Ambientediritto.it
In materia urbanistica, mai il
silenzio della pubblica amministrazione, al pari della
dichiarazione di conformità postuma emessa al di fuori
della previsione prevista dall'art.32 d.l. 30 settembre
2003, n.269, convertito con legge 24 novembre 2003,
n.326 o di quella prevista dal condono introdotto con la
legge 15 dicembre 2004, n.308, può attribuire carattere
di liceità postuma ad opere realizzate abusivamente
(Cass. Sez.3^, sentenza n.15053 del 13/4/2007, Bugelli;
Cass. sentenza n. 37318 del 10/10/2007, Carusotto e
altro); né, tanto meno, può sottrarre al giudice la
competenza esclusiva nell'accertamento dei reati
commessi
(dich. Inamm. il ricorso avverso
sentenza emessa in data 5 Gennaio 2011 dalla CORTE DI
APPELLO DI PALERMO) Pres. Fiale, Est. Marini, Ric.
Fiorentino
DIRITTO URBANISTICO - Natura
precaria di un intervento edilizio - Nozione.
La natura precaria di una
costruzione non dipende dalla natura dei materiali
adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma
dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare
e cioè alla stabilità dell'insediamento, indicativa
dell'impegno effettivo e durevole del territorio, con la
conseguenza che l'opera deve essere considerata
unitariamente e non nelle sue singole componenti (Cass.
Sez.3^, 7/02/2008, sentenza n.12428 Fioretti;
Cons.Stato, Sez.V, sentenza n.3321 del 15/06/2000). La
natura precaria di un intervento edilizio, dunque, non
coincide con la temporaneità della destinazione
soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve
ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale
dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo,
per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo,
con conseguente possibilità di successiva e sollecita
eliminazione (Cass. Sez.3^, sentenza 27/05/2004,
Polito).
(dich. Inamm. il ricorso avverso
sentenza emessa in data 5 Gennaio 2011 dalla CORTE DI
APPELLO DI PALERMO) Pres. Fiale, Est. Marini, Ric.
Fiorentino
DIRITTO URBANISTICO - Opere abusive
- Subordinazione della sospensione condizionale alla
rimozione delle opere e rimessione in pristino dei
luoghi- Poteri del giudice.
L'accertata realizzazione di opere
abusive, che contrastano con la disciplina urbanistica,
con quella sismica e con quella paesaggistica rende del
tutto legittima e, anzi doverosa, la disposizione
giudiziale che prevede la rimozione delle opere e la
rimessione in pristino dei luoghi, così come è
palesemente legittima la decisione dei giudici di merito
di subordinare la sospensione condizionale della pena
alla rimozione delle conseguenze dannose del reato
(pCass. Sez.3^, sentenza n.38071/2007).
(dich. Inamm. il ricorso avverso
sentenza emessa in data 5 Gennaio 2011 dalla CORTE DI
APPELLO DI PALERMO) Pres. Fiale, Est. Marini, Ric.
Fiorentino
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Aldo Fiale -
Presidente
Dott. Silvio Amoresano -
Consigliere
Dotta Guida Mulliri - Consigliere
Dott. Luigi Marini - Consigliere
Rel.
Dott. Giulio Sarno - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- Sul ricorso proposto da
FIORENTINO GIUSEPPE, nato a Palermo il 6 Maggio 1971
- Avverso la sentenza emessa in
data 5 Gennaio 2011 dalla CORTE DI APPELLO DI PALERMO,
che ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale
di Palermo in data 10 Novembre 2009 lo ha condannato
alla pena di venti giorni di arresto e 32.000,00 euro di
ammenda, pena sospesa. subordinatamente alla demolizione
delle opere abusive e alla rimessione in pristino dei
luoghi, in ordine al reato previsto dall'art.44, lett.c)
del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e ai reati contestati ai
capi d), e), limitatamente alla realizzazione di
strutture in metallo, e al capo f).
- Fatti accertati il 2 Marzo 2007
- Sentita la relazione effettuata
dal Consigliere LUIGI MARINI
- Udito il Pubblico Ministero nella
persona del CONS. NICOLA LETTIERI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
- Udito il Difensore, Avv. GIOVANNI
RIZZUTI, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RILEVA
Il Tribunale di Palermo con
sentenza in data 10 Novembre 2009 ha condannato il
Sig.Fiorentino alla pena di venti giorni di arresto e
32.000,00 euro di ammenda, pena sospesa subordinatamente
alla demolizione delle opere abusive e alla rimessione
in pristino dei luoghi, in ordine al reato previsto
dall'art.44, lett.c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380,
così specificata la rubrica, nonché ai reati contestati
ai capi d), e), limitatamente alla realizzazione di
strutture in metallo e di colonne, e al capo f); il
Tribunale ha, invece, assolto l'imputato dalle restanti
condotte contestate ai capi a), d) ed e) e dalle
condotte contestate ai capi b) e c) perché il fatto non
sussiste.
La Corte di Appello ha respinto i
motivi di impugnazione relativi al giudizio di
responsabilità, alla determinazione della pena e alla
subordinazione della sospensione condizionale alla
rimozione delle opere abusive.
