Avv. Paolo Nesta


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DEONTOLOGIA: SLEALE INDURRE IL COLLEGA ALL'ERRORE- Cass. Sez.Un. 529/2012-commento e testo-Francesco Maria BERNICCHI

 

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Le Sezione Unite si occupano di deontologia professionale degli avvocati e, con una sentenza del 17 Gennaio 2012, indicano come sia contrario ai doveri di lealtà, correttezza e colleganza la condotta dell'avvocato "avversario" che induca, volontariamente, il collega in errore tacendo su un fatto decisivo o, peggio, dichiarando il falso.

 

In questo caso l'avvocato, poi punito dal collegio nazionale forense, aveva millantato l'esistenza di denaro in 3 libretti al portatore che costituivano il credito litigioso ed erano vincolati all'esito della causa o della transazione. La difesa dell'avvocato "bugiardo" si era arroccata sulla posizione che il diritto di difesa dell'assistito deve superare il valore della colleganza e che non c'è nessuno obbligo di essere completo nelle allegazioni, nè di avvantagiare la controparte: "ciò che è processualmente lecito non può essere deontologicamente scorretto".

 

Ma la Cassazione, ripetiamo a Sezioni Unite, ritiene tale censura non accoglibile perchè l'avvocato improbo aveva utilizzato il collega come strumento del suo disegno dilatorio ritardando la realizzazione del diritto. Le norme del codice deonotlogico non sono norme meramente integrative dei precetti normativi processuali, possono anche ispirarsi a concetti "diffusi e concettualmente compresi nella collettività".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f.

-

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente Sezione -

Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -

Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere -

Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -

Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -

Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16203-2011 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa da

medesima;

- ricorrente -

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE,

CONSIGLIO

DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VICENZA;

- intimati -

avverso la decisione n. 64/2011 del CONSIGLIO NAZIONALE

FORENSE,

depositata il 21/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

del

15/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - Con decisione depositata il 1 aprile 2009, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di

Vicenza irrogò la sanzione della censura all'avv. G.M. per essere venuta meno al

dovere di correttezza, lealtà e colleganza, inducendo nell'avvocato D.N.M.,

rappresentante della controparte in una controversia successoria, l'erroneo

convincimento che i tre libretti al portatore recanti somme che rappresentavano il

credito litigioso ed erano vincolati all'esito della causa o della transazione fossero nella

sua disponibilità, senza mai smentire la circostanza e giustificando di volta in volta la

mancata restituzione con i più svariati argomenti, ed in tal modo impedendo all'avv.

D.N. di attivarsi per il recupero della somma. L'avv. G. impugnò la decisione sulla

base di tre motivi.

2. - Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione depositata il 21 aprile 2011, ha

rigettato il gravame, osservando che dalla documentazione acquisita, e, in particolare,

dalle cinque missive inviate dall'avv. G. al collega D.N., emergeva la esattezza della

valutazione del CO.A.: da esse, infatti, risultavano le diverse giustificazioni via via

addotte per la mancata restituzione dei libretti, in nessun caso attinenti alla vera

ragione, e cioè la mancata disponibilità degli stessi, mentre per la prima volta solo

nella memoria difensiva presentata al CO.A., che le aveva contestato la mancata

messa a disposizione del collega dei libretti, cinque mesi dopo l'inizio della citata

corrispondenza, era stata affermata tale circostanza. Il comportamento dell'avv. G.,

determinato dalla volontà di indurre il collega in errore al fine di guadagnare tempo

per studiare la propria strategia processuale e ritardare la realizzazione de diritto della

controparte, non era giustificabile alla luce dello scopo della difesa degli interessi del

cliente.

3. - Per la cassazione di tale decisione ricorre l'avv. G. sulla base di quattro motivi.

DIRITTO

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell'art. 56, in relazione al

R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 38, nonchè dell'art. 22 del codice

deontologico forense, del principio di ragionevolezza nell'ipotesi di illecito disciplinare

ascritto all'incolpato, violazione degli artt. 622, 380 e 381 c.p., art. 88 c.p.c., e artt. 7,

8, 9, 12, 36 e 40 del citato codice deontologico, e sviamento di potere R.D.L. n. 1578

del 1933, ex art. 56 e art. 3 Cost.. Sarebbe affetta da irragionevolezza la sussunzione

dello specifico comportamento contestato alla ricorrente nel precetto generale di cui al

R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38, che fa divieto di commettere fatti non conformi al

decoro e alla dignità professionale. Si osserva al riguardo che rientra tra i doveri del

difensore quello di non compiere atti che possono recare danno al proprio assistito: il

diritto di difesa prevale sul rapporto di colleganza. Nè è rinvenibile nella disciplina del

processo civile un obbligo per la parte e per il suo difensore di essere completo nelle

allegazioni nè di avvantaggiare la controparte, salva la ricorrenza del dolo revocatorio:

e ciò che è processualmente lecito non può essere deontologicamente scorretto.

2.1. - La censura non merita accoglimento.

