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La mera aspettativa del bene della vita non può comportare il risarcimento del danno ingiusto da ritardo (Cons. di Stato N. 06345/2011)-commento e teso- Lazzini Sonia

 

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La mancata soddisfazione dell’interesse finale con la riedizione dell’attività amministrativa di definizione del rapporto de quo impedisce la configurazione di un comportamento “non in iure” sotto la figura dell’inadempienza cui correlare un danno ristorabile

 

il giudice amministrativo può riconoscere il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento ( inoperoso ) dell’amministrazione solo quando sia stata accertata la spettanza del c.d. bene della vita, atteggiandosi, così il riconoscimento del diritto del ricorrente al bene della vita come presupposto indispensabile per configurare un condanna della P.A. al risarcimento del relativo danno ( Cos. Stato Sez. IV 29 gennaio 2008 n.248), e tale “conditio sine qua non” nella specie non ricorre. La mera aspettativa del bene della vita non può comportare il risarcimento del danno ingiusto da ritardo (Cons. di Stato N. 06345/2011)

 

N. 06345/2011 REG.PROV.COLL.

 

N. 06592/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato

 

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 6592 del 2009, proposto da***

 

contro***

 

per la riforma***

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

 

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Veneto;

 

Viste le memorie difensive;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2011 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Pafundi (nella fase preliminare), Alfredo Bianchini e Luca Mazzeo, su delega dell'avv. Luigi Manzi (al momento della chiamata della causa);

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

 

FATTO

 

La Società Ricorrente è proprietaria di alcune aree site nel Comune di Rosolina, interessate per circa 35 ettari, da un Piano di Lottizzazione per insediamenti turistico- residenziali di cui ad apposita convenzione stipulata nel marzo del 1985.

 

Successivamente, con deliberazione della Giunta regionale n.4883 del 5/9/1989 la Regione Veneto approvava una variante generale al PRG con modiche d’ufficio tali da comportare lo stralcio del Piano di lottizzazione in questione e tanto sul rilievo della ritenuta incompatibilità delle scelte progettuali con le previsioni dell’adottato Piano territoriale regionale di coordinamento.

 

Ricorrente impugnava tale deliberazione innanzi al TAR per il Veneto che con sentenza n.435/93 , successivamente confermata da questo Consiglio di Stato accoglieva il relativo ricorso, sul rilievo che la L.R. n.61/85 non consentiva alla Regione di conformare gli strumenti urbanistici comunali ad un piano territoriale che, in quanto solo adottato, non era ancora vigente.

 

Nelle more venivano approvati sia il Piano territoriale regionale di coordinamento ( deliberazione del Consiglio regionale del 13/12/1991) sia il Piano di Area Delta del Po ( deliberazione del Consiglio regionale del 5/19/1994).

 

Intanto la Società interessata chiedeva al TAR per il Veneto l’esecuzione del giudicato formatosi sulla suindicata sentenza e il Tribunale Amministrativo nel definire il ricorso ex art.37 legge n.1034/71 presentato,con sentenza n.500/99 dava atto della prevalenza della normativa recata dal Piano del Delta del Po ( che aveva imposto un vincolo di inedificabilità dei terreni della Ricorrente , vietando la “realizzazione di manufatti di qualsiasi tipo”) rispetto al PRG e, conseguentemente dichiarava il ricorso stesso inammissibile, fatta salva la possibilità per la ricorrente Società di chiedere alla Regione una deroga alle previsioni del Piano di Area.

 

Ricorrente presentava alla Regione Veneto istanza di deroga e in relazione a tale richiesta promoveva innanzi al Tar locale un altro giudizio di ottemperanza con cui si chiedeva che in difetto della modifica del Piano d’Area fosse riconosciuto il risarcimento per i danni conseguenti all’avvenuto esproprio della capacità edificatoria dei fondi di che trattasi.

 

Con sentenza n.1080/2000 l’adito Tribunale precisava che la Regione, pur non essendo obbligata ad apportare la chiesta modifica, era tuttavia tenuta a pronunciarsi sulla stessa secondo il procedimento di cui all’art.32 della l.R. n.65/81, in considerazione della posizione particolarmente qualificata della ricorrente.

