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Per quanto riguarda, in particolare, la
casalinga, è ormai certo (vedi Cass. Sez. III, 13
luglio 2010, n. 16392) che il danno da riduzione della
capacità di lavoro, sofferto da persona che - come la
casalinga - provveda da sé al lavoro domestico,
costituisce una ipotesi di danno patrimoniale, e non
biologico. Ne consegue che chi lo invoca ha l'onere di
dimostrare che gli esiti permanenti residuati alla
lesione della salute impediscono o rendono più oneroso
(ovvero impediranno o renderanno più oneroso in futuro)
lo svolgimento del lavoro domestico; in mancanza di tale
dimostrazione nulla può essere liquidato a titolo di
risarcimento di tale tipologia di danno patrimoniale. Ma
l'applicazione di tali principi non può avvenire
automaticamente e senza analizzare le peculiarità del
caso concreto. Il C.T.U. nominato in primo grado
attribuì alla B. una invalidità permanente pari al 42%.
ma escluse che le lesioni potessero incidere sulla
svolgimento della sua attività. Proprio in
considerazione delle ragioni addotte con l'atto di
appello, la stessa Corte territoriale ritenne opportuno
disporre il rinnovo della C.T.U. e il nuovo consulente
attribuì alle lesioni patite dalla B. una incidenza
sulla capacità lavorativa di
casalinga del 25%. A questo punto si impongono due
considerazioni: a) non è razionale ritenere che una
invalidità permanente particolarmente elevata non
spieghi alcuna conseguenza sull'attività di
casalinga; b) è contraddittorio disporre il rinnovo
della C.T.U. in accoglimento di tesi prospettate con
l'atto di appello e poi, dopo l'esito favorevole
dell'accertamento medico - legale, rimproverare alla
parte istante di non avere offerto elementi idonei. Il
motivo in esame merita, dunque, accoglimento....
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 11 novembre 2011, n. 23573
(Pres. Filadoro – Rel. Massera)
Svolgimento del processo
1.- Con sentenza in data 2-6 settembre 2009 il Tribunale
di Catania, attribuita la responsabilità del sinistro
nella misura dell'80% all'automobilista G.C. e del 20%
al motociclista M.R., condannò i medesimi e i rispettivi
assicuratori a pagare in solido Euro 125.188,14 a favore
di B.C., trasportata a bordo del motociclo.
2.- Con sentenza in data 18 giugno - 12 agosto 2008 la
Corte d'Appello di Catania ridusse la somma dovuta alla
B. ad Euro 93.891,10.
La Corte territoriale osservava per quanto interessa: la
responsabilità era stata ripartita correttamente tra i
due conducenti; risultava che la B. non indossava il
casco protettivo; il C.T.U. aveva spiegato che il suo
uso avrebbe potuto ridurre presumibilmente del 25%
l'entità delle lesioni da costei subite; in analoga
proporzione andavano ridotti i danni patiti; la
danneggiata non aveva dimostrato il danno patrimoniale.
3. - Avverso la suddetta sentenza la B. ha proposto
ricorso per cassazione affidato a due motivi. Gli
intimati non hanno espletato attività difensiva. La
ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
1.1 - Il primo motivo, lamenta, denunciando
insufficienza di motivazione, l'affermata omessa
allegazione di fatti idonei a dimostrare un danno
patrimoniale futuro sotto il profilo del danno emergente
e/o del lucro cessante.
1.2.- Effettivamente è orientamento generale consolidato
della Corte (confronta, ex multis, Cass. Sez. III 24
febbraio 2011, n. 4493) che la liquidazione del danno
patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di
guadagno non può costituire un'automatica conseguenza
dell'accertata esistenza di lesioni personali, ma esige
che sia verificata la attuale o prevedibile incidenza
dei postumi sulla capacità di lavoro, anche generica,
della vittima.
Per quanto riguarda, in particolare, la casalinga, è
ormai certo (vedi Cass. Sez. III, 13 luglio 2010, n.
16392) che il danno da riduzione della capacità di
lavoro, sofferto da persona che - come la casalinga -
provveda da sé al lavoro domestico, costituisce una
ipotesi di danno patrimoniale, e non biologico. Ne
consegue che chi lo invoca ha l'onere di dimostrare che
gli esiti permanenti residuati alla lesione della salute
impediscono o rendono più oneroso (ovvero impediranno o
renderanno più oneroso in futuro) lo svolgimento del
lavoro domestico; in mancanza di tale dimostrazione
nulla può essere liquidato a titolo di risarcimento di
tale tipologia di danno patrimoniale. Ma l'applicazione
di tali principi non può avvenire automaticamente e
senza analizzare le peculiarità del caso concreto. Il
C.T.U. nominato in primo grado attribuì alla B. una
invalidità permanente pari al 42%. ma escluse che le
lesioni potessero incidere sulla svolgimento della sua
attività. Proprio in considerazione delle ragioni
addotte con l'atto di appello, la stessa Corte
territoriale ritenne opportuno disporre il rinnovo della
C.T.U. e il nuovo consulente attribuì alle lesioni
patite dalla B. una incidenza sulla capacità lavorativa
di casalinga del 25%. A questo punto si impongono due
considerazioni: a) non è razionale ritenere che una
invalidità permanente particolarmente elevata non
spieghi alcuna conseguenza sull'attività di casalinga;
b) è contraddittorio disporre il rinnovo della C.T.U. in
accoglimento di tesi prospettate con l'atto di appello e
poi, dopo l'esito favorevole dell'accertamento medico -
legale, rimproverare alla parte istante di non avere
offerto elementi idonei. Il motivo in esame merita,
dunque, accoglimento.
2.1 - Il secondo motivo censura, ancora sotto il profilo
del vizio di motivazione, il concorso di colpa
attribuito alla ricorrente per non avere indossato il
casco.
2.2. - La censura è infondata. La Corte territoriale,
rilevato che il R. aveva dichiarato che la B. , al
momento del sinistro, aveva il casco in mano, ha
recepito i rilievi del C.T.U. da essa incaricato,
secondo il quale doveva ritenersi che il casco
protettivo avrebbe potuto presumibilmente ridurre del
25% l'entità delle lesioni, le quali pacificamente hanno
interessato soprattutto il cranio e il volto.
3.- Pertanto il primo motivo merita accoglimento, mentre
il secondo va rigettato. Spese rimesse.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo.
Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per
le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di
Appello di Catania in diversa composizione.
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