresa con forza la filosofia della strategia Europa 2020, perché essa va radicata in profondità nel

Paese per accelerare le riforme strutturali necessarie. Senza la coscienza di un grande periodo

riformatore si resta bloccati nel calcolo che ciascun gruppo e ciascuna corporazione sono indotti a

fare nel breve periodo. Non si vede la passione per discutere di queste cose con il rigore necessario

e invece si continua a sostenere una comunicazione fuorviante accanto a misure che portano a

figuracce come nel caso Lactalis-Parmalat. Voi continuate, sottosegretario Casero - mi rivolgo a lei,

e mi dispiace, ma è lei che è presente quindi devo rivolgermi a lei -, a ripetere come un mantra delle

considerazioni che sono del tutto inveritiere. Non è vero che siamo stati i migliori in Europa, anzi,

andiamo incontro ad una manovra annunciata ma sottotraccia che sarà deprimente per l'economia e

ad una previsione di crescita assolutamente inadeguata. Non è vero che siamo meglio degli altri,

siamo il fanalino di coda. Non è vero che la spesa pubblica sia stata posta sotto controllo, perché i

tagli lineari non sono stati selettivi e così hanno tutelato la spesa scarsamente qualificata o

improduttiva. Questa è la realtà.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Tabacci.

BRUNO TABACCI. I tagli lineari finiscono per rendere esplicita la difesa della scarsa qualità della

spesa pubblica italiana. Da ultimo, non è vero che la lotta all'evasione ha dato buoni risultati, anzi, il

sommerso irregolare, informale, illegale e talvolta malavitoso è cresciuto e con esso le

disuguaglianze dei cittadini rispetto al fisco. Per queste ragioni, Alleanza per l'Italia non può che

riconfermarvi un voto negativo rispetto alle vostre scelte di politica economica che stanno portando

il Paese in una direzione sbagliata (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Alleanza per l'Italia e

Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, il DEF 2011 è innovativo solo formalmente: recepisce i

contenuti previsti dalla revisione della legge 31 dicembre 2009, n. 196, a seguito dell'introduzione

del semestre europeo, ma emerge una sostanziale continuità con la linea di politica economica che

ha caratterizzato i primi anni di questa legislatura, con l'idea di fondo che l'intervento sulla finanza

pubblica, per tenerla sotto controllo, è la condizione per la ripresa della crescita e permette di per sé

la crescita in quanto il sistema produttivo italiano non frenato dalla finanza pubblica è in grado di

cogliere le opportunità della ripresa. Questo assunto ha dimostrato la sua fragilità e alla lunga porta

l'Italia in una condizione sempre più difficile. Il Partito Democratico ha sempre sostenuto che le

manovre dovevano, invece, contemporaneamente contenere misure per la crescita e misure per il

controllo della finanza pubblica, essendo il rapporto debito/PIL, come quello deficit/PIL,

caratterizzato da due elementi: al numeratore il dato della finanza pubblica e al denominatore il dato

del PIL. Se non si agisce su entrambi e se il denominatore non cresce adeguatamente, anche in

presenza di forti misure sulla finanza pubblica, è più difficile migliorare il rapporto complessivo. Il

DEF 2011, continuando questa politica, che non cambia, non cambia un'impostazione sbagliata.

Non ci sono state misure per la crescita, né politiche industriali e fiscali adeguate e il risultato è che

nel decennio 2001-2010 l'Italia risulta 169a per la crescita su 170 Paesi, davanti solo ad Haiti.

Durante la crisi siamo calati più di altri e i dati sul 2008-2009 sono ulteriormente peggiorati con le

ultime revisioni ISTAT. La ripresa è più lenta che in altri Paesi europei e più lenta delle previsioni

del Governo anche per il 2010. Guardiamo i dati del PIL: la vecchia serie ISTAT ci dava una

riduzione del PIL dell'1,3 per cento nel 2008 e del 5 per cento nel 2009; la nuova serie conferma il

dato del 2008 ma accentua la riduzione del 2009, ricalcolandola al 5,2 per cento. Non è una

questione di virgole: quando è uscita la nuova serie dei dati ISTAT con un maggiore incremento del

previsto del PIL 2010 sul 2009 in percentuale, il Governo si affrettava a propagandare che era un

segno di maggiore ripresa, ma non è così. Con il ricalcolo della base 2009, nel 2010 non siamo

cresciuti un po' di più del previsto, ma un po' meno.

La conferma ce la dà il DEF, nella seconda sezione c'è anche il dato sul PIL nominale. Stime DFP

ottobre 2010: 1.554 miliardi, risultato 1.548 (sei miliardi in meno). Non sono cifre enormi, ma se

non si può dire che è molto peggio, certamente non si può dire che è meglio. Veniamo alle

previsioni sull'andamento del PIL 2011-2012-2013. Sono tutte più basse di quelle di ottobre della

Decisione di finanza pubblica, e il debito pubblico per tutti i tre anni è più alto nel DEF rispetto alle

previsioni della DFP di ottobre, e poi va miracolosamente al 112,8 per cento nel 2014, cioè nella

prossima legislatura. C'è qui l'evidenziazione di come sia determinante la crescita per la riduzione

del rapporto tra debito e PIL. Con una crescita economica più bassa ci vuole più tempo per ridurre il

debito pubblico. Le previsioni di crescita sono prudenziali, ma soprattutto inadeguate, e sono la

conseguenza di mancanza di politiche. Con il PNR nella stima prudenziale si prevede che l'insieme

delle politiche provochi un aumento medio del PIL di solo lo 0,2 per cento annuo.

Siamo di fronte ad una proposta che registra le cose già fatte, ha obiettivi che non portano a ridurre

il gap con la media europea su aspetti strategici, non ha proposte nuove, produce un impatto

debolissimo sulla crescita, cioè un PNR vuoto, che non c'è. Il Partito Democratico ha presentato una

proposta di PNR che produce un aumento del PIL nominale nelle stime prudenziali di 0,5-0,6 l'anno

a partire dal 2012. Bisogna crescere intorno al 2 per cento annuo, come sostengono Banca d'Italia e

Corte dei conti, ma ci vogliono investimenti e politiche adeguate, ad esempio sull'occupazione

femminile, attraverso servizi alle famiglie e incentivi per le assunzioni, aspetto quasi assente nelle

proposte del Governo. La crescita è un aspetto essenziale per l'economia italiana ma riguarda anche

l'Europa, e in questo senso il PD nella sua proposta di PNR propone sul versante europeo quattro

linee di iniziative: la costituzione di un'Agenzia europea per il debito; un piano europeo di

investimenti per l'occupazione, l'ambiente e l'innovazione; uno standard retributivo europeo per

coinvolgere i Paesi in surplus nel processo di aggiustamento delle bilance commerciali; una più

equilibrata distribuzione del reddito da lavoro.

È evidente che si può essere credibili nell'avanzare politiche per la crescita su scala europea se si

fanno nel proprio Paese. Con questi livelli di crescita è ben arduo fare il risanamento e il rientro del

debito. Non a caso il Governo sposta sostanzialmente gli obiettivi alla fine del periodo preso in

considerazione, e le manovre si concentrano nel 2013-2014. Per il 2011-2012 c'è la conferma delle

misure già adottate, mentre sul 2013-2014 la manovra correttiva accumulata sarebbe pari a 2,3 punti

di PIL, circa 39 miliardi, di cui quasi la metà nel 2013. Con i bassi livelli di crescita previsti la

manovra è praticamente tutta sulla finanza pubblica, con riduzione delle spese correnti sul PIL, di

2,3 punti dal 2010 al 2014, e di 0,9 punti per gli investimenti. Manovre depressive che producono

l'indebolimento del sistema Paese, in particolare con l'ulteriore calo degli investimenti in un Paese

debole sul piano infrastrutturale e con conseguenze pesanti sul sistema produttivo.

Il Partito Democratico ha presentato una sua proposta di rientro dal debito in cui vi è si una

diluizione e una stabilizzazione del debito nei primi tre anni e poi una riduzione più accelerata, ma

in presenza di una politica economica che investa da subito sulla crescita e la ripresa, e non con

annunci a cui non segue nulla. Emblematiche da questo punto di vista sono le politiche energetiche

ed ambientali del Governo. Rispetto agli obiettivi 20-20-20 non c'è quasi nulla di nuovo sulle

riduzioni delle emissioni; sull'efficienza energetica si conferma il piano elaborato dal Governo

Prodi, in particolare le detrazioni fiscali del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli

edifici (salvo che ogni anno le opposizioni devono lottare per rifinanziare questa misura nella legge

finanziaria di stabilità); sulle fonti rinnovabili si rimanda al piano inviato alla Commissione

europea, intanto però si sono assunti provvedimenti che hanno bloccato il settore e mettono 100

mila posti di lavoro a rischio; il nuovo decreto è arrivato più tardi di quanto concordato con il

Parlamento e ha già ricevuto critiche e richieste di cambi radicali da Regioni e associazioni

imprenditoriali del settore.

Tutto ciò è ancora più grave dopo la vicenda del nucleare. Avete puntato tutto sul nucleare per tre

anni. Dopo il Giappone avete detto, prima che non cambia niente, poi moratoria di un anno, e poi

nel PNR si dice di non procedere per il momento all'attuazione del programma nucleare fino a che

le iniziative già avviate a livello di Unione europea non forniranno elementi in grado di dare piena

garanzia sotto il profilo della sicurezza.

Poi intervenite al Senato modificando un decreto-legge, con l'abrogazione di tutte le norme sul

nucleare, per evitare il referendum, vi prendete un anno per adottare una strategia energetica

nazionale e vi tenete aperte tutte le strade. E due giorni fa il Presidente del Consiglio ha affermato

che il nucleare è la fonte energetica più sicura. Sarà solo un'altra perdita di tempo, senza investire su

fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Il Partito Democratico ha indicato, nella sua proposta di

politica industriale, cosa fare sulla questione energetica: investire sull'efficienza energetica,

promuovere lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili con l'obiettivo di puntare ad un'industria

nazionale del settore. Un'ultima considerazione: con il DEF il Governo non dà indicazioni su come

intende dare attuazione all'emanando decreto legislativo sulle entrate delle Regioni in attuazione

della legge sul federalismo fiscale, tema di cui si parla ampiamente, ma non si dice nulla su una

questione che riguarda già il 2012. In base al parere della Commissione parlamentare per

l'attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni bilancio, al comma 3 dell'articolo 26 si

stabilisce di non tener conto, dal 2012, dei tagli del decreto-legge n. 78 del 2010. Certo,

compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, con un tavolo con le regioni che può

modificare le proposte se i vincoli di finanza pubblica non consentono, in tutto o in parte, di

eliminare i tagli. Tuttavia, a quel tavolo le regioni hanno il punto di forza del comma 5 per cui circa

la rideterminazione dell'addizionale IRPEF e la soppressione dei trasferimenti statali si deve fare

riferimento alle risorse spettanti alle regioni nel 2010. Il Governo dica cosa intende fare su questo e

sull'impegno assunto in Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale di

rivedere il decreto legislativo sul federalismo fiscale.

Insomma, è un DEF che si richiama al Patto di stabilità e crescita europeo, ma, poi, si dimentica la

parola crescita, non ha politiche industriali, balbetta su quelle energetiche, fa finta di dimenticarsi

dei contenuti dei provvedimenti sul federalismo fiscale e, alla fine, rischia, ma è una certezza, che

gli obiettivi sulla riduzione del rapporto debito/PIL non si realizzino perché tutti basati su manovre

depressive sull'economia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, il Documento di economia e finanza non ha solo

cambiato nome, ma ha una nuova sostanza. Siamo, infatti, onorevoli colleghi, a prendere atto di un

cambiamento rilevante della politica europea che trova riferimento coerente, non solo formale, ma

sostanziale, nel DEF. La fase nuova che si apre, a meno di un mese di distanza dalle decisioni del

Consiglio europeo, si basa su un coordinamento più stretto delle politiche economiche per la

competitività e la convergenza. Ancora una volta è la politica economica, per come si esprime

nell'impostazione dei conti pubblici, a guidare anche i processi politici di integrazione istituzionale

dell'Unione europea. È questo, onorevole Tabacci, l'afflato riformatore del Documento di economia

e finanza. Ad incidere sugli sviluppi delle stesse istituzioni sono le scelte di politica finanziaria e di

bilancio che il Consiglio europeo ha compiuto, le quali contano molto di più delle carte dei diritti e

della riorganizzazione degli ordinamenti politici.

In sostanza, l'Europa può restare un «nano» dal punto di vista politico purché vadano avanti i

processi di integrazione economica derivanti dal mercato comune, che deve aprirsi ai servizi, e dalla

moneta unica, che presto sarà estesa ad altri Paesi. Sono convinto che in questa prospettiva, quella,

cioè, di una sistematica e sempre più intensa devoluzione di potere dagli Stati nazione ad una

comune e sempre più politica entità europea, stia anche la risposta più credibile e sostanziale alla

crisi. Tanto che il «cuore» del DEF, a mio avviso, è concentrato in poche pagine delle tante di cui si

compone il volume. Poche pagine che sono poste all'inizio del volume medesimo e nelle quali

vengono indicate le idee forza della nuova Europa e i compiti che ne derivano per l'Italia. Un tempo

si diceva che i programmi sono bandiere piantate nella testa della gente e, quindi, non hanno

bisogno di molte parole, non richiedono molte affermazioni, molte frasi, ma poche idee, semplici e

precise. Il DEF non è reticente e traccia, con grande trasparenza, il perimetro dell'azione di Governo

nei prossimi anni assumendo, senza infingimenti e riserve mentali, i vincoli europei.

Mi sia consentito di leggere una frase chiave del Documento: «Non vi sono più spazi per ambiguità,

per incertezze: la politica di rigore fiscale non è temporanea, non è conseguenza imposta da una

congiuntura economica negativa, non è "imposta dall'Europa", ma è invece la politica necessaria e

senza alternative per gli anni a venire». È da questa affermazione che conseguono come tanti

corollari gli indirizzi centrali della politica del Governo, anzi, oserei dire, con un'espressione un po'

démodé, le variabili indipendenti della politica del Governo, che ricordo brevemente che

costituiscono la vera differenza con le opposizioni, come ha ammesso con grande onestà

intellettuale pochi minuti fa anche l'onorevole Marchi.

Prima variabile indipendente: non sono possibili sviluppo economico ed equilibrio politico

democratico senza stabilità e solidità della finanza pubblica. Seconda: l'equilibrio si realizza tanto

dal lato della finanza pubblica, quanto da quello della finanza privata. Terza variabile: l'unico

messaggio responsabile nell'interesse del Paese è che non esistono presupposti per una crescita

duratura ed equa senza stabilità del bilancio pubblico. Quarta: la crescita non si fa più con i deficit

pubblici. Quinta: di qui l'impegno a raggiungere, entro il 2014, un livello prossimo al pareggio di

bilancio, da cui possa ripartire un sistematico incremento dell'avanzo primario, allo scopo di

diminuire il debito pubblico, il parametro, onorevoli colleghi, che ha sostituito nella disciplina

europea il deficit, che veniva preso a riferimento all'inizio del decennio.

È in questo quadro che si innestano i capisaldi del Piano Nazionale di Riforma, con le sue priorità

ricordate nella relazione del collega Toccafondi. Il Governo e la maggioranza saranno in grado di

rispettare questi impegni nei due anni residui di vita della legislatura. È una sicurezza che ci deriva

da quanto abbiamo fatto sul terreno dell'emergenza e delle riforme nei tre anni che abbiamo alle

spalle e credo che sia giusto dare conto delle cose fatte, quando le cose fatte sono state importanti,

quando le cose fatte hanno risolto gravi problemi di questo Paese, non solo sul terreno

dell'emergenza, ma anche su quello delle riforme.

Mi siano consentite, signor Presidente e signor sottosegretario, due ultime considerazioni. La prima

riguarda la struttura del mercato del lavoro. Noi siamo attenti al dramma della disoccupazione

giovanile e alle sue motivazioni di carattere strutturale e di lungo periodo che chiamano in causa i

percorsi formativi, i servizi per l'impiego, le tante distorsioni del mercato del lavoro. Siamo

altrettanto consapevoli del fatto che sui giovani gravano tutte le esigenze di flessibilità necessarie al

sistema. Sulle giovani generazioni, che pure dal 2000 al 2007 avevano trovato accesso al lavoro

grazie alle nuove leggi di quegli anni (la legge Treu del 1997 e la successiva legge Biagi), è

intervenuta pesantemente la crisi. Sono problemi questi che solo la crescita economica potrà

risolvere adeguatamente, senza dare l'illusione che bastino leggi più o meno illuminate, come

spesso sembra ritenere l'opposizione.

Respingiamo però la rappresentazione di un mercato del lavoro devastato dalla precarietà. La

grande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici, se dipendenti, ha un contratto a tempo

indeterminato. Il lavoro a tempo determinato riguarda il 7,6 per cento degli uomini e l'11,9 per

cento delle donne. I co.co.pro. sono l'1 per cento degli uomini occupati e l'1,9 per cento delle donne.

I prestatori occasionali sono lo 0,3 per cento degli uomini e lo 0,5 per cento delle donne. Mi sia

consentita un'ultima considerazione un po' «fuori sacco» e termino questo intervento senza che lei,

signor Presidente, abbia avuto modo di richiamarmi al rispetto del tempo. È iscritto all'ordine del

giorno delle prossime settimane il decreto-legge che è stato definito «antiscalate».

Non so come la pensi il mio gruppo, ma mi auguro che il Governo lo ritiri o che vada a scadenza

senza rimpianti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, è la prima volta che il Parlamento discute in questi

termini di bilancio, proprio perché, attraverso la nuova normativa derivante dalla legge n. 196 del

2009, alla luce dell'introduzione del semestre europeo, ci siamo adeguati a questo nuovo metodo

europeo.

Il Documento proposto dal Governo al Parlamento sarà sottoposto al vaglio della Commissione

europea che ne verificherà la bontà revisionale, finalizzata alla riduzione del deficit e all'incremento

del PIL. Chi ha proposte alternative alla nostra, le presenti all'Europa, allegando non solo le

migliaia di parole che costantemente si sentono in quest'Aula, ma anche conti, numeri e cifre, così

vedremo se supererà il vaglio del controllo europeo.

Noi ci muoviamo all'interno di un'economia europea che ci mette in competizione con realtà che, a

differenza dell'Italia, hanno potuto utilizzare e utilizzano l'indebitamento pubblico per finanziare la

crescita, cosa che per noi è diventata impossibile. Vorrei fare alcuni esempi.

La Germania ha avuto una grande crescita, ma è stata oggetto anche di molte procedure d'infrazione

- più di 90 - per aiuti di Stato. Di più: ieri, EUROSTAT ha certificato l'ammontare del debito

pubblico della Germania. Esso ha sorpassato il nostro, diventando così noi quarti e loro terzi nella

scala del debito pubblico mondiale, con più di 2 mila miliardi di euro (2.080 miliardi per la

precisione), derivanti soprattutto dalle spese che, nel 2010, sono state fatte dalla Germania,

aumentando in un solo anno il debito pubblico di 319-320 miliardi di euro, portandolo dallo storico

del 73,5 per cento del PIL all'83,2 per cento nel 2010.

Così la Francia. La crescita della Francia è dell'1,6 per cento, ma con un deficit del 7 per cento e, tra

l'altro, hanno anche il nucleare. In Inghilterra, la crescita è dell'1,3 per cento, come la nostra, ma con

un deficit del 10,6 per cento. L'Olanda ha una crescita dell'1,7 per cento, con un deficit del 5,8 per

cento. In Italia, la crescita è dell'1,3 per cento, come dicevo prima, come l'Inghilterra, ma con un

deficit minore rispetto a tutti questi Stati europei, perché si attesta al 4,6 per cento; inoltre, ricordo

che non abbiamo il nucleare e che abbiamo, quindi, una grande spesa energetica da sostenere.

Ricordo a tutti che il debito, per definizione, è crescita rubata al futuro e che noi oggi viviamo nel

futuro delle generazioni politiche passate degli anni Ottanta che ci hanno rubato il nostro presente.

Non voglio, quindi, riprendere nel mio intervento le previsioni future, che sono già state descritte

dal relatore per la maggioranza, e le proposte operative del Programma Nazionale di Riforma che

sono tese al rilancio economico del sistema e che saranno evidenziate anche da altri, ma voglio

evidenziare tutto ciò che è già stato fatto per riuscire a fare queste previsioni, che porteranno,

quindi, al pareggio di bilancio nel 2014. Infatti, se oggi possiamo fare tali previsioni e tenere sotto

controllo i conti, è grazie a tutta l'attività che questa maggioranza e la Lega Nord hanno attuato in

questi tre anni di Governo.

Ricordo, quindi, le tematiche legate al lavoro, alle pensioni e il completamento della riforma

pensionistica attuato con il decreto-legge n. 78 del 2010; l'accordo fra Governo, Confindustria e

sindacati sulla definizione di nuove regole di contratti salariali; l'ampliamento della contrattazione

decentrata, la detassazione e la decontribuzione dei salari; la deducibilità del 10 per cento

dell'IRAP, il piano giovani, il collegato lavoro e il riordino degli incentivi; l'apprendistato, gli

ammortizzatori sociali, la nuova disciplina dei licenziamenti e la lotta al lavoro irregolare; il Piano

triennale per il lavoro e il Programma Italia 2020 per l'inclusione delle donne nel mondo del lavoro;

il finanziamento della cassa integrazione in deroga, i buoni per il lavoro occasionale ed accessorio.

Ricordo poi, ovviamente, le riforme istituzionali e l'attuazione del federalismo fiscale.

Tutti questi punti sono i cosiddetti colli di bottiglia individuati, nel semestre europeo, dalla

normativa europea, a cui l'Italia ha già dato risposte.

Per il contenimento della spesa pubblica, ricordo il rafforzamento della governance della sanità

nell'Accordo Stato-regioni del 3 dicembre 2009, la riforma della legge di bilancio, il decreto-legge

n. 78 del 2010 e la ricognizione del patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione. Per

quanto riguarda il mercato e la concorrenza, ricordo l'istituzione dell'Agenzia per la cooperazione

fra i regolatori nazionali dell'energia, l'attuazione della cosiddetta direttiva servizi volta alla

semplificazione, la riduzione degli oneri amministrativi, l'applicazione del regime fiscale estero per

le imprese dell'Unione europea, le zone a «burocrazia zero», l'introduzione della «Scia»; la riforma

dei servizi pubblici locali, la riforma della pubblica amminist razione, la maggiore flessibilità delle

procedure di aggiudicazione degli appalti e il Piano casa, che verrà ulteriormente ripreso.

Ricordo ancora l'innovazione e le imprese, tutte le misure in materia di organizzazione scolastica, il

credito di imposta alle aziende...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO SIMONETTI. Vi sono anche misure per le infrastrutture, ce n'è un elenco infinito

proprio nel Documento depositato, da pagina 400 in poi. Ci sono una trentina di pagine di elenchi.

