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Corte di giustizia dell'Unione europea - Grande Sezione - sentenza 5 aprile 2011, C-119/09, Societé fiduciarie nationale d’expertise comptable - "IL DIVIETO PER I PROFESSIONISTI DI EFFETTUARE PROMOZIONI COMMERCIALI DIRETTE E AD PERSONAM NON È CONFORME AL DIRITTO- - Michele COZZIO

 

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 La sentenza è di particolare interesse in quanto per la prima volta la Corte si pronuncia sull’obbligo di cancellazione “dei divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate” (art. 24, co. 1) introdotto dalla direttiva sui servizi nel mercato interno (dir. 2006/123/CE).

 

Sul tema si rilevava una certa ambiguità da parte del legislatore comunitario, che, da un lato, aveva imposto agli Stati membri - con la direttiva 2006/123/CE - la cancellazione dei divieti assoluti di comunicazioni commerciali e, dall’altro lato, - sempre con la direttiva 2006/123/CE - legittimava eventuali restrizioni allo svolgimento di dette comunicazioni, se poste a salvaguardia dell’indipendenza, della dignità, dell’integrità della professione. L’ambiguità della scelta comunitaria era evidente soprattutto nel rinvio a concetti ampi e indefiniti quali, appunto, l’indipendenza, la dignità e l’integrità, la cui tutela spesso giustifica (nella prassi) l’applicazione di regole restrittive .

 

La sentenza segna un punto a favore verso la liberalizzazione delle comunicazioni commerciali dei professionisti, a sostegno del convincimento (fondato anche sui risultati di studi economici) che la pubblicità sia utile per tutelare i consumatori posto che per essa:

(a) si forniscono ulteriori strumenti di acquisizione delle informazioni;

(b) si facilita l’ingresso di nuovi operatori sul mercato ;

(c) si agevola l’innovazione e il miglioramento qualitativo delle prestazioni.

Secondo tale convincimento, infatti, le restrizioni all’utilizzo degli strumenti pubblicitari non risponderebbero alla tutela di interessi generali, ma avrebbero effetti negativi: infatti, riducendo la concorrenza, esse finiscono col rendere più costosa l’acquisizione di informazioni e più difficile ricercare prestazioni qualitativamente migliori e al prezzo più adeguato .

 

Con questa decisione la Corte sembra rafforzare, dunque, la posizione di quanti da tempo indicavano la necessità di considerare mezzi di comunicazione diversi, con regole diverse da quelle fino ad ora utilizzate (Prandstraller, 1993) adeguate ai ritmi dello sviluppo tecnologico e alle dinamiche del mercato (la necessità di non ostacolare i prestatori transfrontalieri) e perciò sostenendo l’abbandono di “vecchie logiche notabilistiche o talora forse piuttosto bottegaie” (Consolo, 2006). In altri termini le novità in tema di pubblicità professionale non causano lo svilimento dei professionisti, perché ingiustamente equiparati ad un qualunque commerciante, né del loro “decoro” (Schlesinger, 2006), ma rappresentano uno strumento necessario per attrezzare i professionisti alle rinnovate esigenze della società e del mercato.

 

Va rilevato, infine, che la sentenza segna un’importante revirement sul precedente orientamento espresso nel caso Alpine Investments , laddove la Corte si era pronunciata in senso positivo quanto alla compatibilità del divieto di marketing telefonico (cd. cold calling) con le norme sulla libera prestazione di servizi. In quell’occasione veniva stabilito che il divieto, imposto da uno Stato membro agli intermediari finanziari in esso stabiliti, di rivolgere a potenziali clienti stabiliti in un altro Stato membro telefonate non richieste allo scopo di offrire loro servizi “costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi, ma è giustificato da una ragione imperativa di interesse generale che consiste nell’esigenza di proteggere la buona reputazione del settore finanziario nazionale”. In effetti il buon funzionamento dei mercati finanziari, precisavano i giudici, “è dovuto alla fiducia che essi ispirano agli investitori, che è subordinata all’esistenza di discipline professionali volte a garantire la competenza e la correttezza degli intermediari finanziari”. Orbene secondo la Corte “il divieto del cosiddetto cold calling su un mercato altamente speculativo come è quello delle operazioni a termine sulle merci mira a salvaguardare il sano funzionamento del settore finanziario nazionale”.