In particolare, con riferimento al
giudizio di responsabilità la Corte; ha escluso che le
strutture metalliche e le colonne in muratura possano
definirsi opere precarie o di mera manutenzione e come
tali non richiedenti autorizzazione; ha escluso che la
presentazione di denuncia di attività per interventi
esclusivamente interni all'edificio possa avere rilievo
nel caso in esame; ha escluso che il mancato rispetto
delle prescrizioni in materia sismica non operi per
l'intervento in esame; ha escluso, infine, che l'entità
delle opere consenta di ritenere non violata la
disciplina volta alla tutela paesaggistica.
Avverso tale decisione il
Sig.Fiorentino propone ricorso tramite il Difensore, in
sintesi lamentando:
1. Errata applicazione di legge e
vizio di motivazione ex art.606, lett.b) ed e) c.p.p.
per avere i giudici di appello omesso di dare risposta
ai puntuali motivi di impugnazione e aderito
acriticamente all'impostazione della prima sentenza.
Erroneamente la Corte territoriale ha omesso di
considerare che l'intera struttura, comprese le colonne,
era in metallo e non in muratura, che il rivestimento in
marmo era fissato col solo mastice e che non vi era
certezza che esistesse una struttura in cemento armato;
analoga censura opera per le strutture in metallo poste
sul retro dell'immobile. I giudici di appello hanno,
poi, omesso di considerare che l'art.20 della legge
regionale n.4/2003 consente la "copertura di spazi
interni con strutture precarie" e di considerare che
l'art.46 della legge regionale n.17 del 2005 fissa il
principio del "silenzio assenso" in ordine alle istanze
in materia paesaggistica e di beni storici o artistici,
così che l'istanza presentata il 28 Novembre 2008 doveva
ritenersi accolta, giungendo poi ad una motivazione
apodittica quanto alla offensività delle opere rispetto
al bene paesaggio. Infine, del tutto carente la
motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato;
2. Errata applicazione di legge e
vizio di motivazione ex art.606, lett.b) ed e) c.p.p.
con riferimento al rigetto dei motivi relativi alla
concessione delle circostanze attenuanti generiche e
alla riduzione della pena;
3. Errata applicazione di legge e
vizio di motivazione ex art.606, lett.b) ed e) c.p.p.
con riferimento al mancato accoglimento dei motivi
relativi alla subordinazione della sospensione
condizionale della pena alla rimozione delle opere e
relativi alla revoca del'ordine di demolizione e
rimessione in pristino.
OSSERVA
1. L'articolato contenuto dei
motivi di ricorso, che.operano un significativo e
ripetuto richiamo a questioni di fatto, ha imposto alla
Corte di esaminare la ricostruzione operata dal
Tribunale al fine di verificare se le lamentate
violazioni di legge trovino un solido fondamento nella
natura e nelle caratteristiche delle opere.
Il Tribunale ha affrontato in modo
approfondito i profili di ricostruzione del fatto e di
rapporto fra la realtà fattuale e la disciplina
regionale. Osserva il Tribunale che la realizzazione di
strutture in muratura e di correlate strutture
metalliche dà luogo ad interventi che presentano
carattere di stabilità; osserva, poi, che una parte
degli interventi hanno condotto alla chiusura abusiva di
tettoie già esistenti, che così si trasformano in veri e
propri "volumi" rilevanti ai fini delle autorizzazioni
necessarie. Conclude il Tribunale che alcune opere
minori (rivestimenti, pavimenti, infissi) non assumono
rilievo penale, neppure sul piano della disciplina
antisismica, e devono essere oggetto di sentenza
assolutoria, così come occorre pronunciare assoluzione
per le violazioni concernenti le opere in cemento
armato, di cui non vi è prova; al contrario, sia i
volumi ricavati dalle tettoie sia i pilastri in muratura
e le strutture metalliche presentano caratteristiche non
riconducibili (vedi pag.3 della motivazione e seguenti)
tra le "opere precarie" che per l'art.20 della legge
regionale invocata dal ricorrente richiedono facilità di
rimozione e per tale ragione sono regolarizzabili anche
ex post" (comma quinto del citato art.20).
Cosi sintetizzato il percorso
motivazionale e l'accertamento operato dal Tribunale, è
possibile comprendere appieno le ragioni esposte dai
giudici di appello e dal ricorrente.
2. Quanto alle questioni
concernenti la natura delle opere, deve ricordarsi in
via generale che la giurisprudenza ha affermato che "la
natura precaria di una costruzione non dipende dalla
natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità
della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è
destinato a soddisfare e cioè alla stabilità
dell'insediamento, indicativa dell'impegno effettivo e
durevole del territorio", con la conseguenza che l'opera
"deve essere considerata unitariamente e non nelle sue
singole componenti" (Terza Sezione Penale, sentenza
n.12428 del 7 febbraio 2008, Fioretti; sentenza del 27
maggio 2004, Polito; Cons.Stato, Sez.V, sentenza n.3321
del 15 giugno 2000).
