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IL COMPUTO DELLE DISTANZE TRA EDIFICI È DETERMINATO DALL'ESISTENZA DELLE STRADE-Cassazione, sez. II, 19 gennaio 2012, n. 791-(Pres. Triola – Rel. Proto)

 

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Svolgimento del processo

 

Con citazione del 15/5/2000 G..G. conveniva in giudizio i 22 proprietari di un edificio antistante la villa di sua proprietà; assumeva che l'edificio era stato costruito alla distanza di metri 16,80 e, quindi, in violazione della distanza minima stabilita dall'art. 38 della legge della Provincia di Bolzano 11/8/1997 n. 13 e dall'art. 9 D.M. 1444/1968 che prescrivono una distanza minima dagli edifici esistenti ubicati fuori dalla zona di espansione pari all'altezza del più alto dei nuovi fabbricati (nel caso concreto mt. 21,14), salvo il caso di strada pubblica intermedia e (secondo l'attore) preesistente.

 

Ciò premesso chiedeva l'abbattimento della porzione illegittimamente edificata e la condanna al risarcimento dei danni.

 

I convenuti costituendosi eccepivano che l'edificio era stato costruito in conformità al piano di attuazione e all'art. 38 L.P. n. 13/1997 cit. che prevede una deroga alle distanze suddette in caso di presenza di strade pubbliche tra proprietà confinanti.

 

 

Il Tribunale di Bolzano con sentenza del 15/7/2003 rigettava la domanda attrice e il G. proponeva appello al quale resistevano i 22 convenuti.

 

La Corte di Appello di Trento con sentenza del 10/1/2005 rigettava l'appello rilevando:

 

- che il D.M. 1444/1968 (art. 9), invocato dall'appellante, non trovava applicazione perché la materia delle distanze era regolata dalla legge provinciale emanata in forza di potestà legislativa riservata e perché, comunque, l'art. 9 del citato D.M. non trovava applicazione nei rapporti tra privati;

 

- che il piano di attuazione della zona di espansione, approvato dalla Giunta Provinciale, sulla cui base era stata rilasciata la concessione edilizia era conforme alla legislazione provinciale e, in particolare all'art. 38 L.P. n. 13/1987 (che ribadiva precedente normativa) per il quale per le costruzioni in fregio a strade o piazze pubbliche le distanze dal confine di zona e dagli edifici prospicienti sono stabiliti nel piano di attuazione;

 

- che l'edificio era stato eretto in fregio a strada pubblica a confine di zona e che il piano di attuazione, in deroga alla norma che faceva corrispondere la distanza all'altezza, prevedeva una distanza di mt. 11,90 della nuova costruzione dal confine di zona, così che la nuova costruzione, distante mt. 16,80 dalla villa dell'attore, non violava le norme in materia di distanze, tenuto conto che la distanza superava ampiamente quella di dieci metri prevista in via generale dalle norme di attuazione;

 

- che la disposizione derogatoria rispetto al criterio della corrispondenza della distanza minima con l'altezza, era correttamente applicata perché non occorreva la preesistenza della strada rispetto alla costruzione;

 

G..G. propone ricorso fondato su tre motivi e deposita memoria.

 

Resistono con controricorso i condomini convenuti e depositano memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell'art. 9 D.M. 1444/1968 con riferimento all'art. 8 DPR 670/1972 censurando la sentenza di appello nella parte in cui esclude l'applicazione del predetto D.M. ritenendo che la materia delle distanze sarebbe disciplinata dalla legge provinciale.

 

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce nuovamente la violazione dell'articolo 9 citato quanto alla ritenuta non immediata applicabilità della norma ai rapporti tra privati.

 

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l'errata interpretazione dell'art.38 della legge provinciale n. 13 del 1997 da parte del giudice di appello perché ha ritenuto che la disposizione derogatoria (per la quale per le costruzioni in fregio a strade o piazze pubbliche le distanze dal confine di zona e dagli edifici prospicienti sono stabiliti nel piano di attuazione) non avrebbe potuto applicarsi in quanto la norma si riferirebbe solo all'ipotesi di strada già esistente e non semplicemente prevista nel piano di attuazione e sostiene che la norma derogatoria di cui alla legge provinciale, la porrebbe in contrasto con l'art. 41 quinquies L. 1150/1942.

 

4. I tre motivi, complessivamente considerati, si risolvono nell'unitaria censura in merito alla normativa applicabile e, individuata la normativa, nella censura (oggetto del terzo motivo) dell'interpretazione, sostenuta dal giudice di appello secondo la quale il piano di attuazione (che ha permesso il rilascio della concessione edilizia ad esso conforme) può derogare al criterio del rapporto tra distanza e altezza per costruzioni in fregio a strade o piazze pubbliche, anche se le piazze o strade pubbliche (in fregio alle quali dovrebbero trovarsi le nuove costruzioni) non sono già esistenti, ma ancora da costruire.

 

5. È preliminarmente opportuna una ricognizione del quadro normativo di riferimento.

 

In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968 essendo stato emanato su delega dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha efficacia di logge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e anche di distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi ai quali si sostituiscono per inserzione automatica; ne consegue che norme regolamentari contrastanti non possono essere applicate (Cass. S.U. 7/7/2011 n. 14953; Cass. S.U. i/7/1997 n. 5889). La legge provinciale non può porsi in contrasto con i principi generali dell'ordinamento e la disciplina sulle distanze tra fabbricati è materia inerente all'ordinamento civile e pertanto in ipotesi di contrasto la legge provinciale dovrebbe essere rimessa alla valutazione della Corte Costituzionale.

