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Il provvedimento commentato, emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 13.02.2012, riguarda un ordinario ricorso avverso il diniego di carta di soggiorno a favore del coniuge di un cittadino italiano, ciò che tuttavia lo rende ‘straordinario’ è che si tratta di un coniuge omosessuale regolarmente legato da un vincolo di matrimonio contratto in Spagna.

 

È bene rammentare che il familiare coniuge del cittadino italiano (o di altro Stato membro dell’Unione europea), dopo aver trascorso nel territorio dello Stato i primi tre mesi di soggiorno ‘informale’, è tenuto a richiedere la carta di soggiorno ai sensi dell’art. 10 d.lgs n. 30/2007 e, sino al momento in cui non ottenga detto titolo (avente valore costitutivo per l'esercizio dei diritti nell'Unione europea), la sua condizione di soggiornante regolare rimane disciplinata dalla legislazione nazionale, in forza della quale, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per coesione familiare (artt. 19, 2° co., lett. c, d.lgs n. 286/1998 e 28, d.lgs n. 394/1999), nonché ai fini della concessione e del mantenimento del titolo di soggiorno per coniugio, è imposta la sussistenza del requisito della convivenza effettiva il cui accertamento compete all’Amministrazione ed è soggetto al controllo del giudice (Cass. civ., sez. I, 23 luglio 2010, n. 17346).

 

Il ricongiungimento di un soggetto che si assume familiare di un cittadino italiano (od europeo) trova la sua regolamentazione nella disciplina del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 adottato in applicazione della direttiva 2004/38/CE.

 

Come risulta, dallo stesso art. 29, 1° co., d.lgs. n. 286/1998 (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dapprima con l’art. 23, 1° co., L. n. 189/2002 e successivamente con il d.lgs. n. 30/2007), la nozione di ‘familiare’ comprende: a) il coniuge; b) i figli minori; c) i figli maggiorenni non autosufficienti per ragioni di salute; d) i genitori a carico che non dispongano di adeguato sostegno familiare nel paese di origine e di provenienza.

 

Peraltro si ritiene di escludere dal novero dei ‘familiari’ i soggetti, dello stesso o di diverso sesso, conviventi o legati da una stabile relazione affettiva, oggetto di registrazione o di semplice attestazione. In tal senso appare costante l’orientamento della Corte Costituzionale che ha negato la possibilità di estendere attraverso un mero giudizio di equivalenza tra le due situazioni, la disciplina prevista per la famiglia legittima alla convivenza di fatto, richiamando l'affermazione secondo la quale ‘la convivenza more uxorio è un rapporto di fatto, privo di caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità dei diritti e dei doveri’ (sentenze n. 45 del 1980, n. 237 del 1986, n. 127 del 1997).

 

Tali disposizioni  trovano applicazione anche nei confronti dei familiari di cittadini italiani, per effetto dell’art. 23 del d.lgs. n. 30/2007. Tale norma deve intendersi quale espressione del divieto di ‘discriminazioni a rovescio’ (Corte Costituzionale, sent. 16.06.1995, n. 249; Corte Cost., sent. 30.12.1997, n. 443). In sostanza, la ratio dell'art. 23 del d.lgs n. 30/2007 è  quella di evitare che il familiare del cittadino comunitario goda di un trattamento più favorevole rispetto al familiare del cittadino italiano, con evidente pregiudizio anche per quest'ultimo, avendo in considerazione  che le relazioni familiari sono uno degli ambiti più rilevanti nei quali si esprime la personalità dell'individuo. Pertanto, è ormai consolidato il presupposto che il diritto all’ingresso e al soggiorno per ricongiungimento familiare del cittadino extracomunitario con il cittadino italiano è regolato esclusivamente dalla disciplina di derivazione comunitaria sulla libera circolazione, il d.lgs. n. 30/2007, appunto (Cass.ord. n. 25661/2010; sentenze n. 4868/2010 e 17346 /2010).

 

Fatta questa premessa, il giudice di Reggio Emilia respinge la motivazione principale del diniego opposto dal Ministero dell’Interno, secondo il quale il rilascio del titolo di soggiorno in Italia avrebbe implicato il riconoscimento di uno status di coniugio  ai componenti di una coppia omosessuale estraneo all’ordinamento italiano.

 

Secondo il giudice di Reggio Emilia, invece, oggetto di accertamento è esclusivamente il diritto del ricorrente ad ottenere un’autorizzazione al soggiorno in Italia ai sensi della normativa di derivazione comunitaria sulla libera circolazione in relazione, che deve essere interpretata in maniera coerente con il diritto fondamentale spettante a ciascuna persona a vivere liberamente una relazione di coppia, senza discriminazioni fondate sul suo orientamento sessuale,  quale parte integrante cioè del diritto al rispetto della propria vita personale e familiare riconosciuto anche a livello internazionale (Corte europea dei diritti dell’Uomo,  sentenza Schalk and Kopf v. Austria, 24 giugno 2010) e richiamato anche dalla nostra Corte Costituzionale nella  sentenza n. 138/2010.

