La previdenza.it
Il signor B..F., tenente della
Guardia di finanza, in data 6 giugno 2003 propose
ricorso alla Corte d'appello di Venezia a norma
dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, chiedendo la
condanna del Ministro della Giustizia al pagamento di
un'equa riparazione per i danni derivati dal mancato
rispetto del termine di ragionevole durata del processo
penale nel quale egli era stato imputato. Al ricorrente
erano stati contestati i reati previsti dagli artt. 81,
319, 323, 326 e 490 cod. pen., e per effetto
dell'eccessiva durata del processo egli aveva subito
danni alla carriera, danni biologici (per i quali era
stata riconosciuta la causa di servizio dalla
Commissione Medico ospedaliera di omissis il 10 luglio
1991), danni morali e danni esistenziali.
Con decreto in data 5 gennaio 204,
la Corte d'appello di Venezia accertò che il processo
penale era durato, in due gradi di giudizio, 15 anni e
11 mesi, pur dovendosi detrarre il periodo conseguente
al rinvio disposto per l'astensione degli avvocati, e
giudicò che esso si sarebbe dovuto concludere in cinque
anni. In relazione ai danni risarcibili, la Corte
considerò che al ricorrente sarebbe stata ricostruita la
carriera a norma del d.lgs. 19 marzo 2001, n. 69, ma che
nel frattempo egli non aveva potuto ricoprire incarichi
operativi: ciò faceva presumere che, non potendo vantare
l'esperienza e la preparazione che avrebbe potuto
acquisire se il processo si fosse concluso in tempo
ragionevole, egli non potesse aspirare a quegli
incarichi e gradi che presuppongono il precedente
svolgimento di particolari funzioni, per il che gli
riconobbe un danno patrimoniale di Euro 15.000,00. La
Corte escluse che fosse stato provato un nesso di
causalità tra il prolungamento del processo e le spese
di trasferimento in altra sede, nonché il danno
biologico costituito dall'aggravamento di una "cefalea a
grappolo" e dall'insorgenza di un carcinoma, giudicando
insufficiente la dichiarazione del dottor Fedi, tanto
più che, quanto alla cefalea, la patologia in questione
era stata riconosciuta dalla Commissione Medica di
Firenze per il particolare tipo di lavoro svolto, sicché
era al riguardo inutile l'assunzione della consulenza
tecnica, che era stata richiesta dall'amministrazione
resistente. La Corte riconobbe infine il danno non
patrimoniale, comprensivo del danno esistenziale per il
venir meno dell'interesse allo svolgimento d'attività
non remunerative, fonte di compiacimento e di benessere,
e lo liquidò in Euro 50.000,00....
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 8 novembre 2011, n. 23240
1. - Il signor B..F., tenente della
Guardia di finanza, in data 6 giugno 2003 propose
ricorso alla Corte d'appello di Venezia a norma
dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, chiedendo la
condanna del Ministro della Giustizia al pagamento di
un'equa riparazione per i danni derivati dal mancato
rispetto del termine di ragionevole durata del processo
penale nel quale egli era stato imputato. Al ricorrente
erano stati contestati i reati previsti dagli artt. 81,
319, 323, 326 e 490 cod. pen., e per effetto
dell'eccessiva durata del processo egli aveva subito
danni alla carriera, danni biologici (per i quali era
stata riconosciuta la causa di servizio dalla
Commissione Medico ospedaliera di omissis il 10 luglio
1991), danni morali e danni esistenziali.
