L'omissione
dell'avvertimento rivolto al debitore della possibilità
di richiedere la conversione, pur non comportando la
nullità dell'atto di pignoramento in sé considerato, non
può essere reputata priva di conseguenze sul corso della
procedura esecutiva; infatti, se è vero che
l'avvertimento in questione riproduce nell'atto di
pignoramento una norma già altrimenti operante nel
sistema quale è quella dell'art. 495 c.p.c., se dalla
mancanza del primo non si facesse derivare conseguenza
alcuna, essendo comunque indiscutibile l'applicabilità
di tale ultima previsione, si finirebbe per dare una
lettura sostanzialmente abrogativa di una formalità alla
quale, invece, il legislatore della riforma ha annesso
tanta importanza da farla assurgere ad elemento
necessario dell'atto di pignoramento. Piuttosto, proprio
prendendo le mosse dalle ragioni di tale novità
legislativa quali su evidenziate, si deve ritenere che,
ogniqualvolta il debitore non sia stato reso
espressamente edotto della facoltà riconosciutagli
dall'ordinamento di presentare istanza di conversione,
non possa essere disposta la vendita o l'assegnazione a
norma degli articoli 530, 552 e 569 e che, qualora
vengano ugualmente disposte, la relativa ordinanza dovrà
considerarsi viziata, quindi opponibile ai sensi
dell'art. 617 c.p.c., perché emessa in violazione
dell'interesse del debitore ad essere informato delle
modalità e del termine per avanzare un'utile istanza di
conversione. Ne segue che quando tale interesse del
debitore, pur non essendo stato garantito al momento
della notificazione dell'atto di pignoramento (perché
mancante dell'avvertimento ex art. 492, co. 3, c.p.c.),
sia comunque soddisfatto prima che venga disposta la
vendita o l'assegnazione (sia con altro atto fattogli
notificare dal creditore, che con un provvedimento del
giudice dell'esecuzione comunicato al debitore o
pronunciato in sua presenza in udienza), in modo che
egli sia messo in grado di avanzare tempestivamente
l'istanza di conversione, la procedura esecutiva può
regolarmente proseguire. (1-3)
(1) In tema di
pignoramento e mancata comunicazione degli atti
esecutivi, si veda
Cassazione civile, sez. III, sentenza 02.11.2010 n°
22279.
(2) Sul tema della donazione di beni pignorati, si veda
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 28.09.2009 n° 38099.
(3) In materia di opposizione ad atti esecutivi e
pignoramento, si veda
Cassazione civile, sez. III, sentenza 28.09.2009 n°
20733.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE
Sentenza 18 gennaio -
23 marzo 2011, n. 6662
(Presidente Filadoro -
Relatore Barreca)
Svolgimento del
processo
R.F. propose
opposizione agli atti esecutivi avverso diversi atti di
pignoramento presso terzi notificatigli ex art. 543
c.p.c. ad istanza di B.O. e S.D. Dedusse l'opponente
l'illegittimità dei pignoramenti perché eseguiti in
difetto della prescritta autorizzazione ex art. 545, co.
3, c.p.c. e perché gli atti erano mancanti
dell'avvertimento ex art. 492, co. 3, c.p.c. (nel testo
in vigore a far data dal 1 marzo 2006).
Il Tribunale di Lecce
- sezione distaccata di Maglie ha rigettato il primo
motivo di opposizione, ma ha accolto il secondo,
ritenendo che la previsione dell'art. 492, co. 3, c.p.c.
sia norma di portata generale applicabile anche all'atto
di pignoramento presso terzi e che il relativo
avvertimento sia elemento essenziale dell'atto
pignoramento, la cui mancanza ne comporti la nullità
insanabile. Ha perciò dichiarato la nullità dei
pignoramenti del 12 maggio 2006, condannando gli opposti
al pagamento delle spese di lite.
Avverso la sentenza
del Tribunale di Lecce - sezione distaccata di Maglie
propongono ricorso per cassazione B.O. e S.D. a mezzo di
tre motivi. Non si difende l'intimato R.F.
Motivi della decisione
1. Logicamente
preliminare è l'esame del secondo motivo di ricorso, col
quale i ricorrenti deducono violazione dell'art. 543
c.p.c. sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto
dal giudice di merito, questa norma non imporrebbe al
creditore di inserire nell'atto da notificarsi
personalmente al debitore l'avvertimento di cui all'art.
492, co. 3, c.p.c.. Più in particolare, secondo i
ricorrenti, il pignoramento presso terzi sarebbe un
procedimento "speciale" rispetto a quello "generale"
dell'espropriazione mobiliare presso il debitore e
quindi il richiamo che l'art. 543 c.p.c. fa all'art. 492
c.p.c. dovrebbe intendersi limitato all'ingiunzione al
debitore.
