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Il reato di resistenza a pubblico
ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che
si concreta nelle percosse, e non già in quegli atti
che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni
personali.
Cassazione, sez. VI, 8 febbraio
2012, n. 4932
(Pres. Di Virginio – Rel. Garribba)
Motivi della decisione
p.1. Con sentenza del 3 febbraio
2010 la Corte d'appello di Genova confermava la condanna
inflitta a C.P. per i reati di resistenza a pubblico
ufficiale e lesioni personali lievissime, per essersi
opposto con pugni e calci agli agenti della polizia di
Stato che lo caricavano sull'autovettura di servizio
pere interrompere il litigio scoppiato tra lui e F.N.
all'interno di un esercizio pubblico.
Contro detta sentenza ricorre
l'imputato il quale denuncia mancanza e manifesta
illogicità della motivazione. Richiamate le
dichiarazioni proprie e della coimputata Ca.Si. secondo
cui egli sarebbe stato immotivatamente aggredito e
sbattuto a terra dai poliziotti, sostiene: che
mancherebbe la prova dell'elemento oggettivo e
soggettivo del reato di resistenza; che sussisterebbe la
scriminante di cui all'art. 4 d.lgs.lgt. n. 288/1944;
che il reato di lesioni personali sarebbe assorbito in
quello di resistenza; che la pena inflitta sarebbe
eccessiva e dovrebbe essere mitigata con la concessione
delle attenuanti generiche.
p.2. È principio pacifico che il
sindacato di legittimità sulla motivazione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il controllo demandato
alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà
del legislatore che da rilievo solamente al testo del
provvedimento impugnato, a riscontrare l'esistenza di un
apparato argomentativo che giustifichi le ragioni della
decisione senza incorrere in evidenti illogicità,
restando quindi preclusa la possibilità di verificare la
rispondenza delle cennate argomentazioni alle
acquisizioni processuali. Essendo dunque esclusa da tale
controllo l'interpretazione e la valutazione della
prova, non è consentito chiedere al giudice di
legittimità una rilettura degli atti e proporre una
nuova ricostruzione del fatto.
Il ricorso in esame, ponendo al
centro della prova le dichiarazioni dell'imputato e
della sua convivente (nonché coimputata), pretende di
offrire una ricostruzione della vicenda più credibile di
quella prospettata dai giudici di merito sulla base
delle testimonianze degli agenti della polizia di Stato
e, pertanto giunge all'opposta conclusione
dell'insussistenza del reato o, al più, della ricorrenza
dell'esimente di cui all'art. 4 d.lgs.lgt. n, 288/1944.
Per quanto appena detto sopra, gli enunciati motivi sono
diversi da quelli consentiti dalla legge e quindi devono
essere dichiarati inammissibili a norma dell'art. 606,
comma 3, cod.proc.pen..
Il motivo con cui il ricorrente
insiste sulla tesi dell'assorbimento del reato di
lesioni personali in quello di resistenza a pubblico
ufficiale è manifestamente infondato, perché
quest'ultimo delitto assorbe soltanto quel minimo di
violenza che si concreta nelle percosse, e non già in
quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa
di lesioni personali.
Infine, quanto alla pena inflitta,
la sentenza impugnata ne ha giustificato il lieve
discostamento dal minimo edittale con diniego delle
attenuanti generiche, valutando, in consonanza con i
criteri stabiliti dall'art. 133 cod.pen., la particolare
gravità del fatto e la negativa personalità del reo,
gravato da precedenti penali.
Il ricorso deve dunque essere
dichiarato inammissibile. Ne consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, ritenuta equa, di Euro mille alla cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di Euro mille
alla Cassa delle ammende.
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