Con il semestre europeo vi è una devoluzione di potere verso l'alto tesa a creare una politica

economica di area vasta, continentale, ecco perché c'è la necessità di controbilanciare questa

devoluzione verso l'alto attraverso una maggiore penetrazione dei poteri nei territori che solo grazie

al federalismo fiscale ed a quello istituzionale si potrà fare (Applausi dei deputati del gruppo Lega

Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pezzotta. Ne ha facoltà per dieci minuti.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, credo che oggi vi sia una grande questione nel Paese che

è al centro di tutte le preoccupazioni degli italiani, delle famiglie, dei giovani: la preoccupazione

della crescita economica e soprattutto di una crescita che sia in grado di generare occupazione.

Un recente sondaggio realizzato dal CISE, il centro studi elettorali della LUISS, conferma questa

affermazione. Nella classifica dei problemi più urgenti dei cittadini rilevati c'è il tema

dell'economia, ma in particolare il tema dell'occupazione; in secondo ordine, a grande distanza, ci

sono tutti quei temi che agitano il dibattito politico: dalla giustizia, all'immigrazione, alle stesse

riforme istituzionali. Gli italiani cioè chiedono più crescita e più lavoro, questo è il tema che

abbiamo.

Sono partito da questa osservazione per dire che, dopo tante dichiarazioni fatte dal Governo, dal

Presidente del Consiglio in quest'Aula, dei vari Ministri di tanto in tanto, mi sarei atteso un

Documento economico e finanziario improntato ad una diversa filosofia rispetto a quella che invece

traspare e vediamo.

Io credo che siamo, ancora una volta, all'interno della stessa passiva politica economica che in

questi tre anni di legislatura ha segnato l'azione del Governo. Siamo infatti ad un tasso di

disoccupazione altissimo - la disoccupazione dei giovani è al 30 per cento - e non è sempre colpa di

chi c'è stato prima perché, dopo tre anni di Governo, le responsabilità sono di coloro che hanno

governato in questo periodo.

Mi sembra che si sia vissuta la situazione di crisi, di indebolimento del tessuto produttivo,

passivamente, cioè lasciando che le cose andassero per loro conto, mentre invece una politica

attenta e seria avrebbe dovuto approfittare della crisi per affrontare le questioni che venivano

emergendo, cosa che non è stata fatta. La crisi è stata sostanzialmente subita e soprattutto si è

cercato un po' di tamponare, ma questo, se guardo al futuro, non servirà a molto.

Si doveva anche spingere in avanti nei rapporti con l'Europa: il Programma Nazionale di Riforma

non mi sembra un granché, c'è una ripetizione di cose dette e cose fatte e non ha in sé

quell'elemento innovativo e di capacità di coagulo che doveva mettere in campo in questo

momento.

Potevo anche capire che nei primi momenti della crisi economica predominasse un po' di prudenza,

la circospezione, ma la scossa promessa qui dov'è? Continuiamo a promettere e alla fine a non

mantenere. Non è arrivata alcuna scossa, mi sarei atteso un progetto, una proposta, un'attenzione

orientata a rilanciare l'Italia.

Non ho visto l'afflato riformista a cui faceva riferimento l'onorevole Cazzola, forse, se me lo

spiegherà, un giorno, sarei felice di comprenderlo. Nel Documento di economia e finanza non esiste

un vero progetto orientato alla crescita, esso è un rimando a provvedimenti assunti nel recente

passato.

Mi rendo conto, perché non siamo sprovveduti e perché abbiamo bene a mente i problemi di questo

Paese, che la questione del debito pubblico e delle regole che ci siamo dati in Europa rendono il

margine di manovra abbastanza ristretto, ma proprio questo doveva far mettere in campo un po' più

di coraggio, un po' più di audacia e, perché no, un po' più di creatività.

La stabilità finanziaria è sicuramente necessaria ed utilissima per la crescita, ma il raggiungimento

della stabilità finanziaria lo si può ottenere in modi diversi. Ottenere una stabilità finanziaria,

comprimendo e non tentando nello stesso tempo di allargare, finisce per ripiegare su se stessa

l'insieme delle condizioni della crescita, ed è quello che stiamo sperimentando da tempo, ci stiamo

cioè adagiando.

Il Governo avrebbe dovuto produrre uno sforzo maggiore di risanamento - e uno sforzo avrebbe

comportato un vero ridisegno dei meccanismi di spesa e un serio intervento sulle liberalizzazioni,

che non c'è -, prosegue invece la strada dei tagli orizzontali, che sono un errore da diversi punti di

vista. Sono un errore sul terreno della politica economica, poiché non opera scelte di qualificazione

e di obiettivizzazione della spesa. In pratica, ci troviamo di fronte alla rinuncia dell'azione politica,

che è sempre capacità di scelta, di decisione e di orientamento. Sono inoltre negativi sul piano

sociale, perché i tagli orizzontali colpiscono di più chi ha meno e, in pratica, diventano accentuatori

delle disuguaglianze che la crisi economica ha già generato.

La crisi delle disuguaglianze mina il tessuto connettivo della nostra società, genera rancore sociale,

disaffezione e mette in tensione il tessuto democratico, ma se noi continuiamo con questi tagli,

senza selezionare, senza individuare degli obiettivi precisi e senza renderli compatibili con un

disegno, finiremo per accentuare gli elementi di disagio sociale che attraversano la nostra società.

Andavano affrontati, a nostro parere, i problemi delle province, degli istituti provinciali, dei costi

degli enti locali, il numero dei comuni e i costi delle varie istituzioni. Lì si poteva intervenire per

reperire quelle risorse necessarie per generare gli elementi di stabilità. Andava introdotto un sistema

di valutazione di efficacia e dell'efficienza della spesa, che non abbiamo visto, che molte volte è

fonte del fenomeno della corruzione che, come ci ha detto la Corte dei conti, costa alla collettività

oltre 60 miliardi di euro, ma anche qui non abbiamo visto nulla.

Spazi per recuperare risorse, dunque, ve ne sono, e continuare a pensare di risparmiare sui servizi,

su strumenti essenziali come quelli della scuola, della ricerca, dell'innovazione, o sulle pensioni e

sul lavoro, sicuramente non ci porta molto lontano. Sono convinto che al nostro Paese serva una

fase di rigore, una fase di rigore sul terreno economico, ma il rigore ha valore se vale per tutti e se si

coniuga con la salvaguardia di criteri di uguaglianza, di giustizia e di valorizzazione del merito. Si è

preferito, invece, una sorta di rassegnazione al presente rispetto ad una proposta per il futuro, ma

così il futuro rischia di essere pericoloso, soprattutto per i ceti più deboli di questo Paese.

Condivido le preoccupazioni delle imprese, che sono molte ed espresse in modo chiaro. Quello che

serviva a questo Paese erano cose essenziali: serviva un progetto sulla fiscalità di vantaggio, la

detassazione degli utili reinvestiti, un rilancio delle liberalizzazioni, politiche sociali centrate sulla

riduzione fiscale per le famiglie - che non vi sono ancora - e un progetto di contrasto alla povertà.

Servivano investimenti per la ricerca pubblica e privata, un piano straordinario per i giovani e per

l'occupazione giovanile, la rimessa in campo delle infrastrutture e una politica energetica degna di

questo nome. Queste cose le abbiamo cercate nel Documento in esame, non le abbiamo trovate e

per questo motivo voteremo contro (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo

Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà per cinque minuti.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, come è stato detto dal relatore per la maggioranza, onorevole

Toccafondi, e anche da altri interventi che ho sentito dai banchi della Popolo della Libertà, siamo in

presenza di un atto importante che modifica la politica economica dell'Unione europea e i criteri di

riferimento con i quali attuare non solo le politiche di bilancio, ma anche le politiche di sviluppo.

Non a caso il Partito Democratico ha presentato il suo Programma Nazionale di Riforma per dare un

contributo concreto al confronto. Qui, però, vorrei innanzitutto far rilevare una cosa - non me ne

voglia il sottosegretario Casero -, ossia che l'assenza del Ministro Tremonti a questo dibattito

parlamentare non fa onore e non rende merito alla centralità del tema che siamo chiamati qui a

discutere.

Non è un fatto formale, ma sostanziale, anche perché sento parlare di rigore e l'onorevole Cazzola

ha detto giustamente che la politica del rigore fiscale non è solo imposta dalla contingenza, ma è la

risposta necessaria per affrontare i temi della crisi. L'onorevole Simonetti ci ha spiegato che il

debito è rubare il futuro ai giovani. Mi verrebbe facile dire all'onorevole Simonetti, e a tutti i

colleghi della Lega Nord, che sono alleati con quelli che hanno guidato negli anni Ottanta l'assalto

alla diligenza, ma lasciamo perdere.

Caro onorevole Cazzola, benvenuto! E benvenuto anche al Ministro Tremonti. Vorrei ricordare che

nei primi cinque anni del suo Dicastero all'economia, salvo una breve parentesi, ha dato un impulso

consistente all'aumento della spesa corrente e all'indebitamento netto di questo Paese, in contrasto

con le politiche che i Governi di centrosinistra che invece, con tutti i loro problemi, hanno sempre

mantenuto un rigore fiscale. Basta guardare le serie storiche dei saldi; esse recano dei numeri e

quindi su di essi si può fare poca polemica.

Benvenuto, però peccato che la politica di rigore fiscale non possa essere realizzata con i tassi di

crescita che sono previsti dal Programma Nazionale di Riforma e da qualche furbizia - mi si

consenta - che viene adottata. Si dice che il rientro dal debito avverrà nel 2014, ossia nella prossima

legislatura. Come si realizza questo rientro dal debito? Come si realizza questa politica di rigore

fiscale?

Se l'economia italiana non torna a crescere almeno del 2 per cento del prodotto interno lordo, è

chiaro che si presenta una situazione nella quale a pagare saranno i giovani, i ceti deboli e quelle

realtà di piccola impresa che sono state penalizzate nel corso di questi anni. All'onorevole

Simonetti, che ha fatto l'elenco di tutti gli interventi, vorrei dire di andare a parlare con gli artigiani

e i piccoli imprenditori per vedere se sono contenti e di andare a parlare con i lavoratori per vedere

se sono contenti dei loro salari.

Si accorgerà che le cose stanno in altro modo e che tutti i meccanismi di semplificazione che sono

stati inseriti, in realtà, hanno complicato la vita agli artigiani e alle imprese. Complicato, altro che

Ministro per la semplificazione!

Poi naturalmente si arriva al punto che mi premeva mettere in evidenza, ce ne sarebbero tanti.

Certo, non abbiamo sentore della legge annuale per la concorrenza, andiamo a vedere quanto

pagano le imprese per i servizi professionali!

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Lulli.

ANDREA LULLI. Concludo, signor Presidente. L'energia è il grande buco nero del Programma

Nazionale di Riforma presentato dal Governo, che peraltro legava la scelta nucleare e la crescita del

prodotto interno lordo e qui si è fatto il «teatrino». Il nucleare non c'è più salvo poi fare, come

sempre, «teatro» in una conferenza stampa che certo non rende onore al nostro Paese a livello

internazionale. Ma se questo è vero, si è addirittura prodotto un danno perché con il decreto-legge

sulle energie rinnovabili si è colpito uno dei pochi settori, quello delle energie rinnovabili, che

aveva agito in controtendenza rispetto alla crisi, dando un colpo a chi ha effettuato e ha

programmato investimenti e ha creato occupazione. E non mi venite a dire che gli oneri erano

insopportabili, perché anche su questo va fatta un'operazione verità. Se si parla degli oneri sulle

bollette, allora cominciamo a mettere in campo gli oneri che sulle bollette vengono pagati per le

fonti assimilate, che non sono certamente l'innovazione e il futuro.

Sull'energia manca qualsiasi piano di efficienza, qualsiasi piano di risparmio energetico, manca una

strategia e ciò mette questo Paese all'ultimo posto, senza bussola! Poi si fanno le scelte sulle reti del

gas e anche qui la cosa che ho sentito dire ieri dal sottosegretario per lo sviluppo economico in

Commissione attività produttive è allarmante, perché egli dice che sì, forse si potrebbe auspicare la

separazione proprietaria, però non siamo intenzionati a farlo per legge. Non siete intenzionati a farlo

per legge perché volete trasferire il potere del Parlamento in qualche consiglio di amministrazione,

che sia dell'Eni o che sia della Cassa depositi e prestiti? È così che si intende la politica industriale

ed energetica di questo Paese? È così che si predica la trasparenza? O forse è anche per questo, per

il modo in cui si interpretano questi temi, che l'unica delle poche classifiche che ci ha visto scalare

posizioni in avanti nel nostro Paese a livello internazionale è quella dell'indice di corruzione! Così

non si può andare avanti ed è per questo motivo che noi voteremo contro (Applausi dei deputati del

gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, parlando di conti pubblici, di crescita che riguarda il

sistema industriale del nostro Paese, che riguarda la nostra economia, non possiamo in questa fase

esimerci dal ricordare quando nel 2007, durante il Governo di centrosinistra, trattando per esempio

del caso Parmalat in materia di OPA, quest'Aula discusse la direttiva OPA e quindi come l'Italia ha

recepito questa direttiva. Se allora avessimo preso le iniziative, se a quel tempo avessimo accettato

gli emendamenti della Lega, oggi il nostro Paese non sarebbe in questa situazione e non saremmo

sotto lo scacco di Paesi esteri che vengono a fare shopping in Italia.

Dobbiamo dire questo per onore di cronaca e anche, crediamo, per onestà intellettuale. La Lega a

suo tempo - purtroppo eravamo anche da soli - vide giusto e oggi non saremmo in questa situazione,

con un'Europa che lascia fare ai francesi le leggi di difesa dell'economia nazionale che meglio crede

- ricordiamo la legge del 2005 che la Commissione europea ha inizialmente contestato e poi non ha

fatto più nulla - mentre oggi, alle prime leggi che fa il Paese italiano, subito ci vengono chiesti

chiarimenti. È chiaro che questa Europa non ci piace. È un'Europa che decide di andare a

bombardare la Libia tutti insieme appassionatamente e amichevolmente e poi, quando è il momento

di fare anche gli interessi di Paesi diversi, in questo caso tutelare l'Italia, non ci aiuta ed ha uno

strabismo nel vedere le leggi di tutela dei diversi Paesi. Siamo rispettosi invece dell'Europa quando

c'è in gioco l'interesse nazionale, quando c'è in gioco anche l'interesse della stessa Europa, e lo

abbiamo fatto con una stabilità di conti pubblici che non ha paragoni rispetto alla criticità del nostro

Paese.

Noi sappiamo che abbiamo un debito pubblico pesante. È il terzo debito pubblico al mondo, ma non

siamo la terza economia al mondo. Eppure, in questa fase siamo riusciti ad avere una credibilità

internazionale nei mercati finanziari che non ha paragoni. Tutto ciò perché questo Governo ha

voluto mantenere la barra dritta sulla stabilità dei conti pubblici.

Se, quando abbiamo fatto le altre leggi finanziarie, avessimo ascoltato i colleghi del centrosinistra

che volevano finanziare la crescita creando deficit e facendo il deficit spending oggi non saremmo

probabilmente in questa situazione che ci vede - lo ripeto - rispettati sui mercati internazionali. Noi

crediamo che dobbiamo guardare ai numeri perché l'Italia è caratterizzata da un clima di

pessimismo. Si dice l'Italia non cresce, che è un Paese fermo, che non ha sviluppo, che messa così

male non è mai stata, ma noi dobbiamo andare a guardare i numeri partendo dalle caratteristiche del

nostro sistema economico.

L'Italia è un Paese duale: noi abbiamo una parte del Paese che cresce più (il centronord e,

soprattutto, il nord) di tutte le altre aree europee e c'è una parte del Paese che non cresce. Questa è

una questione cronica dell'Italia. Quindi, quando guardiamo i dati del nostro prodotto interno lordo

dobbiamo sempre caratterizzare questa specificità del nostro Paese. L'Italia è un Paese che ha

un'economia duale e, quindi, quando guardiamo il prodotto interno lordo dobbiamo capire che c'è

una parte di Paese che cresce e una parte di Paese che non cresce. Dobbiamo per forza far la media.

Ma, se guardiamo i dati del 2010 partendo da questa caratterizzazione nel nostro Paese, noi non

vediamo tutto questo pessimismo. Il prodotto interno lordo è cresciuto dell'1,3 per cento. La Francia

- si diceva che dobbiamo guardare agli altri Paesi - è cresciuta dell'1,6 per cento. L'area euro, come

media, è cresciuta dell'1,7 per cento.

È chiaro che se andiamo a fare il confronto con la Germania che è sempre stata la locomotiva

dell'Europa questo è un altro discorso. Tuttavia, in termini di crescita del prodotto interno lordo,

sapendo che abbiamo un'economia duale, noi crediamo che il Paese sia messo non così male come

viene descritto. Per quanto riguarda il rapporto deficit-PIL, se avessimo ascoltato la sinistra, noi

oggi avremmo finanziato la crescita (che poi non ci sarebbe stata) facendo deficit. Invece, noi

abbiamo tenuto fermi i conti pubblici e nel 2010 abbiamo il 4,6 per cento contro un'aerea euro che è

del 6,3 per cento. Per quanto riguarda la disoccupazione, siamo all'8,4 per cento, con un'area euro

che è oltre il 10. La Francia è al 9,6 per cento, la Spagna al 20,1.

È chiaro che la pressione fiscale è un rapporto: se al denominatore hai un prodotto interno lordo che

non cresce, è molto difficile riuscire a diminuire la pressione fiscale, che però ha avuto i picchi

massimi quando ha governato il centrosinistra. L'economia cresceva dell'1,5 per cento eppure la

pressione fiscale ha avuto i picchi massimi quando ha governato il centrosinistra.

Siamo stati un Governo che ha fatto la lotta all'evasione meglio di altri. Su questo devo dire che,

come Lega Nord Padania, siamo un po' preoccupati perché ci arrivano segnali di malumore dalle

piccole e medie imprese per il lavoro, anche assiduo, che stanno facendo l'Agenzia delle entrate ed

Equitalia. Dobbiamo stare attenti perché il Governo deve prendere in considerazione questi segnali

che arrivano.

C'è un aspetto che ci preoccupa: un intervento come la guerra in Libia costa 700 milioni e ci

chiediamo dove andiamo a trovare i soldi. Infatti, con le leggi finanziarie di qualche miliardo di

euro che abbiamo fatto non è facile andare trovare i soldi, che sono tanti, perché abbiamo deciso di

andare a bombardare quattro disperati. Questo è un problema e non vorremmo che si decidesse di

aumentare il prezzo della benzina per finanziare l'interventismo italiano. Questa è una questione che

ci preoccupa, però il Governo ha fatto bene nella tenuta dei conti pubblici e nei numeri

macroeconomici generali e, quindi, avrà la nostra fiducia (Applausi dei deputati del gruppo Lega

Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, questo è un Documento importante, come il

nostro relatore di minoranza, l'onorevole Barletta, ha già ben descritto all'inizio di questa seduta.

Voglio sottolineare solo due questioni che mi interessano e che riguardano la Commissione affari

sociali nella quale abbiamo svolto un rapidissimo dibattito su questo tema, anche se ritengo che

avrebbe meritato un'attenzione più ampia. Le due questioni che voglio sottolineare riguardano uno

dei grandi obiettivi mancati, in particolare dal PNR.

Sappiamo che uno degli obiettivi della «Strategia Europa 2020» è la riduzione della povertà in

Europa, 20 milioni di persone che si intende togliere dalla condizione di povertà, ciò significa che

per l'Italia l'obiettivo si traduce in due milioni di poveri in meno. Questo Documento avrebbe il

dovere di indicare le politiche che possono consentire il raggiungimento di questo obiettivo, ma se

guardiamo alle politiche elencate - cioè nessuna - temo che questo obiettivo non solo non verrà

raggiunto ma si aggraverà e come altri colleghi hanno già detto, se l'Italia si appresta a ricoprire

l'ultimo posto tra i Paesi europei in tutti gli obiettivi di crescita avremo purtroppo il primato

dell'aumento della povertà. Zero politiche per contrastare la povertà, si fa riferimento ad un unico

intervento, cioè alla «miracolosa» social card che il Ministro Tremonti ha avviato un paio di anni fa

ma che nel corso di quest'anno presenta un finanziamento pari a zero e che si finanzia solamente

attraverso interventi economici di natura sporadica, casuali e che non provengono comunque dal

bilancio dello Stato, ma da sanzioni riscosse per le violazioni a normative europee.

Come si può impostare una politica di contrasto alla povertà senza misure strutturali di

finanziamento di queste politiche? Ovviamente non si affronta. Questo è un obiettivo mancato, una

grave lacuna del PNR e del DEF nel suo complesso.

Voglio sottolineare un secondo punto, sempre nell'ambito delle politiche sociali e sanitarie che

vengono trattate dal DEF. In questo Documento si fa semplicemente una ricognizione dei tagli fatti

negli ultimi due anni ma non si indica nessuna volontà e non c'è nessun cenno di cambiamento di

linea, anzi si fa capire che si riconfermeranno questi tagli. Per rimuovere quelle politiche di tagli

così gravosi per le politiche sociali e le politiche sanitarie occorre pattuire e contrattare con le

Regioni un nuovo patto per la salute e soprattutto occorre rivedere i livelli essenziali di assistenza

che nella sanità, ricordo, sono fermi al 2001. Non si fa nessun riferimento a questa necessità, da

dieci anni sono fermi, sappiamo che questi livelli essenziali sono carenti oramai. Il Ministro Turco

aveva già fatto un egregio lavoro preparatorio predisponendo un importante provvedimento per

modificare quel decreto del 2001 che è stato cestinato da questo Governo. Faccio solo notare che

all'interno dei nuovi livelli essenziali che erano stati individuati c'era un intervento importante per le

cure palliative, visto che stanno tanto a cuore - sembra solo a parole - di questo Governo quando si

parla di testamento biologico. Non si fa un passo avanti su questo piano, anzi si fanno passi

indietro. Anche nel campo dell'analgesia, per esempio per il parto indolore, non si muove nulla anzi

ripeto si fanno passi indietro perché si introducono nuovi balzelli, nuovi ticket. È notizia di queste

settimane l'aumento dei ticket, o meglio, dei nuovi ticket per tutti i cittadini malati che acquistano i

farmaci generici, e dal primo di giugno troveremo tutti la sorpresa dei nuovi ticket sulle prestazioni

diagnostiche perché mancano alle Regioni i finanziamenti sulla soppressione dei ticket che sono

pari a circa 500 milioni di euro, più i 600 milioni di euro sui generici.

Capite che questo è un ulteriore taglio di oltre un miliardo di euro, che si somma ai due miliardi di

euro del sociale: tre miliardi di euro sottratti al settore socio-sanitario significano meno diritti.

Ricordo che, invece, uno degli obiettivi fissato dall'Agenda Europa 2020 è quello di investire sulla

coesione sociale, e un elemento importante di quest'ultima, indubbiamente, sono le politiche sociali

e assistenziali, che creano uguaglianza. Voglio sottolineare solo per un secondo la pericolosità

dell'annuncio, uno dei tanti annunci di questo Governo, della modifica dell'articolo 118 della

Costituzione, articolo modificato, lo voglio ricordare, con il nuovo Titolo V della Costituzione,

confermato con il referendum da parte di tutti i cittadini, come sappiamo, dopo l'approvazione

avvenuta alle Camere.

