A cura
dell’avv. Massimo Caravetta
La
sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
28 gennaio 2010, n. 1786, mutando il proprio “granitico”
orientamento, ha ritenuto che la natura dell’oggetto del
giudizio di opposizione a sanzione amministrativa è
quella di un giudizio sul rapporto, e non già di un
giudizio sull’atto amministrativo impugnato, con
conseguente cognizione piena del Giudice adito, seppure
nei limiti dei motivi di opposizione proposti in sede
giurisdizionale.
Da tale
premessa i giudizi di Piazza Cavour hanno ricavato i
seguenti corollari:
1. Che in
tema di ordinanza ingiunzione per l'irrogazione di
sanzioni amministrative - emessa in esito al ricorso
facoltativo al Prefetto, ai sensi dell'art. 204 del
d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ovvero a conclusione del
procedimento amministrativo ex art. 18 della legge 24
novembre 1981, n. 689 - la mancata audizione
dell'interessato che ne abbia fatto richiesta in sede
amministrativa non comporta la nullità del provvedimento,
in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il
rapporto e non l'atto, gli argomenti a proprio favore
che l'interessato avrebbe potuto sostenere in sede di
audizione dinanzi all'autorità amministrativa ben
possono essere prospettati in sede giurisdizionale;
2. Che
i vizi motivazionali dell'ordinanza ingiunzione in
ordine alle difese presentate dall'interessato in sede
amministrativa, non comportano la nullità del
provvedimento, e quindi l'insussistenza del
diritto di credito derivante dalla violazione commessa,
in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto
l'atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena
del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni
difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente
non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto
riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di
esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano
questioni di diritto che di fatto.
CIRCOLAZIONE STRADALE -
SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONE
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 28-01-2010, n.
1786 |
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI
UNITE CIVILI
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.
CARBONE Vincenzo - Primo Presidente
Dott.
ELEFANTE Antonino - Presidente di Sezione
Dott.
D'ALONZO Michele - Consigliere
Dott.
SETTIMJ Giovanni - Consigliere
Dott.
GOLDONI Umberto - rel. Consigliere
Dott.
SALME' Giuseppe - Consigliere
Dott.
NAPPI Aniello - Consigliere
Dott.
BUCCIANTE Ettore - Consigliere
Dott.
SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere
ha
pronunciato la seguente:
sentenza
sul
ricorso 31214/2005 proposto da:
UFFICIO
TERRITORIALE DEL GOVERNO - PREFETTURA DI REGGIO CALABRIA
((OMISSIS)) in persona del Prefetto pro tempore,
domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
-
ricorrente -
contro
M.A.A.;
- intimata
-
avverso la
sentenza n. 1009/2005 del GIUDICE DI PACE di REGGIO
CALABRIA, depositata il 25/07/2005;
udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/11/2009 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;
udito
l'Avvocato Alessandro MADDALO dell'Avvocatura Generale
dello Stato;
udito il
P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CENICCOLA Raffaele, che ha concluso che la questione
rimessa alle s.u. risulta nel senso che non vi è obbligo
di motivazione; nel merito rigetto del ricorso.
Fatto
Diritto
P.Q.M.
M.A.
proponeva ricorso al Prefetto avverso verbale di
accertamento di violazione al Codice della strada
consistente nel superamento della velocità massima
consentita ne tratto di strada ove l'infrazione era
stata rilevata.
Il
Prefetto, con ordinanza - ingiunzione del 2.12.2004,
rigettava il ricorso ed applicava la sanzione;
l'ingiunta proponeva quindi opposizione dinanzi al
Giudice di pace di Reggio Calabria che, con sentenza
depositata il 25.7.2005, la accoglieva, in ragione di un
ritenuto difetto di motivazione del provvedimento
prefettizio e regolava le spese.
Per la
cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due
motivi, il Prefetto di Reggio Calabria; l'intimata non
ha svolto attività difensiva.
La seconda
Sezione civile di questa Corte, ravvisata l'esistenza di
un contrasto relativamente alla rilevanza del vizio di
motivazione nell'ordinanza ingiunzione, ha rimesso
motivatamente gli atti al primo Presidente, che ha
fissato la trattazione della , presente controversia di
fronte a queste Sezioni unite.