 

Relativamente poi alla domanda di risarcimento danni il Tribunale Amministrativo rilevava la inammissibilità della stessa per difetto di giurisdizione in quanto correlata ad un giudizio definito prima del 30/6/1998.

 

Intanto, dopo che si era riunita la Commissione Tecnica Regionale ( assemblea generale del 26/7/2000) in cui veniva presa in esame la questione per cui è causa, la Giunta Regionale del Veneto con un prima delibera , la n.3222 del 6/10/2002, esprimeva l’ opportunità di svolgere verifiche tecnico-disciplinari preordinate all’avviamento di una eventuale procedura di variante al Piano d’ Area ; quindi con la delibera giuntale n.4109 del 30/12/2002 veniva conferito l’incarico per la predisposizione di una relazione finalizzata alla valutazione di fattibilità del progetto dell’odierna appellante Ricorrente .

 

Gli esiti della relazione erano sfavorevoli alla Società e tale documento veniva fatto proprio dalla CTR nella seduta del 22/10/2003, lì dove il predetto Organismo concludeva che “…non è possibile modificare il vigente Piano d’Area del Delta del Po”.

 

Il parere della CTR veniva quando integralmente recepito dalla Giunta Regionale del Veneto con deliberazione n.209 del 30/1/2004 con cui definiva in senso sfavorevole il procedimento di verifica della possibilità di introdurre nel Piano d’Area le modificazioni previste dal progetto di piano di lottizzazione di Ricorrente.

 

La Società a questo punto proponeva innanzi al Tar del Veneto ricorso volto ad ottenere il risarcimento del danno derivante dall’illegittimo stralcio del piano di lottizzazione dell’area di sua proprietà disposto con delibera della G.R. n.4883/89, annullata dal Tar con sentenza n.435/93 ( confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza 842/96), sussistendo a suo dire gli elementi sia oggettivo che oggettivo qualificanti la responsabilità causativa di danno risarcibile.

 

L’adito Tar con sentenza n.1237/09, dopo aver affermato la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla pretesa risarcitoria fatta valere, respingeva il relativo ricorso, ritenendolo infondato.

 

Ricorrente s.a.s. è insorta avverso tale decisum, affidando all’appello all’esame i seguenti motivi d’impugnazione:

 

carenza di motivazione della sentenza impugnata e omessa pronuncia del giudice di primo grado in ordine ad un profilo fondamentale della domanda risarcitoria;

 

Erroneo e/o illegittimo rigetto della domanda risarcitoria relativa alla lesione dello jus aedificandi.

 

Si è costituita in giudizio la Regione Veneto che ha contestato la fondatezza del proposto gravame, chiedendone al reiezione.

 

Le parti hanno altresì prodotto memorie difensive ad ulteriore illustrazione delle tesi dalle stesse prospettate.

 

All’udienza del 31 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

DIRITTO

 

La Società Ricorrente ha avanzato una richiesta di risarcimento patrimoniale articolata su due voci di danno a loro volta collegate ad altrettante circostanze: costituite rispettivamente dal disposto stralcio ad opera della Regione Veneto del Piano di lottizzazione riguardante suoli edificatori di sua proprietà e dal ritardo dell’ Amministrazione a dare esecuzione al giudicato formatosi sulle statuizioni recate dalla sentenza Tar n.435/93 ( confermata in appello dal Consiglio di Stato con la decisione n.842/96) che quello stralcio hanno accertato essere illegittimamente intervenuto.

 

In particolare, parte appellante scinde il petitum in due autonome pretese di tutela risarcitoria :

 

l’una, collegata alla dedotta privazione dello jus aedificandi:

 

l’altra, al comportamento inoperoso tenuto dall’Amministrazione, nel non aver in particolare dato tempestiva esecuzione al decisum emesso dai giudici amministrativi di primo e secondo grado in suo favore.