Il Governo annuncia che vuole cambiare il quarto comma dell'articolo 118 della Costituzione, che

riguarda il principio di sussidiarietà. Il Governo intende, sostanzialmente, rovesciare la logica

prevista oggi dalla Costituzione, cioè che le politiche pubbliche debbano vedere pubblico e privato

interessati anche alla gestione dei servizi, ma, ovviamente, sotto la guida pubblica. Certo, le

politiche pubbliche, con il quarto comma prefigurato da questo provvedimento, spariscono, perché

il pubblico entrerà in campo solo laddove il privato non troverà la convenienza e l'utilità di

intervenire. Questo è coerente con i diffusi annunci di introduzione dei voucher, dalla scuola

all'assistenza, alla sanità. Insomma, si prefigura una nuova stagione in cui la Repubblica italiana

sarà fondata sui voucher, alla faccia dei diritti di uguaglianza sanciti dalla Costituzione (Applausi

dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, un collega del Partito Democratico prima

giustamente richiamava la nostra attenzione sull'assenza, così clamorosa, del Ministro

dell'economia e delle finanze in un dibattito che dovrebbe riguardare l'intero Paese, oltre che questo

Parlamento. Credo che vi sia una spiegazione: basta, ovviamente, riprendere i giornali di ieri o di

questa mattina e si ha il perché dell'assenza del Ministro dell'economia e delle finanze. Basta

leggere, per esempio, un giornale, che mi pare che si chiami la Padania, dove viene detto (parole

citate tra virgolette, riferite al segretario del partito della Lega Nord): «Berlusconi ha fatto fare a

Tremonti e Maroni una figura da cioccolatai. Ecco perché è bene che i cioccolatai stiano alla larga

dal Parlamento». Spiegata, quindi, l'assenza del Ministro dell'economia e delle finanze. D'altra

parte, sempre la Padania ieri titolava: «Berlusconi si inginocchia a Parigi». Questa è la fotografia.

Avete fatto bene, cari amici della Lega Nord, a fotografare così la situazione, perché voi, presidente

Giorgetti, fate parte e siete forza trainante di un Governo e di una maggioranza che si inginocchiano

ai leader di altri Paesi, anziché fare politica economica, politica industriale e politica sociale per il

nostro Paese.

Poi si afferma, come abbiamo sentito dire da un altro collega della Lega Nord, che, se avessimo

ascoltato quel partito a fronte di emendamenti che aveva presentato a proposito della legge

sull'OPA, probabilmente non saremmo in queste condizioni. Intanto, lo dica ai suoi cugini, cioè ai

suoi parenti stretti che sono nella maggioranza con lui. Tradotto, lezioni di nazionalismo da loro

non intendiamo prenderle, anche perché noi siamo per una convinta politica europea da sempre; non

da oggi e, soprattutto, non soltanto quando ci conviene, come invece fate voi, salvo poi sparare

bordate ad alzo zero proprio contro l'Europa. Così come non accettiamo, ovviamente, dal presidente

della provincia di Biella, il collega Simonetti, visto che sono piemontese anch'io, lezioni di

europeismo, soprattutto laddove si invocano conti a posto e poi - lui lo sa, mi spiace che sia assente

- non si riescono a quadrare i bilanci della propria provincia, grazie ai tagli che il suo Ministro

dell'economia e delle finanze ha fatto proprio nei confronti degli enti e delle autonomie locali.

A proposito di conti pubblici, ho sentito ripetere la litania che, grazie a questo Governo e a questa

maggioranza, i conti pubblici italiani sono in ordine. Vi invito a leggere, ma sicuramente lo avrete

fatto, un articolo su La Stampa, di Torino, a firma di Bill Emmott che è stato fino a un paio di anni

fa direttore di un noto giornale che si chiama Co...(dai banchi del gruppo Popolo della Libertà si

leva una voce: Comunist!)... ecco, perfetto, lo volevo lasciar dire a voi. Non è Comunist, ma The

Economist! Quindi, il fatto che vi sia una qualche assonanza - ci siete cascati, ci siete cascati - con il

richiamo ad un antico partito evidentemente vi mette subito in fibrillazione. Sta di fatto che Bill

Emmott ha scritto delle cose esattamente diverse, credo che abbia una qualche competenza visto

che ha diretto per tanti anni un giornale economico del livello di quello che ho appena citato.

Veniamo al Documento di economia e finanza e al Piano nazionale di riforma. Avrete letto

sicuramente tanti commenti anche voi nei giorni scorsi. È una manovra senza coraggio, lo ha scritto

sul quotidiano Il Sole 24 Ore Roberto Perotti, è una cornice del nulla, è una litania, anzi, una

giaculatoria. Allora, replico al collega del gruppo Popolo della Libertà, Cazzola, che diceva prima

di me che un Documento come quello di economia e finanza dovrebbe essere circostanziato,

dovrebbe essere contenuto nelle parole, avere poche idee, ma chiare. Esattamente il contrario di

quello che stiamo esaminando. Di parole ve ne sono tante, pagine su pagine, centinaia di pagine,

idee poche e quelle poche, sicuramente, non sono precise. Ecco, questa è la certificazione, se per

caso ve ne fosse bisogno, del fallimento delle politiche economiche e di sviluppo di questo Paese.

Ieri, nella replica in Commissione bilancio il sottosegretario Casero ricordava che, fino a qualche

tempo, fa l'attenzione maggiore da parte della Commissione europea, ma anche dei singoli Paesi,

era rivolta più verso il rapporto tra deficit e disavanzo rispetto al prodotto interno lordo, mentre

negli ultimi tempi l'attenzione maggiore è rivolta invece al debito. Peccato - sottosegretario Casero,

non si faccia distrarre - che non sia così, gliel'ho detto ieri e glielo ripeto anche oggi, perché il

Trattato di Maastricht stabiliva che il rapporto tra deficit e PIL non superasse il 3 per cento, oggi,

invece, con i nuovi accordi e con il meccanismo europeo di stabilità, viene stabilito che di qui al

2014 si raggiunga il pareggio di bilancio, cioè non vi siano più disavanzi annuali. Poi, però, ha

aggiunto anche un'altra cosa - lei lo sa bene sottosegretario, lo ricordi anche al suo Ministro che

forse spesso e volentieri se ne dimentica - riguardo al rapporto tra debito e PIL.

Ancora, un collega della Lega Nord ricordava, tra le righe, che siamo stati, attenzione, più bravi

della Germania perché la Germania ci ha superati in negativo, essendo il secondo o terzo Paese nel

mondo, il primo in Europa, per la cifra assoluta raggiunta nel debito pubblico. Si è dimenticato,

però, di dire che il rapporto tra il debito pubblico tedesco e il prodotto interno lordo tedesco è

dell'80 per cento, mentre il rapporto tra debito pubblico italiano e prodotto interno lordo italiano è

del 120 per cento! Quindi, quando dite le cose, ditele tutte, non solo una parte perché questa è

disonestà intellettuale.

Seconda considerazione. Cifra assoluta. Bene, il Ministro Tremonti ci ha sempre raccontato la

favoletta. È chiaro che il rapporto tra debito e prodotto interno lordo è aumentato in proporzione,

perché è diminuito il PIL, causa la crisi internazionale. Vero. Peccato, però, che sarebbe ancora

meglio aggiungere, onestà intellettuale vorrebbe che si aggiungesse anche che questo potrebbe

andare bene se la cifra assoluta del debito fosse rimasta ferma; scendendo il PIL il rapporto

aumentava.

Ma non è così, perché in tre anni, signori della Lega Nord e del Popolo della Libertà, il debito

pubblico è aumentato di oltre 240 miliardi e in una situazione assolutamente favorevole, almeno dal

punto di vista del costo del denaro e del tasso di interesse, mai così basso. Quindi, non si può

addebitare l'aumento del debito al costo del servizio del debito, come viene comunemente chiamato.

Noi siamo in un nuovo contesto, peccato però che il nuovo Programma nazionale di riforma che

viene presentato al nostro esame sia esattamente la fotocopia di quello che non aveva raggiunto

l'Aula, ma semplicemente si era attestato in Commissione, e che era stato presentato nel mese di

novembre e discusso nel mese di dicembre.

Ebbene, cosa dicono invece gli aggiornamenti di quel Piano nazionale di riforma o meglio di quella

bozza di Piano nazionale di riforma? In primo luogo, gli obiettivi che il Governo ci propone con il

piano nazionale 2011, se raggiunti, metteranno l'Italia all'ultimo posto in quasi tutti gli ambiti della

strategia Europa 2020. Allora andiamo a esaminarli, visto che vi siete lavati davvero la bocca

dicendo: stiamo andando bene, va tutto bene, Madama la Marchesa!

Il primo obiettivo riguarda il tasso di occupazione. L'obiettivo comunitario stabilisce il 75 per cento.

Sapete qual è l'obiettivo per l'Italia? Il 67,69 per cento, siamo i penultimi, dopo di noi c'è solo

Malta. Il secondo obiettivo riguarda la spesa in ricerca e sviluppo. L'Unione europea punta al 3 per

cento. Noi all'1,53 per cento e, ancora una volta, dopo di noi solo Malta e Cipro. Per quanto

riguarda l'energia, gli obiettivi sono tre (i famosi 20-20-20). Nel primo caso, la riduzione delle

emissioni, ci attestiamo per ridurre le emissioni al 13 per cento, nel secondo caso di portare le

rinnovabili al 17 per cento e, quindi, ben al di sotto di quanto prescrive l'Europa.

Vi è un'ultima considerazione che è quella che fa tremare davvero il sangue nelle vene: se noi

vogliamo essere competitivi ci sono solo due fronti utili per raggiungere quell'obiettivo: la

formazione e l'istruzione e la ricerca e l'innovazione. Non c'è altro nel nostro Paese, visto che non

abbiamo materie prime. Sull'istruzione l'Europa vuole ridurre la percentuale di quanti lasciano

prematuramente la scuola al 10 per cento. L'Italia ha l'obiettivo molto più modesto di tutti, tranne

ancora una volta Malta, e si attesta al 15,16 per cento. Se poi dovessimo parlare dei laureati,

l'Europa mira al 40 per cento e l'Italia ha l'obiettivo più basso di tutti.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Sulla ricerca e sull'innovazione siamo gli ultimi in Europa. Allora,

dove vogliamo andare? Cosa ci proponete con questo Documento di economia e finanza e con

questo Programma nazionale di riforme, che non esistono? È il fallimento del Paese, la crescita non

ci sarà e i saldi di finanza non saranno rispettati. Questo è quello che ci consegnerete e ne siete

talmente convinti anche voi e il vostro Ministro dell'economia e delle finanze, che pensate bene di

aggiustare i conti non in questa legislatura, ma, guarda caso, nel 2013-2014. Cioè significa: chi

verrà ci penserà (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calgaro. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

MARCO CALGARO. Signor Presidente, nel 2010 l'indebitamento netto delle amministrazioni

pubbliche è sceso al 4,6 per cento del PIL, grazie a una forte contrazione della spesa in conto

capitale e ad un attento controllo della spesa corrente. Per il 2011-2012 il Documento conferma

recenti stime e prevede che nel 2012 l'indebitamento netto torni sotto il 3 per cento del PIL. Inoltre,

nel 2013-2014 si profila un deciso aggiustamento, con la finalità di arrivare al pareggio di bilancio

nel 2014.

Le misure correttive necessarie che sono previste in 2,3 punti percentuali del PIL, saranno tutte

concentrate sulla spesa. Anche il rapporto tra debito pubblico e PIL si ridurrebbe a partire dal 2012

e raggiungerebbe il 112,8 per cento nel 2014. Questo è un programma molto ambizioso e implica

una contrazione della spesa considerevole e prolungata nel tempo. Terrei a sottolineare che lo

sforzo richiesto per arrivare a ottenere questi risultati è di gran lunga superiore a quello compiuto

per rispettare i parametri di Maastricht ed entrare nella moneta unica europea. Allora la correzione

dei conti era poco sopra i quattro punti di PIL in quattro anni, oggi il traguardo è il miramento di 5,3

punti di PIL in quattro anni. Vorrei anche far notare che il contesto in cui viene richiesto questo

sforzo è quello di un Europa e di un'Italia investite dalle conseguenze delle crisi finanziaria globale,

con un livello di pressione fiscale, pari al 42,6 per cento nel 2010, che è uno dei più elevati in

Europa, con una elevatissima evasione fiscale, il che imporrà di concentrare il risanamento agendo

quasi esclusivamente sulla spesa primaria, con uno sforzo straordinario.

L'impegno alla riduzione della spesa pubblica che è assunto nel DEF è un impegno dichiarato ma,

come da più parti è stato fatto ripetutamente notare, latita ad oggi una precisa definizione degli

interventi. Bisognerebbe essere in grado di ottenere consistenti recuperi di efficienza, definire con

attenzione le priorità nell'allocazione delle risorse, intervenire in modo selettivo e non con tagli

lineari sui diversi capitoli di spesa. Il rischio molto elevato, in assenza di queste scelte precise, è

quello che i tagli di spesa finiscano per essere sostanzialmente fittizi e caratterizzati dal mero rinvio

di spese necessarie e da forme occulte di debito pubblico, senza considerare che al taglio della spesa

è previsto contribuire in modo rilevante il taglio massiccio agli investimenti pubblici, 27 miliardi

nel 2012 rispetto ai 38 miliardi nel 2009. Questa diminuzione non potrà non avere effetti di lungo

periodo sulla infrastrutturazione del Paese, un essenziale fattore di competitività. Per brevità di

tempo non mi soffermo ulteriormente sull'analisi ma è chiaro che il condivisibile e titanico sforzo di

tenere in ordine i conti pubblici in tanto manca di chiarezza e precisione sulla definizione dei tagli e,

qualora questi avessero le caratteristiche di linearità cui ci abituati il ministro Tremonti, finirebbero

per sortire effetti depressivi sull'economia, impedendo la ripresa della crescita da una parte e dei

consumi interni dall'altra, mantenendoci nello stato di stagnazione in cui siamo precipitati da tempo.

Il PNR evidenzia un eccessivo ottimismo circa l'impatto delle misure già assunte che al momento

non sembrano abbiano raggiunto i risultati attesi e un estrema genericità e vaghezza nel definire i

reali contenuti delle ulteriori iniziative che non assumono quasi mai i caratteri immediatamente

operativi che sono previsti dalle nuove procedure europee. Probabilmente proprio da questo deriva

il limitato impatto sulla crescita, pari allo 0,4 per cento che viene attribuito alle misure prospettate

Un tale impatto sarebbe con tutta evidenza inadeguato a garantire la ripresa dell'occupazione e un

indispensabile, per quanto graduale, riassorbimento del debito.

La prima priorità indicata dal Governo è la riforma fiscale, che dovrebbe privilegiare lavoro e

imprese, stimolando consumi e investimenti, con un graduale e parziale spostamento della pressione

fiscale dai redditi personali e di imprese alle cose e ai beni, rivedendo e riformando la tassazione sui

redditi di natura finanziaria e tutelando il risparmio previdenziale. Di questa riforma fiscale al

momento non vi è traccia, anzi, a fronte di una pressione fiscale tra le più alte in Europa è elevato il

rischio che l'introduzione del federalismo determini un aumento della pressione fiscale stessa. Avete

promesso per anni un fisco a misura di famiglia, essenziale per ridare fiato a questa cellula

fondamentale della società, che negli ultimi anni è stata la vera camera di compensazione degli

squilibri evidenziatisi a livello occupazionale, giovanile, reddituale, di invecchiamento della

popolazione e invece nulla, continuate a parlare dei problemi demografici del Paese, della necessità

di far riprendere consumi interni, del favor familiae, ma nessun provvedimento concreto ha visto la

luce negli ultimi anni.

Un'altra priorità da voi indicata è l'attuazione del federalismo e anche su questo punto da voi

ritenuto fondamentale per il futuro del Paese non potendo dilungarmi, mi limito ad evidenziare che i

meccanismi individuati per il coordinamento delle politiche di bilancio sono assolutamente

inadeguati a realizzare l'autonomia di entrata e di spesa e sono destinati a riaprire ogni anno, al

momento del coordinamento dinamico della finanza pubblica mediante il varo della legge di

stabilità, una contrattazione sul valore della spesa e sulle quote di compartecipazione. In questo

modo la responsabilizzazione degli amministratori regionali e locali, che dovrebbe rappresentare

l'aspetto qualificante della legge, rischia di essere completamente vanificato. In ogni caso, in

assenza della definizione di elementi essenziali come i sistemi perequativi e i fabbisogni, si può ben

dire che la riforma è lontana dall'essere delineata nei suoi effetti e al momento attuale l'unica

ricaduta prevedibile è quella di un aumento della pressione fiscale complessiva.

Anche la dotazione di infrastrutture e reti, declamata come priorità, è nei fatti frustrata sia

dall'eterna indecisione sulle priorità di intervento, sia dal fatto che le politiche di contenimento della

spesa per investimenti causano con tutta evidenza una sottodotazione delle risorse relative ai

programmi CIPE, e una importante caduta degli investimenti degli enti locali. In materia di welfare

è totalmente evidente come sia miope ed inefficace la prospettiva di limitarsi alla sola manutenzione

dei regimi previdenziali e sanitari. Il contenimento degli sprechi e la riqualificazione della spesa

mostreranno ben presto la corda rispetto alle inesorabili conseguenze dell'invecchiamento della

popolazione, e rendono indispensabile fin d'ora la prospettazione di nuove modalità di

finanziamento della sanità prima che si evidenzi una ulteriore emergenza assoluta nei conti pubblici.

È altrettanto evidente come la sempre più precaria condizione delle finanze comunali renderà ben

presto evidente l'emergenza sociale costituita dal disagio e dalla povertà. Anche in questo caso non

si vede traccia di un piano nazionale contro la povertà. Per quanto riguarda la ricerca, l'innovazione

e il capitale umano, siamo nuovamente di fronte alla declamazione della volontà di favorire

l'efficienza e il merito, ed alla pratica concreta dei tagli lineari, con ricadute evidenti e negative

sulla qualità della scuola primaria e secondaria, con il mancato finanziamento dei capitoli più

qualificanti della vostra riforma dell'università, e con una percentuale di PIL stanziato per la ricerca

e l'innovazione tra i più bassi dei Paesi occidentali. Infatti l'Italia stanzia a questo fine l'1,53 per

cento del PIL a fronte di un obiettivo UE del 3 per cento.

La politica verso i settori produttivi pare caratterizzata in questa fase unicamente dall'attenzione alle

nuove dinamiche contrattuali, e vorrei evidenziare come, stante l'attuale fase di ristrettezze

economiche e di necessaria contrazione della spesa, sia indispensabile e urgente da parte del

Governo compiere scelte settoriali chiare di investimento e di incentivazione, scelte a tutt'oggi

mancanti. Vorrei anche evidenziare come continui a latitare una proposta chiara di riforma degli

ammortizzatori sociali, indispensabile per porre mano all'enorme squilibrio attuale tra lavoratori

garantiti (anche eccessivamente) e lavoratori la cui vita è caratterizzata dall'assoluta precarietà di

lavoro e quindi di vita.

Garantire sicurezza nei periodi non lavorativi ai giovani è uno dei principali nodi da sciogliere se si

vuole immettere fiducia nella società, fiducia che è alla base anche della ripresa dei consumi e dello

sviluppo. Naturalmente non può mancare nel programma un accenno all'implementazione delle

politiche di concorrenza e di liberalizzazione, in particolare nel settore dei servizi e delle professioni

che certamente nel nostro Paese sono ancora caratterizzati da un eccesso di vincoli e da rendite di

posizione che si traducono in maggiori costi per cittadini e imprese. Ma anche qui, dopo tanto

parlare, non si passa mai ad una chiara e condivisa individuazione di provvedimenti precisi e di

servizi pubblici e aziende da liberalizzare e privatizzare. Senza mai dimenticare che ciò che

veramente manca in Italia, e non si vede all'orizzonte, è la capacità di valutazione e regolazione

efficace dei servizi di pubblica utilità prestati dal pubblico e dal privato.

Le politiche per il Mezzogiorno rappresentano giustamente la seconda priorità del DEF ed è ormai

chiaro a tutti noi come la questione meridionale sia una questione nazionale, che come tale richiede

una regia nazionale. Mi limito ad osservare come il problema principale in questo caso non sia

quello del reperimento di risorse, spesso non spese o impegnate malissimo. Le priorità per il

Mezzogiorno sono due: il ritorno alla legalità e alla fiducia nello Stato, e la capacità di avere bilanci

regionali credibili che consentano una valutazione in tempo reale dell'andamento della spesa e

dell'impiego delle risorse. In un campo come quello della sanità, che rappresenta circa l'80 per cento

medio del bilancio di una regione, entrambi questi assunti non sono veri. Il reale effettivo utilizzo

delle procedure sostitutive previste dall'articolo 120 della Costituzione è alla base dell'efficacia di

politiche che affrontino la questione meridionale con qualche speranza di soluzione.

Faccio solo un accenno alla riduzione dei costi della politica, per rilevare come uno dei punti più

rilevanti del vostro programma elettorale fosse l'abolizione delle province. Non solo non le avete

abolite, ma neanche siete riusciti a procedere ad un progetto d'accorpamento. Veniamo al

programma energetico, fino a ieri imperniato sul nucleare e oggi vuoto di ogni reale

determinazione, sia per le recenti dichiarazioni del Premier, sia per la totale assenza di una reale

incentivazione allo sviluppo di settori specifici delle rinnovabili. Anche la riforma del processo

civile è tra le priorità, e ne condividiamo la centralità, ma ad oggi le uniche misure realmente

perseguite sulla giustizia sono quelle a tutti fin troppo note. In conclusione, noi riconosciamo che il

programma di risanamento dell'economia previsto nel DEF è molto ambizioso e si pone obiettivi

all'altezza di quanto richiesto dall'agenda europea, ma dovendo basarsi essenzialmente sui tagli alla

spesa e - per quanto a noi noto oggi - essendo basato sui soliti tagli lineari, finirà per penalizzare

inevitabilmente la crescita e lo sviluppo e non ci farà uscire dall'attuale stato di stagnazione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARCO CALGARO. Anche il PNR - concludo - individua effettivamente i principali nodi di

natura strutturale del ritardo della nostra economia, ma si caratterizza ad oggi per essere un vero e

proprio libro dei sogni e non un programma realizzabile entro la fine della legislatura.

Insomma, il vostro DEF stenta a delineare con precisione le modalità con cui conciliare un rapido

riequilibrio dei conti pubblici con azioni volte a rilanciare il nostro sistema produttivo, far ripartire

la crescita e sostenere i consumi interni. Per questo, annunciamo il nostro voto contrario (Applausi

dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bitonci. Ne ha facoltà.