 

Nella sentenza di aprile 2011 che sottoponiamo alla vostra attenzione viene meno il tentativo di legittimare il divieto per i professionisti di effettuare comunicazioni commerciali per promuovere i propri servizi, divieto che solitamente era fondato sulla necessità di tutelare i valori (indipendenza, dignità e integrità) della professione. Il tentativo, per altro, era stato sostenuto anche dall’Avvocato generale nelle proprie conclusioni , le quali, però, non hanno trovato conferma nella sentenza della Corte.

 

La fattispecie esaminata dai giudici comunitari riguarda la vertenza avviata dalla Societé fiduciare nationale d’expertise comptable davanti al Consiglio di Stato francese contro il Ministero francese della Funzione pubblica ed avente ad oggetto il decreto del 27 settembre 2007 n. 1387 recante il codice di deontologia delle professioni di dottore commercialista ed esperto contabile, nella parte in cui vieta l’accaparramento di clientela. Più precisamente la disposizione su cui si dibatte riguarda il “divieto di intraprendere qualsiasi atto non richiesto al fine di proporre i propri servizi a terzi” .

 

Secondo la società ricorrente tale regolamentazione si pone in contrasto con la disposizione della direttiva 2006/123/CE a mente della quale gli Stati membri sono obbligati a sopprimere tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate (art. 24). La ratio della disposizione è precisata nel considerando n. 100 della direttiva, secondo il quale sono da revocare “non i divieti relativi al contenuto di una comunicazione commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto assoluto di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione”. Per questa via, dunque, gli Stati membri rimangono liberi di stabilire eventuali divieti solo quanto al contenuto o alle modalità delle comunicazioni commerciali e sempreché tali divieti siano giustificati e proporzionati rispetto al fine di assicurare l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione, nonché il segreto professionale (art. 24, co. 2, dir. 2006/123/CE) .

 

È questa la soluzione che viene proposta anche dall’Avvocato generale Mazàk: a suo dire il divieto stabilito dal codice deontologico non è contrario all’obbligo di soppressione dei divieti totali in materia di comunicazioni commerciali posto dalla direttiva (art. 24, co. 1) ma rientra fra le modalità di realizzazione delle comunicazioni commerciali e come tale rimane soggetto agli eventuali vincoli posti dal legislatore nazionale.

 

Diversa è l'interpretazione proposta dai giudici della Corte, i quali ritengono che il divieto introdotto dalla direttiva sia da considerare alla stregua di un divieto assoluto essendo concepito in modo ampio e impedendo di fatto qualsiasi atto di promozione commerciale diretta e ad personam dei servizi, a prescindere dalla sua forma, dal suo contenuto o dai mezzi impiegati. Di conseguenza, concludono i giudici, tale divieto comprende la proibizione di tutti i mezzi di comunicazione che consentono l’attuazione di questa forma di comunicazione commerciale e come tale rientra fra quelli oggetto di divieto ai sensi dell’art. 24, co. 1, della direttiva 2006/123/CE.

 

Nella sentenza non manca un rinvio esplicito alla realizzazione del mercato interno dei servizi e all’eliminazione degli ostacoli alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi. In effetti la Corte stabilisce che il divieto posto dal codice deontologico dei dottori commercialisti francesi di compiere qualsiasi atto di accaparramento dei clienti costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi transfrontalieri posto che va a ledere soprattutto i professionisti provenienti da altri Stati membri “privandoli di un mezzo efficace di penetrazione del mercato nazionale di cui trattasi” (pt. 43).

 

Quanto fin qui detto va integrato da due considerazioni. La prima per ribadire che l’esito della vertenza rappresenta un passo in avanti nel processo di liberalizzazione delle attività professionali oggi sollecitato soprattutto dalle Istituzioni dell’Unione Europea spesso in controtendenza con l’atteggiamento di chiusura che caratterizza l’azione normativa degli Stati membri. Tale risultato, peraltro, difficilmente sarebbe stato conseguito in assenza della direttiva 2006/123/CE: la Corte, infatti, sarebbe stata chiamata a pronunciarsi sulla conformità o no del menzionato divieto con le norme del Trattato in tema di libera circolazione dei servizi e libertà di stabilimento. In altri termini essa si sarebbe limitata a verificare la presenza dei requisiti costantemente connessi con la giustificazione degli ostacoli alle libertà fondamentali del mercato interno (segnatamente: l’essere il divieto in questione non discriminatorio, giustificato da motivi imperativi di interesse generale e non superare i limiti di quanto è opportuno e necessario per la realizzazione dei legittimi obiettivi perseguiti). In tal caso, è ragionevole ritenere (alla luce delle osservazioni svolte dai giudici ) che il divieto avrebbe superato il ‘test di legittimità’ e sarebbe stato ritenuto conforme al diritto comunitario.