Nell'ordinanza con cui ha rimesso gli atti al primo
Presidente, la seconda Sezione ha sostanzialmente posto
la questione se nel giudizio relativo ad opposizione a
sanzione amministrativa comminata per violazione al
Codice della strada, sia o meno illegittima, e quindi
passibile di conseguente annullamento da parte del
giudice, l'ordinanza ingiunzione che non indichi le
ragioni per cui l'Autorità amministrativa ha disatteso
le deduzioni difensive dell'interessato in sede di
ricorso amministrativo facoltativo.
Si è
rilevato al riguardo un contrasto tra la tesi secondo
cui l'ordinanza deve essere motivata in riferimento alla
sussistenza dell'infrazione e alla infondatezza dei
motivi addotti nel provvedimento amministrativo (cfr. in
tal senso Cass. 15.1.1999, n 391; 13.1.2005, n 519) ed
altra opinione (Cass. nn 911 del 1996; 4588 del 2001;
5891 del 2004) basata sul presupposto che oggetto del
giudizio di opposizione è il rapporto sanzionatorio e
non l'atto, e che il sindacato del giudice è esteso alla
validità sostanziale del provvedimento sanzionatorio
attraverso l'esame autonomo della ricorrenza dei
presupposti di fatto e di diritto della violazione;
conseguentemente, l'omessa, esplicita valutazione da
parte dell'autorità amministrativa delle difese del
trasgressore non integrerebbe una rilevante
illegittimità del procedimento amministrativo, in quanto
l'incolpato ben può far valere interamente le sue
ragioni mediante il ricorso giurisdizionale. Al riguardo
non sono mancate pronunce che, pur avendo presenti i
precedenti surricordati, hanno tentato una via
intermedia, ritenendo che l'eventuale nullità
dell'ordinanza ingiunzione conseguirebbe solo al mancato
esame in essa di motivi nuovi ed ulteriori rispetto a
quelli scaturenti dagli atti acquisiti e dalle
osservazioni fatte in sede di contestazione
dell'infrazione (cfr. SS.UU. 28.12.2007, n 27180).
Il vero
tema invece su cui deve concettualmente imperniarsi la
presente decisione è quello attinente alla natura
dell'oggetto del giudizio di opposizione; e ciò in
quanto ove si ritenesse che il rapporto sanzionatorio
costituisca la materia del contendere in tema di
opposizione, non potrebbe essere revocato in dubbio che
i vizi attinenti all'atto impugnato sarebbero
irrilevanti ai fini del decidere, essendo devoluta alla
cognizione piena del giudice dell'opposizione l'intero
rapporto conseguito alla contestazione della violazione,
cosa questa che consentirebbe di (ri)proporre al giudice
tutte le deduzioni difensive, comprese quelle (in
ipotesi) non esaminate in sede amministrativa.
La
principale obiezione sviluppata in relazione a tale
argomentazione consiste nella constatazione secondo cui
il ricorso amministrativo è stato introdotto per
deflazionare il ricorso al giudice, con la conseguenza
secondo cui se si nega rilevanza in sede giurisdizionale
al vizio di motivazione e agli altri eventuali vizi
dell'atto amministrativo, rispetto alle doglianze svolte
in quella sede ed al rispetto dell'iter procedurale ivi
previsto, nel giudizio di opposizione, tale intento
risulterebbe irrimediabilmente frustrato, sia per il
conseguente, ipotizzabile, atteggiamento della P. A. al
riguardo, che per quello del trasgressore che, non
soddisfatto della reiezione, in ipotesi non
adeguatamente motivata, del proprio ricorso, potrebbe
decidere per l'immediata proposizione del giudizio di
opposizione.
A tale
eventualità sarebbe peraltro agevole rispondere che il
riconoscimento in sede giudiziaria del vizio di una
ordinanza ingiunzione che non abbia compiutamente
motivato rispetto a tutte le deduzioni difensive svolte
in sede amministrative, potrebbe indurre il trasgressore
a tentare sempre la via giudiziaria facendo valere
l'illegittimità dell'ordinanza ingiunzione per vizio di
motivazione (preteso o reale che sia), provando a
richiedere una motivazione più dettagliata e ciò, a
prescindere dall'esito finale della fase
giurisdizionale, provocherebbe di per sè un sensibile
aumento del contenzioso con il risultato che un
meccanismo alternativo e deflattivo, quale il
facoltativo ricorso amministrativo potrebbe in concreto
fornire una occasione per l'allungamento dei tempi
processuali.
A tale
riguardo, non è inopportuno ricordare in questa sede e
con riferimento al profilo in esame, il principio della
ragionevole durata del processo di cui
all'art. 111 Cost.,
recepito da una giurisprudenza (Cass. nn 206 del 2008;
2376 del 2007, con molte altre di senso analogo) univoca
nell'affermare il contemperamento delle esigenze di
attuazione dell'ottica dell'abuso del processo e dei
principi costituzionalizzati del giusto processo.