MASSIMO BITONCI. Signor Presidente, l'importanza del Documento di economia e finanza che,

oggi, qui, discutiamo deriva dal fatto di essere, in virtù della recente modifica della legge di

contabilità e finanza pubblica, lo strumento cardine, all'interno del semestre europeo, della

programmazione economica e finanziaria del Paese. Tematiche queste ribadite con forza anche dal

Consiglio europeo del 24 e del 25 marzo scorso il quale ha fissato, tra le sue priorità, un più stretto

coordinamento delle politiche economiche dei Paesi membri al fine di migliorare la competitività, la

crescita e la convergenza tra Stati membri così da recepire, nella legislazione nazionale, le regole

del bilancio dell'Unione europea fissate dal Patto di stabilità e di crescita. I risultati emersi

dall'analisi del Documento, articolato in tre distinte sezioni (Programma di stabilità, Analisi e

tendenze della finanza pubblica, Programma nazionale di riforma), sono promettenti dal momento

che il deficit, coerente con le stime di settembre, è risultato inferiore all'obiettivo precedente e la

spesa primaria corrente è in diminuzione. Non solo, ma il rientro del disavanzo al di sotto del 3 per

cento, previsto per il 2012, e l'obiettivo di pareggio del bilancio per il 2014, sono impegni

fondamentali in grado di determinare un abbassamento del peso del debito consentendo di

ottemperare alle regole europee. In questi termini, il contenimento della spesa, fondato su analisi

precise e dettagliate, rappresenta un passaggio importante, anzi obbligatorio, per il nostro Paese, in

quanto permetterà di evidenziare i punti, d'ombra delle amministrazioni che disperdono i soldi

pubblici.

In un Paese moderno e federale, dove le risorse devono essere massimizzate per garantire un

miglior servizio al cittadino, lo sperpero di denaro pubblico diventa più difficile da attuare. In una

recente analisi svolta dal Centro Studi Sintesi sui comuni «spreconi» e la capacità fiscale, è emerso

che sono al sud i comuni con il bilancio in rosso. Abbiamo, per esempio, comuni come Napoli,

Catania, Palermo, Cosenza, Oristano e Salerno che hanno un imponibile IRPEF su media nazionale

molto basso; Napoli, ad esempio, solo il 64 per cento, con, di contro, una spesa corrente pro capite

su media nazionale superiore al 129 per cento. Così anche Catania con il 64 per cento come

imponibile IRPEF su media nazionale e il 116 per cento come spesa corrente su media nazionale.

Questo ricalca un po' anche il deficit pubblico, soprattutto per quanto riguarda la sanità. Infatti, le

regioni che hanno provocato un grande deficit sanitario negli scorsi anni sono sempre le stesse, dal

2007 ad oggi, ossia la Sicilia, il Lazio, la Calabria e la Campania. Così come vi è anche lo spreco

per i fondi FAS europei; sono state messe a disposizione, dal 2007 al 2013, risorse comunitarie per

ben 44 miliardi e di questi ne sono stati spesi solamente 3,6. Non è vero, quindi, che i soldi non ci

sono, cari colleghi del sud, ma è vero che non sapete amministrare, non sapete dare servizi ai

cittadini ed è giunta l'ora di pagare in proprio. Sapete che con il federalismo fiscale, con la legge

delega n. 42 del 2009, gli amministratori pagheranno in proprio per questi disavanzi creati nei

comuni, nelle province e nelle regioni.

È, altresì, evidente, tuttavia, come la politica di contenimento della spesa e di abbattimento del

debito, creata da decenni di mala amministrazione, deve essere accompagnata, nel suo iter, anche da

una lungimirante ed attenta politica di crescita tale da aumentare la competitività dell'impresa,

l'occupazione e la produttività. Non a caso crediamo che l'implementazione dei piani strategici

industriali e la revisione della pressione fiscale rappresentino, in questo senso, dei successivi step

lungo i quali dovrà muoversi il cammino del nostro Governo per i futuri mesi.

La revisione della pressione fiscale passa inderogabilmente dal contrasto all'evasione fiscale, in

quanto finalizzata non solo a debellare per sempre lo squilibrio esistente tra chi paga e chi evade,

ma anche al contempo ad aprire la possibilità di ridurre le aliquote fiscali. Ciò evidenzia per

l'ennesima volta un grande e innovativo cambiamento che sta riguardando il nostro Paese, dalla

governance europea alla riforma federalista, e che denota un avvicinamento al cittadino,

contemporaneamente ad una partecipazione alla formulazione delle strategie della politica europea

che non ha precedenti. E se è vero, come è vero, che una vera Unione si vede soprattutto nei

momenti di difficoltà, il desiderio che accompagna questo nostro voto favorevole al Documento di

economia e finanza è che la compartecipazione alle politiche e alle strategie comunitarie che

Bruxelles ci ha chiesto e alle quali noi abbiamo risposto prontamente non si limiti alle politiche di

bilancio, piani di rientro o sistemi di controllo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord

Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe (PD). Ne ha facoltà, per due minuti.

MARIO PEPE (PD). Due minuti: signor Presidente, la ringrazio per la concessione benevola.

PRESIDENTE. Non sono io a concedere, sono i gruppi parlamentari, non c'entro.

MARIO PEPE (PD). Signor Presidente, era solo una considerazione sulla brevità, ma sarò sintetico.

Signor Presidente, lei dice che stiamo discutendo il Documento di economia e finanza (DEF); io

ritengo che sia ancora un acronimo semantico, perché se vediamo la dualità che compone questo

Documento, il Programma nazionale di riforma e il Programma di stabilità, vediamo dialetticamente

una connessione e non poteva essere diversamente. Tuttavia, signor Presidente, voglio dire con

molta franchezza che io ho letto ed ho approfondito il tema e ritengo che siamo andati oltre le

previsioni che avevamo recuperato nei cosiddetti Documenti di programmazione economica e

finanziaria. Non un passo avanti, un passo indietro. Pertanto io adopero questa definizione, è un

adattamento continuo di consolidamenti finanziari il DEF, per cui noi dovremmo verificarlo

soprattutto nel decreto di sviluppo, che sarà l'attuazione di questo documento programmatico.

Vorrei affidare a lei e al Governo due argomenti, affrontare seriamente il tema del regionalismo,

superando il mito che il Mezzogiorno dilapida le risorse in maniera capricciosa e irrazionalistica

(c'è un Mezzogiorno diverso, che vuole lavorare), potenziare quindi il regionalismo, recuperando

anche le dinamiche del Patto di stabilità e affrontando seriamente un progetto chiaro, finalizzato a

rilanciare il Mezzogiorno d'Italia.

Ritengo di aver utilizzato in maniera intelligente i due minuti, per cui dirò il mio «no» profondo al

DEF del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà, per sei minuti.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, rimando alle considerazioni di carattere generale che ha

fatto l'onorevole Baretta nel suo intervento per concentrarmi, considerati anche i limiti di tempo, su

un aspetto specifico che riguarda il fisco e la riforma fiscale. Il Ministro dell'economia Tremonti

parla ormai da tempo di una grande riforma fiscale e il problema io credo che sia proprio il tempo, il

problema è costituito dai tempi dell'attuazione della grande riforma fiscale. Perché faccio questa

sottolineatura, signor Presidente e onorevoli colleghi? Faccio questa sottolineatura perché a mio

avviso il tempo non è una variabile indipendente, l'attesa non è neutra.

Faccio questa affermazione e voglio suffragarla da alcuni flash molto brevi. Il primo è questo: in

una recente inchiesta che ha fatto Il Sole 24ore l'11 marzo scorso noi vediamo che il 92,6 per cento

del gettito IRPEF proviene da redditi da lavoro dipendente e redditi da pensione. Non solo: se

vediamo le entrate fiscali nel 2010 sempre relative all'IRPEF, così come ci viene detto dal bollettino

delle entrate del dipartimento delle finanze, queste sono aumentate del 4,4 per cento essenzialmente

a causa degli effetti positivi relativi ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego e ai relativi arretrati

corrisposti nel 2009.

Qual è il problema? Il problema è che, così come recita l'articolo 53 della Costituzione, il nostro

sistema tributario dovrebbe essere informato a criteri di progressività. Uso il condizionale, perché

da questi dati possiamo renderci conto come il concetto di progressività riguardi, ormai, solo una

parte dei contribuenti e non la totalità dei contribuenti stessi.

La seconda considerazione riguarda l'evasione fiscale: anche in questo caso, procedo per flash.

Ormai, sia la Banca d'Italia che l'ISTAT ci dicono, da tempo, che il reddito che sfugge

all'imposizione fiscale si aggira intorno ai 300-320 miliardi di euro. Una quantità enorme di denaro

che toglie alle casse dello Stato, annualmente, circa 100 miliardi di euro. Per dare alcune cifre di

grandezza dico soltanto che l'ultima manovra finanziaria approvata dal Parlamento - quella

approvata nel luglio scorso - cifrava 25 miliardi di euro e per di più era spalmata su due anni. Qui

stiamo parlando di minori entrate per 100 miliardi di euro.

Non solo. Nonostante gli sforzi dell'Agenzia delle entrate e della guardia di finanza, che hanno

prodotto un lavoro che ha consentito di recuperare circa 10 miliardi di euro alle casse dello Stato,

non un euro di questi 10 miliardi è andato per la riduzione delle imposte, ma tutto è andato per la

copertura di spese correnti.

Ultimo flash e mi avvio a concludere. L'imposizione fiscale sulle imprese, nel nostro Paese, supera

ormai ampiamente il 50 per cento, attestandosi intorno al 52-53 per cento.

Perché ho fatto questi tre esempi e ho voluto lanciare questi tre flash? Perché, a mio avviso, da

queste brevissime considerazioni che non possiamo sviluppare a causa del tempo limitato della

discussione, emergono due elementi, sui quali credo dovremmo riflettere tutti assieme: vi è

sicuramente un tema di equità e vi è sicuramente un eccessivo carico fiscale sul lavoro e sulle

imprese.

Pertanto, vorrei concludere questo mio brevissimo intervento con una semplice considerazione.

Signor Presidente, in genere, il tema dell'equità dovrebbe informare ogni atto del Governo e del

Parlamento. Ma io dico di più: in momenti di crisi come l'attuale, il tema dell'equità dovrebbe essere

il minimo comune denominatore di ogni provvedimento del Governo e del Parlamento. Inoltre, il

fisco, certamente non da solo, può rappresentare una leva straordinaria per lo sviluppo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ALBERTO FLUVI. Pertanto, la proposta che abbiamo avanzato e che avanzo al Governo ed al

Parlamento - e concludo, signor Presidente - è la seguente: siamo convinti che sia possibile, anche a

parità di gettito e, quindi, facendosi carico delle difficoltà di finanza pubblica, spostare il carico

fiscale dal lavoro alla rendita. È questa una delle proposte contenute nella risoluzione di minoranza

che voteremo più tardi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Buonfiglio, iscritto a parlare non è in Aula.

È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà, per otto minuti.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, il Partito Democratico ha salutato molto

favorevolmente le decisioni europee, il nuovo contesto che si è creato, l'integrazione politicafederale

e il superamento del mercato unico. Il Documento di economia e finanza è appunto questo.

Tenere insieme Programma di stabilità e Programma nazionale di riforma vuol dire, di fatto, tenere

insieme rigore e crescita. Vi è una consapevolezza che politiche di rigore e di bilanci pubblici in

ordine siano necessarie alla crescita.

Bene, allora, analizziamo la proposta che ha avanzato il Governo da questi due punti di vista: rigore

e crescita. Per quanto riguarda il rigore, le previsioni del Governo sono quelle di un azzeramento del

nostro deficit di bilancio nel 2014. Ricordo, soprattutto all'onorevole Fugatti che ha parlato di

questo, che noi abbiamo chiuso il 2010 con un deficit di bilancio del 4,6 per cento, cioè in questo

Paese si sono spesi oltre 70 miliardi in più di quelli che si incassano.

L'onorevole Fugatti ha detto che, se avessimo seguito i voleri della sinistra, avremmo operato in

deficit. Vorrei fargli notare che semplicemente lui ha raddoppiato il deficit perché, quando ha

iniziato a governare in questo Paese, il deficit era al 2,7 per cento del PIL, poi ha superato il 5 per

cento e ora è al 4,6 per cento (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

Ma c'è un'altra cosa: si prevede per il 2011 di chiudere con un deficit al 3,9 per cento, nel 2012 al

2,7 per cento e nel 2013 all'1,5 per cento del PIL. Quindi, dal 2012 al 2014 dovremmo azzerare un

deficit di 70 miliardi di euro, senza considerare il fatto che in questi mesi abbiamo fatto scelte che

hanno rinviato le spese, non le hanno tagliate: mi riferisco al turn over, agli scatti e via dicendo.

Nessuno ancora, signor Presidente, ha stimato gli effetti di questi rinvii. Registro che la pubblica

amministrazione deve, al sistema delle imprese, oltre 60 miliardi. La tecnica è quindi quella di

rinviare per far tornare i conti, ma poi queste spese torneranno e quindi azzerare entro il 2014

settanta miliardi di deficit ed in più recuperare quanto è stato rinviato, noi lo riteniamo

condivisibile, ma difficilmente praticabile se non si comincia subito.

Dov'è la furbata signor Presidente? La furbata è che nel Documento di economia e finanza si rinvia

tutto al 2013 e al 2014 perché ci saranno le elezioni. Questa è l'etica di questa maggioranza e di

questo Governo: non aver mai voluto affrontare seriamente i problemi.

I colleghi hanno fatto alcuni parallelismi con i nostri partner europei, con la Germania e con la

Francia, con riferimento alle difficoltà nei deficit di bilancio. Vorrei dire all'onorevole Simonetti:

vogliamo dirci, una volta per tutte, che i deficit di bilancio in aumento degli altri Paesi sono dovuti

ai salvataggi bancari che noi non abbiamo dovuto affrontare grazie ad una buona legge bancaria -

quella dell'onorevole Amato - e alla guida della Banca d'Italia che avete sempre criticato per

provincialismo? Il Ministro Tremonti si è sempre distinto in questo e, malgrado ciò, in tre anni di

vostro Governo registriamo 220 miliardi di debito pubblico in più e una decrescita, in due anni, di

oltre dieci punti senza poter prevedere sensibili risalite. Questo è per quanto riguarda il rigore.

Per quanto riguarda invece la crescita e il Programma nazionale di riforma, non so dove l'onorevole

Cazzola veda questo «afflato riformatore» di cui ha parlato, io vedo anche qui delle furbizie.

Signor Presidente, lei conosce meglio di me i tempi e i modi della legislazione e nel Documento di

economia e finanza ci si propone di modificare ben quattro articoli della Carta costituzionale. In

primo luogo, l'articolo 81, quello sulla contabilità e potremmo essere d'accordo anche se abbiamo

già una norma costituzionale, appunto l'articolo 81 (abbiamo già una norma che recepisce

automaticamente i Trattati europei), poi l'articolo 41, quello sulle imprese, l'articolo 97 sulla

pubblica amministrazione e l'articolo 118, a proposito della sussidiarietà, diciamo così, oltre alla

pletora di proposte di riforme costituzionali che sono state avanzate in questi giorni. Io le considero

francamente dei diversivi: un Governo al terzo anno di legislatura si propone di cambiare questi assi

portanti della Carta costituzionale.

Un Governo in queste condizioni di maggioranza si propone di fare una manovra sulla Carta

costituzionale di questa portata: ciò vuol dire parlare d'altro, perché non è vero che la nostra Carta

impedisce più concorrenza, più mercato e più semplificazione, e vuol dire non affrontare i problemi.

L'afflato riformatore di cui parlava l'onorevole Cazzola e che è scritto nelle carte, cosa determinerà

nella crescita? Dal 2011 al 2014 lo 0,4 per cento all'anno, quindi già voi dite che questo piano di

riforme non produrrà ricchezza e non produrrà crescita. Quali sono i limiti più grandi e più marcati?

La griglia di Europa 2020 prevede 8 target che ci dicono che per la ricerca e lo sviluppo dobbiamo

impegnare il 3 per cento del nostro prodotto; noi impegniamo l'1,5 per cento e non lo realizzeremo

mai.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO VANNUCCI. Concludo, signor Presidente. Nella stessa direzione va il target di

riduzione degli abbandoni scolastici: noi scriviamo che il nostro obiettivo è del 16 per cento, mentre

quello di Francia e Germania è del 10 per cento. Potrei parlare di infrastrutture: di fronte a necessità

dell'allegato di 220 miliardi di euro, noi ne destiniamo 8, o potrei dire, come ultima cosa, prima di

concludere, che l'ISTAT, che è stata audita, parla di un preoccupante aumento delle importazioni

derivante dalla riduzione della capacità di presidio del mercato interno da parte delle nostre

imprese: importiamo beni che potremmo produrre, perché non si fa politica industriale e perché per

lunghi mesi il Ministro è stato assente.

L'obiettivo, quindi, Presidente, non è raggiunto: non vi è rigore e non vi è crescita, perché non si è

mai visto nessuno onorare i debiti senza lavorare di più, senza crescere. È questa, ancora una volta,

un'occasione persa, perché manca il coraggio, perché siete bloccati, perché avete una maggioranza

che non è in grado di affrontare questi problemi ma, soprattutto, non siete in grado di dare un

obiettivo al Paese, uno scopo, una meta, un'ambizione. Dovete prenderne atto (Applausi dei deputati

del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà, per due minuti.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, nel corso del 2010 l'economia mondiale ha fatto

registrare un tasso di crescita del PIL del 4,8 per cento, grazie anche ad un incremento di 12 punti

percentuali del commercio mondiale, dopo il consistente calo del 2009.

I provvedimenti che il Governo assume devono tener conto della proiezione internazionale

dell'Italia, per tornare a crescere, per tornare ad essere un Paese competitivo e in questo mi sembra

strategico sottolineare il ruolo storicamente svolto dalle comunità italiane nel mondo sino ad oggi e

il possibile ruolo che, in prospettiva, esse potranno avere in un contesto globalizzato e competitivo,

dove altri Paesi - questo dobbiamo vederlo a fondo - vedono le proprie comunità come vere e

proprie teste di ponte per allargare la propria influenza e volgere a proprio vantaggio il libero

commercio. La Germania in questo insegna tante cose.

Credo che per aumentare la competitività del nostro Sistema Paese bisogna tenere in debito conto le

nostre comunità italiana all'estero: milioni di cittadini italiani e 60 milioni di origine italiana, dove

ritroviamo il portato della cultura italiana, che contribuisce al successo del made in Italy nel mondo.

Sappiamo bene che il successo del made in Italy, e quindi anche di una parte consistente della

nostra crescita economica, è legato alla capacità di valorizzare in termini di rete la ricchezza

costituita dalle nostre comunità all'estero e con il metabrand italiano nel mondo, quale incarnazione

dell'immagine del vivere italiano nella percezione dei cittadini stranieri.

È allora necessario riqualificare gli sforzi indirizzati alla formazione del Sistema Italia con le sue

caratteristiche culturali, linguistiche e imprenditive, ma per fare ciò è necessaria un'inversione di

tendenza, questo è il dato centrale che vorrei sottolineare rispetto ai tagli continui perpetrati ai danni

del Ministero degli affari esteri e delle politiche per gli italiani nel mondo.

Se le nostre imprese riescono ad intercettare nuove aree e segmenti dei mercati internazionali, da un

lato il merito è sicuramente della capacità imprenditoriale, dall'altro però, esse manifestano una

maggiore difficoltà di penetrazione commerciale rispetto ad altri Paesi europei, nostri competitor

più diretti.

Possono dunque essere propizie e fondamentali le nostre strutture all'estero, oltre che i singoli

cittadini italiani nel mondo, espressione di un'Italia più ampia, anche oltre i confini nazionali, che

manifesta grande attaccamento all'Italia, come dimostrano anche le iniziative per i festeggiamenti

del centocinquantesimo anniversario dell'Unità.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCO NARDUCCI. Mentre molti Paesi - concludo, signor Presidente - sia europei che di nuova

proiezione sullo scenario internazionale investono nella ridefinizione di nuove strategie di smart

power noi facciamo i conti con la chiusura delle nostre rappresentanze consolari all'estero e dei

nostri istituti di cultura.

Il tutto avviene mentre è iniziata una nuova battaglia per la presenza culturale nello scenario

globalizzato, una battaglia che il nostro Paese non può perdere. Sarebbe un grave peccato ed un

irreparabile errore di politica economica.

Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della

seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Partito

Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente

seguiti.

È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà per tre minuti.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, il documento oggi all'esame dell'Aula

evidenzia, se guardo agli stanziamenti sul dissesto idrogeologico, il livello di dissesto ideologico in

cui versa la maggioranza, nonostante una mozione approvata sostanzialmente all'unanimità più di

un anno fa da quest'Aula che impegnava il Governo ad un piano nazionale straordinario anche in

termini di investimenti per la messa in sicurezza del Paese.

Ad oggi vediamo che anche quell'esiguo miliardo di euro stanziato a questo fine nella legge

finanziaria per il 2010 è tuttora un fantasma nel bilancio del Ministero dell'ambiente, come lo stesso

Ministro ha dovuto recentemente ammettere, lamentandosi che, mentre ne aspettava l'effettiva

disponibilità in termini di competenza e di cassa, se lo è visto decurtare dal cosiddetto decreto

milleproroghe.

Questa prassi di un costante disattendere gli obblighi di legge e gli obblighi istituzionali che

persegue il Governo causa dei danni al nostro Paese. È un comportamento che riscontriamo anche

nella destinazione delle risorse costituite in quel fondo generato dai risparmi ottenuti con

l'allungamento dell'età pensionabile delle donne nella pubblica amministrazione che finora sono

stati devoluti a fini diversi da quelli previsti dalla legge.

In particolare, con una mozione a prima firma Marco Beltrandi, ma che ha trovato un sostegno

assolutamente bipartisan di molte colleghe di quest'Aula, chiediamo - e mi auguro che il Governo

voglia recepirla - che queste risorse siano effettivamente destinate ad azioni concrete di

conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa delle donne.

Questo modo di procedere, per cui si disattendono gli obblighi di legge e gli obblighi istituzionali, è

grave anche in termini di ricadute economiche e finanziarie. Ritorno, ad esempio, sul dissesto

idrogeologico e guardo agli oltre 100 miliardi che sono stati spesi in Italia negli ultimi decenni per

iniziative compiute in emergenza, quando ne basterebbero 45 per mettere in sicurezza il territorio.

È un modo di procedere davvero assurdo e grave, così come anche le previsioni sul cosiddetto

«piano casa»: più che il rilancio ne sanciscono, a mio avviso, il totale fallimento, proponendosi

come surrogato di un decreto che doveva essere adottato entro 60 giorni dall'intesa Stato-regioni

dell'aprile 2009 e che non ha mai visto la luce, con le leggi regionali che stanno arrivando a

scadenza ed il settore edilizio in sofferenza.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Anche su questo le proposte radicali di un grande piano per la

rottamazione edilizia post-bellica e priva di qualità sono state assolutamente disattese, per non

parlare del settore dell'energia, cruciale settore tuttora privo di una definizione di una strategia

energetica nazionale, con l'indecoroso comportamento sul nucleare e l'inadeguatezza che state

esprimendo anche sulle rinnovabili, che non sono solo quelle elettriche, ma anche quelle termiche e

con la scarsa considerazione del settore dell'efficienza energetica.