 

Di conseguenza, il giudice di Reggio Emilia appare dunque sostenere una tesi per cui  la competenza esclusiva, lasciata impregiudicata, agli Stati membri in materia di stato civile, è materia distinta rispetto a quella della libertà di circolazione, di specifica competenza europea e, comunque, anche ammettendo che possano esservi margini di contatto, gli interessi in conflitto che ne possano derivare richiedono una composizione ed un punto di equilibrio che non può spingersi fino a negare il diritto fondamentale della persona omosessuale a vivere liberamente una condizione di coppia, in condizioni di uguaglianza con le coppie formate da coniugi eterosessuali che esercitano il diritto alla libera circolazione.

 

Di conseguenza, il giudice di Reggio Emilia ritiene che la definizione di “coniuge” contenuta nella direttiva europea n. 2004/38 senza alcuna ulteriore specificazione,  e riportata come tale nella normativa italiana di recepimento, non possa essere interpretata secondo la normativa dei paesi ospitanti (nello specifico quella italiana), così come invece espressamente previsto con riferimento ai ‘partner’  di ‘unioni registrate’ di cui all’art. 2, 1 co., lett. a) p. 2).

 

Ugualmente, il giudice di Reggio Emilia non ritiene che, nell’interpretazione ermeneutica della normativa europea, possa avere un valore decisivo la posizione comune  del Consiglio europeo n. 6/2004 , definita il 5/12/2003, nel corso dunque dei lavori preparatori della direttiva, secondo cui “per quanto concerne il matrimonio, il Consiglio era restio a optare per una definizione del termine “coniuge” facente specificatamente riferimento a coniugi dello stesso sesso [poiché] sinora solo due Stati membri hanno disposizioni legali per il matrimonio tra persone dello stesso sesso”. Il giudice rileva che, dal 2004, non solo si sono aggiunti nuovi Stati in cui l’istituto del matrimonio  civile è stato esteso anche alle coppie omosessuali (Spagna, Portogallo, Svezia), ma anche  gli organismi europei stessi non sembrano condividere più una tale impostazione restrittiva. L’art. 9 della Carta europea dei diritti fondamentali, in vigore dal 1 dicembre 2009, in quanto recepita dal Trattato europeo di Lisbona, ha individuato in capo ad ogni persona “il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”, utilizzando un’espressione diversa da quella contenuta nell’art. 12 della CEDU per cui non richiede più come requisito necessario per invocare la garanzia della norma medesima la diversità di sesso dei soggetti del rapporto. Le linee guida  emanate dalla Commissione europea per una migliore trasposizione della direttiva n. 2004/38 (COM 2009 - 313) sottolineano che “ai fini dell’applicazione della direttiva devono essere riconosciuti, in linea di principio, tutti i matrimoni contratti validamente in qualsiasi parte del mondo”, mentre vengono espressamente menzionate le sole eccezioni dei matrimoni forzati e dei matrimoni poligami. Ugualmente, il giudice ricorda che in quel documento, la Commissione ha ritenuto di dover sottolineare che “la direttiva deve essere applicata in conformità del principio di non discriminazione, sancito in particolare dall’art. 21 della Carta dell’Unione europea”, la quale come noto, dispone il divieto di discriminazioni fondate anche sull’orientamento sessuale. Ugualmente, la Commissione ha ricordato che “la direttiva deve essere interpretata e applicata in conformità dei diritti fondamentali e, in particolare, del diritto al rispetto della vita privata e familiare, del principio di non discriminazione,…così come garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) e da altri strumenti internazionali e ribaditi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

 

Da rilevare come il Giudice si riporti esplicitamente a quanto statuito nella sentenza n. 138/2010 della Corte costituzionale (sul punto B. Pezzini, A. Lorenzetti (a cura di), Unioni e matrimoni same-sex dopo la sentenza 138 del 2010: quali prospettive ?, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Bergamo, Jovene, Napoli, 2011) che, lungi dal riconoscere un equiparazione tra convivenza e status matrimoniale, costituisce un importante approdo nel lungo cammino volto all’affermazione e realizzazione del ‘diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia’ (sia essa etero o omosessuale).

 

In tal senso il riconoscimento del diritto di soggiornare nel territorio dello Stato per il coniuge dello stesso sesso di un cittadino italiano appare in linea con gli indirizzi giurisprudenziali che da tempo hanno riconosciuto a tale unione rilevanza in ambiti specifici (dal danno da morte del convivente alla sublocazione dell’immobile oltre al diritto ad astenersi dalla testimonianza).

 

Il giudice di Reggio Emilia ha quindi accolto il ricorso e ha annullato il provvedimento di diniego al rilascio della carta di soggiorno al cittadino uruguayano.

 

 Tratto dal sito www.asgi.it

 

 

 

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