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Un giovane a seguito di un
arrossamento agli occhi si reca dal suo oculista che gli
prescrive un collirio. Velocemente la situazione si
aggrava ma l’uso del collirio viene a lui nuovamente
prescritto dallo stesso dottore senza ulteriori
controlli specialistici.
Conclusione: disturbi visivi gravi,
glaucoma, intervento chirurgico che però non riesce ad
evitare una menomazione visiva permanente ad entrambi
gli occhi.
Il giovane conviene in giudizio il
medico.
Il tribunale di primo grado
respinge la domanda non ravvisando alcuna responsabilità
in capo al medico oculista.
Su gravame del giovane la Corte
d’Appello accoglie la domanda e la Corte di Cassazione
conferma, con sentenza che si riproduce in calce,
riconoscendogli un consistente risarcimento pari ad Euro
445.098,00.
Ecco in sintesi la risposta della
Suprema Corte:
la patologia accertata nel ragazzo
e cioè il glaucoma oculare è stato causato dall’uso
protratto del collirio a base di cortisone e quindi
l’abuso di tale sostanza è stato responsabile diretto
della patologia glaucomatosa.
Il nesso di causalità tra l’uso del
collirio e l’evento lesivo è stato accertato “al di là
di ogni ragionevole dubbio”.
Inoltre il medico non peritandosi
di fissare altra visita specialistica a fronte della
gravità della situazione non dimostra neppure di aver
adempiuto all’obbligo di informazione. Cassazione
Civile, sez. III, sentenza n. 26993 depositata il 15
dicembre 2011
Presidente Filadoro – Relatore
Musso
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificata in
data 17.11.1993 F. R. conveniva in giudizio innanzi al
Tribunale di Trani I. G., deducendo: che nel 1989, a
seguito di un arrossamento agli occhi, si era recato
presso lo studio del convenuto, suo medico curante il
quale gli aveva prescritto l'uso di un collirio (il
Betaptioptal) senza ulteriori controlli specialistici;
che, a causa di detto collirio e del suo uso protratto
nel tempo (a seguito di successive prescrizioni di detto
medico), aveva iniziato ad avvertire disturbi visivi,
con conseguente ricovero ospedaliero in Chieti E' poi in
Siena, ove veniva sottoposto a terapie di vario genere
per essere risultato affetto da un glaucoma da
cortisone; che, inoltre, a seguito anche di un
intervento chirurgico aveva subito una menomazione
visiva ad entrambi gli occhi.
Chiedeva quindi il risarcimento di
danni patrimoniali e morali anche in relazione alla
ridotta capacità relazionale e lavorativa.
Costituitosi il F. che affermava, a
sua volta, di essere esente dalla responsabilità per
aver prescritto il detto farmaco solo per un periodo di
tempo limitato, espletata. consulenza di ufficio,
l'adito tribunale di Trani, con sentenza n. (397/2003,
rigettava la domanda non ritenendo sussistere alcuna
responsabilità professionale a carico del F.
A seguito dell’appello di
quest’ultimo, costituitosi l’I., la Corte d’Appello di
Bari, con la decisione in esame depositata in data
29.4.2009, in riforma di quanto statuito in primo grado,
condannava l'I. al pagamento della somma di €
445.098,00, con interessi legali dalla data della
pronuncia al soddisfo (non adottando alcun provvedimento
sulla domanda di garanzia proposta in primo grado
confronti dell'Allsecures, in seguito Axa Assicurazioni,
non essendo stata la stessa riproposta in appello).
Affermava, in particolare, la Corte di merito che la
patologia del F. era ascrivibile “al di là di ogni
ragionevole dubbio” alla colpa professionale dell'I. che
aveva prescritto un uso prolungato del collirio in
questione anche in mancanza del cosiddetto consenso
informato.
Ricorre per Cassazione l'I. con un
unico articolato motivo, assistito da memoria; resiste
con controricorso il F..
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso, e
relativi quesiti, si deduce violazione degli artt. 1218,
1223, 1227. 2043, 2697 c.c.; si afferma in proposito che
"contrariamente a quanto affermato in motivazione, come
emerge dalla ricostruzione dei fatti, non risulta
minimamente accertato che il rapporto contrattuale tra
l'I. e il suo paziente abbia avuto una non corretta
esecuzione ed abbia dato luogo ad uno specifico
inadempimento da parte del medico; nel caso di specie
manca, da parte del presunto danneggiato l'allegazione
specifica del fatto dell' inadempimento, con la precisa
individuazione del fatto lesivo, fonte dei danni
conseguenti, riscontrabili ex art. 1223 c.c., e ciò
anche con il riferimento al ritenuto difetto di
informazione".
Il ricorso è inammissibile perché,
a fronte di un'ampia e logica motivazione, prospetta
alla Corte circostanze di fatto e documentali non
ulteriormente esaminabili nella presente sede di
legittimità.
Infatti la Corte di merito ha, come
detto, con adeguate argomentazioni e sulla base di un
compiuto esame delle risultanze processuali, dato conto
della ratio decidendi, in particolare affermando che "il
F. è risultato affetto da glaucoma secondario da
cortisone (circostanza pacifica, accertata dal ctu e
risultante dalle cartelle cliniche in atti, oltre che
dalle consulenze, tanto del F., quanto della stessa
società assicuratrice in giudizio); tale patologia è
stata causata (altra circostanza inoppugnabile, ammessa
sia dal ctu sia dai consulenti di parte) dall’uso
protratto del collirio a base di cortisone; anzi,
precisando meglio l’iter eziologico, l’abuso di
cortisone provoca l’ipertensione oculare, a sua volta
responsabile della patologia glaucomatosa.
Sicchè si può affermare con
certezza che il nesso di causalità tra l'uso del farmaco
in questione e l'evento lesivo è stato accertato al di
là di ogni ragionevole dubbio" e che ".... ebbene, a
fronte di tali dichiarazioni, si può dire che la realtà
è un’altra, posto che l’appellante ha prodotto la
prescrizione della visita specialistica oculistica del
dr. I. che reca la data del 4.12.1931 (la visita fu
effettuata poi appena due giorni dopo). Quindi, a stare
alla stessa versione dell'I., egli sin dalla primavera
del 1991 accerta la gravità della situazione, ma non si
perita di prescrivere immediatamente una visita
specialistica, dal momento che è inconfutabilmente
provato che la sua prescrizione reca la data del
4.12.1991”, per poi concludere, con riguardo al consenso
informato, che “l’I., pur gravato dell’onere di provare
di aver adempiuto all’obbligo di informazione, ha
mancato la prova; inoltre, le risultanze processuali
consentono di affermare che l’unica visita specialistica
prescritta è quella del 4.12.1991, quando ormai la
malattia era anella fase irreversibile”.
Le spese seguono la soccombenza e
si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese della presente fase che liquida in complessivi €
3.200,00 (di cui € 200,00 per esborsi) oltre spese
generali ed accessorie come per legge. |