 

La seconda considerazione è per sottolineare la funzione - riconosciuta in sede europea - della deontologia professionale e, di conseguenza, il ruolo che possono svolgere gli Ordini professionali soprattutto nella fase di elaborazione di regole / codici di condotta magari condivisi a livello europeo. Al riguardo sia sufficiente segnalare che la direttiva nei considerando iniziali invita espressamente gli Stati membri “a incoraggiare l’elaborazione di codici di condotta a livello comunitario, specialmente da parte di ordini, organismi o associazioni professionali. Tali codici di condotta dovrebbero includere, a seconda della natura specifica di ogni professione, norme per le comunicazioni commerciali relative alle professioni regolamentate e norme deontologiche delle professioni regolamentate intese a garantire l’indipendenza, l’imparzialità e il segreto professionale… Gli Stati membri dovrebbero adottare misure di accompagnamento per incoraggiare gli ordini, gli organismi e le associazioni professionali ad applicare a livello nazionale questi codici di condotta adottati a livello comunitario” (considerando 114, dir. 2006/123/CE) .

 

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

5 aprile 2011 (*)

«Libera prestazione dei servizi – Direttiva 2006/123/CE – Art. 24 – Proibizione di tutti i divieti totali

in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate – Professione di

dottore commercialista/esperto contabile – Divieto di promozione commerciale diretta e ad

personam dei propri servizi (“démarchage”)»

Nel procedimento C-119/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi

dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Francia), con decisione 4 marzo 2009, pervenuta in cancelleria il

1° aprile 2009, nella causa

Société fiduciaire nationale d’expertise comptable

contro

Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts,

J.-C. Bonichot, K. Schiemann, J.-J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dal sig. A. Rosas, dalla

sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. U. Lõhmus (relatore), M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger,

giudici,

avvocato generale: sig. J. Mazák

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 23 marzo 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Société fiduciaire nationale d’expertise comptable, dall’avv. F. Molinié, avocat;

– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Messmer, in qualità di agenti;

– per il governo cipriota, dalla sig.ra D. Kallí, in qualità di agente;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels, nonché dai sigg. M. de Grave e

J. Langer, in qualità di agenti;

– per la Commissione europea, dal sig. I. Rogalski e dalla sig.ra C. Vrignon, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 maggio 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 24 della direttiva del

Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato

interno (GU L 376, pag. 36).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Société fiduciaire nationale

d’expertise comptable (in prosieguo: la «Société fiduciaire») e il Ministre du Budget, des Comptes

publics et de la Fonction publique (Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Funzione pubblica), in

merito a un ricorso diretto all’annullamento del decreto 27 settembre 2007, n. 1387, recante un

codice di deontologia della professione di dottore commercialista/esperto contabile (JORF del 28

settembre 2007, pag. 15847), nella parte in cui vieta gli atti di «démarchage», cioè di promozione

commerciale diretta e ad personam dei propri servizi.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

3 Ai sensi del secondo, del quinto e del centesimo ‘considerando’ della direttiva 2006/123:

«(2) Una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita

economica e creare posti di lavoro nell’Unione europea. Attualmente un elevato numero di

ostacoli nel mercato interno impedisce ai prestatori, in particolare alle piccole e medie imprese

(PMI), di espandersi oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno il mercato unico. Tale

situazione indebolisce la competitività globale dei prestatori dell’Unione europea. Un libero

mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le restrizioni alla circolazione

transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e l’informazione dei

consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a

prezzi inferiori.

(…)

(5) È necessario quindi eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati

membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e

ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà

fondamentali del trattato. (…)

(…)

(100) Occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le

professioni regolamentate, revocando non i divieti relativi al contenuto di una comunicazione

commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione,

proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto assoluto di

pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione. Per quanto riguarda il

contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, occorre incoraggiare gli operatori del

settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di condotta a livello

comunitario».