 

A voler seguire l’impostazione concettuale pur pregevolmente esposta ed illustrata dalla difesa di parte appellante, non è possibile accogliere la domanda di accesso alla tutela risarcitoria per il titolo di cui alla rubricata lettera a) per le ragioni qui appresso indicate.

 

In primo luogo va rilevato che la richiesta di riparazione di dedotte conseguenze dannose è riferibile ( come correttamente già fatto presente dal giudice territoriale con la sentenza n.1080/2000, emanata in sede di definizione del ricorso per l’ottemperanza della citata sentenza n.435/93) ad un giudizio conclusosi prima del 30 giugno 1998, per cui la cognitio sulla proposta domanda giudiziale ( come autonomamente configurata ) spetterebbe , secondo la norma transitoria recata dall’art.45 comma 18 della legge n.80 del 1998, ad altra giurisdizione.

 

Al di là comunque dei profili processuali sopra illustrati ( aventi di per sè valenza preclusiva ), vale osservare come ai fini dell’ammissibilità di una domanda risarcitoria conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo non sia sufficiente la sola rimozione dell’atto, ma deve valutarsi la sussistenza dell’elemento psicologico quanto meno della colpa, dovendosi, invero la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente alla rimozione delle determinazioni amministrative dalla stessa assunte inserirsi nel sistema delineato dall’art.2043 codice civile ( Cons . Stato Sez. IV 29 settembre 2005 n.5204; idem 11 ottobre 2006 n.6059) e sul punto va dunque espletata un’apposita verifica.

 

Ora con riferimento all’elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità rivendicata, è la stessa parte ( come rilevasi dalla disamina del ricorso di prime cure ) ad individuarla nel comportamento negligente tenuto dall’Amministrazione nel non dare positivo riscontro alla decisione giurisprudenziale, ma se così è, ci si troverebbe in presenza di un elemento per così dire “dinamico” di responsabilità che caratterizza l’ipotesi di risarcimento ad altro titolo, quello, appunto da ritardo.

 

Invero, per la sussistenza del requisito dell’elemento soggettivo la circostanza dell’inoperosità che si imputa all’Amministrazione, quale espressione di colpa grave attiene all’ulteriore domanda, quella avanzata per il titolo rubricato sub b), senza che possa configurarsi in relazione all’avvenuto annullamento giurisdizionale una distinta figura di responsabilità aquiliana tout court, suscettibile in via autonoma di ristoro patrimoniale .

 

In altri termini, tenuto conto della stessa causa petendi, l’avvenuto annullamento degli atti oggetto della impugnativa definita con la sentenza Tar n.435/93 non esaurisce né completa la fattispecie risarcitoria, ma è solo un presupposto per “costruire” una domanda di risarcimento danni in relazione al ( supposto ) comportamento di inerzia posto in essere dalla stessa P.A., non risultando, perciò ammissibile una fattispecie risarcitoria del genere di quella avanzata.

 

Passando, quindi alla verifica della fondatezza o meno della domanda di risarcimento da ritardo, al riguardo appaiono pienamente condivisibili le osservazioni e conclusioni rese dal primo giudice, salvo una opportuna integrazione motivazionale.

 

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di stabilire ( Ad. Plen. 15 settembre 2005 n.7; idem Sez. V 24 marzo 2011 n.1796 ) che il giudice amministrativo può riconoscere il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento ( inoperoso ) dell’amministrazione solo quando sia stata accertata la spettanza del c.d. bene della vita, atteggiandosi, così il riconoscimento del diritto del ricorrente al bene della vita come presupposto indispensabile per configurare un condanna della P.A. al risarcimento del relativo danno ( Cos. Stato Sez. IV 29 gennaio 2008 n.248), e tale “conditio sine qua non” nella specie non ricorre.

 

Invero, la destinazione edificatoria delle aree oggetto di lottizzazione è stata messa in non cale dalle prescrizioni del sovrastante strumento urbanistico costituito dal Piano di Area del Delta del Po le cui ostative prescrizioni non risulta siano state oggetto di specifica impugnativa da parte dall’odierna appellante, per doversi altresì rilevare come siano pure stati opposti all’interessata Società gli esiti negativi del parere della CTR, come recepiti dall’organo procedente della Regione di cui si è fatto cenno in punto di fatto.

