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IL LICENZIAMENTO INTIMATO DURANTE LA GRAVIDANZA E’ NULLO – Cass. 1089/2012 – “Matteo BARIZZA

 

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La sezione lavoro della Suprema Corte ribadisce un principio essenziale per il diritto del lavoro, ma forse non da tutti ancora condiviso, visto il caso sottoposto alla sua attenzione: la lavoratrice in stato di gravidanza non può essere licenziata e, se il provvedimento espulsivo, ciò malgrado, le viene intimato, esso è nullo.

 

Una commessa si era recata al Pronto Soccorso lamentando un improvviso malore. Diagnosticatole uno stato di gravidanza, ella provvedeva a dare pronta notizia al proprio datore di lavoro. Qualche giorno dopo, avvertendo un altro malore, la signora si recava nuovamente all’ospedale, avvisava dell’emergenza il datore di lavoro ed informava una collega chiedendone, altresì, la presenza in sua sostituzione al negozio. Diagnosticatole, questa volta, una minaccia di aborto, si assentava forzatamente dal lavoro, inviando il certificato medico alla società. Ciò malgrado, veniva licenziata per abbandono del posto di lavoro.

 

La Corte di Cassazione, nell’esaminare la singolare vicenda, ha acclarato come fosse certa, al momento dell'intimato licenziamento, la conoscenza da parte del datore di lavoro dello stato di gravidanza della dipendente, circostanza per la quale il licenziamento, intimato in periodo di gestazione e senza giusta causa, deve ritenersi nullo.

 

* * *

 

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 novembre 2011 - 26 gennaio 2012, n. 1089

Presidente Vidiri – Relatore Stile

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 7/12/05 G. Di D., premesso di essere stata alle dipendenze della M. M. s.r.l. dai 2/5/02 al 6/10/04 come commessa in un negozio, esponeva di essere stata costretta da un serio malore a recarsi il 3/10/04 al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Cosenza, ricevendo la diagnosi di probabile gravidanza allo stato iniziale.

Aggiungeva che il 5/10/04, mentre si trovava sul posto di lavoro, avvertendo dolori lancinanti al basso ventre con emorragia, telefonava al datore di lavoro e, nonostante segnalasse l'emergenza e la necessità di recarsi in ospedale. quest'ultimo le diceva di attendere.

Soggiungeva di avere successivamente chiamato sia il proprio marito, al fine di farsi accompagnare in ospedale, sia una collega di lavoro, tale S. L., al fine di richiederne la presenza in sua sostituzione al negozio.

Precisava, ancora, di essersi recata, dopo l'arrivo della collega, all' ospedale, dove le veniva diagnosticata una minaccia di aborto, con prescrizione di riposo assoluto per sci giorni: di avere trasmesso al datore di lavoro il certificato medico attestante lo stato di malattia, che veniva però rifiutato; di essersi vista recapitare lettera di licenziamento con decorrenza dal 6.10.05. che faceva riferimento ad un preteso abbandono del negozio senza avere previamente avvisato il datore di lavoro. affidandolo a persona estranea all'azienda.

Tanto esposto, evidenziato che il licenziamento le era stato intimato durante lo stato di gravidanza in violazione dell'art. 54 T.U. 151/2001 (art. 2 L. n. 1204/71), chiedeva al Tribunale di Cosenza che venisse dichiarata la nullità del licenziamento con condanna della società a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino all'effettiva reintegra - in ogni caso non inferiore alle cinque mensilità - oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; in via subordinata, chiedeva che fosse ordinata la propria riassunzione e disposta la condanna della controparte al pagamento dell'indennità ex art.8 L. n. 604/1966 nella misura massima.

Si costituiva la convenuta società, chiedendo il rigetto del ricorso e deducendo che la ricorrente aveva senza autorizzazione affidato il negozio a persona estranea, pur essendo stata autorizzata a chiuderlo e ad allontanarsi. Affermava la sussistenza di una giusta causa di licenziamento, contestando che la S. fosse una propria dipendente e di avere avuto conoscenza al momento del licenziamento dello stato di gravidanza della ricorrente. Ammessa ed espletata la prova testimoniale, l'adito Tribunale dichiarava la nullità del licenziamento, condannava la società resistente a ripristinare il rapporto di lavoro e a corrispondere alla ricorrente le retribuzioni maturate dal momento del licenziamento sino all'effettiva reintegra, oltre rivalutazione e interessi legali, e alla rifusione delle spese processuali.

Proponeva appello alla decisione la M. M. s.r.l. chiedendone la riforma ed il rigetto di tutte le proposte domande.

Si costituiva la Di D., resistendo al gravame, di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 23 ottobre-30 dicembre 2008 l'adita Corte d'appello di Catanzaro, ritenuto che la situazione di fatto, così come esposta dalla lavoratrice, risultava accertata e che pertanto corretta era stata la decisione del primo Giudice, rigettava il gravame.