4 L’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123 prevede che, ai fini della medesima, si debba intendere

per:

«“comunicazione commerciale”: qualsiasi forma di comunicazione destinata a promuovere,

direttamente o indirettamente, beni, servizi, o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di

una persona che svolge un’attività commerciale, industriale o artigianale o che esercita una

professione regolamentata. Non costituiscono, di per sé, comunicazioni commerciali le informazioni

seguenti:

a) le informazioni che permettono l’accesso diretto all’attività dell’impresa, dell’organizzazione o

della persona, in particolare un nome di dominio o un indirizzo di posta elettronica,

b) le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o all’immagine dell’impresa, dell’organizzazione o

della persona elaborate in modo indipendente, in particolare se fornite in assenza di un

corrispettivo economico».

5 L’art. 24 della direttiva 2006/123, intitolato «Comunicazioni commerciali emananti dalle professioni

regolamentate», ha il seguente tenore:

«1. Gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per

le professioni regolamentate.

2. Gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che emanano dalle

professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto

comunitario, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione

nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole

professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi

imperativi di interesse generale e proporzionate».

6 A norma degli artt. 44 e 45 della direttiva 2006/123, quest’ultima è entrata in vigore il 28 dicembre

2006 e doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 28 dicembre 2009.

La normativa nazionale

7 L’istituzione dell’Ordine dei dottori commercialisti/esperti contabili nonché il titolo e la professione

di dottore commercialista/esperto contabile sono disciplinati dalle disposizioni del decreto 19

settembre 1945, n. 2138 (JORF del 21 settembre 1945, pag. 5938). Ai sensi del predetto decreto, i

dottori commercialisti/esperti contabili hanno il compito precipuo di tenere e di controllare la

contabilità di imprese e di organismi ai quali non sono vincolati da un contratto di lavoro. Essi sono

abilitati ad attestare la regolarità e la veridicità dei risultati di esercizio e possono altresì prestare

assistenza nella creazione di imprese ed organismi per quanto riguarda tutti i relativi aspetti

contabili, economici e finanziari.

8 Fino all’adozione del decreto 25 marzo 2004, n. 279, recante semplificazione e adeguamento delle

condizioni di esercizio di talune attività professionali (JORF del 27 marzo 2004, pag. 5888), agli

esercenti la professione di dottore commercialista/esperto contabile era vietata qualsiasi pubblicità

personale. Il decreto 30 maggio 1997, n. 586, relativo al funzionamento degli organi di autogoverno

professionale dei dottori commercialisti/esperti contabili (JORF del 31 maggio 1997, pag. 8510), che

specifica a quali condizioni i dottori commercialisti/esperti contabili possono ora ricorrere ad azioni

promozionali, stabilisce, all’art. 7, che tali condizioni formeranno oggetto di un codice dei doveri

professionali, le cui disposizioni saranno emanate sotto forma di decreto preceduto dal parere del

Conseil d’État.

9 Pertanto, l’art. 23 del decreto n. 2138/1945 nonché l’art. 7 del decreto n. 586/97 sono le norme

sulla cui base è stato adottato il decreto n. 1387/2007.

10 Ai sensi dell’art. 1 di quest’ultimo decreto:

«Le norme deontologiche applicabili alla professione di dottore commercialista/esperto contabile

sono fissate dal codice di deontologia allegato al presente decreto».

11 L’art. 1 del codice di deontologia della professione di dottore commercialista/esperto contabile

dispone quanto segue:

«Le disposizioni del presente codice si applicano ai dottori commercialisti/esperti contabili,

qualunque siano le modalità di esercizio della professione, e, se del caso, ai

dottori commercialisti/esperti contabili tirocinanti nonché ai dipendenti menzionati rispettivamente

agli artt. 83 ter e 83 quater del decreto 19 settembre 1945, n. 2138, recante istituzione dell’Ordine

dei dottori commercialisti/esperti contabili e disciplinante il titolo e la professione di

dottore commercialista/esperto contabile.

Ad eccezione di quelle che possono riguardare unicamente le persone fisiche, le disposizioni

suddette si applicano parimenti alle società di revisione contabile e alle associazioni di gestione e di

contabilità».