 

Si invera allora nella specie la circostanza ostativa all’ammissibilità e fondatezza della domanda risarcitoria de qua, quella esattamente identificata dalla giurisprudenza ( sentenza Ad. Pl. n.7/05 ; idem 31/1/2006 n.321) nell’avvenuta adozione sia pure in ritardo di determinazioni che risultino di carattere negativo per il soggetto che ha presentato istanza volta ad essere autorizzato all’ edificazione ( nella specie a mezzo dell’attuazione della previsione lottizzatoria) con statuizioni divenute intangibili.

 

Ne’ ai fini della costruzione della fattispecie risarcitoria di che trattasi si può invocare l’assetto dei rapporti giuridici conseguente all’ annullamento degli atti disposto con la sentenza TAR n.435/93 in accoglimento della relativa impugnativa, giacchè in quella evenienza si versa in un sistema di tutela di interessi pretensivi ( propri della materia urbanistico-edilizia ) che consente il passaggio alla riparazione per equivalente dell’interesse legittimo sotteso all’azione impugnatoria solo allorchè tale interesse pretensivo assume la connotazione di interesse sostanziale, a mezzo di un provvedimento vantaggioso per il privato, nel senso di concreta produzione del bene della vita ( cfr sul punto Ad. Pl. n.7/05 citata), situazione, questa, nella fattispecie non verificatasi.

 

In altri termini, Ricorrente al momento dell’intervenuto decisum di annullamento poteva vantare solo una aspettativa al bene della vita , con l’obbligo per la P.A. al riesercizio del potere, ma la mancata soddisfazione dell’interesse finale con la riedizione dell’attività amministrativa di definizione del rapporto de quo impedisce la configurazione di un comportamento “non in iure” sotto la figura dell’inadempienza cui correlare un danno ristorabile.

 

Né può configurarsi nella specie una ipotesi di responsabilità da contatto amministrativo qualificato, atteso che l’attività dilatoria o omissiva deve rientrare comunque nello schema paradigmatico di cui alla norma codicistica dell’art.2043 del codice civile, come consegnatoci dalla sentenza n.500/99 della Cassazione e trasfuso nella legge n.205/2000, secondo cui ai fini della sussistenza della condotta illecita sub specie del ritardo occorre verificare la colpa istituzionale dell’Amministrazione ( Cons. Stato Sez. IV 2/3/2011 n.1335) , nella specie assolutamente non rinvenibile.

 

Neppure è dato intravvedere una cosiddetta colpa da apparato, la quale (al di là del fatto che non risulta appositamente denunciata ) non può, per le connotazioni dei fatti costitutivi della vicenda , essere introdotta nella struttura dell’illecito giacchè non viene in rilievo una disorganizzazione amministrativa ( Cons. Stato Sez. IV 6 luglio 2004 n.5012) .

 

Infine, non si può accordare una tutela risarcitoria legata al mero fatto del ritardo amministrativo in quanto tale, atteso che il caso, ratione temporis, non rientra nella disposizione legislativa di cui all’art.2 bis della legge n.241/90 come innovato dall’art.7 comma 1 lettera c) della legge n.69 del 18 giugno 2009( non accompagnata da un previsione retroattiva ) e ricadendo perciò la fattispecie nel quadro previgente per il quale valgono ai fini della determinazione dell’an della riparazione patrimoniale i parametri giurisprudenziali sopra evidenziati.

 

In forza delle suestese considerazioni, l’appello con riferimento ad entrambi i due motivi di gravame ivi dedotti si appalesa infondato e va perciò respinto.

 

Sussistono peraltro giusti motivi, in relazione alla peculiarità della vicenda all’esame, per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.

 

 

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

 

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.