Il motivo è infondato.
L'art. 492 c.p.c. è
inserito nella sezione 2^ del capo 1^ del titolo Il del
codice di rito, che è dedicato all'”espropriazione
forzata in generale” e, coerentemente con tale sedes
materiae, contiene le norme che disciplinano in generale
l'esecuzione forzata per espropriazione, senza che la
relativa applicabilità dipenda dalla natura del bene
particolare del debitore che viene assoggettato al
vincolo finalizzato all'espropriazione. In tale contesto
normativo si colloca l'art. 492 c.p.c., il cui inciso
iniziale da espressamente conto della scelta del
legislatore di dettare una norma generale che, pur
facendo "salve le forme particolari previste nei capi
seguenti", individui, in primo luogo, il contenuto
essenziale dell'atto, correlato al suo effetto tipico in
qualunque forma di espropriazione: elemento essenziale è
l'ingiunzione al debitore, idonea ad imporre il vincolo
nascente dal pignoramento sull'oggetto di esso (bene
mobile o immobile oppure credito, che sia); si tratta
perciò di elemento indispensabile per ogni atto di
pignoramento, fatte salve comunque le ulteriori
formalità richieste da ciascuna delle "forme
particolari" dettate dagli artt. 518, 543 e 555 c.p.c.
che connotano la struttura del pignoramento (e lo
rendono efficace erga omnes), rispettivamente,
nell'espropriazione mobiliare presso il debitore,
nell'espropriazione presso terzi e nell'espropriazione
immobiliare.
Alla norma generale
originariamente dettata dal primo comma dell'art. 492
c.p.c. le leggi 14 maggio 2005 n. 80, modificata dalla
legge 28 dicembre 2005 n. 263, e, quindi, 24 febbraio
2006 n. 52 hanno aggiunto numerose altre disposizioni,
tra cui - per quel che rileva ai fini della presente
decisione - ai commi secondo e terzo, quelle relative ad
ulteriori elementi di contenuto del pignoramento:
l'invito rivolto al debitore ad effettuare presso la
cancelleria del giudice dell'esecuzione la dichiarazione
di residenza o l'elezione di domicilio in uno dei comuni
in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione
(con l'avvertimento che, in mancanza ovvero in caso di
irreperibilità presso la residenza dichiarata o il
domicilio eletto, le successive notifiche o
comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la
cancelleria dello stesso giudice) e l'avvertimento che
il debitore, ai sensi dell'art. 495 c.p.c., può chiedere
la conversione del pignoramento secondo le forme ed i
termini previsti da tale norma.
Orbene, sia la
collocazione che la lettera e la ratio di quest'ultima
previsione smentiscono l'assunto dei ricorrenti.
Quanto alla
collocazione, entrambi i due comma aggiunti
all'originaria previsione dell'art. 492, comma 1, c.p.c.
risentono della clausola di salvezza dell'inciso
iniziale di tale norma ed, essendo del tutto compatibili
con le "forme particolari" che il pignoramento può
assumere a seconda della natura del bene pignorato, sono
applicabili, in generale, a prescindere da quale sia,
nel caso singolo, tale forma particolare, essendo
l'invito e l'avvertimento di cui al comma secondo così
come l'avvertimento di cui al comma terzo elementi
comuni dell'atto di pignoramento, che verrà a
strutturarsi diversamente soltanto quanto agli altri
elementi richiesti dalla particolare forma di
espropriazione adottata caso per caso.
Come detto,
d'altronde, le formalità del comma secondo e terzo
dell'art. 492 c.p.c. sono del tutto compatibili con
quelle dettate dagli artt. 518, 543 e 555 c.p.c., alle
quali vengono così ad aggiungersi malgrado tutte e tre
queste norme - e ciò a conferma del fatto che non sia
possibile distinguere le forme del pignoramento ai fini
dell'applicazione del nuovo testo dell'art. 492 c.p.c.,
come pretenderebbero i ricorrenti - si limitino a
richiamare soltanto l'ingiunzione prevista dall'art. 492
c.p.c., secondo i rispettivi testi originari, che il
legislatore della riforma del 2005/2006 non ha inteso
modificare sul punto.