12 A norma dell’art. 12 di tale codice:

«I - Ai soggetti di cui all’art. 1 è fatto divieto di intraprendere qualsiasi atto non richiesto al fine di

proporre i propri servizi a terzi.

La loro partecipazione a dibattiti, seminari o altre manifestazioni universitarie o scientifiche è

autorizzata nei limiti in cui tali soggetti non compiano, in tale occasione, atti equiparabili a un

“démarchage”.

II - Le azioni promozionali sono consentite ai soggetti di cui all’art. 1 nei limiti in cui forniscano al

pubblico un’informazione utile. I mezzi impiegati a tale fine vengono applicati con discrezione, in

modo da non ledere l’indipendenza, la dignità e l’onore della professione, nonché le regole del

segreto professionale e la lealtà verso i clienti e i colleghi.

Quando presentano la loro attività professionale a terzi, con qualsiasi mezzo, i soggetti di cui

all’art. 1 non devono adottare alcuna forma di espressione idonea a compromettere la dignità della

loro funzione o l’immagine della professione.

Tali modalità di comunicazione, come qualsiasi altra, sono ammesse soltanto a condizione che

l’espressione sia decorosa e improntata a ritegno, che il loro contenuto sia privo di inesattezze e non

sia tale da indurre in errore il pubblico e che siano prive di ogni elemento comparativo».

Causa principale e questione pregiudiziale

13 Con ricorso proposto il 28 novembre 2007, la Société fiduciaire ha chiesto al Conseil d’État di

annullare il decreto n. 1387/2007 nella parte in cui vieta il «démarchage», cioè gli atti di

promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi. Tale società considera che il

divieto generale e assoluto di qualsiasi attività di «démarchage», previsto dall’art. 12-I del codice di

deontologia della professione di dottore commercialista/esperto contabile, sia contrario all’art. 24

della direttiva 2006/123 e metta in grave pericolo l’attuazione di quest’ultima.

14 Il giudice a quo ritiene che un rinvio pregiudiziale sia necessario nella controversia dinanzi ad esso

pendente, in quanto il divieto di «démarchage» imposto dal decreto impugnato, qualora fosse

considerato contrario all’art. 24 della direttiva 2006/123, comprometterebbe seriamente l’attuazione

di quest’ultima.

15 Ciò premesso, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la

seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva [2006/123] abbia inteso abolire, per le professioni regolamentate da essa

contemplate, ogni divieto generale, qualunque sia la forma di pratica commerciale di cui trattasi,

oppure se abbia lasciato agli Stati membri la possibilità di mantenere dei divieti generali per talune

pratiche commerciali, quali il “démarchage”».

Sulla ricevibilità

16 Il giudice del rinvio sollecita l’interpretazione della direttiva 2006/123, il cui termine di recepimento,

fissato al 28 dicembre 2009, non era ancora scaduto alla data in cui è stata emanata l’ordinanza di

rinvio, ossia il 4 marzo 2009.

17 Il governo francese, senza eccepire esplicitamente l’irricevibilità della domanda di pronuncia

pregiudiziale, solleva obiezioni in ordine alla pertinenza del quesito posto dal giudice del rinvio e alla

valutazione formulata da quest’ultimo secondo cui, se la normativa nazionale controversa nella

causa principale venisse considerata contraria alla direttiva 2006/123, comprometterebbe

seriamente l’attuazione di quest’ultima.

18 Infatti, secondo tale governo, se è pur vero che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, in

pendenza del termine di recepimento di una direttiva gli Stati membri che ne sono destinatari

devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato

prescritto dalla direttiva stessa (sentenze 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement

Wallonie, Racc. pag. I-7411, punto 45; 8 maggio 2003, causa C-14/02, ATRAL, Racc. pag. I-4431,

punto 58, nonché 23 aprile 2009, cause riunite C-261/07 e C-299/07, VTB-VAB e Galatea,

Racc. pag. I-2949, punto 38), ciò non varrebbe nel caso di specie, in cui l’applicazione della

normativa nazionale controversa in pendenza del termine di recepimento della direttiva 2006/123

non produrrebbe effetti capaci, da un lato, di perdurare dopo la scadenza di tale termine e

suscettibili, dall’altro, di presentare una particolare gravità in rapporto all’obiettivo perseguito dalla

direttiva in parola.