2.2. - Posto che le previsioni del codice deontologico forense hanno la natura di fonte

meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a

concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività, il Consiglio Nazionale

Forense non è vincolato alla definizione dell'illecito quale scaturisce dal testo delle

disposizioni del codice deontologico forense, essendo libero di individuare l'esatta

configurazione della violazione tanto in clausole generali richiamanti il dovere di

astensione da contegni lesivi del decoro e della dignità professionale, quanto in

diverse norme deontologiche, o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante

in condotte atipiche non previste da dette norme (v., sul punto, Cass., S.U., sentt.

13/6/2011, n. 12903; 7/7/2009, n. 15852).

2.3. - Nella specie, il C.N.F. ha motivatamente ritenuto che, nella specie, l'avv. G.

abbia manifestato la volontà di indurre il collega in errore con l'omissione voluta di

una circostanza decisiva, quale la detenzione dei libretti in capo ad altri, e che ciò

abbia costituisca comportamento strumentale per ritardare la realizzazione del diritto

altrui facendo divenire il collega di controparte strumento inconsapevole della

realizzazione del suo disegno dilatorio, ed ha ritenuto che tale comportamento, per la

sua ambiguità, costituisca violazione di quei doveri di correttezza, lealtà e colleganza

che sono ricompresi nel più ampio precetto di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38,

comma 1, e specificamente disciplinati dagli artt. 6 e 22 del codice deontologico.

3. - Con il secondo motivo si deduce la omessa e insufficiente motivazione su fatto

controverso decisivo. La decisione del C.N.F. prescinde totalmente da fatti decisivi

prospettati dall'attuale ricorrente, e, in particolare, dal fatto che la sentenza in

relazione alla quale l'avv. D.N. pretendeva i libretti per l'incasso atteneva a domanda

preliminare di riduzione per lesione di legittima e alla domanda di divisione di asse

ereditario costituito da somma di danaro depositata in banca e rappresentata da tre

libretti cointestati ai due eredi e vincolati all'esito del giudizio o transazione. Detta

decisione era una sentenza parziale relativa alla prima fase dell'accertamento

preliminare del contenuto del diritto del legittimario leso, cliente della ricorrente, e

fino al momento della formazione del giudicato su di essa non si sarebbe potuto

procedere alla fase della formazione delle quote nè a quella successiva

dell'attribuzione delle stesse. Tali temi, che non sorreggevano, secondo la ricorrente,

l'asserita doverosità di comunicare il luogo di conservazione dei libretti per consentire

alla controparte di procedere esecutivamente, erano stati inutilmente rappresentati al

CO.A. e, successivamente, al C.N.F., che, però, non li ha considerati. Mancherebbero,

comunque, nella decisione impugnata i requisiti strutturali dell'argomentazione.

4.1. - Anche tale censura è infondata.

4.2. - Risulta, invero, inconferente il richiamo alla natura del giudizio divisorio ed alla

fase in cui si colloca in esso la sentenza in relazione alla quale l'avv. D.N. chiedeva i

libretti per l'incasso, atteso che la contestazione mossa alla attuale ricorrente era

quella di un comportamento integrante un non lineare percorso difensivo, essendo le

giustificazioni addotte a motivazione della indisponibilità ad un incontro finalizzate alla

realizzazione del complessivo disegno volto a far permanere una situazione di

ambiguità che inducesse il legale di controparte a confidare nella possibilità di

raggiungere una definizione stragiudiziale della controversia.

5. - Con la terza doglianza si deduce error in procedendo, violazione dell'art. 112

c.p.c., violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nullità della sentenza.

La decisione impugnata omette - si osserva nel ricorso - di pronunciarsi sulla terza

censura, relativa alla errata determinazione dell'entità dell'offesa all'etica forense ed

alla inadeguatezza della sanzione irrogata. Il C.N.F. avrebbe errato nei non delibare la

proporzionalità della sanzione con riferimenti al caso concreto.

6. - Il motivo è infondato, sol che si consideri che la decisione del C.N.F. si sofferma

specificamente sul punto della adeguatezza della sanzione irrogata, considerando

equa quella della censura, avuto riguardo alla condotta ambigua e contraddittoria

dell'incolpata, tra l'altro protratta nel tempo e dettata da un preciso disegno dilatorio.

7. - Con il quarto motivo, si lamenta la violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56

in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione dell'art. 111 Cost., per la

motivazione carente/inesistente con conseguente nullità della pronuncia per difetto di

requisito di forma indispensabile. Si denuncia la carenza della esposizione dei motivi di

fatto e di diritto della decisione, la quale sarebbe passata dalla enunciazione dei fatti

di prova, costituiti dalle lettere della attuale ricorrente, al giudizio di responsabilità

disciplinare senza esplicitare quali sarebbero le frasi che violano i doveri di colleganza

ed il decoro professionale, quali le circostanze da cui inferire l'elemento soggettivo

dell'illecito, quale il fine sotteso.

8.1. - La doglianza è destituita di fondamento.

8.2. - La decisione impugnata contiene una articolata e dettagliata descrizione dei fatti

posti a suo fondamento, ed una puntigliosa ed analitica ricostruzione del percorso

logico che ha indotto il C.N.F. a ravvisare nei fatti esposti la violazione contestata, alla

luce del comportamento tenuto dalla incolpata e delle ragioni e finalità che lo avevano

orientato.

9. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non v'è luogo a provvedimenti

sulle spese, non essendo stata svolta attività difensiva dagli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 15

novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2012

 

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