Noi, e concludo, prendiamo atto di una decurtazione di oltre il 60 per cento delle risorse destinate al

Ministero dell'ambiente, segno evidente di un'incapacità di fare delle politiche ambientali una leva

per il rilancio e la ripresa economica del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà per otto minuti.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, otto minuti per sintetizzare al Governo i punti che

fanno di questo Documento l'ennesima occasione mancata. Speravamo in Commissione - il

sottosegretario Casero ha seguito i lavori dall'inizio alla fine - che in qualche modo il Governo

potesse cambiare posizione su alcuni aspetti che hanno caratterizzato, a nostro avviso, un

Documento che è inaccettabile - per questo voteremo contro - e che rappresenta la sintesi del

fallimento politico di questa maggioranza.

Come abbiamo già fatto presente in Commissione, arriviamo ad approvare e ad allineare con questo

Documento i modelli di programmazione economico e finanziaria a quelli degli altri Paesi europei e

lo facciamo, riallineando i Documenti di programmazione economica ad aprile, così come avevamo

auspicato non più di un anno fa, quando questo stesso Governo, questo stesso Ministro

dell'economia e delle finanze, avevano costretto il Parlamento (anche in quell'occasione abbiamo

votato contro) a modificare le modalità con cui si definiscono le priorità economiche del Paese. Non

a caso un anno fa, nonostante il Partito Democratico avesse messo in guardia il Governo dalla

necessità di allineare i nostri Documenti di programmazione economico e finanziaria a quelli degli

altri Paesi, il Governo ci aveva detto che non era più necessario il nostro vecchio DPEF che

approvavamo a giugno, ma che era necessario definire questi modelli a partire dalle previsioni che

si fanno da settembre in poi. È passato un anno, torniamo indietro e ci ritroviamo il Ministro

dell'economia e delle finanze che smentisce se stesso.

Ma il tema di fondo non è quando si fa un Documento di programmazione economico e finanziaria

e quanto attendibile sia ma sono soprattutto le scelte politiche contenute in questo Documento che

non ci convincono; oltretutto, - lo facciamo presente ai colleghi di maggioranza alla vigilia di un

momento delicato come quello che stiamo vivendo - all'interno di questo Documento non ci sono

scelte, ancora una volta il Ministro Tremonti di fatto fa diventare scelte i vincoli di bilancio

comunitario. Tali vincoli ci sono, ci sono sempre stati, purtroppo ci sono dalla metà degli anni

Novanta, e per la condizione generale del nostro Paese ci saranno. Non è ammissibile che dentro

questo Documento si rivedano al ribasso le valutazioni del DFP approvato solo a settembre del

2010 e ricordo a noi tutti che, nel documento della Decisione di finanza pubblica approvato a

settembre 2010, il PIL era stimato all'1,3 per cento nel 2011, e in questo documento invece all'1,1

per cento, e nel DEF, che avrà il nostro voto contrario, ogni anno, come stimato dal Ministro

dell'economia e delle finanze, è sotto abbondantemente alla media comunitaria. Nel 2012 il PIL è

stimato all'1,3 per cento, nel 2013 all'1,5 per cento, nel 2014 all'1,6 per cento.

Ricordo a noi stessi che nello stesso periodo la Germania ha una media di crescita del 2,4 per cento

e i tendenziali che arrivano da tutti gli altri Paesi comunitari fanno sì che tutti siano almeno sopra il

2 per cento. Non riusciamo a capire con questo quadro come si faccia a parlare di ripresa economica

nel nostro Paese. Non riusciamo a capire come mai con questo contesto si possa ancora ignorare

quanto sia necessario anteporre la crescita ad una stabilità che certamente ha un valore ma non può

essere certamente l'unica ragione di vita della politica economica di un Paese.

Ricordo al Parlamento che la «crescita» era la parola d'ordine di chi oggi è maggioranza quando era

all'opposizione nel biennio della scorsa legislatura 2006-2008. In quel biennio la crescita ci fu ed è

stata la crescita più alta dell'ultimo decennio. Oggi stiamo combattendo con una crescita inferiore

all'1 per cento. Ogni volta che ci sono correzioni sono peggiorative e il risultato evidente di tutto

quello che abbiamo subito in questi tre anni è che c'è una schizofrenia tra il pensiero del Ministro

dell'economia, le azioni e i documenti di programmazione economica.

Così ci ritroviamo in Parlamento un Documento che, in realtà, ci annuncia che le esportazioni nel

periodo 2011-2013 caleranno, che aumenteranno le importazioni nette dello 0,5 per cento, che il

debito pubblico continuerà a peggiorare e - lo ribadisco e lo ricordo ai colleghi della Lega Nord

Padania, che forse vedono un altro film: vi consiglierei di non fare l'errore del Ministro Gelmini che

si ritrova in contesti ufficiali a difendere documenti che non conosce e temo che ciò stia accadendo

anche a molti colleghi di maggioranza - nel 2011, alla luce del Documento che stiamo approvando,

la previsione del rapporto debito-PIL è del 120 per cento e del 119,4 per cento nel 2013.

L'indebitamento netto, che solo nel Documento di settembre era stimato al 2,2 per cento, nel DEF

che vi accingete ad approvare è stimato al 2,7 per cento.

Se questo è il contesto nel quale ci troviamo capirete che l'effetto devastante dei tagli di cui al

decreto-legge n. 78 del 2010 (che è un po' quello che in qualche modo ci vincola tutti a rivedere le

stime anche in sede di attuazione del federalismo fiscale) fa salire l'aumento dei tagli

complessivamente di altri 8 miliardi di euro nel 2013. Questo lo dite nel Documento che state

sottoponendo al voto dell'Aula.

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, la prego di concludere.

FRANCESCO BOCCIA. In questo contesto non capiamo come - e mi avvio a concludere, signor

Presidente - si possa pensare che il nostro Paese possa reggere 66,4 miliardi di euro di manovra dal

2010 (l'anno che abbiamo alle spalle) fino al 2014 compreso, in un contesto nel quale - e concludo -

la spese in conto capitale (quella per gli investimenti) diminuisce di 8 miliardi e, più in generale, nel

Documento non c'è traccia di risposte reali sulle politiche che riguardano davvero il rilancio del

Paese. Dalla scuola all'università e all'industria nel nostro Documento noi chiediamo di recuperare i

progetti di politica industriale e di Industria 2015. Il fallimento che avete prodotto con l'energia

nucleare e con i vostri passi indietro sul nucleare (che noi abbiamo sempre contestato, ma per voi

era l'unica ragione di vita di politica industriale) confermano il fallimento su tutta linea della

politica industriale e della politica di sviluppo del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo

Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buonfiglio. Ne ha facoltà per cinque minuti.

ANTONIO BUONFIGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Documento in esame viene

posto all'attenzione delle Camere dopo che qualche giorno fa - anche in quel caso peraltro a

brevissima distanza dalla scadenza indicata dalla legge - la Camera ha approvato la modifica alla

legge di contabilità e finanza pubblica a seguito delle nuove regole di governance adottate

dall'Unione europea.

Siamo consapevoli che quel provvedimento si è reso necessario per consentire all'Italia di

armonizzare e allineare il sistema nazionale alle decisioni di bilancio nell'ambito del cosiddetto

semestre europeo. Per questo, riteniamo ancora una volta necessaria l'approvazione anche di questo

Documento, ma non possiamo però esimerci da alcune critiche nel merito sul Documento in esame.

Infatti, abbiamo esaminato i documenti economici approvati dal Consiglio dei ministri: il

Programma di stabilità, che delinea gli andamenti pluriennali della finanza pubblica italiana fino al

2014, e il Programma nazionale di riforma, nel quale sono indicate le politiche che il Governo

intende adottare per sostenere la crescita economica del Paese.

In particolare il Programma di stabilità indica il raggiungimento nel 2014 del pareggio sostanziale

del bilancio e di una prima consistente riduzione del rapporto debito-PIL. È del tutto evidente che

tali traguardi richiederanno da qui al 2014 una manovra aggiuntiva di riduzione del fabbisogno di

un ulteriore 2,5 per cento. Sono obiettivi condivisibili come tutti quelli che conducono al

risanamento, ma sono anche obiettivi ambiziosi che richiederanno sacrifici e azioni concrete da

intraprendere. Per comprenderci, si tratta di uno sforzo di gran lunga maggiore a quello compiuto

qualche anno fa per rientrare nei parametri di Maastricht e per poter partecipare dall'inizio alla

moneta unica europea.

La prima nostra osservazione è questa: il Governo sta rinviando di fatto nel tempo la correzione

richiesta dagli accordi in sede europea, sta scaricando sulla prossima legislatura gran parte

dell'onere del risanamento. L'Italia si è presentata a questo appuntamento in condizioni

particolarmente difficili, per uno stock di debito in rapporto al PIL pari al doppio di quanto previsto,

per una crescita reale di medio periodo che si colloca attorno all'1 per cento, per un divario tra il

nord e il sud del Paese che si è accentuato in misura assai rilevante.

Peraltro, alla diminuzione necessaria della spesa contribuirà in misura importante un taglio agli

investimenti pubblici che passeranno dai 38 miliardi di euro del 2009 ai 27 miliardi di euro nel

2012, con una naturale ripercussione sull'infrastrutturazione del Paese e dunque sulla sua

competitività, soprattutto nelle aree dove questo deficit ha già raggiunto dimensioni elevate.

Perciò rileviamo con preoccupazione come nel Programma nazionale di riforma non siano previsti

interventi destinati a dar luogo a una crescita più rigorosa dell'economia. Il Programma infatti

propone una serie di misure disorganiche tra loro, alcune sono semplici piani, altre titoli vuoti, altre

ancora sono già in vigore. Si proclama un rafforzamento della concorrenza ma non si indicano

strade concrete, efficaci ed incisive.

Il Programma è solo una generica enumerazione di misure senza priorità, particolarmente carente è

la trattazione del Mezzogiorno. Totalmente dimenticate le liberalizzazioni. Ci sono poi misure che

prevedono un iter lunghissimo di approvazione, per fare qualche esempio se è assolutamente

condivisibile la volontà di includere il processo civile, certo le misure adottate sino ad oggi per

deflazionare il contenzioso - come ad esempio l'introduzione della media conciliazione - più che

contrastare l'abuso del processo impongono ai cittadini una spesa superiore, una difesa non tecnica e

una risoluzione non giuridica delle controversie che al di fuori dei giudizi di legittimità

costituzionale a cui il provvedimento è oggi sottoposto non sembrano poter produrre gli effetti

sperati in termini di deflazione e soprattutto di certezza del diritto.

Da tali considerazioni non si discostano neppure gli strumenti conciliativi introdotti con il collegato

lavoro e, per restare in tale ambito, in tema di ammortizzatori sociali manca ancora quella riforma

che faccia uscire dalla logica emergenziale e assistenziale avuta in questi anni e che li renda

effettivamente conciliabili con politiche attive del lavoro, realizzando quel secondo tempo della

legge Biagi senza il quale si assiste solo a una istituzionalizzazione della precarietà.

In tema di scuola e università, al di là delle linee di indirizzo non sono sufficientemente definiti i

percorsi attuativi, le azioni chiare e concrete che permettono di raggiungere gli obiettivi proposti.

Sempre per tornare al tema accennato prima del divario tra il sud e il resto del Paese, al di là dei

titoli contenuti nel Programma mancano in concreto le misure rivolte alla rimodulazione e

all'accelerazione dei programmi comunitari e per di più le azioni concretamente intraprese nelle

more di approvazione di questo Programma vanno assolutamente in senso opposto. Potrei citare il

caso dell'agricoltura e della pesca dove mentre questo Governo da un lato scriveva questo

Programma di accentramento e rimodulazione, dall'altro alcuni dei suoi componenti davano sfogo a

una dispersione delle risorse in mille rivoli, perdendole e disperdendole in assurde politiche

territoriali e privando lo Stato della possibilità di intervenire strategicamente in futuro.

È necessario che il Governo tratti da subito con la Commissione europea la possibilità di accentrare

e riorientare in senso infrastrutturale le risorse che rimangono nella zona obiettivo convergenza,

così come andrebbe trattata concretamente, al di là dei titoli, la possibilità di una fiscalità

differenziata. Certo, per fare questo l'Italia deve ripartire dalla consapevolezza della sua posizione

di Paese fondatore dell'Unione europea, dovrebbe definitivamente abbandonare ogni ondivago

atteggiamento rispetto alle politiche di integrazione europea, senza vagheggiare minacce di

secessione. Più in generale, manca - e questo chiediamo al Governo - la certezza della

corrispondenza nella legge di stabilità delle risorse necessarie e sufficienti al raggiungimento dello

scopo.

Non si capisce, dati gli obiettivi generali, da dove si prenderanno i soldi necessari per attuarli. Per

questo, nei prossimi passaggi sarebbe auspicabile, come chiediamo dall'inizio, un maggior

coinvolgimento del Parlamento, a meno che non crediamo che debbano rimanere semplici enunciati

o titoli. Sarebbe, peraltro, un ottimo incipit per abbandonare la logica dei tagli lineari, decidendo

concretamente da dove prendere le risorse aggiuntive e quali settori premiare.

Cioè che colpisce di più, infatti, è la mancanza di un'analisi di relazione fra l'andamento del

fabbisogno pubblico e il reddito nazionale. Sappiamo che questa contraddizione, probabilmente,

non sarà rilevata dalle autorità europee e che, in qualunque momento si manifesti un allontanamento

dagli obiettivi proposti, tali autorità potranno indicare misure restrittive di finanza pubblica, ma

questo è il limite che continua a permanere nel nuovo patto europeo, che non assume come priorità

la questione della crescita né attribuisce carattere strategico e vincolante all'attuazione dell'Agenda

2009.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONIO BUONFIGLIO. Vogliamo, dunque, denunciare l'inerzia del Governo rispetto ai

problemi della crescita, al di là del continuo favoleggiare di una riforma fiscale, che ormai è solo

un'araba fenice. Perciò, assieme alle misure di stimolo della concorrenza e alla flessibilità del

mercato del lavoro contenute nel Programma nazionale di riforma, è necessario prevedere precise

misure a sostegno della crescita.

Con gli altri parlamentari del nuovo Polo abbiamo indicato tre proposte strategiche: una legge di

incentivazione fiscale degli investimenti produttivi, un'assegnazione straordinaria di risorse a

sostegno della ricerca pubblica e privata e una destinazione aggiuntiva di risorse alla spesa per

investimenti, falcidiata nel corso degli ultimi anni, con una particolare attenzione al capitolo delle

infrastrutture nel Mezzogiorno.

Tutto ciò anche attraverso il reperimento di risorse necessarie con un piano straordinario di vendita

e valorizzazione del patrimonio dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Ricordiamocelo,

soprattutto in tempi di federalismo demaniale (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà

per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Risoluzioni - Doc. LVII n. 4)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Beltrandi ed altri n. 6-00077,

Donadi ed altri n. 6-00078, Galletti, Della Vedova, Tabacci, Lo Monte, La Malfa ed altri n. 6-

00079, Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli n. 6-00080 e Franceschini ed altri n. 6-00081, che sono in

distribuzione (Vedi l'allegato A - Risoluzioni).

(Repliche dei relatori e del Governo - Doc. LVII n. 4)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, intervengo semplicemente

per ringraziare il sottosegretario Casero dell'attenzione che ha avuto, ma anche per denunciare la

completa assenza del Ministro Tremonti in un dibattito che meritava fosse presente, per dare dignità

a questa discussione, che ha un suo significato e un suo peso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Ciccanti. Prendo atto che

è assente.

Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Borghesi.

ANTONIO BORGHESI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, intervengo solo per ribadire,

anche dopo la discussione, che per il gruppo dell'Italia dei Valori siamo in presenza di un

Documento carente, insufficiente, poco chiaro, poco trasparente, misterioso e che non affronta

minimamente i temi della manovra da 40 miliardi di euro che si dovrà fare per raggiungere

effettivamente l'obiettivo del pareggio di bilancio.

Sarà una manovra del Ministro Tremonti, «lacrime e sangue». Noi ne proponiamo una, nella nostra

risoluzione, che prevede poche lacrime e un po' di sangue da parte di chi non ha mai pagato le tasse.

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza, onorevole Toccafondi, rinunzia alla

replica.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo. Peraltro, poiché a norma dell'articolo 118-bis,

comma 2, del Regolamento, verrà posta in votazione per prima la risoluzione accettata dal Governo,

invito il rappresentante del Governo a dichiarare anche quale risoluzione intenda accettare.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, svolgerò

una breve replica a un dibattito lungo che vi è stato ieri in Commissione e oggi in Aula, che, come

si è detto, richiederebbe forse più attenzione e più presenza, perché è un dibattito che riguarda il

futuro, anche economico, del Paese. È necessario, però, per iniziare la replica, partire da alcuni dati

di fatto, che sono stati presi in considerazione.

Per prima cosa si è detto che questo Documento di economia e finanza presenta dei dati reali, dei

dati veri sull'evoluzione del Paese, e che, mettendo molto l'attenzione sugli interventi di

salvaguardia dei conti, pone poca attenzione, anzi, non affronta assolutamente gli elementi legati

alla crescita.

Ritengo che questo non sia vero, ma che vi sia la necessità di valutare, innanzitutto, la situazione

complessiva che esiste a livello mondiale. Spesso facciamo dei riferimenti temporali a tre, cinque,

dieci anni fa, ma dobbiamo capire quello che sta avvenendo negli ultimi sei mesi. La situazione sta

complessivamente cambiando. Quando confrontiamo il nostro Paese con gli altri Paesi europei

dobbiamo cominciare a farlo valutando la situazione del nostro Paese in chiave mondiale,

considerando ciò che sta avvenendo tra l'Europa e gli altri grandi Paesi europei.

Visto che, sicuramente, due, tre o cinque anni fa non si poneva questo problema, nessuno ha posto

in evidenza che nel 2016, ossia fra cinque anni, la Cina supererà gli Stati Uniti come potenza

economica e diventerà la prima potenza economica mondiale. L'Europa non è né la Cina né gli Stati

Uniti e non partecipa a questa cosiddetta battaglia per diventare la prima potenza economica

mondiale. Si stanno affacciando altri colossi economici, come l'India e il Brasile. Dobbiamo

lavorare assolutamente in chiave europea per potere partecipare a questa competizione, altrimenti la

sconfitta sarà non solo dell'Italia, ma di tutti i Paesi europei. Questa è la vera partita della crescita

che giochiamo nei prossimi anni. Una partita da giocare, assolutamente, a livello europeo, cercando

di definire regole e modi di comportamento in Europa per fare sì che tutto il continente possa

competere e crescere con gli altri Paesi, pur partendo da una serie di posizioni di debolezza.

Sicuramente in questo momento i fondamentali di crescita per l'Europa non sono positivi nei

confronti degli altri colossi mondiali.

In Europa il primo tema che si pone è quello relativo alla difficoltà e alla necessità di ridurre il

debito. Sapete che vi sono Paesi europei in grande crisi, Paesi a noi vicini come la Grecia, il

Portogallo e la Spagna. Il fatto che il nostro Paese non appartenga a questa lista, pur avendo corso il

rischio, nel passato, di arrivare a situazioni di crisi finanziaria, è sicuramente un dato positivo che

secondo noi è stato poco evidenziato.

Le politiche di stabilizzazione del debito attuate negli anni precedenti che devono, assolutamente,

avere la priorità negli anni successivi, sono le politiche fondamentali che caratterizzano il

Documento di economia e finanza in esame, che ci vengono richieste in sede europea e che devono

essere portate avanti. Penso che su queste politiche debba esservi una condivisione generale e che la

politica economica sia la necessità prioritaria che il nostro Paese deve giocare nei prossimi mesi.

Nello stesso tempo, si deve cercare di attuare una politica europea che non solo focalizzi

l'attenzione sul debito pubblico, che sappiamo essere un elemento di difficoltà, ma anche su altri

elementi di crisi del debito. Ricordiamo le azioni svolte a proposito della necessità di considerare

l'indebitamento di famiglie e di banche; gli ultimi fatti hanno dimostrato quanto un default bancario

possa essere pericolosissimo per la situazione finanziaria complessiva dell'Europa. Abbiamo

sollevato anche il problema - e questo è un tema che dovrà essere discusso - dell'indebitamento che

può nascere dalla dismissione di centrali nucleari di primo livello. Secondo noi questi sono altri

temi che devono essere affrontati in sede europea per guardare complessivamente le potenzialità sul

debito di un Paese.

Esiste la necessità, però, in questo caso, anche di porre l'attenzione sui numeri che vengono presi in

considerazione. Ho sentito citare molti numeri che spesso pongono il nostro Paese in posizioni

molto più basse di quelle reali. Qualcuno è arrivato a dire che il nostro Paese è situato solo prima di

Malta e sotto tutti gli altri Paesi europei. Sui numeri dobbiamo porre molta attenzione. Penso che

dovremmo cercare di confrontarci con gli altri Paesi europei e di migliorare il rapporto con i

principali tra questi.

Ho anche detto che per anni abbiamo considerato il rapporto tra deficit e PIL come obiettivo

prioritario della politica economica e finanziaria del nostro Paese quando questo rapporto ci poneva

come ultimo Paese all'interno dell'Europa.

Ho anche detto che negli ultimi mesi non sento più parlare di rapporto deficit-PIL in un momento in

cui il rapporto ci pone al secondo posto in Europa e non più ultimi come nel passato. Ho detto poi

che l'uso dei numeri - e non che non si debba considerare il rapporto - spesso viene usato in modo

difforme per penalizzare posizioni di forza nel nostro Paese stesso. Il rapporto deficit-PIL, quando

la Francia e l'Inghilterra si aggirano su numeri intorno al 10 per cento e il nostro Paese alla metà,

non viene più considerato nel dibattito politico di questo Paese. Perché? Perché esiste, in una

situazione, come dicevo, complessa di rapporti con gli altri Paesi, la necessità di esaltare i punti di

forza del nostro Paese e di cercare di controbattere i punti di debolezza. Questo Documento di

riforme cerca di far questo e cerca quindi di partire dalla stabilità economica e la necessità di

garantire la stabilità finanziaria per intervenire su alcuni elementi di crisi. Sono stati individuati

alcuni aspetti e ho sentito che c'è stato un grande dibattito su questo. Vorrei fare solo alcune

considerazioni su questi elementi. Ritengo che siano i punti su cui si debba investire. Il Governo ha

parlato di necessità di attuare il processo federale, di intervento nella pubblica amministrazione, di

intervento di sviluppo nel sud per eliminare questo sviluppo duale, di utilizzo del turismo come

elemento di rilancio del nostro Paese stesso, di investire finalmente in ricerca e sviluppo e destinare

i fondi di ricerca e sviluppo, di attuare un piano infrastrutturale completo. Si è parlato poi di

incominciare ad attuare la riforma fiscale, sapendo che devono essere salvaguardati i numeri

complessivi - quindi non è un problema fiscale che non può essere affrontato a deficit - sapendo che

esiste la necessità di una forte semplificazione nei confronti delle imprese e dei cittadini che pagano

le tasse e sapendo che c'è la necessità di modificare il rapporto tra imposte dirette e indirette - il

Paese ha recepito questo messaggio - e sapendo che c'è la necessità di destinare a riduzioni fiscali

più specifiche, ad esempio alla ricerca e, sviluppo e innovazione o secondo il merito, fondi che in

questi giorni e in questi anni sono stati distribuiti a pioggia alle imprese e non hanno dato un grande

effetto benefico.

