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Non è immediatamente esecutiva -la sentenza che modifica le condizioni della separazione-Cassazione civile , sez. I, sentenza 27.04.2011 n° 9373 a cura dell’avv. Massimo Caravetta

 

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I provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, non sono immediatamente esecutivi: occorre la clausola di esecutorietà.

E’ quanto statuito dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 27 aprile 2011, n. 9373.

La vicenda riguardava un ex marito che, obbligato a corrispondere l’ assegno mensile di mantenimento alla ex moglie ed ai figli, chiedeva con ricorso ex art. 710 c.p.c., la riduzione dell'importo dell'assegno, poi accordatagli dal Tribunale di La Spezia, con decreto 13-9-200. La signora notificava all’ex coniuge atto di precetto e successivamente, atto di pignoramento verso terzi. L’ex marito proponeva opposizione all'esecuzione, eccependo l'assenza di titolo esecutivo, ed il Tribunale accoglieva tale ricorso con sentenza 13-12-2006/29-01-2007, avverso la quale, la signora proponeva ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha evidenziato che la diversa evoluzione storico- normativa degli istituti della separazione e del divorzio ha comportato la regolamentazione dei due istituti in testi normativi differenti: se la separazione, è disciplinata dal codice civile (art. 150 ss. c.c.), nonché dal codice di rito (art. 706 s.s. c.p.c.), il divorzio è regolato dalla l. n. 898 del 1970.

Le numerose modifiche normative che si sono succedute negli anni, hanno dimostrato l’intenzione del legislatore di unificare le discipline processuali dei due istituti, per superare i problemi di coordinamento che di fatto permangono.

Inoltre, i Giudici di Piazza Cavour hanno spiegato che l’art. 23, L. n. 74/87, estende ai giudizi di separazione personale, "in quanto compatibili", le regole dell'art. 4, L. 898, concernenti la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l'art. 4, comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte riguardante i provvedimenti economici, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione precedente alla esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla l. n. 353 del 1990.

Da tale previsione restano esclusi sia la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nell'art. 9, l. n. 8/98, sia quella relativa ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione ex art. 710 c.p.c. Tali disposizioni richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 ss. c.p.c.), e di essa, dunque, anche la previsione dell'esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 744 c.p.c.).

Pertanto, le sentenze di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non sono immediatamente esecutive senza una espressa clausola di esecutorietà del provvedimento.

D’altra parte, di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, la non esecutività immediata delle sentenze relative alla materia familiare, appare del tutto inconsueta, per cui sarebbe auspicabile un intervento legislativo diretto a colmare tale discrepanza.

A tal riguardo, la Suprema Corte ha sottolineato la necessità di una risoluzione parlamentare, non trattandosi di una questione di legittimità costituzionale: in effetti i Giudici della Consulta non potrebbero che riportarsi alla decisione del legislatore di attribuire o meno ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, le forme e gli effetti di quelli in camera di consiglio.

In conclusione, nel caso in esame, non sussistendo una clausola di esecutorietà del provvedimento, questo non aveva efficacia di titolo esecutivo, e per tali ragioni, il ricorso è stato rigettato, in quanto infondato.

(fonte Altalex, 5 maggio 2011)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 18 gennaio – 27 aprile 2011, n. 9373

Svolgimento del processo

Tra R.F. e D.B., intervenne separazione consensuale omologata dal Tribunale di La Spezia in data 16-07-2003, ove si prevedeva la corresponsione da parte del D. di assegno mensile di mantenimento per la R. e per i figli minori.

Con ricorso ex art. 710 c.p.c., il D. chiedeva riduzione dell'importo dell'assegno. Il Tribunale di La Spezia, con decreto 13-9-2004, riduceva tale importo ad Euro 700,00 mensili.

In data 18/03/2005, la R. notificava al D. atto di precetto; successivamente, in data 29-09-2005, atto di pignoramento verso terzi, convenendo in giudizio davanti al Giudice dell'Esecuzione la Direzione Commissariato Marina Militare di La Spezia nonché il D.; il terzo rendeva la dichiarazione ex art. 547 c.p.c..

Il D. proponeva opposizione all'esecuzione, eccependo l'assenza di titolo esecutivo. Costituitosi regolarmente il contraddittorio, la R. chiedeva rigettarsi l'opposizione. Il Tribunale di La Spezia, in composizione monocratica, con sentenza 13-12-2006/29-01-2007, accoglieva l'opposizione, affermando l'inesistenza del titolo esecutivo.

Avverso la sentenza, non impugnabile ex art. 14 legge n. 52 del 2006, che ha riformato l'art. 616 c.p.c., la R. propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., sulla base di un unico, articolato motivo.