La lettera del terzo
comma dell'art. 492 c.p.c. conferma l'interpretazione di
cui sopra poiché, nel dettare il contenuto
dell'avvertimento al debitore, impone: di fare
riferimento al termine ultimo per chiedere la
conversione che è dato dall'autorizzazione alla vendita
o dall'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e
569", con ciò rendendo esplicita l'applicabilità della
disposizione ai pignoramenti relativi a tutte e tre le
forme di espropriazione. Si tratta del richiamo alla
norma dell'art. 495 c.p.c., della quale il terzo comma
dell'art. 492 c.p.c. riproduce sostanzialmente il
contenuto, rivelando così la ratio della previsione,
come correlata alla modificazione dell'art. 495 c.p.c.
attuata con la legge 14 maggio 2005 n. 80: a fronte,
infatti, della restrizione del termine utile per
richiedere la conversione (che prima della modifica era
fissato in qualsiasi momento anteriore alla vendita), il
legislatore della stessa riforma ha inteso preservare le
ragioni del debitore, facendo si che sin dal momento
della notificazione dell'atto di pignoramento siano a
questi rammentati i ristretti termini entro i quali può
avvalersi del beneficio della conversione. Anche tale
ratio legis, che è presupposto e conseguenza del dato
letterale, depone nel senso della generale applicabilità
della norma, così come istituto di carattere generale è
la conversione disciplinata dall'art. 495 c.p.c..
Conclusivamente, si
deve affermare che: in tema di espropriazione forzata,
l'avvertimento di cui all'art. 492, comma terzo, c.p.c.
è elemento che deve essere contenuto in ogni atto di
pignoramento, a prescindere dalla forma particolare che
esso debba rivestire in ragione della natura del bene
pignorato; ne consegue che esso deve essere contenuto
anche nell'atto notificato personalmente al debitore ai
sensi dell'art. 543 c.p.c..
2. Col primo motivo di
ricorso, i ricorrenti deducono violazione o falsa
applicazione degli artt. 543 e 492 c.p.c. in relazione
agli artt. 156 e 159 c.p.c., per avere il giudice di
merito ritenuto che l'avvertimento ai sensi dell'art.
492, comma terzo, c.p.c. sia elemento essenziale
dell'atto di pignoramento, la cui mancanza ne determina
la nullità insanabile. Sostengono i ricorrenti che
nessuna norma di legge prevederebbe che l'omissione
dell'avvertimento sia sanzionata da nullità; che non
sarebbe corretto equiparare l'avvertimento in parola
all'ingiunzione rivolta al debitore di astenersi dal
compiere atti di disposizione dei beni pignorati, che
invece è elemento essenziale dell'atto poiché individua
la finalità specifica dell'espropriazione; che pertanto
dovrebbe trovare applicazione la norma dell'art. 156,
co. 1, c.p.c.; che, anche a voler ammettere la nullità
dell'atto di pignoramento mancante dell'avvertimento,
questa dovrebbe comportare soltanto l'impossibilità per
il debitore di chiedere e per il giudice di disporre la
vendita o l'assegnazione, con la conseguenza che l'atto
di pignoramento, in applicazione dell'art. 159 c.p.c.,
non sarebbe integralmente colpito da nullità e potrebbe
essere integrato successivamente da parte del creditore
spontaneamente ovvero a seguito di ordine di
integrazione da parte del giudice.
Il motivo è fondato.
Nessuna delle
previsioni dei primi tre comma dell'art. 492 c.p.c. è
espressamente assistita dalla sanzione della nullità.
Tuttavia, quanto
all'ingiunzione di cui al primo comma, la giurisprudenza
di legittimità, seguendo una parte della dottrina,
ritiene che essa costituisca elemento essenziale del
pignoramento, tale, cioè, da essere indispensabile per
il raggiungimento dello scopo dell'atto (arg. ex art.
156, co. 2, c.p.c.), facendo conseguire alla relativa
omissione la sanzione della inesistenza (secondo
l'orientamento più rigoroso e più risalente, di cui è
espressione Cass. 21 giugno 1995, n. 7019) ovvero della
nullità, assoluta (quindi rilevabile in tutto il corso
del processo esecutivo, fatta salva l'applicazione
dell'art. 2929 c.c.: cfr. Cass. 10 marzo 1999, n. 2082)
o relativa (quindi rilevabile con l'opposizione ex art.
617 c.p.c. e nel termine ivi previsto: cfr. Cass. 23
gennaio 1998, n. 669, nonché, da ultimo, Cass. 30
gennaio 2009, n. 2473).
Non può certo
concludersi nei medesimi termini con riferimento ai
requisiti formali previsti dai commi secondo e terzo
dell'art. 492 c.p.c., poiché non si tratta di elementi
richiesti per la validità dell'atto ovvero per
consentire a questo di raggiungere lo scopo tipico
dell'imposizione del vincolo, ma dettati, il primo,
nell'interesse del creditore al più celere svolgimento
della procedura (ed, in parte, anche nell'interesse del
debitore a partecipare consapevolmente al processo
esecutivo); il secondo, come detto sopra, nell'interesse
del debitore ad attivarsi prontamente per la conversione
del pignoramento.
Allora, se deve
escludersi che in difetto di apposita previsione, le
conseguenze delle relative omissioni comportino la
nullità dell'atto (arg. ex art. 156, comma 1, c.p.c.),
deve anche ritenersi che esse siano diverse a seconda
che risultino omessi l'invito e l'avvertimento di cui al
secondo comma ovvero l'avvertimento di cui al terzo
comma.