Per la Cassazione di tale pronuncia ricorre la M. M. s.r.l. con tre motivi Resiste G. Di D. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo mezzo d'impugnazione la ricorrente società, denunciando omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c). lamenta che la Corte di Appello sarebbe incorsa nel dedotto vizio laddove, nonostante risultasse dimostrato mediante prova scritta (libro matricolare e misura camerale della società) e orale (testimonianze rese da S. P. e S. L.) che la signora G. C. -alla quale era stata attribuita la scelta della sostituta (L. S.) della Di D.- fosse completamente estranea alla società ricorrente, aveva affermalo che la C. era dipendente della società M. M., svolgendo la sua attività di commessa presso un altro negozio della società medesima.

Secondo la ricorrente quindi vi sarebbe omessa motivazione su tale dato controverso.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.), lamenta che la Corte d'appello sarebbe incorsa nel denunciato vizio in relazione alla scelta della sostituta (S. L.) della Di D. attribuita dalla Corte di merito alla C., commessa addetta al negozio Eredi M.; ciò in quanto in un "primo dictum" si afferma nella sentenza che tale scelta sarebbe imputabile a M. M. srl in quanto la C. era ritenuta sua dipendente, mentre in un "secondo dictum " si afferma che tale scelta sarebbe stata compiuta nell'ambito di non meglio precisate aziende facenti capo a M. L. -amministratrice di M. M. srl.

I due motivi, da trattarsi congiuntamente perché strettamente connessi, sono infondati.

Invero, la Corte territoriale, dopo avere opportunamente riprodotto gli addebiti contenuti nella lettera di licenziamento ("Lei ha abbandonato il posto di lavoro senza avvisare il datore di lavoro e per avere affidato a persona estranea il locale"), si è preoccupata, di verificare, in relazione a detti addebiti, la legittimità del licenziamento, riportandosi al materiale probatorio acquisito, ricostruendo gli avvenimenti, come segue.

Circa il primo addebito contestato, la Di D., avvertito il malore dipendente dal suo stato di gravidanza, lasciava il posto di lavoro, non senza, però, avere avvisato l’amministratrice, sig.ra M., tant'è che poco tempo dopo l'allontanamento dal negozio, lasciato affidato alla S., arrivarono "P. e la sig.ra M.", la quale chiedeva alla prima cosa fosse successo; circostanza, questa, sufficiente a dimostrare che sia lo S. sia la M. erano a conoscenza, e dunque erano stati avvisati, della necessità della Di D. di allontanarsi dal negozio. Sul secondo punto contestato -- "avere affidato il negozio a persona estranea all'azienda" la Corte territoriale ha acclarato che la ricorrente chiamò per telefono l'altro negozio facente capo alla stessa società, e che dopo poco tempo giunse la sig.ra S. prendendo in affidamento il negozio sino all'arrivo della amministratrice e dello S.. Secondo la stessa S., essa era una cliente abituale e trovandosi occasionalmente nel negozio venne mandata dalla C., altra dipendente della società, che era al lavoro in quel momento nel negozio, a sostituire temporaneamente la Di D..

Orbene, la Corte territoriale, sulla base di siffatta ricostruzione degli avvenimenti, ha coerentemente argomentato -replicando così alle obiezioni dell'appellante, reiterate in questa sede con i motivi di censura- come fosse irrilevante se la S. fosse solo una cliente o, invece, una collega della Di D. (e quindi evidentemente non denunciata come dipendente), essendo stato, in ogni caso, il negozio affidato, per iniziativa della Di D.. a persona che una dipendente della società (la C.) aveva mandato espressamente a rilevare la prima.

La Corte d'appello di Catanzaro, dunque, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato alla Di D., esaurientemente motivando in relazione ad entrambi i fatti addebitati ed in applicazione dell'art. 54, comma 2 e comma 5 d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151.

Quest’ultimo profilo è oggetto del terzo motivo di ricorso con cui si lamenta che la Corte territoriale abbia dichiaralo nullo il licenziamento in quanto "intimato in periodo di gestazione e senza giusta causa", ritenendo assolto l'onere di rendere edotto il datore di lavoro dello stato di gravidanza della lavoratrice attraverso la comunicazione di tale stato di gravidanza al datore di lavoro, prima del recesso, ad opera di persona che. lungi dall'essere un rappresentante o un dipendente qualificato del datore di lavoro, sia a quest'ultimo del tutto estranea.

Anche questo motivo è infondato.

Invero il Giudice a quo, per quanto attiene alla conoscenza dello stato di gravidanza della ricorrente da parte della M., ha osservato che la S. ne aveva reso edotti la M. e il figlio, quando giunsero al negozio, dopo che la Di D. era andata in Ospedale.

Pertanto, anche a prescindere dal fatto che la ricorrente avesse già avvisato alcuni giorni prima lo S. fora della probabile gravidanza e, comunque è il caso di aggiungere- dalla ricorrenza dell'oggettivo stato di gravidanza, era certo che al momento dell'intimato il licenziamento, la M. sapeva della condizione della Di D., per cui il licenziamento, intimato in periodo di gestazione e senza giusta causa, doveva ritenersi nullo, con le conseguenze stabilite dal Tribunale.

Non ravvisandosi nell’iter argomentativo adottato dalla Corte di Catanzaro le violazioni ed i vizi denunciati, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in € 20,00 oltre € 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA

 

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