Non ha svolto attività difensiva la controparte.

Motivi della decisione

Con un unico motivo, la ricorrente lamenta violazione dell'art. 4, comma 14 L. 898/70 novellato, e 23 L. n.74/77. Afferma che, dal combinato disposto dei predetti articoli, deriverebbe l'efficacia immediata, senza necessità di una clausola di esecutorietà, del provvedimento di modifica delle condizioni di separazione, che dunque potrebbe valere come titolo esecutivo. La questione sollevata si inserisce nell'ampio e articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulle differenze e le consonanze - dei procedimenti di separazione e divorzio.

La differente genesi storica di separazione e divorzio ha determinato la previsione delle rispettive discipline in testi normativi differenti: la separazione, quanto agli aspetti sostanziali è disciplinata dal codice civile (art. 150 ss. c.c.), quanto agli aspetti processuali, dal codice di rito (art. 706 s.s. c.p.c.), mentre per il divorzio occorre riferirsi alla l. n. 898 del 1970. Le successive modifiche normative, la l. 151/75, riforma del diritto di famiglia, che ha riguardato gli aspetti sostanziali della separazione e le l. 436/1978 e 74/1987 sul divorzio, non hanno condotto all'individuazione di regole comuni (quanto mai utili dal punto di vista processuale) tra i due istituti, malgrado da più parti ciò venisse ampiamente auspicato, per superare problemi di coordinamento tra le due discipline. Va qui ricordato che l'art. 23 della richiamata L. 74/1987., prevede l'estensione alla separazione della normativa processuale di cui all'art. 4 L. 898, in quanto applicabile, e comunque fino all'entrata in vigore del nuovo codice di rito. I profili processuali della separazione personale sono stati parzialmente rinnovati con L. n. 51/2006 (di conversione del d.l.$,. 273/2005) e n. 80/2005 (di conversione del d.l. n. 35/2005, che ha pure novellato il testo dell'arte. L.898); a sua volta la l. n. 54/2006, più comunemente nota in relazione alla previsione dell'affidamento condiviso, ha inserito un ultimo comma all'art. 708 c.p.c. ed introdotto ex novo l'art. 709 ter c.p.c.: si tratta di previsioni espressamente dichiarate applicabili al giudizio di divorzio dall'art. 4 della predetta legge. Come si vede, una serie di modifiche molto numerose e "tormentate". Tuttavia, ancora una volta, nonostante la volontà, a tratti palese, dei legislatore di procedere verso un omogeneità delle due discipline (processuali), l'unificazione non si è completamente raggiunta, ed alcune differenze permangono.

In tutto questo variegato contesto, parte della dottrina ha affermato che è stato posta in essere quella riforma del codice di rito, indicata nel citato art. 23 L. 74/1987, quale termine finale per la sua operatività (e quindi per l'estensione alla separazione della disciplina del divorzio, in relazione agli aspetti privi di regolamentazione). Appare del tutto condivisibile la soluzione opposta, proprio per la mancanza di un organica revisione del codice di procedura civile.

L'art. 710 c.p.c. regola in pochi tratti la disciplina dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. A seguito della novella del 1988 (art. 1 L. 331/19885 si indicano esplicitamente per essi "le forme del procedimento in camera di consiglio", e dunque si richiamano gli artt. 737 e ss. c.p.c..

Il predetto art. 23 L. n. 74/87, da intendersi, come si è detto, ancora operante, estende ai giudizi di separazione personale, "in quanto compatibili", le regole dell'art. 4 L. 898, ove si disciplina la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l'art. 4 comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione anteriore alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla l. n.353 del 1990.

Rimangono peraltro estranei alla previsione tanto la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nell'art. 9 l. n. 8 98, quanto quella dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione di cui all'art. 710 c.p.c. Entrambi gli articoli richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 ss. c.p.c.), e di essa, dunque, anche la previsione dell'esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 744 c.p.c.).

È da ritenere dunque che i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non siano immediatamente esecutivi.

Certo di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, tale carattere appare una sorta di residuo affatto eccezionale, in una materia come quella familiare che richiede tempestività e snellezza operativa.

Difficile peraltro ipotizzare una questione di legittimità costituzionale al riguardo: i Giudici della Consulta non potrebbero che richiamare la scelta discrezionale del legislatore di attribuire ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, le forme di quelli in camera di consiglio. Toccherebbe dunque al legislatore intervenire, secondo i voti di gran parte della dottrina.

Nella specie, dunque, mancando una clausola di esecutorietà del provvedimento, questo non poteva valere come titolo esecutivo.

Il ricorso va rigettato, in quanto infondato.

Nulla sulle spese, non essendosi costituito l'intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

 

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