Persona e danno.it
Le Sezione Unite si occupano di
deontologia professionale degli avvocati e, con una
sentenza del 17 Gennaio 2012, indicano come sia
contrario ai doveri di lealtà, correttezza e colleganza
la condotta dell'avvocato "avversario" che induca,
volontariamente, il collega in errore tacendo su un
fatto decisivo o, peggio, dichiarando il falso.
In questo caso l'avvocato, poi
punito dal collegio nazionale forense, aveva millantato
l'esistenza di denaro in 3 libretti al portatore che
costituivano il credito litigioso ed erano vincolati
all'esito della causa o della transazione. La difesa
dell'avvocato "bugiardo" si era arroccata sulla
posizione che il diritto di difesa dell'assistito deve
superare il valore della colleganza e che non c'è
nessuno obbligo di essere completo nelle allegazioni, nè
di avvantagiare la controparte: "ciò che è
processualmente lecito non può essere deontologicamente
scorretto".
Ma la Cassazione, ripetiamo a
Sezioni Unite, ritiene tale censura non accoglibile
perchè l'avvocato improbo aveva utilizzato il collega
come strumento del suo disegno dilatorio ritardando la
realizzazione del diritto. Le norme del codice
deonotlogico non sono norme meramente integrative dei
precetti normativi processuali, possono anche ispirarsi
a concetti "diffusi e concettualmente compresi nella
collettività".
LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f.
-
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente Sezione -
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -
Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - rel. Consigliere -
ha
pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 16203-2011 proposto da:
G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e
difesa da
sè
medesima;
-
ricorrente -
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI
CASSAZIONE,
CONSIGLIO
DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VICENZA;
-
intimati -
avverso la decisione n. 64/2011 del CONSIGLIO NAZIONALE
FORENSE,
depositata il 21/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza
del
15/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN
GIORGIO;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.
CENICCOLA
Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
1. - Con decisione
depositata il 1 aprile 2009, il Consiglio dell'Ordine
degli Avvocati di
Vicenza irrogò la
sanzione della censura all'avv. G.M. per essere venuta
meno al
dovere di
correttezza, lealtà e colleganza, inducendo
nell'avvocato D.N.M.,
rappresentante della
controparte in una controversia successoria, l'erroneo
convincimento che i
tre libretti al portatore recanti somme che
rappresentavano il
credito litigioso ed
erano vincolati all'esito della causa o della
transazione fossero nella
sua disponibilità,
senza mai smentire la circostanza e giustificando di
volta in volta la
mancata restituzione
con i più svariati argomenti, ed in tal modo impedendo
all'avv.
D.N. di attivarsi per
il recupero della somma. L'avv. G. impugnò la decisione
sulla
base di tre motivi.
2. - Il Consiglio
Nazionale Forense, con decisione depositata il 21 aprile
2011, ha
rigettato il gravame,
osservando che dalla documentazione acquisita, e, in
particolare,
dalle cinque missive
inviate dall'avv. G. al collega D.N., emergeva la
esattezza della
valutazione del CO.A.:
da esse, infatti, risultavano le diverse giustificazioni
via via
addotte per la
mancata restituzione dei libretti, in nessun caso
attinenti alla vera
ragione, e cioè la
mancata disponibilità degli stessi, mentre per la prima
volta solo
nella memoria
difensiva presentata al CO.A., che le aveva contestato
la mancata
messa a disposizione
del collega dei libretti, cinque mesi dopo l'inizio
della citata
corrispondenza, era
stata affermata tale circostanza. Il comportamento
dell'avv. G.,
determinato dalla
volontà di indurre il collega in errore al fine di
guadagnare tempo
per studiare la
propria strategia processuale e ritardare la
realizzazione de diritto della
controparte, non era
giustificabile alla luce dello scopo della difesa degli
interessi del
cliente.
3. - Per la
cassazione di tale decisione ricorre l'avv. G. sulla
base di quattro motivi.