 

Compensa tra le parti le spese e le competenze del presente grado del giudizio

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:

 

Anna Leoni, Presidente FF

 

Sergio De Felice, Consigliere

 

Sandro Aureli, Consigliere

 

Raffaele Potenza, Consigliere

 

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

 

 

               

 

 

               

 

 

 

L'ESTENSORE

               

 

 

               

 

IL PRESIDENTE

 

 

               

 

 

               

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Il 01/12/2011

 

IL SEGRETARIO

 

Invero, la destinazione edificatoria delle aree oggetto di lottizzazione è stata messa in non cale dalle prescrizioni del sovrastante strumento urbanistico costituito dal Piano di Area del Delta del Po le cui ostative prescrizioni non risulta siano state oggetto di specifica impugnativa da parte dall’odierna appellante, per doversi altresì rilevare come siano pure stati opposti all’interessata Società gli esiti negativi del parere della CTR, come recepiti dall’organo procedente della Regione di cui si è fatto cenno in punto di fatto.

 

Si invera allora nella specie la circostanza ostativa all’ammissibilità e fondatezza della domanda risarcitoria de qua, quella esattamente identificata dalla giurisprudenza ( sentenza Ad. Pl. n.7/05 ; idem 31/1/2006 n.321) nell’avvenuta adozione sia pure in ritardo di determinazioni che risultino di carattere negativo per il soggetto che ha presentato istanza volta ad essere autorizzato all’ edificazione ( nella specie a mezzo dell’attuazione della previsione lottizzatoria) con statuizioni divenute intangibili.

 

Ne’ ai fini della costruzione della fattispecie risarcitoria di che trattasi si può invocare l’assetto dei rapporti giuridici conseguente all’ annullamento degli atti disposto con la sentenza TAR n.435/93 in accoglimento della relativa impugnativa, giacchè in quella evenienza si versa in un sistema di tutela di interessi pretensivi ( propri della materia urbanistico-edilizia ) che consente il passaggio alla riparazione per equivalente dell’interesse legittimo sotteso all’azione impugnatoria solo allorchè tale interesse pretensivo assume la connotazione di interesse sostanziale, a mezzo di un provvedimento vantaggioso per il privato, nel senso di concreta produzione del bene della vita ( cfr sul punto Ad. Pl. n.7/05 citata), situazione, questa, nella fattispecie non verificatasi.

 

In altri termini, Ricorrente al momento dell’intervenuto decisum di annullamento poteva vantare solo una aspettativa al bene della vita , con l’obbligo per la P.A. al riesercizio del potere, ma la mancata soddisfazione dell’interesse finale con la riedizione dell’attività amministrativa di definizione del rapporto de quo impedisce la configurazione di un comportamento “non in iure” sotto la figura dell’inadempienza cui correlare un danno ristorabile.

 

Né può configurarsi nella specie una ipotesi di responsabilità da contatto amministrativo qualificato, atteso che l’attività dilatoria o omissiva deve rientrare comunque nello schema paradigmatico di cui alla norma codicistica dell’art.2043 del codice civile, come consegnatoci dalla sentenza n.500/99 della Cassazione e trasfuso nella legge n.205/2000, secondo cui ai fini della sussistenza della condotta illecita sub specie del ritardo occorre verificare la colpa istituzionale dell’Amministrazione ( Cons. Stato Sez. IV 2/3/2011 n.1335) , nella specie assolutamente non rinvenibile.

 

Neppure è dato intravvedere una cosiddetta colpa da apparato, la quale (al di là del fatto che non risulta appositamente denunciata ) non può, per le connotazioni dei fatti costitutivi della vicenda , essere introdotta nella struttura dell’illecito giacchè non viene in rilievo una disorganizzazione amministrativa ( Cons. Stato Sez. IV 6 luglio 2004 n.5012).

 

Infine, non si può accordare una tutela risarcitoria legata al mero fatto del ritardo amministrativo in quanto tale, atteso che il caso, ratione temporis, non rientra nella disposizione legislativa di cui all’art.2 bis della legge n.241/90 come innovato dall’art.7 comma 1 lettera c) della legge n.69 del 18 giugno 2009( non accompagnata da un previsione retroattiva ) e ricadendo perciò la fattispecie nel quadro previgente per il quale valgono ai fini della determinazione dell’an della riparazione patrimoniale i parametri giurisprudenziali sopra evidenziati.

 

 

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