19 A tal riguardo, va ricordato che, come emerge da questa stessa giurisprudenza, spetta al giudice

del rinvio investito della controversia principale valutare se le disposizioni nazionali di cui si contesta

la legittimità siano atte a compromettere seriamente il risultato prescritto da una direttiva. In tale

valutazione il giudice del rinvio dovrebbe, in particolare, esaminare se le disposizioni di cui trattasi si

presentino come un completo recepimento della direttiva e determinare gli effetti concreti

dell’applicazione di tali disposizioni non conformi alla direttiva e della loro durata nel tempo (v., in

particolare, sentenza Inter-Environnement Wallonie, cit., punti 46 e 47).

20 Non spetta dunque alla Corte verificare l’esattezza di tale valutazione nell’ambito di un esame della

ricevibilità di una domanda di pronuncia pregiudiziale.

21 Ad ogni modo, secondo una giurisprudenza costante, la questione relativa all’interpretazione del

diritto dell’Unione, sollevata dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua

sotto la propria responsabilità, beneficia di una presunzione di rilevanza (v., in tal senso, sentenze

16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio, Racc. pag. I-9641, punto 67; 7 ottobre 2010, causa

C-515/08, dos Santos Palhota e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 20, nonché 12

ottobre 2010, causa C-45/09, Rosenbladt, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33).

22 Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Sulla questione pregiudiziale

23 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 24 della direttiva

2006/123 debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale

vieti agli esercenti una professione regolamentata, come quella di

dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad

personam dei propri servizi («démarchage»).

24 In via preliminare, va rilevato che l’art. 24 della direttiva 2006/123, intitolato «Comunicazioni

commerciali emananti dalle professioni regolamentate», sancisce due obblighi a carico degli Stati

membri. Da un lato, l’art. 24, n. 1, esige che gli Stati membri sopprimano tutti i divieti assoluti in

materia di comunicazioni commerciali delle professioni regolamentate. Dall’altro, il n. 2 del

medesimo articolo obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le comunicazioni commerciali che

promanano dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, conformi al diritto

dell’Unione, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione

nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le suddette

regole professionali devono essere non discriminatorie, giustificate da un motivo imperativo di

interesse generale e proporzionate.

25 Al fine di verificare se l’art. 24 della direttiva 2006/123, e segnatamente il n. 1 di tale articolo,

costituisca una norma destinata a proibire l’introduzione di un divieto di «démarchage» quale quello

previsto dalla normativa nazionale in esame nella causa principale, occorre interpretare tale

disposizione riferendosi non soltanto al suo tenore letterale, bensì anche alla sua finalità e al suo

contesto nonché all’obiettivo perseguito dalla normativa di cui trattasi.

26 A tal riguardo, dal secondo e dal quinto ‘considerando’ della direttiva in parola emerge che

quest’ultima mira ad eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati

membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri, al fine di contribuire alla realizzazione

del mercato interno libero e concorrenziale.

27 La finalità dell’art. 24 di detta direttiva viene precisata nel centesimo ‘considerando’ di quest’ultima,

dove si afferma che occorre sopprimere i divieti assoluti in materia di comunicazioni commerciali per

le professioni regolamentate che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o

più forme di comunicazione commerciale, segnatamente qualsiasi pubblicità in un determinato o in

determinati mezzi di comunicazione.

28 Per quanto riguarda il contesto in cui si inscrive l’art. 24 della direttiva 2006/123, va ricordato che

esso è contenuto nel capo V della medesima, intitolato «Qualità dei servizi». Orbene, come rilevato

dall’avvocato generale al paragrafo 31 delle sue conclusioni, tale capo, in generale, e il citato

art. 24, in particolare, mirano alla salvaguardia degli interessi dei consumatori migliorando la qualità

dei servizi delle professioni regolamentate nell’ambito del mercato interno.

