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Protagonista della vicenda di oggi
è una bambina infraquattordicenne che riconosce come
“mostro “ lo zio, muovendo in seguito le medesime accuse
anche nei confronti del cugino.
Alle accuse di violenza sessuale,
la risposta è quella degli arresti domiciliari come
misura cautelare, fine ultimo quello di impedire che
l'uomo compia nuovamente il reato e che non modifichi il
quadro probatorio.
Su
questi punti sia il G.i.p che il Tribunale sono
concordi.
La vicenda giudiziaria, verte
integralmente sulle accuse della minorenne che chiama in
causa non solo lo zio bensì anche il cugino, importante
e fondamentale risulta la circostanza che la minore
“fosse già seguita per disturbi di carattere
psicologico, non essendo sufficiente un generico
riferimento agli esiti della consulenza tecnica disposta
dal PM sull’attendibilità della minore”
Per i giudici di piazza Cavour,
emerge “l' inadeguata valutazione degli elementi di
fatto - che porta a rimettere la questione al Tribunale
–, essendo plausibile anche la versione data dal
difensore dell’uomo, che, cioè, la bambina potrebbe
avere attribuito al cugino condotte su di lei tenute da
altri, oppure avrebbe potuto affermare il vero sul
cugino e mentire su quanto riferito a proposito dello
zio anche le ravvisate esigenze cautelari vanno rimesse
in discussione, soprattutto perché non è adeguatamente
motivata la prognosi di probabile estensione delle
condotte illecite anche ad altri minori e fuori di un
contesto domestico agevolante”.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15
novembre 2011 – 17 febbraio 2012, n. 6598
Presidente
Squassoni – Relatore Fiale
Fatto e diritto
Il Tribunale di Palermo --con ordinanza del 28.4.2011 -
rigettava l’istanza di riesame proposta avverso il
provvedimento 28.3.2011 con il quale il G.I.P. di quel
Tribunale aveva applicato a S. E. la misura cautelare
personale degli arresti domiciliari per il reato di cui
agli artt. 81 cpv., 609-bis e 609-ter cod.
pen. (violenza sessuale in danno della nipote G. S.
minore di anni 14).
Avverso
tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore dello S.
la quale ha eccepito violazione di legge e carenza di
motivazione in ordine:
-
alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, in quanto non sarebbe stata effettuata una
congrua disamina circa l'attendibilità delle
dichiarazioni accusatorie rese dalla ragazzina (la
quale, tra l'altro, aveva ritrattato le ulteriori accuse
di maltrattamenti inizialmente rivolte alla madre e al
fratello) e sarebbe stato omesso il doveroso confronto
di tali dichiarazioni con i contrari elementi di fatto
prospettati dall'indagato in sede di interrogatorio di
garanzia:
-
alle ravvisate esigenze cautelari delle quali
incongruamente sarebbe stata ravvisata l'attualità pure
a distanza di oltre due anni dagli ipotetici eventi
delittuosi ed in una situazione in cui la ragazzina era
già da tempo ospite in una casa protetta in Palermo, ben
lontano dalla città (Perugia) in cui viveva lo zio.
Il
ricorso merita di essere accolto nei limiti di seguito
specificati.
1.
In relazione alle doglianze riferite alla sussistenza
dei “gravi indizi di colpevolezza” (che il primo comma
dell’art. 273 c.p.p. pone quale condizione generale per
l’applicazione di misure cautelari personali), deve
rilevarsi che la minore ha affermato di avere subito
violenze sessuali da parte sia del cugino sia dello zio
E. (fratello del padre): quest’ultimo, in particolare,
tali violenze avrebbe perpetrato “nel letto, di notte,
mentre la nonna dormiva”.
L'indagato,
in occasione dell’interrogatorio di garanzia, ha
confermato che G. aveva trascorso gran parte della
propria infanzia a casa della nonna paterna a cagione
degli impegni dei genitori, ma ha dichiarato che non vi
era mai rimasta a dormire quando anche lui era presente.
Ha prospettato altresì che al narrato della ragazza non
potrebbe attribuirsi credibilità anche in considerazione
del fatto che nell'abitazione della nonna esisteva
un'unica camera da letto condivisa pure da un altro zio
di G. (anch’egli fratello di E.), al quale non sarebbero
potute sfuggire le pratiche sessuali asseritamente poste
in essere (non solo toccamenti ma anche penetrazioni
orali).