Del resto,
in una prospettazione del genere suesposto, va
evidenziato ancora che le deduzioni proposte in sede
amministrativa, riproposte di fronte al giudice, non
perdono rilievo, ma assumono valenza sotto il diverso
profilo de difetto di motivazione su profili decisivi
della sentenza che decide il giudizio di opposizione e
possono, talvolta, assumere decisiva incidenza qualora
abbiano posto fondate questioni di diritto.
Al fine di
esplicitare i presupposti su cui si fonda il sistema
dell'irrogazioni delle sanzioni amministrative
conseguenti a violazioni del Codice della strada,
occorre precisare che l'Amministrazione ha il compito di
formare il titolo esecutivo onde provvedere alla
riscossione del credito e, quindi, il giudizio, pur
formalmente strutturato come opposizione ad un atto, ha
sostanzialmente ad oggetto il rapporto giuridico di
obbligazione sottostante.
Invero è
pacifico in giurisprudenza e dottrina che il giudizio è
solo introdotto dall'atto che ha irrogato la sanzione e
si svolge sul rapporto, cioè sul l'accertamento della
conformità della sanzione ai casi, alle forme e
all'entità previsti dalla legge, atteso che si fa valere
il diritto a non essere sottoposto a una prestazione
patrimoniale se non nei casi espressamente previsti
dalla legge stessa.
Corollario
di tale specificazione, oggettivamente inattaccabile, è
quello secondo cui l'atto in questione non soggiace alle
regole motivazionali nè al rigore del rispetto assoluto
dell'iter procedimentale che valgono per gli atti
amministrativi discrezionali e, comunque, di natura
provvedimentale.
Può essere
a questo punto utilmente rilevato che non v'ha luogo a
contrasto relativamente alla mancanza di elementi
distintivi rispetto a profilo che ne occupa, tra
l'ipotesi in cui l'ordinanza ingiunzione venga emessa
all'esito del procedimento di irrogazione della sanzione
(nei casi cioè in cui non è ammesso il pagamento in
forma ridotta, L. n 689 del 1981, ex art. 18) e quella
in cui risulti adottata a seguito del ricorso
amministrativo facoltativo avverso il verbale di
accertamento delle sanzioni (art. 204 C.d.S.).
Nè v'ha
contrasto sul dato secondo cui il giudizio è sul
rapporto e non sull'atto amministrativo, nè sulla
conclusione secondo cui la cognizione del giudice è
piena, seppure nei limiti dei motivi di opposizione
proposti in sede giurisdizionale : tanto consente di
affermare che il contrasto nei suoi termini attuali
risiede solo sul contenuto minimale della motivazione,
che, come si è già rilevato, è inteso in senso diverso
dai due filoni giurisprudenziali de quibus, escludendo
quello maggioritario che il minimum non contenga le
motivazioni rispetto alle argomentazioni difensive
svolte nella fase amministrativa.
Se,
quindi, è pacifico nella giurisprudenza, ed anche in
dottrina, che l'opposizione all'ordinanza ingiunzione è
strumento per portare la controversia nella sua
interezza di fronte al giudice siccome si tratta di un
giudizio solo su di un rapporto, soltanto introdotto da
un atto, con effetto devolutivo pieno, appare
ineludibile l'esigenza di evitare interpretazioni che
involgano i vizi solo formali dell'atto, e risultino da
tanto condizionate, più intensamente o meno, a seconda
dei profili che si vogliano assumere a parametro del
giudizio sull'atto, e conducano ad abuso del mezzo
processuale che potrebbe risultare ancorato unicamente
ai vizi dell'atto.
Se a tanto
si aggiunge la constatazione secondo cui la tutela del
presunto trasgressore, anche nel caso in cui l'ordinanza
ingiunzione opposta non abbia espressamente motivato
sulle deduzioni difensive svolte nella fase
amministrativa è comunque piena, atteso che ognuna delle
stesse deduzioni può essere proposta al giudice, deve
concludersi nel senso che il difetto di motivazione in
ordine alle predette deduzioni non sia funzionale
all'oggetto dell'accertamento e, quindi del giudizio,
anche in quanto il presunto trasgressore che impugni
direttamente il verbale, nei casi in cui sia ammesso il
pagamento in misura ridotta, e che non ha certo la
possibilità di presentare scritti difensivi, non è per
questo meno garantito.