Ritengo che il Governo debba proseguire a lavorare e il Parlamento possa discutere su questi temi.

Questi sono i temi che ci potranno permettere di diminuire il gap che ci divide dai più forti Paesi

europei che sono la Francia, la Germania e non sono altri Paesi che sono stati citati in questo

dibattito. Ritengo che su questa strada il Governo possa e debba continuare, per i benefici di tutti

(Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il Governo dovrebbe dire qual è la risoluzione che accetta.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il

Governo, a fronte delle considerazioni svolte, accetta la risoluzione a prima firma Cicchitto n. 6-

00080.

PRESIDENTE. Ricordo che, in caso di approvazione della risoluzione accettata dal Governo,

risulteranno precluse le altre risoluzioni presentate.

(Dichiarazioni di voto - Doc. LVII, n. 4)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà, per sei minuti.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, non può non essere osservato preliminarmente che il

primo atto di politica economica successivo alla ridefinizione della governance dei sistemi di

governo europeo avviene nell'assenza del Governo.

Infatti, con tutto il rispetto per il sottosegretario Casero, il fatto che il Ministro dell'economia e delle

finanze, il Presidente del Consiglio e il Ministro dello sviluppo economico siano assenti dal

dibattito con cui l'Italia entra nella nuova impostazione di politica economica fa veramente una

certa impressione. Lo stesso tono con cui il sottosegretario risponde alle osservazioni degli

intervenuti dell'opposizione e della maggioranza è un tono dimesso.

Ora, si può cercare di affrontare in modo dimesso il problema della situazione economica del

Paese? Il Ministro sa, come noi, e avrebbe il dovere di dirlo con chiarezza al Parlamento, che le

nuove regole europee che sono state decise negli scorsi mesi hanno e avranno degli effetti

devastanti, allo stato delle cose, sull'economia italiana, onorevoli colleghi.

E infatti, se non vi sarà crescita, se il vincolo europeo sul debito pubblico che è stato introdotto e

che prevede che ogni anno i Paesi che hanno un debito superiore al 60 per cento riducano la

differenza di un ventesimo - il che vuol dire il 3 per cento l'anno per l'Italia, che ha il doppio del

debito pubblico in rapporto al PIL rispetto al limite previsto - non verrà attenuato da una forte

crescita del reddito nazionale, l'Italia sarà costretta ad una lunga, lunghissima serie di anni con

politiche economiche insopportabili, onorevoli colleghi. Allora, il tema di questa riunione è il

seguente: nella politica economica del Governo c'è qualcosa che consenta all'Italia e al Parlamento,

di sperare che la crescita riparta? La risposta, onorevoli colleghi, è nello stesso Documento, il

cosiddetto Programma nazionale di riforma, dove il Governo stima l'effetto che avranno le proprie

misure - sono 87 le misure elencate - in uno 0,4 per cento di incremento della capacità di crescita

l'anno, cioè nulla. L'Italia, onorevole Casero, signor Ministro dell'economia, signor Presidente del

Consiglio, onorevoli colleghi della maggioranza, affronta le nuove regole europee con le mani

alzate.

Diamo atto a Tremonti di aver fatto dei tentativi: egli ha fatto un primo tentativo di dare all'Europa

la responsabilità della crescita con le proposte, a suo tempo, del presidente della Camera dei Lord

sui bond europei, e la risposta, se volete miope dell'Europa, è stata «no», ciascun Paese deve fare lo

sforzo di crescita con le proprie forze, ci risponde l'Europa. Egli ha insistito, dicendo che nel calcolo

del debito bisogna considerare non solo il debito pubblico, ma anche il debito privato, che è una

ragionevole considerazione, ne diamo atto al ministro Tremonti: la risposta dell'Europa è stata «no»,

l'unico parametro è il debito pubblico che deve essere ridotto di un ventesimo ogni anno.

Quindi, i tentativi ci sono stati ma i risultati sono zero, ma domandatevi, signori della maggioranza,

se questo non è anche parte della mancanza di credito internazionale di cui gode questo Governo e

di cui ci ha dato prova l'altro giorno un esperto americano, Luttwak, parlando in una trasmissione

televisiva e dicendo che non c'è un uomo politico, uomo di Governo del mondo occidentale, che si

voglia mischiare con i problemi dell'Italia. Questa è la condizione di isolamento nella quale si trova

l'Italia di fronte ai suoi problemi! Dato atto del fatto che Tremonti ha tentato, qual è allora la realtà?

Siamo soli, con la necessità di cominciare a ridurre il debito pubblico del 3 per cento l'anno, il che

equivale a una riduzione di decine di miliardi di euro ogni anno. Ebbene, cosa fanno questi

Documenti che voi ci portate, onorevole Casero? Rinviano, perché la manovra comincerà a mordere

dal 2013 al 2014, cioè nella prossima legislatura, senza dire come, perché fino al 2012 avete detto

con quali leggi e in quali settori tagliate, ma nella prossima legislatura?

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, la prego di concludere.

GIORGIO LA MALFA. Aggiungo e denuncio questa promessa di riforma fiscale che avrei

sostenuto se fosse stata fatta ieri, ma che si presenta come una promessa elettorale che il Governo

intende fare nel 2013, prima delle elezioni. Voi intendete lasciare un'eredità spaventosa al Paese,

come avete fatto con l'ICI, se volete saperlo. Questo è il quadro, signor Presidente del Consiglio,

signor Ministro Tremonti, e lo chiedo anche ai colleghi della Lega che sono attenti ai problemi dello

sviluppo: ma voi quando volete impostare una politica economica? Dobbiamo aspettare le prossime

elezioni?

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, deve concludere.

GIORGIO LA MALFA. Benissimo, aspetteremo le prossime elezioni, faremo un Governo diverso

che possa dare una speranza al Paese, ma questi sono anni persi, che peseranno sull'economia

italiana (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Futuro e Libertà per il Terzo

Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Commercio. Ne ha

facoltà, per nove minuti.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, colleghi, questo dovrebbe essere

il dibattito di politica economica più importante dell'anno (o fra i dibattiti di politica economica più

importanti dell'anno), il momento nel quale dovrebbero essere esposte le valutazioni del Governo su

tutte le tematiche di politica economica, sulla previsioni di crescita del Paese, sulle previsioni di

entrata, sulle principali previsioni riguardanti le spese, la loro riduzione e la loro riqualificazione,

quello nel quale dovrebbero essere esposte le proposte per ridurre gli squilibri tra le diverse aree del

Paese e illustrati i meccanismi individuati per ottemperare alle richieste dell'Unione europea

(riduzione del debito, del rapporto deficit PIL e di quello debito pubblico PIL).

La nostra impressione è invece che a questo dibattito si arrivi quasi con una superficialità, e

certamente con disinteresse, come se dovesse essere sbrigata una fastidiosa formalità. I Documenti

che esaminiamo mancano dello spirito e della tensione necessaria per affrontare la grave

congiuntura economica che il nostro Paese affronta. Le parti riguardanti il sud, ancorché

ridottissime, trasmettono la sensazione di essere state inserite per colpa di un noioso e ripetitivo

obbligo al quale però nessuno dà credito. La questione meridionale è diventata ormai una promessa

obbligata da esaurire in poche righe in ogni Documento, per poi puntualmente dimenticarlo, una

questione prioritaria a parole e secondaria nei comportamenti. Così anche nel Programma di

stabilità: poche righe di generici impegni e il gioco è fatto. Chi sa che fine ha fatto il piano per il sud

annunciato ormai da oltre due anni e che da quasi sei mesi si promette che partirà il mese venturo?

Mese venturo che sembra non arrivare mai. Ancora non si conosce quali siano i provvedimenti

contenuti nel suddetto piano.

La verità è che il Mezzogiorno viene considerato come un peso e non come un'opportunità, eppure

l'opportunità sarebbe straordinaria, quel peso potrebbe diventare un traino per l'intera economia

nazionale se solo vi si scommettesse: un insieme di energie e di risorse al centro del Mediterraneo,

crocevia geografico, naturale e storico degli interessi, degli scambi economici e culturali tra

l'Europa, l'Africa e l'Asia, che va valorizzato e sul quale occorre investire in idee e disponibilità

finanziarie. Ma purtroppo la politica economica di questo Governo non sa parlare agli italiani, non

sa trasmettere loro gli obiettivi per i quali vale la pena affrontare sacrifici; obiettivi che non possono

essere solo di risanamento, ma devono essere anche obiettivi di sviluppo e di crescita, senza i quali

il risanamento si trasforma in recessione e crollo della domanda.

Il nostro Paese, se davvero vuole essere pienamente competitivo in Europa e nel mondo, non può

più trovarsi con un terzo del proprio territorio e della propria popolazione in uno stato di sviluppo

inadeguato, con una disoccupazione che è tre volte maggiore rispetto al resto d'Italia, e con il lavoro

irregolare che coinvolge oltre un quinto degli occupati: è una condizione di estrema debolezza non

solo per il Mezzogiorno, ma per tutta l'Italia. Affinché le potenzialità del Mezzogiorno diventino

condizioni reali, è necessario che si attuino delle reali politiche di sviluppo, e diventa pertanto

urgente che il Governo italiano avvii rapidamente azioni volte a: 1) rimuovere il gap

infrastrutturale; 2) dotare le regioni meridionali di un solido sistema creditizio; 3) promuovere la

fiscalità di vantaggio; 4) erogare i Fondi FAS spettanti al Mezzogiorno, restituendo le cifre fino ad

oggi stornate per interventi di diversa natura.

Se queste scelte venissero attuate allora le parole di questi anni assumerebbero credibilità, in caso

contrario rimarranno solo parole, come quelle scritte nei Documenti di politica economica che ci

apprestiamo a votare, e sui quali il voto del Movimento per le autonomie non può che continuare ad

essere un voto negativo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-

Alleati per il Sud).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lanzillotta. Ne ha

facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, colleghi, il Ministro dell'economia e delle finanze da

mesi, e ancora nelle ultime settimane, ha continuato a negare la gravità della situazione economica e

a spandere ottimismo e rassicurazioni. Oggi, però, è la durezza dei numeri del Documento di

economia e finanza che, con una sorta di scissione e sdoppiamento della personalità, lo stesso

Ministro dell'economia e delle finanze ha presentato al Parlamento, a non lasciar più adito a dubbi.

Sono numeri crudi che ci dicono che, per rientrare nei vincoli del nuovo Patto europeo, quello, cioè,

che Tremonti ci aveva detto che avrebbe molto giovato all'Italia e in cui noi, sempre a suo parere,

avevamo realizzato un grande successo, l'Italia dovrà realizzare una riduzione del debito di circa 40

miliardi di euro l'anno per vent'anni e, in aggiunta a questo, entro il 2014 dovrà attuare una manovra

dello stesso importo per ridurre il deficit e raggiungere il pareggio di bilancio. Ma il Documento di

economia e finanza afferma anche che questa titanica operazione - 80 miliardi, ad essere ottimisti -

dovrà essere effettuata con una crescita stagnante, una disoccupazione in aumento e un'ulteriore

crescita del divario nord-sud. Di fronte alla drammatica e pressoché certa prospettiva di una

recessione, che ci condannerebbe ad un inarrestabile declino, il Governo, invece di dire la verità al

Paese, di chiamarlo ad una comune assunzione di responsabilità e lanciare un forte piano di riforme

per sostenere la crescita e tentare di invertire la marcia, irresponsabilmente e colpevolmente, per

puro opportunismo politico, rinvia tutto al 2014, cioè a dopo le elezioni politiche, lasciando a chi

verrà dopo il compito immane di affrontare una situazione forse irreparabilmente compromessa.

No, signor Ministro, no, signor Tremonti, non è così che si comporta uno statista di livello europeo

quale lei ama essere considerato. Uno statista parla al suo Paese con il linguaggio della verità e della

responsabilità, indica la prospettiva, la missione che il nostro Paese può ancora svolgere nel mondo

globalizzato, le opportunità che possono venire dai rapidi e radicali mutamenti in atto nella sponda

sud del Mediterraneo e il ruolo protagonista che questo nuovo scenario può far giocare all'Italia

rispetto all'Europa. Uno statista disegna il percorso delle riforme che possono rendere concreta

questa prospettiva. Invece, niente di tutto questo perché il Documento di economia e finanza e il

Programma nazionale di riforma, nonostante i ripetuti annunci di scossa all'economia, tutti

regolarmente caduti nel dimenticatoio, ripropongono oggi il rassegnato immobilismo che ha

caratterizzato la politica economica e di bilancio in questi tre anni, l'immobilismo nella spesa

pubblica dove i tagli lineari hanno rappresentato la rinuncia a tagliare gli sprechi ed a investire nei

settori della crescita come hanno fatto Paesi come la Germania e la Francia che, non a caso,

nonostante la crisi finanziaria, oggi hanno ripreso a crescere, e l'immobilismo nelle riforme per la

competitività: liberalizzazione dei servizi, mercato del lavoro, burocrazia, innovazione tecnologica,

riforme per rendere efficiente e competitivo il nostro sistema produttivo, che è l'unico modo, l'unica

via, in un'economia aperta di mercato, per difendere le nostre imprese dalla conquista straniera che,

certo, non può essere contrastata da un impossibile, quanto velleitario ritorno al passato

dell'intervento pubblico in economia, come l'umiliante esito della vicenda Parmalat si è incaricato di

dimostrare.

Per questa ragione, Alleanza per l'Italia e il nuovo Terzo Polo danno un giudizio fortemente critico

del Documento di economia e finanza e della linea di politica economica e con la nostra risoluzione

proponiamo una linea alternativa. Proponiamo di avviare subito una radicale revisione della spesa

perché, se è vero che la crescita non si fa in deficit, allora bisogna avere il coraggio di eliminare la

spesa pubblica cattiva o inutile, quella che finanzia la politica ed alimenta la corruzione, per liberare

risorse da destinare innanzitutto ad un piano per i giovani, i giovani che sono, oggi, la vera

emergenza nazionale, i giovani disoccupati, i giovani precari, i giovani in fuga dal nostro Paese ogni

volta che possono, giovani che stanno perdendo la speranza nel futuro. Ma la nostra proposta ha un

punto debole, lo riconosciamo, perché, per essere attuata, richiede una guida forte ed autorevole,

richiede un consenso largo nel Paese, richiede una mobilitazione delle migliori energie e queste

sono condizioni che voi, signori del Governo, oggi non siete in grado di realizzare in Italia. Il vostro

Governo non è all'altezza dei problemi che il Paese deve affrontare e, per questo, è urgente,

urgentissimo, che l'Italia volti pagina per avviare un vero piano di riforme e guardare di nuovo con

qualche speranza al proprio futuro (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cambursano. Ne ha

facoltà, per dieci minuti.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, dico subito, per evitare equivoci, che naturalmente

il gruppo dell'Italia dei Valori dirà «no» sia al Documento di economia e finanza 2011 sia a maggior

ragione al Programma nazionale di riforma, che non prevede alcuna riforma o quelle che prevede

altro non sono che la fotografia dell'esistente, dove ci collochiamo agli ultimi posti in graduatoria.

Non me ne voglia il sottosegretario Casero, mi rendo conto che si è sentito in difficoltà nell'elencare

esattamente cosa dice l'Europa rispetto al nostro Paese su una serie di parametri.

Il collega Borghesi ha illustrato, nei pochi minuti a sua disposizione - ma chi fosse interessato la

nostra risoluzione lo prevede in dettaglio - un Programma nazionale di riforma, alternativo a questo

nulla che voi ci presentate. Il sottoscritto, nell'ambito della discussione generale, ha tentato - ma ho

parlato a sordi - di dimostrare quanto questo Documento di economia e finanza sostanzialmente

dica due cose; la prima è che i conti pubblici non sono in ordine e a certificarlo sono autorità

competenti in materia, che ci scrivono e ci dicono: «Fate attenzione, che state raccontando delle

storielle non credibili a livello internazionale». La seconda è soprattutto che la crescita non è il

vostro obiettivo, non è a portata di mano perché voi non ci credete.

Il Programma nazionale di riforma certifica una cosa sola: il fallimento delle vostre politiche al

plurale: della vostra politica economica, della vostra politica fiscale, della vostra politica industriale.

Rispetto a quest'ultima, credo sia meglio usare non il termine «fallimento», ma inesistenza totale di

una politica industriale in questo Paese. D'altra parte non poteva che essere così, visto che prima

c'era un Ministro che si occupava di come andare a giustificare la proprietà di un immobile che non

aveva comprato, poi vi è stata una lunga vacanza rappresentata dal Presidente del Consiglio, che si è

occupato unicamente delle sue televisioni e adesso abbiamo il Ministro dello sviluppo che continua

ad occuparsi delle televisioni del Presidente del Consiglio e non già di come vanno le cose nella

politica industriale di questo Paese, salvo poi piangere sul latte versato, nel senso letterale anche del

termine, di quello che sta avvenendo.

Signori, se questa è la fotografia - e a farla non sono io - allora interroghiamoci dove siano le

responsabilità. La responsabilità è evidente: negli ultimi dieci anni le cose sono andate peggiorando

e non solo a causa della crisi, che peraltro è arrivata solo negli ultimi tre anni (si vede che voi

portate proprio male), ma soprattutto della vostra non politica, se negli ultimi dieci anni avete - si fa

per dire - governato per 8 anni. Quindi se c'è una coalizione responsabile di questo fallimento quella

siete voi e guarda caso il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'economia e delle finanze sono

sempre quelli.

L'ultima è sempre l'Italia rispetto a qualsiasi parametro si prenda in considerazione. Prendiamone

uno per esempio: sulla ricerca e lo sviluppo vi è uno studio fatto dal World Economic Forum fatto

su 138 Paesi presi in esame che classifica l'Italia al cinquantunesimo posto in termini di ricerca,

sviluppo e di investimento per la ricerca e lo sviluppo. Volete sapere a quanto eravamo nel 2006 in

questa graduatoria? Al trentottesimo posto. Quindi, anziché recuperare posizioni continuiamo a

perderle grazie a voi e questo il Paese deve saperlo. Sulle politiche energetiche avete puntato tutto

sul nucleare, poi è capitato quello che è capitato in Giappone e avete fatto finta di fare un'inversione

ad «U», facendolo credere, ma gli italiani finalmente si stanno svegliando e a certificarlo è l'ultimo

sondaggio a proposito del «no» al nucleare, che dice che tre su quattro degli italiani, cioè il 75 per

cento degli italiani, dice «no» al nucleare.

Quindi, caro - si fa per dire - Presidente del Consiglio, non prenda in giro gli italiani, andiamo a fare

questo benedetto referendum, diamo la parola al popolo, al quale voi vi ispirate sempre, e il popolo

saprà esattamente cosa fare: dire di «no» al nucleare, dire di «sì» al referendum e mandarvi a casa.

Per quanto concerne la politica fiscale - è davanti agli occhi di tutti -, voi annunciate l'ennesima

riforma, come quella del 2003 che non avete fatto, ma in compenso, l'evasione fiscale sta crescendo

a dismisura: nel 2009 è aumentata di 29 miliardi di euro, nel 2010, di 47 miliardi di euro, quindi è

quasi raddoppiata. È stato detto, stamani, da un collega, che il totale dell'evasione raggiunge 140

miliardi di euro, e a pagare sono sempre gli stessi. In compenso, la corruzione cresce e ha raggiunto

anche questa - voi e i vostri «tirapiedi» (così si definiscono) lo sapete, siete degli esperti - 60

miliardi di euro.

Concludo, signor Presidente, leggendo semplicemente ciò che hanno scritto illustri economisti su

giornali economici, non sui vostri quotidiani: «È una manovra senza coraggio», Il Sole 24 Ore. «È

una cornice del nulla», Corriere della Sera. «È una litania, anzi, una giaculatoria», la Repubblica.

Questa è la fotografia di ciò su cui siamo chiamati a pronunciarci: evidentemente, il nostro non

potrà che essere un voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

In conclusione, permettetemi di leggere ciò che è stato detto da elettori della Lega Nord, che è

riportato su la Padania, e che viene ribadito anche nella trasmissione televisiva diretta Che aria

tira: «Siamo succubi di Sarkozy (...)». «(...) Il nano ci prende per i fondelli» - parole testuali -

«dicendo che non si tratta di un'OPA ostile (...)», si riferisce a Parmalat, lei lo sa. E ancora: «(...) La

verità è che il nano sventola l'italianità solo quando occorre salvaguardare la ghenga» - sic! - «di

affaristi e sta diventando sempre più impresentabile dentro e fuori dai nostri confini». Andatevene a

casa, fate un grande servizio al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Della Vedova. Ne ha

facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, voglio ringraziare il sottosegretario Casero,

che spero venga lasciato libero di ascoltare, e sottolineare, però, come è già stato fatto ad esempio

dall'onorevole La Malfa, la situazione grottesca in cui ci siamo trovati in questa discussione.

Abbiamo assistito, nelle settimane scorse, ad un plenum nell'Aula e nei banchi del Governo sui temi

della giustizia. Assistiamo oggi, in questa discussione - chi sa di comunicazione, sa che la

cosiddetta agenda setting viene utilizzata dal Governo e dal Presidente del Consiglio, innanzitutto, e

dalla maggioranza per dettare le priorità politiche al Paese - ad un dibattito sconfortante, senza la

presenza del Ministro dell'economia e delle finanze e senza, soprattutto, la presenza del Presidente

del Consiglio.

Non vorrei fare considerazioni troppo facili, ma in quale Paese europeo la discussione sul

Documento economico e finanziario avviene senza che il Parlamento ascolti le parole del Presidente

del Consiglio? In quale Parlamento europeo e in quale Governo europeo si presenta il Documento

economico e finanziario, nella prospettiva del semestre europeo, senza avere la preoccupazione,

onorevole Casero, di avere un Ministro per le politiche europee? Qual è la credibilità di questo

Governo, che aspetta - come tutti noi aspettiamo - che si concludano le operazioni prodromiche al

rimpasto? Ci auguriamo che vengano realizzate in tempi rapidi, ma abbiamo visto gli incagli: siamo

senza il Ministro per le politiche europee. Questo la dice di lunga sulle questioni che ci interessano.

Ringrazio il collega Buonfiglio per aver fatto una disamina puntuale del DEF e dei suoi problemi.

Svolgo alcune considerazioni per quanto riguarda il denominatore, onorevole Casero, voi scrivete:

nel 2011, tasso di crescita dell'1,1 per cento, crescita media del prossimo triennio 1,5 per cento. Lei

ci ha detto che non è vero che non c'è attenzione per la crescita, ma qui c'è un allarme sulla crescita.

