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Abuso del diritto contrattuale: il giudice può modificare l'accordo!I Cassazione civile 13583/2011 -Diritto in rete.com

 

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principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti:sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte, mentre, sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto, specificando poi che si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti, onde, ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'Individuo o dell'imprenditore, giacchè ciò che è censurato in tal caso non è l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso.

Cassazione civile, Sezione III, 21.6.2011, n. 13583

 

Svolgimento del processo

 

La società Francesco Stracciari convenne in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, la Renault Italia s.p.a. e B.L., esponendo che, in qualità di concessionario della società convenuta sin dall'anno 1966 - in forza di contratto rinnovato a tempo indeterminato in data 8.2.1990 -, si era visto risolvere il contratto di concessione di vendita con lettera di preavviso del luglio 1992, anteriore di dodici mesi alla data prevista per la cessazione del rapporto, comportamento connotato da un palese abuso del diritto e dalla violazione del principio della buona fede, non risultando giustificato da alcun inadempimento contrattuale (mentre la condotta della concedente precedente e successiva al preavviso aveva creato nel concessionario una legittima aspettativa di prosecuzione del rapporto).

 

Il giudice di primo grado, respinta la domanda nei confronti del B., accolse la domanda subordinata proposta dall'attrice ex art. 1751 c.c., condannando la Renault Italia al pagamento in suo favore della somma di 750.000 Euro.

 

La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto da quest'ultima, lo accolse (rigettando l'appello incidentale dell'attrice in prime cure).

 

La sentenza è stata impugnata dalla s.a.s Francesco Stracciari con ricorso per cassazione sorretto da 5 motivi e illustrato da memoria.

 

Resiste con controricorso la Renault Italia.

Motivi della decisione

 

Il ricorso è fondato.

 

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di principi generali dell'ordinamento (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all'art. 331 c.p.c. in ordine al rigetto dell'istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti del sig. B..

 

Il motivo è privo dì pregio.

 

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui ha ritenuto (f. 9 della sentenza oggi impugnata) che la natura solidale dell'obbligazione da cui il predetto intimato risulterebbe, in ipotesi, gravato escludeva ipso facto la (pretesa) inscindibilità di cause.

 

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di principi generali dell'ordinamento in ordine alla qualificazione del contratto inter partes, alla disciplina ad esso applicabile in materia di recesso sue modalità e conseguenze;

 

motivazione insufficiente e contraddittoria circa il contenuto del contratto inter partes controverso e decisivo per il giudizio.

 

Atipicità del contratto di concessione di vendita, individuazione della sua natura e della disciplina più affine applicabile anche alla luce del divieto generale di abuso di dipendenza economica e conseguente applicazione della disciplina del recesso nei contratti di collaborazione, il quale, se esercitato senza giusta causa, è fonte dell'obbligo di corrispondere una adeguata indennità per la perdita dell'avviamento (art. 1751 c.c.).

 

Con il terzo motivo, si denuncia insufficiente e in parte contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il comportamento della Renault Italia immediatamente prima del recesso e durante il periodo di preavviso.

 

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di principi generali dell'ordinamento (dovere di buona fede e divieto dell'abuso del diritto ex artt. 1115, 1375 c.c., anche in riferimento all'art. 1373 c.c..

 

Con il quinto motivo, si denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il comportamento scorretto, diretto o in concorso, di Renault Italia.

 

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati attesane la intrinseca connessione logico -giuridica, sono nel loro complesso fondati.

 

Questa corte, in relazione a fattispecie del tutto analoga a quella odierna, dopo aver condivisibilmente premesso che la concessione di vendita è un negozio atipico, avente natura di contratto normativo - dal quale deriva l'obbligo per il concessionario sia di promuovere la stipulazione di singoli contratti di compravendita, sia di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell'accordo iniziale -, che differisce da quello di agenzia perchè in esso la collaborazione tra concedente e concessionario, pur prevista, non assurge ad elemento determinante, ha avuto modo di affermare, in accoglimento di analogo ricorso, che i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti:

 

sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte, mentre, sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto, specificando poi che si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti, onde, ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'Individuo o dell'imprenditore, giacchè ciò che è censurato in tal caso non è l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso (così Cass. 20106/09, predicativa di principi poi confermati da Cass. 13208/010).

 

In applicazione di tali principi di diritto, dai quali il collegio non intende discostarsi e ai quali, per converso, intende dare continuità, è stata cassata analoga decisione di merito la quale aveva ritenuto insindacabile la decisione del concedente di recedere ad nutum dal contratto di concessione di vendita sul presupposto che tale diritto gli fosse espressamente riconosciuto dal contratto:

 

pertanto, non essendosi il giudice territoriale attenuto ai suesposti principi, la sentenza oggi impugnata deve essere cassata con rinvio.

P.Q.M.

 

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Roma in diversa composizione.

 

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