DIRITTO
MOTIVI DELLA
DECISIONE
1. - Con il primo
motivo di ricorso si lamenta la violazione dell'art. 56,
in relazione al
R.D.L. 27 novembre
1933, n. 1578, art. 38, nonchè dell'art. 22 del codice
deontologico forense,
del principio di ragionevolezza nell'ipotesi di illecito
disciplinare
ascritto
all'incolpato, violazione degli artt. 622, 380 e 381
c.p., art. 88 c.p.c., e artt. 7,
8, 9, 12, 36 e 40 del
citato codice deontologico, e sviamento di potere R.D.L.
n. 1578
del
1933, ex art. 56 e art. 3 Cost..
Sarebbe affetta da
irragionevolezza la sussunzione
dello specifico
comportamento contestato alla ricorrente nel precetto
generale di cui al
R.D.L. n. 1578 del
1933, art. 38, che fa divieto di commettere fatti non
conformi al
decoro e alla dignità
professionale. Si osserva al riguardo che rientra tra i
doveri del
difensore quello di
non compiere atti che possono recare danno al proprio
assistito: il
diritto di difesa
prevale sul rapporto di colleganza. Nè è rinvenibile
nella disciplina del
processo civile un
obbligo per la parte e per il suo difensore di essere
completo nelle
allegazioni nè di
avvantaggiare la controparte, salva la ricorrenza del
dolo revocatorio:
e ciò che è
processualmente lecito non può essere deontologicamente
scorretto.
2.1. - La censura non
merita accoglimento.
2.2. - Posto che le
previsioni del codice deontologico forense hanno la
natura di fonte
meramente integrativa
dei precetti normativi e possono ispirarsi
legittimamente a
concetti diffusi e
generalmente compresi dalla collettività, il Consiglio
Nazionale
Forense non è
vincolato alla definizione dell'illecito quale
scaturisce dal testo delle
disposizioni del
codice deontologico forense, essendo libero di
individuare l'esatta
configurazione della
violazione tanto in clausole generali richiamanti il
dovere di
astensione da
contegni lesivi del decoro e della dignità
professionale, quanto in
diverse norme
deontologiche, o anche di ravvisare un fatto
disciplinarmente rilevante
in condotte atipiche
non previste da dette norme (v., sul punto, Cass., S.U.,
sentt.
13/6/2011, n. 12903;
7/7/2009, n. 15852).
2.3. - Nella specie,
il C.N.F. ha motivatamente ritenuto che, nella specie,
l'avv. G.
abbia manifestato la
volontà di indurre il collega in errore con l'omissione
voluta di
una circostanza
decisiva, quale la detenzione dei libretti in capo ad
altri, e che ciò
abbia costituisca
comportamento strumentale per ritardare la realizzazione
del diritto
altrui facendo
divenire il collega di controparte strumento
inconsapevole della
realizzazione del suo
disegno dilatorio, ed ha ritenuto che tale
comportamento, per la
sua ambiguità,
costituisca violazione di quei doveri di correttezza,
lealtà e colleganza
che sono ricompresi
nel più ampio precetto di cui al R.D.L. n. 1578 del
1933, art. 38,
comma 1, e
specificamente disciplinati dagli artt. 6 e 22 del
codice deontologico.
3. - Con il secondo
motivo si deduce la omessa e insufficiente motivazione
su fatto
controverso decisivo.