 

L'art.38 della legge provinciale di Bolzano n. 13 del 1997 disciplina il contenuto del piano di attuazione e al primo comma stabilisce che Le distanze degli edifici dai confini della zona e dagli edifici esistenti al di fuori della zona sono stabilite con piano di attuazione (cosi sostituito dall'art. art. 10 L.P. 2/7/2007 n. 3). Nel testo vigente all'epoca della sentenza impugnata (al quale quindi, ratione temporis doveva conformarsi il piano di attuazione) stabiliva che Le distanze dagli edifici esistenti al di fuori della zona non possono essere inferiori all'altezza dell'edificio più alto, salvo costruzioni in aderenza. Per costruzioni in fregio a strade o piazze pubbliche le distanze dal confine di zona e dagli edifici prospicienti o l'allineamento sono stabiliti nel piano di attuazione. L'ultimo comma dell'art. 9 del D.M. 1444/1968 prevede che qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

 

Appare dunque evidente che la stessa norma statale consente una deroga in riduzione rispetto alla regola che impone il rispetto di una distanza non inferiore all'altezza dell'edificio prospiciente; tale deroga è consentita se prevista in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo e unitario di una data zona del territorio in ciò ravvisandosi un interesse pubblico prevalente.

 

Al riguardo, infatti, questa Corte ha già avuto occasione di affermare il principio secondo il quale in tema di distanze nelle costruzioni, stante la sostanziale identità tra piano regolatore e programma di fabbricazione, già affermata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 23 del 1978, anche nei comuni dotati di regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione é legittimo adottare, in attuazione di quest'ultimo, strumenti più dettagliati volti a disciplinare l'attività urbanistico-edilizia in particolari zone del territorio comunale, secondo uniformi criteri planovolumetrici, organici e funzionali, adeguati alla specificità di singoli settori urbani; in tali casi, siffatti strumenti attuativi possono legittimamente derogare alle prescrizioni generali sulle distanze contenute nell'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (Cass. sez 2 7/1/2010 n. 56).

 

Norma derogatoria identica e con identica finalità è contenuta nella legge provinciale di Bolzano aggiornata nel 2007 che rinvia, per la distanza, alla disciplina contenuta nello strumento urbanistico attuativo e tale deve considerarsi il piano di attuazione che, ai sensi dell'art. 38 L.P., deve contenere, tra l'altro, la rappresentazione in scala non inferiore a 1:500 della situazione preesistente comprendente: la delimitazione della zona, l'utilizzazione preesistente, la planivolumetria degli edifici esistenti all'interno della zona e di quelli circostanti la zona. L'art. 38 L.P. nella previgente formulazione, per la quale si delegava al piano di attuazione la disciplina delle distanze solo per il caso di costruzioni in fregio a strade o piazze pubbliche, era ancor più restrittivo della più recente versione delimitando le ipotesi di derogabilità e, quindi, neppure tale norma entrava in conflitto con la norma statale.

 

6. Nella fattispecie e con riferimento alla censura di cui al terzo motivo di ricorso si verifica il caso di una strada pubblica prevista in un piano di attuazione; la mera previsione dell'apertura di una strada pubblica non sarebbe sufficiente a produrre una modificazione immediata del regime dei diritti immobiliari privati e ad esimere il proprietario dal rispetto delle distanze legali dovendo il regime derogatorio trovare giustificazione in un interesse pubblico prevalente, concreto e attuale e pertanto occorre la concreta destinazione del suolo a strada pubblica, (cfr. Cass. 25/11/1993 n. 11673).

 

Nella sentenza impugnata si afferma che la strada pubblica non deve preesistere alla costruzione dell'edificio perché sia applicabile il regime derogatorio quanto alle altezze. Tale conclusione merita parziale censura.

 

È pur vero che la preesistenza rispetto alla costruzione che si avvantaggia del regime derogatorio quanto alle altezze non risulta dalla normativa e non sarebbe neppure logica e coerente con la finalità pubblica una interpretazione nel senso sostenuto dal ricorrente, posto che, dovendosi procedere all'urbanizzazione di un territorio da edificare, non si vede per quale ragione si dovrebbero prendere in considerazione solo le strade pubbliche già esistenti.

 

Tuttavia, per il principio sopra richiamato (ossia la necessità della concreta destinazione del suolo a strada pubblica perché il regime derogatorio possa giustificarsi per un interesse pubblico) solo la concreta realizzazione della strada pubblica o, quanto meno l'inizio della sua realizzazione determinano la modifica del regime giuridico in tema di distanze sul territorio percorso dalla strada e pertanto non è sufficiente, per applicare il regime derogatorio quanto alle distanze, affermare che la strada non debba essere preesistente essendo invece necessario che la disciplina dell'attività urbanistico edilizia per la singola zona di intervento di cui al piano di attuazione, sia in concreto realizzata o in corso di realizzazione.

 

La normativa come sopra interpretata, deve essere applicata, quindi, non solo sulla base del principio della non necessità della preesistenza della strada rispetto alla costruzione, ma nel senso che la legittimità dell'edificazione, con riferimento all'altezza e al rispetto delle distanze stabilite del piano di attuazione è condizionata all'accertamento che la strada pubblica prevista dal piano di attuazione sia già stata realizzata o sia in corso di realizzazione al momento in cui il fabbricato è ultimato nelle sue componenti strutturali essenziali e tale principio di diritto è chiamato ad applicare il giudice del rinvio. Entro questi limiti e in applicazione dei suddetti principi il terzo motivo di ricorso deve essere accolto, con assorbimento degli altri motivi. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Trento che provvederà anche sulle spese di questo giudizio di Cassazione.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

La Corte accoglie nei limiti di cui in motivazione il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Trento

 

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