L'omissione
dell'invito ovvero l'invito ad eleggere domicilio o a
dichiarare la residenza non seguito dall'avvertimento
delle conseguenze correlate all'inerzia del debitore
renderanno, al più, operante in toto l'ordinario regime
delle notificazioni e delle comunicazioni, che non
potranno essere fatte in cancelleria ma dovranno essere
fatte ai sensi degli artt. 136 e seg. c.p.c..
L'omissione
dell'avvertimento rivolto al debitore della possibilità
di richiedere la conversione, pur non comportando la
nullità dell'atto di pignoramento in sé considerato, non
può essere reputata priva di conseguenze sul corso della
procedura esecutiva; infatti, se è vero che
l'avvertimento in questione riproduce nell'atto di
pignoramento una norma già altrimenti operante nel
sistema quale è quella dell'art. 495 c.p.c., se dalla
mancanza del primo non si facesse derivare conseguenza
alcuna, essendo comunque indiscutibile l'applicabilità
di tale ultima previsione, si finirebbe per dare una
lettura sostanzialmente abrogativa di una formalità alla
quale, invece, il legislatore della riforma ha annesso
tanta importanza da farla assurgere ad elemento
necessario dell'atto di pignoramento. Piuttosto, proprio
prendendo le mosse dalle ragioni di tale novità
legislativa quali su evidenziate, si deve ritenere che,
ogniqualvolta il debitore non sia stato reso
espressamente edotto della facoltà riconosciutagli
dall'ordinamento di presentare istanza di conversione,
non possa essere disposta la vendita o l'assegnazione a
norma degli articoli 530, 552 e 569 e che, qualora
vengano ugualmente disposte, la relativa ordinanza dovrà
considerarsi viziata, quindi opponibile ai sensi
dell'art. 617 c.p.c., perché emessa in violazione
dell'interesse del debitore ad essere informato delle
modalità e del termine per avanzare un'utile istanza di
conversione. Ne segue che quando tale interesse del
debitore, pur non essendo stato garantito al momento
della notificazione dell'atto di pignoramento (perché
mancante dell'avvertimento ex art. 492, co. 3, c.p.c.),
sia comunque soddisfatto prima che venga disposta la
vendita o l'assegnazione (sia con altro atto fattogli
notificare dal creditore, che con un provvedimento del
giudice dell'esecuzione comunicato al debitore o
pronunciato in sua presenza in udienza), in modo che
egli sia messo in grado di avanzare tempestivamente
l'istanza di conversione, la procedura esecutiva può
regolarmente proseguire.
Può pertanto essere
enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di
espropriazione forzata, la mancanza dell'avvertimento di
cui all'art. 492, comma terzo, c.p.c. non determina la
nullità dell'atto di pignoramento, in quanto l'interesse
del debitore a venire informato delle modalità e del
termine per avanzare un'utile istanza di conversione può
essere soddisfatto altrimenti nel corso della procedura
esecutiva, purché prima che venga disposta la vendita o
l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569
c.p.c. In mancanza, il provvedimento che tale vendita o
assegnazione disponga è opponibile ai sensi e nei
termini dell'art. 617 c.p.c. “.
3. Poiché risulta che
gli atti di pignoramento notificati il 12 maggio 2006 ad
istanza di S.D. e B.O. nei confronti di R.F. non
contenevano l'avvertimento dell'art. 492, comma terzo,
c.p.c., ma, nel corso delle relative procedure
esecutive, poi riunite, i creditori hanno fatto istanza
di termine per provvedere all'integrazione dell'atto di
pignoramento, prima che fosse disposta l'assegnazione,
va cassata la sentenza del Tribunale di Lecce - sezione
distaccata di Maglie che ha dichiarato la nullità degli
atti di pignoramento. Decidendo nel merito, va rigettata
l'opposizione agli atti esecutivi proposta da R.F.
avverso gli atti di pignoramento a lui notificati il 12
maggio 2006 ad istanza di S.D. e B.O.
4. Resta assorbito il
terzo motivo di ricorso per cassazione, riguardante la
condanna degli opposti al pagamento delle spese del
giudizio dinanzi al Tribunale.
5. La novità delle
questioni trattate rende di giustizia la compensazione
delle spese del giudizio di merito e del presente
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il
secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza del
Tribunale di Lecce - sezione distaccata di Maglie
pubblicata il 18 dicembre 2007 e, decidendo nel merito,
rigetta l'opposizione agli atti esecutivi proposta da
R.F. avverso gli atti di pignoramento a lui notificati
ad istanza di S.D. e B.O. Compensa le spese del giudizio
di merito e del presente giudizio di cassazione.
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