La decisione del C.N.F. prescinde totalmente da fatti
decisivi
prospettati
dall'attuale ricorrente, e, in particolare, dal fatto
che la sentenza in
relazione alla quale
l'avv. D.N. pretendeva i libretti per l'incasso atteneva
a domanda
preliminare di
riduzione per lesione di legittima e alla domanda di
divisione di asse
ereditario costituito
da somma di danaro depositata in banca e rappresentata
da tre
libretti cointestati
ai due eredi e vincolati all'esito del giudizio o
transazione. Detta
decisione era una
sentenza parziale relativa alla prima fase
dell'accertamento
preliminare del
contenuto del diritto del legittimario leso, cliente
della ricorrente, e
fino al momento della
formazione del giudicato su di essa non si sarebbe
potuto
procedere alla fase
della formazione delle quote nè a quella successiva
dell'attribuzione
delle stesse. Tali temi, che non sorreggevano, secondo
la ricorrente,
l'asserita doverosità
di comunicare il luogo di conservazione dei libretti per
consentire
alla controparte di
procedere esecutivamente, erano stati inutilmente
rappresentati al
CO.A. e,
successivamente, al C.N.F., che, però, non li ha
considerati. Mancherebbero,
comunque, nella
decisione impugnata i requisiti strutturali
dell'argomentazione.
4.1. - Anche tale
censura è infondata.
4.2. - Risulta,
invero, inconferente il richiamo alla natura del
giudizio divisorio ed alla
fase in cui si
colloca in esso la sentenza in relazione alla quale
l'avv. D.N. chiedeva i
libretti per
l'incasso, atteso che la contestazione mossa alla
attuale ricorrente era
quella di un
comportamento integrante un non lineare percorso
difensivo, essendo le
giustificazioni
addotte a motivazione della indisponibilità ad un
incontro finalizzate alla
realizzazione del
complessivo disegno volto a far permanere una situazione
di
ambiguità che
inducesse il legale di controparte a confidare nella
possibilità di
raggiungere una
definizione stragiudiziale della controversia.
5. - Con la terza
doglianza si deduce error in procedendo, violazione
dell'art. 112
c.p.c., violazione
della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nullità
della sentenza.
La decisione
impugnata omette - si osserva nel ricorso - di
pronunciarsi sulla terza
censura, relativa
alla errata determinazione dell'entità dell'offesa
all'etica forense ed
alla inadeguatezza
della sanzione irrogata. Il C.N.F. avrebbe errato nei
non delibare la
proporzionalità della
sanzione con riferimenti al caso concreto.
6. - Il motivo è
infondato, sol che si consideri che la decisione del
C.N.F. si sofferma
specificamente sul
punto della adeguatezza della sanzione irrogata,
considerando
equa quella della
censura, avuto riguardo alla condotta ambigua e
contraddittoria
dell'incolpata, tra
l'altro protratta nel tempo e dettata da un preciso
disegno dilatorio.
7. - Con il quarto
motivo, si lamenta la violazione del R.D.L. n. 1578 del
1933, art. 56
in relazione all'art.
132 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione dell'art. 111
Cost., per la
motivazione
carente/inesistente con conseguente nullità della
pronuncia per difetto di
requisito di forma
indispensabile. Si denuncia la carenza della esposizione
dei motivi di
fatto e di diritto
della decisione, la quale sarebbe passata dalla
enunciazione dei fatti
di prova, costituiti
dalle lettere della attuale ricorrente, al giudizio di
responsabilità
disciplinare senza
esplicitare quali sarebbero le frasi che violano i
doveri di colleganza
ed il decoro
professionale, quali le circostanze da cui inferire
l'elemento soggettivo
dell'illecito, quale
il fine sotteso.
8.1. - La doglianza è
destituita di fondamento.
8.2. - La decisione
impugnata contiene una articolata e dettagliata
descrizione dei fatti
posti a suo
fondamento, ed una puntigliosa ed analitica
ricostruzione del percorso
logico che ha indotto
il C.N.F. a ravvisare nei fatti esposti la violazione
contestata, alla
luce del
comportamento tenuto dalla incolpata e delle ragioni e
finalità che lo avevano
orientato.
9. - Conclusivamente,
il ricorso deve essere rigettato. Non v'è luogo a
provvedimenti
sulle spese, non
essendo stata svolta attività difensiva dagli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il
ricorso.
Così deciso in Roma,
nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il
15
novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2012 |