29 Di conseguenza, tanto dalla finalità del predetto art. 24 quanto dal contesto in cui questo si

inserisce risulta che, come giustamente sostenuto dalla Commissione europea, l’intenzione del

legislatore dell’Unione era non soltanto di porre fine ai divieti assoluti, per gli esercenti una

professione regolamentata, di ricorrere alla comunicazione commerciale, in qualunque forma, ma

anche di eliminare i divieti di ricorso a una o più forme di comunicazione commerciale ai sensi

dell’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123, quali, in particolare, la pubblicità, il marketing diretto

e le sponsorizzazioni. Alla luce degli esempi contenuti nel centesimo ‘considerando’ della direttiva in

parola, devono considerarsi quali divieti assoluti, preclusi a norma dell’art. 24, n. 1, della medesima

direttiva, anche le regole professionali che proibiscono di fornire, nell’ambito di uno o più mezzi di

comunicazione, informazioni sul prestatore o sulla sua attività.

30 Tuttavia, in forza dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123, letto alla luce del secondo periodo del

centesimo ‘considerando’ di quest’ultima, gli Stati membri rimangono liberi di prevedere divieti

relativi al contenuto o alle modalità delle comunicazioni commerciali per quanto riguarda le

professioni regolamentate, purché le regole previste siano giustificate e proporzionate al fine di

garantire in particolare l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione, nonché il segreto

professionale necessario in sede di esercizio di quest’ultima.

31 Al fine di stabilire se la normativa nazionale controversa rientri nell’ambito di applicazione

dell’art. 24 della direttiva in parola, occorre anzitutto stabilire se il «démarchage» configuri una

comunicazione commerciale ai sensi di tale articolo.

32 La nozione di «comunicazione commerciale» è definita all’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123

come comprensiva di qualsiasi forma di comunicazione destinata a promuovere, direttamente o

indirettamente, i beni, i servizi o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di una persona

che svolge un’attività commerciale, industriale, artigianale o che esercita una professione

regolamentata. Tuttavia, esulano da tale nozione, in primo luogo, le informazioni che consentono

l’accesso diretto all’attività dell’impresa, dell’organizzazione o della persona, quali un nome di

dominio o un indirizzo di posta elettronica, nonché, in secondo luogo, le comunicazioni relative ai

beni, ai servizi o all’immagine dell’impresa, dell’organizzazione o della persona elaborate in modo

indipendente, in particolare qualora esse siano fornite senza corrispettivo economico.

33 Di conseguenza, come sostenuto dal governo olandese, la comunicazione commerciale comprende

non soltanto la pubblicità classica, ma anche altre forme di pubblicità e di comunicazione di

informazioni destinate all’acquisizione di nuovi clienti.

34 Per quanto riguarda la nozione di «démarchage», va rilevato che né la direttiva 2006/123 né alcun

altro atto normativo dell’Unione contengono una definizione di tale nozione. Inoltre, la sua portata

può variare negli ordinamenti giuridici dei diversi Stati membri.

35 Ai sensi dell’art. 12-I del codice di deontologia in esame nella causa principale, deve considerarsi

atto di «démarchage» quello con il quale un dottore commercialista/esperto contabile prende

contatto con un terzo, che non l’abbia richiesto, al fine di proporgli i propri servizi.

36 A tal riguardo, va evidenziato che, sebbene la portata esatta della nozione di «démarchage», ai

sensi della normativa nazionale, non risulti dall’ordinanza di rinvio, il Conseil d’État, nonché tutti gli

interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte, considerano che il «démarchage» rientri

nella nozione di «comunicazione commerciale», di cui all’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123.

37 Secondo la Société fiduciaire, il «démarchage» si definisce come un’offerta personalizzata di beni o

di servizi rivolta a una determinata persona giuridica o fisica che non l’abbia richiesta. Il governo

francese aderisce a tale definizione, pur proponendo di distinguere due elementi, ossia, da un lato,

un elemento di movimento, che risiede nel fatto di prendere contatto con un terzo che non lo ha

richiesto, e, dall’altro, un elemento di contenuto consistente nella trasmissione di un messaggio a

carattere commerciale. Secondo tale governo, è questo secondo elemento che costituisce, in

particolare, una comunicazione commerciale ai sensi della direttiva 2006/123.

38 Da tali elementi si evince che il «démarchage» costituisce una forma di comunicazione di

informazioni destinata alla ricerca di nuovi clienti. Orbene, come dedotto dalla Commissione, il

«démarchage» implica un contatto personalizzato tra il prestatore e il potenziale cliente, al fine di

presentare a quest’ultimo un’offerta di servizi. Per tale motivo, esso può essere qualificato come

marketing diretto. Di conseguenza, il «démarchage» rientra nella nozione di «comunicazione

commerciale», ai sensi degli artt. 4, punto 12, e 24 della direttiva 2006/123.