Con decreto in data 5 gennaio 204,
la Corte d'appello di Venezia accertò che il processo
penale era durato, in due gradi di giudizio, 15 anni e
11 mesi, pur dovendosi detrarre il periodo conseguente
al rinvio disposto per l'astensione degli avvocati, e
giudicò che esso si sarebbe dovuto concludere in cinque
anni. In relazione ai danni risarcibili, la Corte
considerò che al ricorrente sarebbe stata ricostruita la
carriera a norma del d.lgs. 19 marzo 2001, n. 69, ma che
nel frattempo egli non aveva potuto ricoprire incarichi
operativi: ciò faceva presumere che, non potendo vantare
l'esperienza e la preparazione che avrebbe potuto
acquisire se il processo si fosse concluso in tempo
ragionevole, egli non potesse aspirare a quegli
incarichi e gradi che presuppongono il precedente
svolgimento di particolari funzioni, per il che gli
riconobbe un danno patrimoniale di Euro 15.000,00. La
Corte escluse che fosse stato provato un nesso di
causalità tra il prolungamento del processo e le spese
di trasferimento in altra sede, nonché il danno
biologico costituito dall'aggravamento di una "cefalea a
grappolo" e dall'insorgenza di un carcinoma, giudicando
insufficiente la dichiarazione del dottor Fedi, tanto
più che, quanto alla cefalea, la patologia in questione
era stata riconosciuta dalla Commissione Medica di
Firenze per il particolare tipo di lavoro svolto, sicché
era al riguardo inutile l'assunzione della consulenza
tecnica, che era stata richiesta dall'amministrazione
resistente. La Corte riconobbe infine il danno non
patrimoniale, comprensivo del danno esistenziale per il
venir meno dell'interesse allo svolgimento d'attività
non remunerative, fonte di compiacimento e di benessere,
e lo liquidò in Euro 50.000,00.
2. - Avverso tale decreto il F.
propose ricorso per cassazione, deducendo due motivi di
censura. Il Ministro della giustizia resistette con
controricorso e ricorso incidentale con due motivi di
censura.
La Corte di cassazione, con la
sentenza n. 14832 del 27 giugno 2006, riuniti i ricorsi,
rigettò il ricorso principale, accolse il primo motivo
del ricorso incidentale, rigettò il secondo motivo dello
stesso ricorso incidentale, cassò il decreto impugnato
in relazione al motivo accolto e rinviò la causa, anche
per il regolamento delle spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d'appello di Venezia, in diversa
composizione.
Per quanto in questa sede ancora
rileva, la Corte nell'accogliere il primo motivo del
ricorso incidentale dell'Amministrazione, osservò: “Con
il primo motivo del ricorso incidentale si denunciano
violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell'art.
2697 c.c. e del D. Lgs. n. 69 del 2001, art. 32, e vizi
di motivazione su un punto decisivo. Si deduce che, in
contrasto con il principio che il danno patrimoniale
deve essere provato, la Corte lo aveva presunto sulla
base dell'impossibilità per il F. di aspirare a
incarichi e gradi che presuppongono lo svolgimento di
particolari funzioni, ponendosi in contrasto con il
disposto del D. Lgs. n. 69 del 2001, art. 32, sulla
ricostruzione della carriera, pur contraddittoriamente
richiamato in sentenza. Il motivo è fondato quanto al
denunciato vizio di motivazione. Le disposizioni
contenute nel D. Lgs. 19 marzo 2001, n. 69, artt. 32 e
segg. (Riordino del reclutamento, dello stato giuridico
e dell'avanzamento degli ufficiali del Corpo della
Guardia di finanza), contenuti nel Capo 3 ("Cessazione
delle cause impeditive della valutazione o della
promozione"), delineano un sistema, tendenzialmente
completo, diretto a neutralizzare gli effetti negativi
verificati nella progressione in carriera
dell'ufficiale, nei cui riguardi il procedimento penale
o quello disciplinare, avviato per l'eventuale
irrogazione di una sanzione di stato, si sia concluso
con esito favorevole, o per il quale sia stata revocata
la sospensione dall'impiego di carattere precauzionale.
La Corte territoriale, decidendo sulla domanda di equa
riparazione del danno patrimoniale, lamentato dal
tenente F. in conseguenza dell'ingiustificato
prolungamento del processo penale al quale era stato
sottoposto, ha affermato che le disposizioni ricordate
avrebbero trovato applicazione a favore del ricorrente.