La natura precaria di un intervento
edilizio, dunque, non coincide "con la temporaneità
della destinazione soggettivamente data all'opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca
destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente
precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e
limitati nel tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione" (Sezione Terza
Penale, sentenza 27 maggio 2004, Polito).
3. Muovendo da questi principi che
discendono dalla disciplina nazionale, la Corte ritiene
che una corretta applicazione della invocata disciplina
regionale non possa che prendere le mosse dal testo del
citato art.20 e debba considerare che il dato è stato
correttamente valorizzato dal Tribunale e dalla Corte di
Appello nel momento in cui concentrano l'attenzione sul
requisito della agevole rimovibilità delle opere come
condizione indispensabile, ancorché non sufficiente,
perché le stesse possano essere definite "precarie".
4. Così escluso che i giudici di
merito siano incorsi nel vizio di errata applicazione
della legge, la Corte osserva che non può ravvisarsi
alcuna incoerenza o alcun difetto logico nel percorso
decisionale esposto dai giudici di merito allorché
concludono che la creazione di strutture metalliche
portanti, ancorate all'edificio e ricoperte di pannelli
in marmo, qualunque sia la modalità di fissaggio, nonché
recanti ulteriori strutture di soffittatura ad esse
ancorate, dà luogo a un'opera non dotata di carattere di
precarietà e comportante la necessità di permesso di
costruire.
Si tratta di valutazione di merito
che, in assenza dei richiamati vizi logici, è sottratta
alla sfera di controllo del giudice di legittimità. A
tale proposito la Corte ricorda come il nuovo testo
dell'art.606, lett. e) c.p.p., come modificato
dall'art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio
2006, n.46, non autorizzi affatto il ricorrente a
fondare la richiesta di annullamento della decisione di
merito sulla istanza di una nuova ricostruzione della
vicenda oggetto di giudizio. In conclusione, come
precisato dalla sentenza della Sezione Sesta Penale,
n.22256 del 2006, Bosco, rv 234148, resta "preclusa al
giudice di legittimità la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti".
5. Una volta escluso che la
sentenza impugnata meriti censura allorché esclude la
natura precaria delle opere, appare evidente la
manifesta infondatezza della restante parte del primo
motivo di ricorso che invoca il principio del "silenzio
assenso" sulla istanza proposta successivamente ai
fatti, posto che mai il silenzio della pubblica
amministrazione, al pari della dichiarazione di
conformità postuma emessa al di fuori della previsione
prevista dall'art.32 d.l. 30 settembre 2003, n.269,
convertito con legge 24 novembre 2003, n.326 o di quella
prevista dal condono introdotto con la legge 15 dicembre
2004, n.308, può attribuire carattere di liceità postuma
ad opere realizzate abusivamente stesso (sul punto si
rinvia a: Terza Sezione Penale, sentenza n.15053 del 23
gennaio- 13 aprile 2007, Bugelli, rv 236337; sentenza n.
37318 del 3 luglio-10 ottobre 2007, Carusotto e altro,
rv 237562); né, tanto meno, può sottrarre al giudice la
competenza esclusiva nell'accertamento dei reati
commessi; parimenti, si osserva, l'illiceità accertata
non viene meno per il fatto che (pag.2 della
motivazione) le parti metalliche della struttura abusiva
sono state rimosse in data 3 febbraio 2009.
La natura colposa del reato e le
caratteristiche delle opere realizzate rendono
manifestamente infondate e generiche, nei termini
previsti dagli artt.581, lett.c) e 591, lett.c) c.p.p.,
le censure mosse ancora col primo motivo avendo riguardo
all'elemento soggettivo del reato.
6. Infine, manifesta appare la
infondatezza dei motivi secondo e terzo. L'accertata
realizzazione di opere abusive, che contrastano con la
disciplina urbanistica (capo A), con quella sismica
(capi D ed E) e con quella paesaggistica (capo F) rende
del tutto legittima e, anzi doverosa, la disposizione
giudiziale che prevede la rimozione delle opere e la
rimessione in pristino dei luoghi, così come è
palesemente legittima la decisione dei giudici di merito
di subordinare la sospensione condizionale della pena
alla rimozione delle conseguenze dannose del reato (per
tutte, Terza Sezione Penale, sentenza n.38071 del 2007,
rv 237825), non potendo assumere alcuna rilevanza
rispetto alla decisione dei giudici di appello il
documento datato dicembre 2011 che la Difesa ha inteso
produrre e che, come emerge dal suo contenuto, consiste
in una risposta interlocutoria e in una valutazione del
tutto provvisoria del competente servizio regionale. A
ciò consegue che nessuna censura può essere mossa alla
sentenza impugnata e in sede esecutiva potrà farsi luogo
all'esame di eventuali situazioni di non compatibilità
fra le disposizioni contenute in sentenza e le decisioni
che la pubblica amministrazione avrà nel frattempo
assunto.
Sulla base delle considerazioni fin
qui svolte il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile. con conseguente onere per il ricorrente,
ai sensi dell'art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza
della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere
che il ricorso sia stato presentato senza "versare in
colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la
somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00
in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, nonché al versamento della somma di
Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Cosi deciso in Roma il 20 Dicembre
2011 |