Rileva
il Collegio che, a fronte degli anzidetti elementi
fattuali, il Tribunale quanto al formulato giudizio di
credibilità delle accuse:
-
ha omesso di valutare in qualsiasi modo la circostanza
che G. fosse già seguita, per disturbi di carattere
psicologico, dal reparto di neuropsichiatria infantile
dell'ospedale di Palermo, limitandosi ad un generico
riferimento agli esiti della consulenza tecnica disposta
dal P.M. sull’attendibilità della minore.
-
non ha argomentato in ordine alle prospettazioni
difensive enunciate dall’indagato nell’interrogatorio di
garanzia.
-
Ha riconosciuto valenza di elemento di riscontro alle
risultanze della esperita consulenza ginecologica, che
ha evidenziato la rottura dell'imene di G. direttamente
ricollegandola ai rapporti sessuali asseritamente
intercorsi con il cugino.
-
ha apoditticamente concluso che “se la piccola G. ha
detto la verità sulle violenze subite dal cugino, non
v’è ragione alcuna per dubitare che altrettanto abbia
fatto allorquando ha ripetutamente riferito delle
violenze subite dallo zio”.
Deve
osservarsi al riguardo che il concetto di “gravità degli
indizi”, posto dal richiamato art. 273 c.p.p. - secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema -
postula un'obiettiva precisione dei singoli elementi
indizianti i quali, nel loro complesso devono consentire
di pervenire logicamente ad un giudizio che, senza
raggiungere il grado di certezza richiesto per
un’affermazione di condanna, sia di alta probabilità
dell'esistenza del reato e della sua attribuibilità
all'indagato.
Le
considerazioni del Tribunale, di cui si è dato conto
dianzi, non risultano coerenti con tale postulato,
evidenziandosi una inadeguata valutazione degli elementi
di fatto da cui li indizi sono stati desunti ed
apparendo meramente congetturale l'affermazione secondo
la quale l'avere detto la verità circa le violenze
subite dal cugino integrerebbe garanzia di veridicità
anche dei fatti illeciti attribuiti allo zio. I contorni
delle condotte tenute dal cugino e le eventuali
connessioni, anche temporali, con quelle ascritte allo
zio sono rimasti assolutamente imprecisati, sicché deve
ritenersi condivisibile l'obiezione della difesa secondo
la quale “la piccola potrebbe avere attribuito al cugino
condotte su di lei tenute da altri, oppure avrebbe
potuto affermare il vero sul cugino e mentire su quanto
riferito a proposito dello zio”.
2.
Anche le doglianze riferite alle ravvisate esigenze
cautelari meritano accoglimento. Tali esigenze sono
state individuate, secondo le previsioni di cui alle
lettere a) e c), dell'art. 274 c.p.p., in relazione alla
necessità di garantire l'acquisizione genuina delle
dichiarazioni rese dalla vittima sotto forma di
testimonianza; nonché all'elevata probabilità di
reiterazione di analoghe condotte criminose.
Nello
specifico, però:
-
quanto al prospettato pericolo di inquinamento
probatorio, la concretezza e l'attualità dello stesso
devono essere riguardate anche considerando la
circostanza che il GIP avrebbe già respinto una
richiesta, avanzata dal PM, di escutere la ragazza con
le forme dell'incidente probatorio;
-
l 'attualità del pericolo di reiterazione degli abusi è
stata affermata per la entità della condotta delittuosa,
considerata sintomatica della pericolosità, essendosi
testualmente dedotto che “l'estrema gravità delle
circostanziate accuse mosse allo S. ed il carattere di
periodicità degli abusi sessuali denotano l'assenza di
poteri d'inibizione e controllo delle pulsioni
istintive”.
La
gravità dell'azione criminosa, però, risulta correlata a
comportamenti rimasti imprecisati quanto alle modalità e
circostanze attuative, con particolare riferimento a
quel carattere di periodicità” da cui si è evinto che
l’indagato avrebbe una generale incapacità di controllo
dei propri impulsi sessuali: sicché deve ritenersi non
adeguatamente motivata la prognosi di probabile
estensione delle condotte illecite anche ad altri minori
e fuori di un contesto domestico agevolante.
3.
L'ordinanza impugnata conseguentemente deve essere
annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di
Palermo, che dovrà rimediare alle carenze argomentative
dianzi evidenziate.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla l'ordinanza
impugnala con rinvio al Tribunale di Palermo.
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