Nonostante ciò, la Corte ha aggiunto che il rimedio
offerto dalla legge non sarebbe stato completo, sul
presupposto che nel frattempo egli non avesse ricoperto
incarichi operativi: quest'ultima circostanza faceva
presumere che, non potendo vantare l'esperienza e la
preparazione che avrebbe potuto acquisire se il processo
si fosse concluso in tempo ragionevole, il ricorrente
non potesse aspirare a quegli incarichi e gradi che
presuppongono il precedente svolgimento di particolari
funzioni. In tal modo la Corte ha basato la sua
decisione su una presunzione semplice che si poneva in
contrasto con la precedente affermazione,
dell'applicabilità al caso di specie del rimedio
previsto dalla legge. È bensì vero che quella disciplina
legale, dettata ad altri fini, non preclude
l'accertamento di ulteriori danni patrimoniali subiti
dal ricorrente nello svolgimento del suo rapporto con
l'amministrazione; ma quest'ultima, osservando che tali
danni non potevano essere presunti, come ha invece
ritenuto la Corte, coglie nel segno, sia perché il danno
patrimoniale in genere non può essere presunto, ma deve
essere dimostrato da chi ne chiede la riparazione, sia
perché la precedente affermazione giustificava, semmai,
una presunzione (semplice) di segno contrario. In tal
modo, la Corte è incorsa nel denunciato vizio di
motivazione su un punto decisivo - esistenza di un danno
patrimoniale passibile di equa riparazione - che
comporta la cassazione della sentenza. [...] La
cassazione del decreto in relazione al motivo accolto
comporta il rinvio della causa, anche per il regolamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, alla
Corte stessa territoriale, in altra composizione.
Questa, nel procedere al nuovo giudizio sull'esistenza e
l'ammontare del danno patrimoniale, motiverà la sua
decisione, se favorevole al ricorrente, identificando i
vantaggi patrimoniali, collegati alla carriera, ai quali
la parte avrebbe potuto aspirare - dopo lo spirare del
termine di ragionevole durata del processo già stabilito
- e che, pregiudicati di fatto dal mancato svolgimento
di particolari funzioni nel tempo d'ingiustificata
protrazione del processo, non troverebbero copertura
nelle disposizioni del citato D. Lgs. n. 69 del 2001”.
3. - Riassunto il giudizio dal F.
con ricorso notificato il 1 ottobre 2007, la Corte di
Venezia dispose consulenza tecnica d'ufficio “volta ad
accertare se e quali danni patrimoniali, a causa della
durata del processo che lo aveva interessato, avesse
subito il ricorrente nella carriera, ulteriori rispetto
a quelli ai quali la ricostruzione della carriera,
effettuata ai sensi degli articolo 32 e segg. del
decreto legislativo n. 69/01, aveva già rimediato”.
Con decreto depositato il 28
novembre 2008, la Corte adita ha condannato il Ministro
della giustizia a corrispondere al F. la somma di Euro
274.878,86, oltre gli interessi legali dalla data della
pronuncia al saldo.
In particolare, per quanto in
questa sede ancora rileva, la Corte di Venezia ha
affermato che il consulente tecnico d'ufficio: a) “ha
accertato che, tenendo conto sia della situazione dei
meriti, sia della situazione dell'anzianità, deve
ritenersi evidente oltre ogni ragionevole dubbio che
B..F. (ora tenente colonnello F.) è stato danneggiato
dal prolungamento del processo”, prendendo in
considerazione, al riguardo, “(come gli era stato
richiesto e come indicato dalla Cassazione) il periodo
successivo ai cinque anni e undici mesi ritenuti dalla
Corte d'Appello come tempo di ragionevole durata del
processo e considerato tale anche dal Supremo Collegio”
e tenendo conto anche “della rapida progressione in
carriera compiuta subito dopo la assoluzione anche in
secondo grado, e il conseguimento di diversi elogi”; b)
a tale conclusione “è pervenuto valutando che, nel
periodo di ingiustificata protrazione del processo (dal
14 settembre 1994 al 20 dicembre 2002) non ha potuto
essere nominato Maggiore - grado che avrebbe conseguito
nel gennaio 2001 - e, quindi, non ha potuto assumere un
comando che gli avrebbe permesso la automatica
progressione in carriera (che per i militari può
avvenire solo ove dimostrino di avere ricevuto un
incarico di comando effettivo nel periodo in cui
conservano il grado)”, con la conseguenza che, “rispetto
ai colleghi del suo corso che hanno potuto usufruire di
tale opportunità nel periodo normale in cui avevano il
grado di Maggiore, B..F. è sicuramente danneggiato,
posto che tutti otterranno la promozione al grado di
Colonnello mentre il Tenente Colonnello F. non la
otterrà mai”.
