Estesa la tutela dei licenziamenti
discriminatori - La Suprema Corte con la sentenza 16925
estende la tutela prevista per il licenziamento
discriminatorio a quello per “ritorsione o per
rappresaglia” come reazione ingiusta e arbitraria
dell’imprenditore a comportamenti non graditi. Delle
garanzie previste sia dallo statuto dei lavoratori sia
dalla legge 108 del 1990 si è dunque avvantaggiato il
lavoratore colpito dalla vendetta del datore per aver
chiesto il pagamento degli straordinari e dei permessi
retribuiti.
Il pretesto della crisi -
L’azienda aveva giustificato il licenziamento con la
necessità di procedere a un riassetto organizzativo
imposto dalla crisi economica che aveva fatto diminuire
gli ordini. Una esigenza di riduzione del personale che
la corte ritiene “palesemente pretestuosa” in
considerazione dell’assunzione di un nuovo dipendente,
avvenuta pochi mesi prima del licenziamento contestato,
adibito prevalentemente alle stesse mansioni
dell’operaio allontanato.
Il potere di controllo del giudice
- Gli ermellini - pur ribadendo l’impossibilità da parte
del giudice di dare giudizi sull’opportunità della
scelta dell’imprenditore di sopprimere un settore
lavorativo, un reparto o un posto – sottolineano il
compito del magistrato di valutare la reale sussistenza
delle ragioni poste alla base della soluzione adottata e
verificare “l’effettività e la non pretestuosità del
riassetto organizzativo operato”. Inoltre la Corte
ricorda che anche in presenza di un giustificato motivo
– che nel caso esaminato mancava – l’impresa ha l’onere
di provare l’oggettiva impossibilità di “ripescare” il
dipendente licenziato per utilizzarlo in un altro
settore.
Il Supremo collegio, verificata la
natura ritorsiva del licenziamento, ha dunque obbligato
la società ricorrente a riassumere il dipendente
pagandogli sia gli stipendi maturati dal giorno del
licenziamento ingiustificato sia lo straordinario e i
permessi. |