E' stato
affermato con concisa, ma completa esposizione delle
ragioni che ne sono alla base, la tesi secondo cui nel
procedimento di opposizione a sanzione amministrativa
pecuniaria, il sindacato del giudice del merito si
estende alla validità sostanziale del provvedimento
impugnato attraverso un autonomo esame circa la
ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto della
infrazione contestata, essendo oggetto della opposizione
il rapporto sanzionatorio, con la conseguenza che nessun
rilievo assumono gli eventuali vizi del provvedimento
relativi all'omessa valutazione delle deduzioni
difensive dell'incolpato da parte dell'autorità
intimante, potendo, successivamente, l'eventuale
inadeguata valutazione da parte del giudice, rilevare
sotto il profilo di omesso esame di punti decisivi della
controversia (Cass. n 5891 del 2004).
Ricordate
le già esposte ragioni che contrastano adeguatamente la
tesi sostenuta dall'indirizzo giurisprudenziale più
legato alla incidenza dei vizi motivazionali
dell'ordinanza sull'esito della controversia, può
concludersi nel senso che la natura stessa del giudizio
impone una soluzione diversa.
Deve
pertanto, in applicazione dei suindicati concetti
affermarsi il principio secondo cui i vizi motivazionali
dell'ordinanza ingiunzione, non comportano la nullità
del provvedimento, e quindi l'insussistenza del diritto
di credito derivante dalla violazione commessa, in
quanto il giudizio susseguente investe il rapporto e non
l'atto e, quindi sussiste la cognizione piena del
giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni
difensive proposte in sede amministrativa e in ipotesi
non esaminate o non motivatamente respinte, se
riproposte nei motivi di opposizione e decidere su di
esse con pienezza di poteri sia che le stesse investano
questioni di diritto o questioni di fatto.
Dall'applicazione compiuta di tale principio emerge una
ulteriore conseguenza, che investe altri possibili vizi
dell'ordinanza ingiunzione, con riferimento all'iter
procedimentale, con precipuo riguardo alla mancata
audizione del trasgressore che ne abbia fatto richiesta.
Al
riguardo, la giurisprudenza di questa Corte appare
consolidata, con oscillazioni ora di scarso rilievo, nel
senso che la mancata audizione di chi ne abbia fatto
richiesta comporti la nullità dell'ordinanza ingiunzione
e quindi la sopravvenuta insussistenza della pretesa
patrimoniale conseguente alla trascrizione.
Se in
un'ottica quale quella affermatasi in relazione alla
funzionalità della osservanza delle regole, anche
procedimentali, relative all'atto amministrativo,
relativamente all'esito dell'opposizione, tale
conclusione aveva una valenza quanto meno sul piano
formale, basta riflettere al fatto che l'audizione è
preordinata all'esposizione di elementi favorevoli alla
propria tesi che l'interessato vuole far conoscere
all'Autorità preposta all'adozione dell'ordinanza, per
concludere che la tutela del trasgressore non è lesa dal
mancato uso di tale facoltà, atteso che quelle ragioni
potranno senza dubbio alcuno essere prospettate in sede
giurisdizionale.
Ne
consegue che anche tale vizio non può comportare l'annui
lamento dell'ordinanza ingiunzione, attesa la più volte
rilevata pienezza di cognizione che compete al giudice
del rapporto.
Il
principio generale suesposto vale quindi a superare il
preesistente contrasto, atteso che lo stesso sposta il
profilo argomentativo sul piano della natura
dell'oggetto del giudizio (sul rapporto e non sull'atto)
e supera le ragioni su cui le diverse tesi si erano
attestate.
Il ricorso
deve essere pertanto accolto, atteso che i due motivi in
cui lo stesso è articolato attengono allo stesso profilo
(irrilevanza della omessa od insufficiente motivazione
in ordine alle deduzioni difensive svolte in sede
amministrativa), sia pure sotto angolazioni diverse e
possono essere quindi esaminati congiuntamente;
tanto
comporta la cassazione della sentenza impugnata, con
rinvio ad altro giudice di pace di Reggio Calabria, che
provvederà, applicato il principio di diritto di cui
sopra, anche sulle spese del presente procedimento per
cassazione.
P.Q.M.
la Corte
accoglie il ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese,
ad altro Giudice di pace di Reggio Calabria.
Così
deciso in Roma, il 24 novembre 2009.
Depositato
in Cancelleria il 28 gennaio 2010
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