Inoltre, la Corte di Venezia ha
affermato che: c) da quanto prima esposto può desumersi
il danno economico patito dal F., relativo non a quello
derivante dal mancato avanzamento nella carriera - posto
che dopo l'assoluzione in secondo grado è stata
effettuata a suo favore la ricostruzione della carriera
fino al grado di Tenente Colonnello -, ma alla
impossibilità di raggiungere il grado di Colonnello:
infatti, “poiché le vicende giudiziarie occorse gli
impediranno sicuramente di raggiungere il grado di
Colonnello al quale egli poteva legittimamente aspirare
e che aveva la ragionevole tranquillità di conseguire, è
evidente che il predetto non potrà mai beneficiare del
miglior trattamento economico legato allo scatto di
carriera, subendo così un danno patrimoniale che si
protrarrà anche nel periodo di quiescenza”.
Infine, in ordine alla
determinazione dell'entità del danno patrimoniale patito
dal F., la stessa Corte ha affermato: d) “Il consulente
ha quantificato tale danno tenendo conto sia che non
potranno essere calcolati gli interessi su di una somma
che, liquidata da questa Corte, gli sarà corrisposta in
unica soluzione, sia della rivalutazione annuale degli
stipendi. Il consulente tecnico ha illustrato nel
dettaglio i calcolo argomentando ogni passaggio con
esposizione puntuale, logica coerente, che non si presta
ad alcuna censura: del resto, nessuna delle due parti ha
formulato critiche all'elaborato, neppure il Ministero
che, nella sua comparsa di costituzione, successiva al
deposito dell'elaborato, nulla ha contestato sul punto.
La Corte, pertanto, fa proprie le conclusioni del
Consulente”.
4. - Avvero tale decreto il
Ministro della giustizia ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo tre motivi di censura.
Resiste, con controricorso
illustrato da memoria, F.B..
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo (con cui
deduce: “Violazione e falsa applicazione dell'art. 2
della legge 24 marzo 2001, n. 89, dell'art. 394 c.p.c. -
art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”), il ricorrente -
premesso che, in ragione del carattere dispositivo
dell'impugnazione, i poteri del giudice di rinvio vanno
determinati con esclusivo riferimento all'iniziativa
delle parti, in assenza di impugnazione incidentale
della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del
giudice non può essere più sfavorevole, nei confronti
dell'impugnante, di quanto non sia stata la sentenza
oggetto di gravame e non può quindi dare luogo ad una
reformatio in peius in danno di quest'ultimo - critica
il decreto impugnato, sostenendo che, nella specie, il
F. aveva impugnato per cassazione il precedente decreto
del 5 gennaio 1994 soltanto con riferimento al mancato
riconoscimento del danno biologico.
Con il secondo (con cui deduce:
“Violazione e falsa applicazione del'art. 2 della legge
24 marzo 2001, n. 89, dell'art. 32 D. L.vo 19 marzo
2001, n. 69, dell'art. 394 c.p.c., nonché degli artt.
1223, 2043 e 2697 c.c., con riferimento all'art. 360 n.
3, c.p.c.”) e con il terzo motivo (con cui deduce:
“Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo del giudizio - art. 360, n. 5, c.p.c.”) - i
quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto
riguardo alla loro stretta connessione - il ricorrente
critica il decreto impugnato - anche sotto il profilo
del vizio di motivazione -, sostenendo che i Giudici a
quibus hanno sostituito alla presunzione di esistenza di
danno patrimoniale ulteriore rispetto alla operata
ricostruzione della carriera del F., altra presunzione
fondata sulle indimostrate affermazioni del consulente
tecnico d'ufficio che ha tenuto per certe circostanze
che, invece, sono soltanto ipotetiche, cioè la normalità
della promozione a Maggiore in base alla mera anzianità,
dell'affidamento al Maggiore di incarichi di comando, e
della promozione del Maggiore a Tenente Colonnello.
2. - Il ricorso merita accoglimento
in riferimento al primo motivo.
2.1. - Il secondo ed il terzo
motivo del ricorso sono privi di fondamento.