I dati omologhi dicono che la Germania quest'anno cresce del 2,5 per cento, che in Spagna, dopo

che noi ci siamo riempiti la bocca sul boom spagnolo, nel 2012 è prevista una crescita del 2,5 per

cento. Noi siamo fermi al palo. La crisi riconsegna un Paese fermo al palo della crescita. È colpa

vostra? No, ma è responsabilità di chi ha steso questo Documento di economia e finanza non

prevedere, nemmeno prevedere, riforme all'altezza dell'ambizione minima, cioè che il nostro Paese

cresca nella media dei principali Paesi europei. Non ci sono le riforme, onorevole Casero, capisco il

suo sforzo ma non ce n'è traccia. Non c'è traccia del programma elettorale del 2008 in questo

Documento, non c'è traccia delle liberalizzazioni. Noi come maggioranza abbiamo ottenuto - noi

c'eravamo e ne siamo perfino stati protagonisti - la legge annuale sulla concorrenza. Siamo rimasti

sei mesi senza Ministro dello sviluppo economico, come siamo rimasti cinque mesi senza il

Viceministro per il commercio internazionale nel pieno della crisi economica. La legge annuale

sulla concorrenza aspetta. Vogliamo rifare l'articolo 41 della Costituzione perché bisogna rilanciare,

togliere i lacci e i lacciuoli? Cominciamo anziché fare gli annunci. Cominciamo con la legge

annuale sulla concorrenza, onorevole Casero, se vogliamo cominciare a crescere. Inoltre - è stato

sottolineato dall'onorevole La Malfa - è prevista una correzione molto pesante, quella che era già

stata indicata anche dalla Banca d'Italia di 35-40 miliardi. Ma è serio prevedere che la correzione

avvenga nella prossima legislatura? È serio mettere nero su bianco il nostro impegno al deficit zero

nel 2014 e mettere altrettanto nero su bianco che gli sforzi si faranno nel 2013 e nel 2014? Per me

non è serio. Il problema c'è o non c'è, se c'è bisogna affrontarlo prima e non dopo. L'emergenza

debito va affrontata subito, non può essere rinviata, visto che è la preoccupazione principale. Poi per

quanto riguarda le tasse, voi mettete nero su bianco che le tasse per gli italiani aumenteranno.

Mettete nero su bianco che nel 2012 la pressione fiscale aumenterà ulteriormente. I numeri

mostrano che mentre noi ascoltiamo il preannuncio della riforma fiscale i dati di realtà sono quelli

di una pressione fiscale che aumenta dal 42,4 al 42,6 per cento. È solo lo 0,2 per cento, ma è la

direzione che conta: le tasse in Italia aumentano e stanno per aumentare anche per l'anno prossimo.

Lo sappiano gli elettori, anche quelli che si recheranno a votare per le amministrative. Altro che

meno tasse. Tremonti ha fatto un eccellente lavoro nel controllare il debito, ma il problema non è

Tremonti. Tremonti ha fatto il suo mestiere, fa il Ministro del tesoro, delle finanze e del bilancio,

non può essere il Ministro a dettare le priorità di politica economica. È il Governo, è il Presidente

del Consiglio che oggi non c'è che deve stabilire dove si taglia e dove si investe, non il Ministro

dell'economia e delle finanze, non è il mestiere suo, non può essere colpa di Tremonti. È colpa del

Governo che manca, del Presidente del Consiglio che non ci dà le indicazioni su quale debbano

essere le strategie di sviluppo economico del Paese. Fate passi indietro sulle liberalizzazioni, dalle

parafarmacie, ai taxi, al decreto Ronchi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Schiena

dritta: non è la privatizzazione dell'acqua, ma il Governo deve difendere questa sua riforma. È una

delle poche e migliori cose che sono state fatte in termini di liberalizzazioni e quindi sarebbe bene

difenderla. Su Parmalat, perché queste sono le cose concrete, i giornali di centrodestra dicono:

fermiamo i francesi, che ovviamente sono arrivati perché hanno messo soldi veri e per fortuna non è

andata in porto la cordata della Cassa depositi e prestiti.

Non vogliamo una nuova IRI, vogliamo un Paese in cui arrivino gli investimenti esteri, non

vogliamo impedire gli investimenti esteri nel nostro Paese. Vogliamo investimenti di qualità e

vogliamo che le imprese italiane investano in Italia così come fanno, magari, le imprese straniere,

scegliendo «fior da fiore». Stiamo facendo un federalismo fiscale che porterà più tasse al sud e più

spesa pubblica al nord.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo, signor Presidente. Onorevole Casero, non era questo

il centrodestra per cui noi abbiamo cominciato a lavorare. La politica economica che questo

Documento di economia e finanza ci consegna non è la politica economica liberalizzatrice della

rivoluzione liberale dell'abolizione delle province contenuta nel programma elettorale che ci ha

visto insieme nel 2008. Noi lì ancora stiamo: un centrodestra liberale, un centrodestra responsabile;

voi, francamente, non capisco più dove stiate andando in termini di politica economica e di politica

fiscale se non verso un continuo, inesorabile aumento della pressione fiscale.

Anche per questo, signor Presidente, noi non potremo che votare contro la risoluzione che sostiene

questo Documento di economia e finanza, augurandoci, a partire della legge annuale sulla

concorrenza, che si cominci davvero a discutere di liberalizzazioni e di crescita, e non della crescita

dell'1,1 o dell'1,5 per cento che voi segnalate sperando, questa volta, di avere azzeccato le previsioni

(Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cesario. Ne ha facoltà.

BRUNO CESARIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la recente modifica alla legge di

contabilità e finanza pubblica, adottata con la legge 7 aprile 2011 n. 39, il Parlamento ha inteso dare

riscontro all'introduzione del cosiddetto semestre europeo, volto a favorire un più intenso

coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri dell'Unione

europea ed una più stretta sorveglianza in campo fiscale e macroeconomico, nonché la revisione dei

contenuti e dei tempi di presentazione dell'aggiornamento del programma di stabilità e del

programma nazionale di riforma.

Con la richiamata legge n. 39 del 2011, sostenuta da tutte le forze politiche presenti in Parlamento,

sono state pertanto apportate talune modifiche alla legge di contabilità e finanza pubblica volte, in

via generale, ad assicurare la coerenza della programmazione finanziaria delle amministrazioni

pubbliche con le procedure e i criteri stabiliti in sede europea. A tal fine sono stati rivisitati il ciclo,

la denominazione e il contenuto dei principali strumenti della programmazione economicofinanziaria,

nonché introdotte alcune disposizioni volte a rafforzare la disciplina fiscale, in linea con

le indicazioni formulate dalle istituzioni comunitarie ai fini della riduzione del deficit e del debito.

Sono state, invece, confermate le rilevanti innovazioni già introdotte con la riforma del 2009, quali

il metodo della programmazione almeno triennale delle risorse delle politiche e degli obiettivi, la

ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per i diversi sottosettori del conto della pubblica

amministrazione e l'indicazione di previsione a politiche invariate per i principali aggregati del

conto economico della pubblica amministrazione.

In tal quadro il Governo ha presentato, quindi, il primo Documento di economia e finanza, che

contiene gli schemi dell'aggiornamento del programma di stabilità e del programma nazionale di

riforma da presentare in Europa entro il 30 aprile. Questi fondamentali atti saranno quindi sottoposti

al vaglio delle istituzioni europee e dei nostri partner dell'Unione. La lettura di questi documenti ci

rassicura sul fatto che l'Italia si presenta all'appuntamento europeo puntuale e con le carte in regola

grazie alla politica di rigore e di stabilità attuata in questi anni difficili dal Governo, senza, mi

spiace dirlo, poter contare sul sostegno delle opposizioni, che pure avrebbero dovuto dimostrare, in

un momento così critico per il Paese, maggiore senso di responsabilità.

È proprio per questo senso di responsabilità nazionale che abbiamo deciso di sostenere

convintamente il Governo Berlusconi nella sua azione di risanamento e di rilancio del Paese. In

questo momento di crisi globale crediamo che l'Italia abbia bisogno di una guida forte e stabile, che

solo Berlusconi può garantire con l'apporto delle forze che sostengono il Governo: il PdL, la Lega e

Iniziativa Responsabile, che è la vera terza gamba della maggioranza.

In questa situazione crediamo che l'azione svolta dal Ministro dell'economia e delle finanze Giulio

Tremonti sia indispensabile e fondamentale per garantire la credibilità dell'Italia nelle sedi

internazionali ed europee. Per la sua serietà e costanza nel perseguire convintamente le politiche di

rigore il nostro Ministro dell'economia è stimato e rispettato in Europa. Le sue proposte, come

quelle sul debito privato e sugli euro-bond, malgrado lo scetticismo e la derisione delle sinistre,

sono oggi acquisite nel dibattito europeo.

La necessità di perseguire nella politica di rigore la convinzione che non vi possa essere crescita

senza stabilità finanziaria si spinge anche ad annunciare un convinto sostegno alle ipotesi di riforme

costituzionali annunciate nel Programma nazionale di riforma volte ad inserire nella Carta

fondamentale il rispetto dei vincoli di bilancio ed il principio del pareggio.

Mi corre, quindi, l'obbligo di replicare a quanti continuano a dipingere la situazione dell'Italia come

quella di un Paese sull'orlo del dissesto finanziario. Innanzitutto, credo che questi colleghi, pur

autorevoli, dovrebbero evitare di danneggiare l'immagine del Paese, creando allarmismi

ingiustificati dalle cifre ufficiali e che non trovano riscontro nemmeno nei severi giudizi delle

istituzioni europee ed internazionali.

Penso, in primo luogo, al rapporto tra deficit e prodotto interno lordo. Secondo i dati Eurostat del

2010 - non parliamo quindi di previsioni, ma di fatti -, tale rapporto in Italia si è attestato al 4,6 per

cento, mentre in Francia ha raggiunto il 7 per cento e nel Regno Unito la cifra record del 10,4 per

cento. A fronte di questi livelli di deficit, decisamente più elevati di quello italiano, i due Paesi

richiamati hanno fatto registrare livelli di crescita del PIL nel 2010 non molto superiori a quelli

dell'Italia.

Non si può negare che una parte della crescita di questi Paesi sia dovuta alla politica di deficit

spending che hanno perseguito per fronteggiare la crisi. L'alto livello di debito pubblico italiano non

ha consentito anche al nostro Paese di perseguire una tale politica, che ha perseverato nella linea del

rigore di bilancio.

I dati richiamati dimostrano però che i fondamentali del Paese, anche con riferimento alla crescita,

sono sostanzialmente buoni e che l'economia è vitale. A fronte di tale quadro, il documento al

nostro esame prevede il raggiungimento del sostanziale pareggio di bilancio per il 2014, in linea con

gli impegni europei e con un consistente livello di avanzo primario e di una progressiva riduzione

del debito pubblico.

Tali obiettivi, fino a qualche tempo fa considerati troppo ambiziosi, sono resi possibili dalla politica

perseguita in questi anni e dalle manovre adottate, da ultimo, con il decreto-legge n. 78 del 2010. Il

raggiungimento dei richiamati obiettivi sarà possibile senza aumentare il peso della pressione

fiscale, essenzialmente attraverso un'ulteriore riduzione della spesa improduttiva con una manovra

correttiva per il biennio 2013-2014 dello 0,8 per cento annuo in termini strutturali rispetto al PIL.

Come spesso ha ricordato il Ministro Tremonti, l'economia del Paese è fortemente duale, con una

macroarea che conta oltre 35 milioni di abitanti, il centro-nord, che ha indicatori economici migliori

della Germania e il sud che non cresce affatto e un tasso di occupazione molto basso. Molti studi

autorevoli hanno ricondotto la debolezza della struttura economica del nostro Paese proprio alla sua

configurazione duale.

Ma se diffusa è la convinzione che il nostro Paese sia contraddistinto da due velocità, è anche certo

che questo non deve divenire ragione di divisione, ma monito ad affrontare la sfida della

progressiva riduzione del differenziale economico tra il nord e il sud del Paese. A fronte di una tale

situazione, le statistiche volte a rappresentare unitariamente il Paese rischiano quindi essere poco

significative, perché una media, mediana, non tiene conto di tale forte divergenza.

Il Governo deve dire, anche con il convinto sostegno della Lega, che è ben consapevole della

necessità di far crescere e camminare autonomamente il Sud per completare il percorso federalista.

Ha inserito nel documento al nostro esame un capitolo appositamente dedicato al Mezzogiorno ed

ha adottato un importante piano per il Sud, fortemente voluto dal Ministro dell'economia e delle

finanze e dal Governo intero fra le priorità definite nel Programma nazionale di riforma.

Tra le proposte contenute nel Documento che ci apprestiamo ad approvare vi sono il pieno e reale

utilizzo dei Fondi europei, ma senza commettere l'errore più volte fatto in passato di utilizzare tali

risorse senza una vera regia nazionale volta ad ottimizzare le economie di scala del nostro Paese. In

altri termini, la questione meridionale deve smettere di essere un problema e divenire una concreta

opportunità di rilancio del nostro Paese.

Una seconda direttrice di intervento è rappresentata dallo sviluppo delle infrastrutture per integrare

sempre più il Meridione nelle direttrici importanti del nostro Paese e dell'Europa. Infine, per

incentivare le iniziative economiche e rilanciare il tessuto produttivo del Mezzogiorno emerge con

chiarezza la volontà di introdurre una fiscalità di vantaggio e per attrarre nuovi investimenti si

sottolinea l'esigenza di prevedere zone a «burocrazia zero». Le iniziative sopra ricordate si

inseriscono nel percorso già delineato dal Governo con l'approvazione nel novembre 2010 del

ricordato Piano del sud. Tra le iniziative previste dal suddetto Piano meritano di essere ricordate - e

nel Documento vi sono precisi riferimenti - la costituzione del Programma Jeremie per il

Mezzogiorno e la Banca del Mezzogiorno.

In questo quadro va anche inserita la problematica relativa all'anatocismo bancario che il nostro

gruppo ha più volte sollevato e crediamo che sia giusta l'idea di trasferire parte del carico fiscale

dalle persone alle cose, come ama dire il Ministro Tremonti, e riteniamo allo stesso tempo

necessario proseguire nella lotta all'evasione fiscale che ha fatto registrare in questi anni dati

assolutamente positivi per liberare quelle risorse necessarie ad alleggerire il carico fiscale

complessivo. Per tutte le richiamate le ragioni, preannunzio il voto favorevole di Iniziativa

Responsabile sulla risoluzione di maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Iniziativa

Responsabile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per responsabilità del Governo il

Parlamento italiano dedica al primo vero appuntamento di politica economica europea una

discussione di mezza giornata, oltretutto, permettetemi di dire, in un clima surreale. Io non so quanti

di voi hanno notato che, a discussione ormai conclusa, proprio in questi minuti, la segreteria di

Presidenza ci sta consegnando l'ultimo allegato al Documento che dobbiamo votare fra qualche

minuto. E non è un allegato di poco conto, lo dico soprattutto ai parlamentari del sud, perché si

tratta degli interventi per le aree sottoutilizzate. Ciò vuol dire che noi a tutt'oggi, dopo il dibattito

che abbiamo fatto in Commissione, abbiamo tenuto questa mattina in Aula un dibattito di poche ore

senza avere neanche la documentazione completa, oltretutto causando un precedente istituzionale -

questo lo faccio presente al Presidente - di tutto rilievo perché è chiaro che quel Documento non

avrà mai alcuna attenzione da parte delle Commissioni competenti.

Ma la discussione di questa mattina è ancora più surreale se facciamo un confronto con ciò che è

capitato alcune settimane fa in questo Parlamento. Quando è stato il momento di discutere il

problema di Berlusconi, del processo breve abbiamo avuto l'Aula piena, ma soprattutto abbiamo

avuto pieni i banchi del Governo. Il Governo, dal Ministro dell'economia e delle finanze al Ministro

dello sviluppo economico e tutti i ministri sono stati costantemente presenti in Aula. Addirittura, vi

ricordo, è stato sconvocato un Consiglio dei ministri per permettere ai Ministri parlamentari di

essere in Aula. Ebbene, nelle quattro ore di dibattito di questa mattina abbiamo avuto in Aula solo il

sottosegretario Casero, che ringraziamo per esserci stato, non ce la possiamo prendere con lui, ma

degli altri Ministri competenti non abbiamo visto traccia.

Penso che questo provvedimento meriti molto di più dell'attenzione che il Governo e la

maggioranza gli stanno dando. Ma capisco perché, se fossi nelle vostre condizioni e dovessi parlare

al Paese dei problemi economici, probabilmente avrei il vostro stesso atteggiamento visto che in

questi tre anni per l'economia è stato fatto poco e quel poco che abbiamo fatto è stato fatto male e lo

dimostra lo stato delle famiglie e delle imprese italiane (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di

Centro per il Terzo Polo, Partito Democratico e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

Ma non pensate che non facendo il dibattito in questa sede la situazione reale del Paese cambi.

La situazione reale è quella fotografata ormai da tutti i dati e tale resta.

Ma veniamo al contenuto del provvedimento: l'Italia si presenta all'appuntamento europeo in

condizioni particolarmente difficili essenzialmente per tre ragioni: un debito pubblico pari al doppio

di quanto concesso dalle regole europee, una crescita che si colloca all'1 per cento (ovvero la metà

degli altri Paesi europei) e un divario tra nord e sud che è sempre più crescente. Che cosa si deduce

leggendo questi tre dati insieme? Il risultato è univoco. Lo hanno detto osservatori economici, lo ha

ammesso implicitamente anche il Ministro Tremonti ed è scritto nel Documento che andiamo ad

approvare oggi: da qui al 2014 per rimanere in Europa e rispettare i parametri europei abbiamo

bisogno di fare una manovra di 35-40 miliardi.

Quindi, avevamo due modi di fare questa manovra: la prima era affrontare seriamente il problema

dicendo oggi quale riforme fare per poter permettere al Paese di riprendere quella crescita

indispensabile per far fronte al debito pubblico crescente; la seconda, che è quella che ha intrapreso

il Governo, era fare finta di nulla. Ancora una volta facciamo finta di nulla e rimandiamo il

problema, guarda caso, proprio al 2013, cioè dopo le prossime elezioni politiche.

Penso che questo sia un grave errore, una strada pericolosa per il Paese. Voi avete elencato 85

riforme in maniera confusa e generica. Elencare 85 riforme è come non elencarne nessuna. Noi

avremmo preferito avere 5 o 10 riforme elencate dettagliatamente nei tempi e nei modi e negli

effetti e discutere su questo. Ciò sarebbe stato utile al Paese, non altro.

Parlate di riforma fiscale. Io sento dire da più parti, dal Governo e dalla maggioranza, che la

panacea di tutti i mali sarà questa riforma fiscale. Vi avviso di una cosa, colleghi: purtroppo la

riforma fiscale l'avete già fatta con i decreti attuativi del federalismo fiscale. Sapete che cosa

comporta la riforma fiscale che voi avete approvato? Comporta che dal prossimo anno una famiglia

con un reddito medio, grazie allo sblocco delle addizionali IRPEF, pagherà mille euro in più di

tasse, non in meno come voi state dicendo. Non solo: i comuni, che sono stati messi a piedi dai tagli

lineari del Governo, dovranno introdurre una tassa di scopo, che di fatto è una patrimoniale

mascherata, e l'imposta di soggiorno.

Tutto questo davanti ad una situazione attuale, già da quest'anno, che vede le tariffe dei servizi in

molte città crescere di oltre il 20 per cento. Sapete che cosa vuol dire in termini reali? Significa che

una famiglia che pagava un asilo nido 200 euro al mese da quest'anno ne paga 240 e per 10 mesi

sono 400 euro in più, e la stessa cosa vale per l'assistenza domiciliare e per il biglietto dell'autobus o

per la tassa dei rifiuti.

Quindi, signori, vi sembra una politica fiscale corretta che può servire al Paese per crescere o vi

sembra una politica fiscale, invece, regressiva? Noi denunciamo questo, il fatto che la pressione

fiscale in questo Paese era intollerabile e oggi è più intollerabile di un anno fa. Ecco perché noi vi

chiediamo delle riforme chiare e subito. Vi chiediamo una totale e radicale revisione della spesa

pubblica, una vera e propria spending review che implichi una riduzione drastica delle spese

improduttive. Vi chiediamo una riforma dello Stato.

Voi state girando intorno al problema, che non è quello del contenimento dei costi: il problema è

che questo Stato costa troppo, non ce lo possiamo più permettere! Quindi, bisogna ridurre il numero

dei parlamentari, abolire le province e le comunità montane, riorganizzare i comuni in maniera più

funzionale. Ci vuole una riforma vera dei servizi pubblici locali, che rompa i monopoli delle piccole

«IRI» di proprietà dei comuni che sono sempre più luoghi di passaggio per politici e sempre meno

aziende efficienti. Ci vuole una fiscalità di vantaggio per il sud, perché il divario tra le varie zone

del Paese in questi anni è cresciuto. Voi avete fatto il contrario.

Con il provvedimento sulla sanità regionale avete fatto in modo che le regioni del sud dovranno

avere un'IRAP cinque volte superiore a quella delle regioni del nord. Avete fatto la «fiscalità di

svantaggio» non la fiscalità di vantaggio. Vi chiediamo immediate misure per le famiglie, in tutti i

nostri programmi elettorali avevamo il quoziente familiare, vi diciamo già oggi di partire con il

quoziente familiare, iniziamo a introdurlo anche in maniera parziale ma incominciamo, perché le

famiglie hanno bisogno di ossigeno per arrivare alla fine del mese.

C'è bisogno di un intervento a sostegno della patrimonializzazione delle imprese, ha ragione

l'onorevole Della Vedova, il problema della Parmalat nasce dal fatto che le imprese italiane sono

troppo piccole per competere in Europa e finché le aziende italiane saranno troppo piccole non

potranno difendere l'italianità dei propri marchi. È chiaro che se vogliamo difenderla non dobbiamo

posticipare l'assemblea per l'approvazione del bilancio di sei mesi, con questo non facciamo niente,

facciamo propaganda elettorale. Il finale era già scritto, la Parmalat diventerà francese.

Dobbiamo fare in modo che le imprese italiane reinvestano i propri utili nelle imprese stesse

permettendogli di diventare grandi. Una forza mirata al contrasto della povertà che sta investendo

centri sociali che precedentemente ne erano al riparo. L'onorevole Pezzotta ce lo ricorda una volta e

questo è uno dei punti fondamentali che questo Programma nazionale di riforme dovrebbe tenere in

considerazione.