39 La questione che si pone quindi è se il divieto di «démarchage» possa essere considerato un divieto

assoluto in materia di comunicazioni commerciali ai sensi dell’art. 24, n. 1, di tale direttiva.

40 Dalla formulazione dell’art. 12-I del codice di deontologia oggetto della causa principale, nonché

dalla «Griglia indicativa degli strumenti di comunicazione» predisposta dal Conseil supérieur de

l’ordre des experts-comptables [Consiglio superiore dell’Ordine dei

dottori commercialisti/esperti contabili], allegata alle osservazioni scritte del governo francese,

risulta che, in forza della norma suddetta, gli esercenti la professione di

dottore commercialista/esperto contabile devono astenersi da qualsiasi contatto personale non

richiesto che possa essere considerato come un reclutamento di clientela o una proposta concreta di

servizi commerciali.

41 Va constatato che il divieto di «démarchage», quale previsto dal citato art. 12-I, è concepito in

modo ampio, poiché vieta qualsiasi atto di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri

servizi, a prescindere dalla sua forma, dal suo contenuto o dai mezzi impiegati. Pertanto, tale divieto

comprende la proibizione di tutti i mezzi di comunicazione che consentono l’attuazione di questa

forma di comunicazione commerciale.

42 Ne consegue che un siffatto divieto deve essere considerato come un divieto assoluto in materia di

comunicazioni commerciali, proibito dall’art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123.

43 Tale conclusione è conforme all’obiettivo di detta direttiva, che consiste, come ricordato al punto 26

della presente sentenza, nell’eliminare gli ostacoli alla libera prestazione dei servizi tra gli Stati

membri. Infatti, una normativa di uno Stato membro che vieti ai

dottori commercialisti/esperti contabili di procedere a qualsiasi atto di «démarchage» può ledere

maggiormente i professionisti provenienti da altri Stati membri, privandoli di un mezzo efficace di

penetrazione del mercato nazionale di cui trattasi. Un siffatto divieto costituisce pertanto una

restrizione alla libera prestazione dei servizi transfrontalieri (v., per analogia, sentenza 10 maggio

1995, causa C-384/93, Alpine Investments, Racc. pag. I-1141, punti 28 e 38).

44 Il governo francese sostiene che il «démarchage» lede l’indipendenza dei soggetti esercitanti tale

professione. A suo avviso, essendo i dottori commercialisti/esperti contabili incaricati di controllare

la contabilità di imprese e organismi ai quali essi non sono vincolati da un contratto di lavoro,

nonché di attestare la regolarità e la veridicità dei risultati di esercizio di tali imprese od organismi, è

indispensabile che i suddetti professionisti non siano sospettati di alcuna compiacenza nei confronti

dei loro clienti. Orbene, mediante una presa di contatto con il dirigente dell’impresa o dell’organismo

interessati, il dottore commercialista/esperto contabile rischierebbe di modificare la natura del

rapporto che deve abitualmente intrattenere con il suo cliente, ciò che dunque nuocerebbe alla sua

indipendenza.

45 Tuttavia, come constatato al punto 42 della presente sentenza, la normativa di cui trattasi nella

causa principale vieta totalmente una forma di comunicazione commerciale e rientra pertanto

nell’ambito di applicazione dell’art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123. Tale normativa è dunque

incompatibile con la direttiva 2006/123 e non può essere giustificata in forza dell’art. 24, n. 2, di

quest’ultima, anche se essa è non discriminatoria, fondata su un motivo imperativo di interesse

generale e proporzionata.

46 Alla luce di tutte queste considerazioni, la questione deferita va risolta dichiarando che l’art. 24,

n. 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa

nazionale la quale vieti totalmente agli esercenti una professione regolamentata, come quella di

dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad

personam dei propri servizi («démarchage»).

Sulle spese

47 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente

sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da

altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’art. 24, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006,

2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso

che esso osta a una normativa nazionale la quale vieti totalmente agli esercenti una

professione regolamentata, come quella di dottore commercialista/esperto contabile, di

effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi

(«démarchage»).

Firme

* Lingua processuale: il francese.

 

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