Secondo il costante orientamento di
questa Corte condiviso dal Collegio -, in tema di
risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere
i danni derivanti dalla perdita di chance - che, come
concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire
un determinato bene, non costituisce una mera
aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé
stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di
autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se
solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di
probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei
presupposti per il raggiungimento del risultato sperato
ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno
risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta
(cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 11353 del 2010, 4052
del 2009, 21544 del 2008, 1752 del 2005, 18945 del
2003).
Orbene, la Corte di Venezia, sulla
base delle argomentate e motivatamente condivise
valutazioni del consulente tecnico d'ufficio ha ritenuto
sussistente il danno economico patito dal F. -
concernente non quello derivante dal mancato avanzamento
nella carriera, dal momento che dopo l'assoluzione in
secondo grado era stata effettuata a suo favore la
ricostruzione della carriera fino al grado di Tenente
Colonnello, ma l'impossibilità di raggiungere il grado
di Colonnello -, in quanto il procedimento penale di cui
questi è stato vittima (protrattosi per ben quindici
anni ed undici mesi e conclusosi con l'assoluzione piena
del F. ) gli ha sicuramente impedito, alla luce dei
criteri normalmente seguiti all'interno del Corpo per la
progressione nella carriera di ufficiale della Guardia
di finanza, di raggiungere il grado di Colonnello “al
quale egli poteva legittimamente aspirare e che aveva la
ragionevole tranquillità di conseguire”, con la
conseguenza che “il predetto non potrà mai beneficiare
del miglior trattamento economico legato allo scatto di
carriera, subendo così un danno patrimoniale che si
protrarrà anche nel periodo di quiescenza”. Così
argomentando, la Corte di Venezia non si è
sostanzialmente discostata dai principi di diritto
dianzi richiamati, in quanto ha ritenuto dimostrata,
mediante ragionevoli e motivate presunzioni sulla base
dell'id quod plerumque accidit (progressione nella
carriera di ufficiale della Guardia di Finanza secondo i
criteri normalmente seguiti all'interno del Corpo) e
secondo un ragionevole calcolo di probabilità, la
realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per
il raggiungimento del risultato sperato - promozione dal
grado di Tenente Colonnello a quello di Colonnello - ed
impedito dall'irragionevole durata del predetto
procedimento penale dal quale il danno risarcibile è
immediatamente e direttamente derivato.
2.2. - Il primo motivo è, invece,
fondato.
Come dianzi precisato (cfr., supra,
Svolgimento del processo, n. 1-), la Corte d'Appello di
Venezia, con il decreto del 5 gennaio 2004, ha
riconosciuto al F. l'indennizzo di cui all'art. 2 della
legge n. 89 del 2001, quantificandolo in Euro 15.000,00,
a titolo di danno patrimoniale, ed in Euro 50.000,00, a
titolo di danno non patrimoniale, comprensivo del danno
esistenziale.
Avverso tale decreto - nella parte
in cui ha riconosciuto e liquidato il danno patrimoniale
- ha interposto ricorso incidentale per cassazione il
solo Ministro della giustizia, mentre il F. ha proposto
ricorso principale, con due motivi, soltanto per il
mancato riconoscimento della voce di danno non
patrimoniale afferente al danno biologico (“Con il
ricorso principale si censura il rigetto, da parte della
Corte del merito, della domanda di riparazione del danno
biologico”: cfr. i Motivi della decisione della sentenza
della Corte di cassazione n. 14832 del 2006).