Insomma, in tre anni di legislatura questo Governo ha tirato a campare, tanti spot e pochi fatti

concreti, tanto fumo e niente arrosto. La differenza rispetto a tre anni fa però è una: ora non vi crede

davvero più nessuno (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Montagnoli. Ne ha

facoltà.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Signor Presidente, signor sottosegretario, come già accennato

dai miei colleghi Simonetti, Bitonci e Fugatti, questo Documento rappresenta il primo atto del

nuovo ciclo di programmazione economico e finanziaria che deriva dalla legge 7 aprile 2011, n. 39,

di modifica della legge di contabilità e finanza pubblica al fine di tenere conto dell'introduzione del

semestre europeo con l'obiettivo della sostenibilità della finanza pubblica, della stabilità finanziaria

e della crescita economica in linea con l'impostazione della nuova governance europea.

Innanzitutto siamo tutti convinti che il primo impegno a cui tutti noi dobbiamo puntare è la tenuta

dei conti pubblici e la previsione di un abbassamento del rapporto deficit/PIL, la riduzione del

debito pubblico è un impegno inderogabile. Ho sentito i colleghi nei vari interventi e senza ombra

di dubbio dobbiamo considerare la crisi internazionale e la situazione del nostro Paese che oggi ha il

primo debito pubblico in Europa, il terzo dubito pubblico al mondo e questo per responsabilità di

gestioni del passato che hanno devastato la nostra finanza pubblica. In questa situazione il Governo

in tre anni ha messo al riparo i conti pubblici, ha garantito i privati, cosa che non è avvenuta in

Grecia, in Spagna, in Portogallo, in Irlanda; si tratta di un merito di questo Governo che ha garantito

la solidità e ha garantito tutti i nostri cittadini, visto che il popolo italiano è un popolo di

risparmiatori; quello che non hanno fatto gli altri. Il Fondo di 500 miliardi messo a disposizione

della Comunità europea per questi Paesi non è ad oggi servito per l'Italia e se non prendiamo atto di

questa situazione economica saremmo falsi davanti ai nostri cittadini perché questi sono i numeri

schiaccianti e le enormi problematiche del nostro Paese. Le iniziative che fino ad oggi il Governo

ha messo in piedi a partire dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 hanno già dato effetti positivi

sui conti pubblici, sulla riduzione della spesa. Un'unica valutazione che mi sento di fare nella

considerazione dei tagli è che non devono avvenire in maniera lineare ma puntare sempre di più agli

sprechi. Questo è un invito che faccio al Ministro Tremonti su una valutazione oggettiva dei tagli

alla spesa pubblica.

Il Programma nazionale di riforma è il fulcro del DEF e sintetizza le azioni di riforma strutturale

avviate e in fase di definizione per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall'agenda della

«Strategia Europa 2020».

I punti inseriti vanno dal federalismo fiscale, alla riforma fiscale, al sostegno delle nostre imprese,

soprattutto quelle medio-piccole, che rappresentano il 95 per cento del totale delle imprese, alla

sfida nell'ambito energetico, che noi crediamo debba essere sempre più rivolta alle fonti rinnovabili,

all'innovazione dell'istruzione, alla riforma del mercato del lavoro, allo sviluppo delle aree deboli

del Paese, perché siamo convinti che debba assolutamente avvenire lo sviluppo del sud, che deve

essere fatto tenendo conto della legalità e della responsabilità soprattutto degli amministratori, ad un

forte rilancio delle opere pubbliche, ad una revisione delle norme del Patto di stabilità, che deve

assolutamente tenere conto degli enti virtuosi.

Queste sono le nostre sfide inserite in questo Documento e su cui il Parlamento si dovrebbe

impegnare. Invece, ahimè, l'opposizione ci tiene qui settimane e settimane a discutere di beghe

personali e non degli interessi importanti del Paese, a cui i cittadini ci chiedono di dare risposta.

Questi sono punti importanti e riforme che questa maggioranza e questo Governo vogliono portare

avanti. Siamo qui per cambiare il Paese, non per fare polemiche, cari colleghi dell'opposizione.

Ma per noi la riforma più importante, di svolta, inserita nel Documento di economia e finanza, è

quella federale, su cui il Governo sta camminando spedito. Vari decreti sono stati già fatti. È una

svolta che noi definiamo epocale, perché renderà più efficienti gli enti locali e responsabilizzerà gli

amministratori. In questi anni abbiamo assistito a tantissimi sprechi e inefficienze, che non sono più

accettabili. Una gestione diversa della finanza pubblica, che deve sempre più passare dal centro alla

periferia, darà una grande mano alla riduzione della spesa pubblica.

Finalmente le cattive gestioni dei comuni, soprattutto in una parte del Paese, non ricadranno più

sulla testa di tutti i cittadini. I debiti e i buchi di Roma, Napoli, di Vendola e compagni, non

peseranno più sul Paese e quelle risorse serviranno per lo sviluppo e la crescita di tutto il Paese, al

nord ma soprattutto al sud. È evidente, ed è un tema inserito nel Documento, che è ormai

obbligatoria una riforma fiscale, che il Governo ha annunciato nel prossimo mese di maggio, che,

attraverso una riduzione della spesa, ma soprattutto il proseguimento della lotta all'evasione fiscale,

deve mirare ad una riduzione delle tasse e al rilancio della crescita.

Cari colleghi, non è più accettabile che vi siano zone del Paese con tassi di evasione del 50-60 per

cento. Non è più assolutamente accettabile! Il fatto che nei decreti attuativi del federalismo fiscale

venga previsto che anche gli enti locali abbiano una loro quota di partecipazione è sicuramente un

aspetto fondamentale, a cui noi teniamo tanto.

Noi, come Lega, saremo molto attenti, nell'elenco di queste riforme, allo sviluppo delle politiche

sull'energia, alla modifica nell'ambito del lavoro e dell'istruzione, alle varie liberalizzazioni che

verranno messe in atto con la logica esclusiva e prioritaria del miglior servizio al cittadino. Ci va

bene la riforma dei servizi pubblici locali, ma per abbattere i carrozzoni, che sappiamo dove sono

collocati.

Quando sento parlare il collega dell'UdC di eliminare queste gestioni e le province nel territorio

vedo che i politici più «cadregari», nel vero senso della parola, sono proprio quelli dell'UdC

(Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), contrari ad ogni modifica e a ogni riforma

del Paese, che hanno avuto il coraggio di votare contro il federalismo, ovvero la riforma che salverà

tutto il Paese, tutta l'Italia. Signor sottosegretario, condividiamo la linea di stabilità di questi anni,

che - riferite in questo Documento - punta a raggiungere entro il 2014 un livello vicino al pareggio

di bilancio, a conseguire livelli crescenti di avanzo primario, alla diminuzione del rapporto tra

debito pubblico e PIL, attualmente al 120 per cento e previsto al 114 per cento nel 2014.

Crediamo che lo sforzo debba essere fatto insieme a tutte le forze economiche e sociali, agli enti

locali, che servirà per incrementare la produttività, la competitività e la crescita e che debba essere,

sopratutto in questo momento economico, assolutamente prioritario.

Chiediamo coraggio al Governo: i cittadini ci chiedono di cambiare questo Paese. Abbiamo

bisogno, oltre alla tenuta dei conti pubblici, di rilanciare i consumi e di rimettere in moto

l'economia; all'interno dell'Unione europea il nostro Paese deve assolutamente essere una guida.

Pertanto, dichiaro che il gruppo Lega Nord Padania voterà a favore della risoluzione di

maggioranza Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli n. 6-00080 (Applausi dei deputati del gruppo Lega

Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sul Documento di economia e finanza che

stiamo esaminando la prima osservazione che vorrei fare è che il nuovo sentiero comunitario, in

tema di governance economica, trasferisce anche in Italia una maggiore consapevolezza

dell'esigenza di superare l'ottica di una strategia dei due tempi, il primo dei quali diretto a mettere a

posto i conti pubblici ed il secondo, solo successivamente, a perseguire l'obiettivo di una maggiore

crescita. Modestamente, il gruppo del Partito Democratico potrebbe ricordare di avere detto questo

sin dall'inizio.

Senza alcuno spirito polemico in questo senso, ci sembra che trovino esplicita conferma le linee

programmatiche che avevano informato, sin dall'inizio della precedente legislatura, l'azione del

compianto Ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa. Credo che onestà intellettuale voglia

che questo si riconosca. Crescita, risanamento ed equità erano gli elementi che costituivano il

trittico sottoposto all'attenzione del Parlamento. Di questo trittico mi sembra che si possa dire che

solo il tema del risanamento sia stato preso in considerazione e perseguito, mentre gli altri due

elementi sono stati assolutamente abbandonati.

Eravamo convinti, lo siamo sempre stati, che i temi dello sviluppo e della crescita fossero la chiave

di volta del riscatto del nostro Paese. Per evocare un'immagine di un collega, mi sembra il collega

Cazzola, intervenuto prima in sede di discussione, il tema della crescita, dico io, è come la bandiera

piantata nella testa della gente. Noi lo abbiamo sempre saputo, ci era chiaro, ci è sempre stato

chiaro, anche perché l'abbattimento dell'ingente debito pubblico non può che passare da una

ricostituzione dell'avanzo primario, cioè a dire da un rilancio della crescita a favorire la quale,

evidentemente, concorrono in modo intrecciato, anche, ma non solo, le politiche volte a ridurre la

spesa non con i proclami, né senza un'opportuna selezione, come si continua a fare con la volgare

logica dei tagli lineari che sono reiterati e anche con lo strumento dell'incremento delle entrate di

cui, peraltro, non si parla nei testi dei documenti che sono stati presentati.

Questi offrono un quadro conoscitivo certamente interessante, ma fissano obiettivi che definirei

assolutamente generici e, tutto sommato, modesti, in particolare sul tema richiamato della crescita, e

indicano mezzi che non sono affatto rassicuranti per il conseguimento dei risultati attesi che, se

anche si realizzassero, tra dieci anni registreranno, in assenza di modificazioni, divari piuttosto

consistenti rispetto ai target europei.

Più nello specifico, dal quadro programmatico emerge che con una manovra significativa, robusta,

prevista per due anni, nel 2014 dovremmo raggiungere il pareggio di bilancio, un avanzo primario

di cinque punti, una spesa per interessi di cinque punti e mezzo, un debito sceso al 112,8 per cento,

ossia sette punti in meno rispetto al dato del 2010. La manovra per ottenere questi risultati verrebbe

varata l'anno prossimo, riguarderebbe i due anni seguenti e sarebbe di quasi 40 miliardi di euro, per

l'esattezza di 39 miliardi di euro, corrispondenti a 2,5 punti di PIL. La pressione fiscale, però,

rimane a livelli altissimi, siamo sul tetto dell'Himalaya. Vi ricordate quando, in campagna elettorale,

rimproverate il fatto che noi avevamo una pressione fiscale alta? Avete portato e continuate a tenere

la pressione fiscale sul tetto dell'Himalaya, al 42,6 per cento nel 2010.

In considerazione di questo fatto, evidentemente, ad essere «manovrata» non può che essere la

spesa totale primaria destinata a ridursi di oltre quattro punti di PIL nel triennio 2011-2014, quasi

due punti all'anno in termini reali.

Alla riduzione della spesa come si arriverà? Si arriverà inevitabilmente attraverso un taglio degli

investimenti pubblici, che peraltro determina effetti distorsivi proprio sulla crescita del PIL, poiché

le infrastrutture costituiscono un importante fattore di competitività. Su questo punto si è soffermata

anche la Corte dei conti in sede di audizione e lo ha definito «l'indicatore più significativo del

divario tra enunciazioni programmatiche e realizzazioni» come a significare «la distanza tra il dire e

il fare». Sempre la Corte dei conti ha annotato che nello stesso Programma nazionale di riforma la

dotazione del piano di infrastrutture strategiche - che è allegata alla Decisione di finanza pubblica

2011-2013 - è pari a 233 miliardi di euro, di cui 113 miliardi per opere di intervento primario fino al

2013.

Ebbene, la Corte dei conti sostiene che, di questo ampio ammontare, le risorse assegnate a partire

dal 2008 sui progetti di legge obiettivo sono tuttora pari appena a 8,3 miliardi di euro, non ancora

distribuibili sulle singole annualità. Si tratta di 8 miliardi e io potrei dire 8 miserabili miliardi

rispetto ai 113 che erano stati individuati come prioritari fino al 2013 sul complessivo dei 233

miliardi.

Citando sempre la Corte dei conti come fonte autorevole, «Il Programma nazionale di riforma

appare uno specchio dei limiti, degli ostacoli e delle lentezze che si frappongono ad una effettiva e

duratura ripresa delle politiche di sviluppo in Italia». Ora, se andiamo a vedere gli effetti di queste

riforme, che dovrebbero favorire appunto la crescita, noi troviamo che l'effetto cumulato è stimato

essere pari a 1,8 punti di maggiore crescita del PIL nel 2015, salendo a 3,6 punti nel 2030. Nei

valori medi annui il massimo incremento addizionale viene raggiunto nel 2015 (0,4 punti) - ovvero

nulla, come ha detto l'onorevole La Malfa - per diminuire a 0,12 punti nel 2030.

Le riforme, che voi annunciate, sono riforme che producono dunque effetti nel lunghissimo periodo

e con intensità decrescente nel tempo. Il quadro complessivo, come si può notare, appare non

esaltante: stime di impulso sul PIL non ponderate con la valutazione degli effetti della manovra

pesantissima che è stata annunciata; sguardo rivolto prevalentemente all'indietro; penuria di

investimenti pubblici; insufficiente coinvolgimento dell'opinione pubblica e conseguente carenza di

un clima favorevole all'adozione di un più intenso processo di riforme economiche.

Vi sono poi ulteriori indicatori di riforme, che sono annunciati nei titoli. Mi soffermo solo

brevemente sulla riforma fiscale, che dovrebbe essere, come si dice, un ammodernamento del nostro

sistema fiscale. Noi suggeriamo sin d'ora di dare piena attuazione alla riforma fiscale, secondo le

linee della mozione del Partito Democratico a prima firma Bersani, già approvata il 22 dicembre

scorso dalla Camera, che consentirebbe di ottenere una maggiore efficienza, coerenza ed equità del

sistema e la promozione del lavoro, dell'impresa e dell'investimento produttivo.

Consideriamo i punti sul Meridione. Voi parlate di regia nazionale. «Regia» vuol dire coordinare e

stimolare, non sostituire. In attesa di vedere il programma concreto, raccomandiamo questo.

Per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo, nel 2020 la nostra distanza rispetto all'Europa

aumenterà, perché sarà pari all'1,53 per cento del PIL, rispetto al 3 per cento, mentre oggi la

distanza è solo di 0,8 punti.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Duilio.

LINO DUILIO. Vado a concludere, perché il mio tempo sta finendo. Volendo tracciare una sintesi

conclusiva, noi siamo molto perplessi su questi vostri documenti, perché siamo molto lontani

dall'elaborazione di quella bandiera piantata nella testa della gente, di cui ha parlato qualche

collega. Questo DEF non convince, non appassiona e rappresenta un'occasione persa, come ha

sostenuto l'ex Commissario dell'Unione europea, professore Mario Monti, in sede di audizione. È

un'occasione persa sia nel merito che nel metodo, per misure che sono eterogenee, poco coerenti,

slegate da una visione di insieme. Noi vi suggeriamo di prendere in considerazione il Programma

nazionale di riforma alternativo, che è stato elaborato dal Partito Democratico rispetto alle regole

europee.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Duilio.

LINO DUILIO. In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, guardando a questo decennio

perduto - se escludiamo i venti mesi di nostro Governo - noi potremmo snocciolare cifre a voi non

favorevoli, ricordare promesse non mantenute, rileggere programmi e riproporre letture che

intendevano combattere paure ed alimentare speranze.

Il bilancio non sarebbe di certo a voi favorevole e porterebbe alla conclusione, spiace dirlo, che per

il nostro Paese voi rappresentate la nostra malattia non la nostra terapia. Anche per questo, oltre che

per i contenuti dei documenti che ci avete presentato, abbiamo prodotto una risoluzione di

minoranza che va contro alla vostra risoluzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito

Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Milanese. Ne ha facoltà.

MARCO MARIO MILANESE. Signor Presidente, il Documento di economia e finanza 2011 che ci

apprestiamo a votare rappresenta la puntuale fotografia della nostra politica economica nazionale in

conformità degli accordi e degli impegni assunti in Europa. Si inserisce nelle azioni concordate

dunque in sede europea e, in particolare, nel Consiglio europeo che si è svolto a Bruxelles lo scorso

marzo e dove è stato approvato il Patto per l'Euro; un coordinamento dunque più stretto delle

politiche economiche per la competitività e la convergenza.

Il Patto è in sostanza un trattato nel trattato, destinato a modificare radicalmente la struttura

costituzionale europea. Il semestre europeo è il luogo comune per cominciare ad organizzare,

all'interno di un unico processo politico, indirizzi ed impegni comuni e coordinati, ed è in questa

logica che l'Italia si è impegnata in parallelo e in sincronia con gli altri Paesi dell'Unione europea a

confermare e a sviluppare la propria politica di bilancio ed economica, nonché a confermare e a

articolare tanto la documentazione politica nazionale quanto il processo politico in Parlamento e

con le parti sociali, a partire proprio dal Documento di economia e finanza 2011.

Secondo gli accordi il Documento è composto di tre parti: Programma di stabilità, Analisi e le

tendenze della finanza pubblica ed infine Programma nazionale di riforma. Dunque la stabilità e la

solidità della finanza pubblica sono essenziali tanto nel tempo presente quanto nel tempo a venire.

Non sono possibili sviluppo economico ed equilibrio politico e democratico senza stabilità e solidità

della finanza pubblica. Tale equilibrio si realizza tanto dal lato della finanza pubblica quanto da

quello della finanza privata. È stato per questo riconosciuto in Europa il principio secondo cui

l'equilibrio finanziario non è dato solo dalla finanza pubblica ma anche dalla finanza privata, come

il risparmio delle famiglie e la solidità delle banche. Da qui la posizione privilegiata del nostro

Paese; di qui il messaggio responsabile per il Paese è che non esistono i presupposti per una crescita

duratura ed equa senza stabilità del bilancio pubblico.

La crescita quindi non si può fare con i deficit pubblici. È questa l'impostazione della politica

italiana di finanza pubblica iniziata fin dal 2008 e ancora oggi proseguita. Su questa logica è

impostato il Programma di stabilità. Fondamentale, inoltre, il duplice impegno italiano di introdurre

nella Costituzione il vincolo della disciplina di bilancio, nonché di raggiungere entro il 2014 un

livello prossimo al pareggio di bilancio con riduzione anche del debito pubblico. Per perseguire tali

obiettivi bisogna attivare ulteriori motori di sviluppo che non rientrano nel perimetro della spesa

pubblica in deficit. Fondamentale dunque diventa il Programma nazionale di riforma.

Il Governo e questa maggioranza molto hanno già fatto. Basti ricordare le tre grandi riforme: quella

delle pensioni, approvata come una delle migliori in Europa, la scuola e le università, il federalismo

fiscale. Ancora molto comunque resta da fare. La riforma fiscale ed assistenziale che si dovrà

fondare su quattro principi fondamentali: progressività, neutralità, solidarietà e semplicità. La

questione meridionale posta come questione nazionale. Questo Governo e questa maggioranza

hanno la voglia e la forza di superare il gap, la divisione che esiste nel nostro Paese tra nord e sud.

Il nord senza il sud non cresce: è arrivato finalmente il momento di evitare che ci siano tanti falsi

paladini del sud che non vogliono che il sud riesca a camminare da solo senza assistenzialismo e

senza cattiva politica.

Per questo bisogna incentivare ed utilizzare al massimo e al meglio i fondi europei, con un'attenta

regia nazionale ma senza mortificare i territori e gli enti locali con le tante peculiarità diverse,

comunque, da regione a regione. Arrivare finalmente a una fiscalità di vantaggio, a infrastrutture di

collegamento, alle zone cosiddette a «burocrazia zero».

Per ciò che concerne il lavoro è previsto lo statuto del lavoro, testo unico contenente il riordino e la

semplificazione della materia. Fondamentale in questo caso è il contratto di apprendistato come

contratto di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. È previsto l'intervento nel settore delle

opere pubbliche, dell'edilizia privata, della ricerca e sviluppo, dell'agricoltura, del processo civile e

del turismo. Queste sono alcune delle priorità nell'economia politica di un piano che chiaramente

trova la sua estensione ed ampiezza su più anni. In definitiva, è stato ed è fondamentale aver

stabilizzato i conti pubblici. La politica del rigore che è stata intrapresa dal Governo e da questa

maggioranza è stata ed è fondamentale. A questa politica segue la politica dello sviluppo, senza mai

prescindere però da essa. Senza la prima non può esserci la seconda.

L'Italia ha detto: mai più lo sviluppo in deficit; mai più spendere con i soldi degli altri; mai più

spendere con i soldi degli italiani, ma soprattutto mai più spendere facendo debiti e ipotecando il

futuro dei nostri giovani: qualcuno in questa Aula ha pensato e lo ha fatto. Di certo questo qualcuno

non siede tra i banchi di questa maggioranza. Abbiamo diviso questo quadrante (rigore e sviluppo)

in due fasi. Dobbiamo concludere la prima fase per passare alla seconda. Il Governo e la

maggioranza hanno i fondamentali - e lo hanno ampiamente dimostrato - per fare il rigore e per fare

lo sviluppo. Questa maggioranza è solida per dare un futuro al nostro Paese. Per questo il Popolo

della libertà darà voto favorevole alla risoluzione di maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo

Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole

Beltrandi. Ne ha facoltà, per un minuto.

MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, vorrei esprimere il dispiacere per il fatto che la

maggioranza e il Governo abbiano perso l'occasione per sostenere una risoluzione a mia prima

firma, sottoscritta poi anche da colleghi di tanti gruppi politici, per far sì che i fondi che si sono

ottenuti dal risparmio procurato dall'allungamento dell'età pensionabile delle donne nella pubblica

amministrazione fossero usati per la non autosufficienza e per misure di conciliazione tra attività

lavorativa e vita familiare, a vantaggio delle donne.

Questo era previsto dalla legge. Questo fondo è stato depauperato delle proprie risorse e sarebbe

stato invece necessario reintegrarlo. Quindi, in questa occasione, nel segnalare appunto un

rammarico, dico anche che porteremo avanti questa battaglia (Applausi di deputati del gruppo

Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sono così concluse le dichiarazioni di voto.

(Votazione - Doc. LVII, n. 4)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante

procedimento elettronico.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Cicchitto,

Reguzzoni, e Sardelli n. 6-00080, accetta dal Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Onorevole Nannicini, onorevole Scilipoti, onorevole Della Vedova, onorevole Mondello, onorevole

Causi, onorevole Cesa... Dichiaro chiusa la votazione.Comunico il risultato della votazione:

Presenti 547

Votanti 546

Astenuti 1

Maggioranza 274

Hanno votato sì 283

Hanno votato no 263.

(La Camera approva - Vedi votazioni).

Sono così precluse tutte le altre risoluzioni presentate.

Secondo le intese intercorse, la trattazione dei restanti argomenti con votazione si intende rinviata

ad altra seduta. Dopo le comunicazioni del calendario dei lavori per il mese di maggio, e dopo

alcuni interventi sull'ordine dei lavori, si procederà pertanto allo svolgimento di interpellanze

urgenti.

 

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