Orbene, secondo il costante
orientamento di questa Corte concernente il divieto di
reformatio in peius in sede di impugnazione, il giudice
dell'impugnazione, confermando la sentenza impugnata,
può senza violare il principio dispositivo, anche
d'ufficio, correggerne, modificarne o integrarne la
motivazione, purché la modifica non concerna statuizioni
adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate
dalla parte interessata, con la conseguenza che, in
assenza d'impugnazione della parte parzialmente
vittoriosa (appello o ricorso per cassazione), la
decisione non può essere più sfavorevole all'impugnante
e più favorevole alla controparte di quanto non sia
stata la sentenza impugnata e non può, quindi, dare
luogo ad una reformatio in peius in danno del primo
(cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14127 del 2011). Più
in particolare, e con specifico riferimento al caso di
specie, è stato enunciato il principio secondo cui, in
caso di cassazione con rinvio di una sentenza, i poteri
del giudice di rinvio, in ragione del carattere
dispositivo dell'impugnazione, vanno determinati con
esclusivo riferimento all'iniziativa delle parti, con la
conseguenza che in assenza di impugnazione incidentale
della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del
giudice del rinvio non può essere più sfavorevole, nei
confronti della parte che abbia impugnato, di quanto non
sia stata la sentenza oggetto di gravame, e non può
quindi dare luogo alla sua reformatio in peius in danno
di quest'ultima (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 1823
del 2005).
È, dunque, evidente che la Corte di
Venezia - in presenza di ricorso principale per
cassazione del F. , concernente il solo capo del decreto
impugnato relativo al mancato riconoscimento
dell'indennizzo relativo al danno non patrimoniale
(danno biologico), e di ricorso incidentale del Ministro
della giustizia, concernente il capo del medesimo
decreto relativo al riconoscimento dell'indennizzo
relativo al danno patrimoniale nella misura di Euro
15.000,00 - non poteva riconoscere al F. , a titolo di
danno patrimoniale, in assenza di impugnazione dello
stesso sul punto, una somma maggiore di quella
liquidatagli dalla stessa Corte con il decreto del 5
gennaio 2004.
Da ciò consegue che il decreto
impugnato deve essere annullato, restando coperto da
giudicato il decreto del 5 gennaio 2004, nella parte in
cui ha riconosciuto al F. l'indennizzo di Euro
50.000,00, a titolo di danno non patrimoniale.
3. - Non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere
decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo
comma, cod. proc. civ..
Le medesime considerazioni, svolte
dianzi (cfr., supra, n. 2.1.) per respingere il secondo
ed il terzo motivo del presente ricorso, possono essere
poste a fondamento dell'equitativo riconoscimento al F.
dell'indennizzo di Euro 15.000,00, a titolo di danno
patrimoniale (perdita di chance), posto che è
indubitabile che lo stesso F. , a causa dell'abnorme
protrazione del giudizio penale presupposto conclusosi
con la sua assoluzione, ha subito anche un danno
patrimoniale connesso, quantomeno, alla mancata
progressione in carriera dal grado di Tenente Colonnello
a quello di Colonnello.
In conclusione, al F. spetta
l'indennizzo di Euro 50.000,00, a titolo di danno non
patrimoniale, in forza del giudicato formatosi sul
decreto della Corte d'Appello di Venezia in data 5
gennaio 2004, oltre gli interessi dalla data della
domanda di equa riparazione e fino al saldo, nonché
l'indennizzo di Euro 15.000,00, in forza della presente
sentenza, oltre gli interessi dalla data della domanda
di equa riparazione e fino al saldo.
3.1. - Conseguentemente, le spese
processuali debbono essere nuovamente liquidate, sulla
base delle tabelle A, paragrafo IV, e B, paragrafo I,
allegate al Decreto del Ministro della giustizia 8
aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti
contenziosi, come segue: 1) quanto al primo giudizio di
merito, conclusosi con il decreto del 5 gennaio 2004, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge; 2) quanto al primo giudizio di
legittimità, in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro
500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge; 3) quanto al giudizio di
rinvio, conclusosi con il decreto impugnato, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge.
3.2. - Le spese del presente grado
di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate
nel dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il secondo ed il terzo
motivo del ricorso ed accoglie il primo; cassa il
decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito,
condanna il Ministro della giustizia al pagamento al
ricorrente della somma di Euro 15.000,00, oltre gli
interessi dalla domanda, condannandolo altresì al
rimborso, in favore del F., delle spese del giudizio,
che determina: 1) quanto al primo giudizio di merito,
conclusosi con il decreto del 5 gennaio 2004, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge; 2) quanto al primo giudizio di
legittimità, in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro
500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge; 3) quanto al giudizio di
rinvio, conclusosi con il decreto impugnato, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge; 4) quanto al presente grado del
giudizio, in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro
500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge. |