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SE MANCA LA SCIENTIA DECOCTIONIS DA PARTE DEL TERZO, NESSUNA REVOCATORIA DEI PAGAMENTI CORRISPOSTI DAL FALLITO-Cassazione, sez. I, 15 luglio 2011, n. 15687-Diritto e processo.it

 

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Nel periodo sospetto anteriore alla dichiarazione di fallimento o, nel caso di consecuzione di procedure concorsuali, all'ammissione alla prima delle procedure, non si pone la questione della prova dello stato di insolvenza, che è oggetto di presunzione iuris ed de iure, spiegando rilievo solo la conoscenza o meno di detto stato

 

 

 

 

 

Cassazione, sez. I, 15 luglio 2011, n. 15687

 

(Pres. Plenteda – Rel. Di Virgilio)

 

 

 

 

 

Svolgimento del processo

 

La Curatela del Fallimento Magazzini D. s.n.c. dei F.lli D. nonché dei soci illimitatamente responsabili D.P., E. ed A., agiva nei confronti della C. s.r.l., esponendo che la società, titolare di una catena di grandi magazzini di abbigliamento nel Veneto orientale, ammessa alla procedura di concordato il 22/12/1993, e poi dichiarata fallita il xxxxxxx, aveva iniziato ad intrattenere, a decorrere dalla metà degli anni ‘80 rapporti di fornitura con la C. s.r.l., operante nel settore del software; agli inizi, le parti avevano previsto il pagamento delle forniture a mezzo di ricevute bancarie a “30 giorni data fattura", ma già a decorrere dal 1991 le ricevute non erano state più onorate e la Magazzini D., alla data dell'11 dicembre 1992, si era trovata esposta nei confronti della convenuta per lire 38.316.711; tale esposizione era stata ripianata a mezzo assegno solo per l'importo di lire 316.711 e per il residuo la debitrice aveva rilasciato cinque effetti cambiari, tratti sulla società collegata Shopping S.r.l., che alla scadenza erano rimasti insoluti e protestati; l'esposizione della Magazzini D. nei confronti di C., intanto elevata a lire 57.221.218, era stata parzialmente ripianata con assegno del 18 febbraio 93 della Magazzini D. per lire 57.994.477, da imputarsi all'esposizione nei confronti di C. per lire 41.272.486, e con assegno in data 1 giugno 93 per lire 27.311.893 emesso da altra società collegata, probabilmente postdatato.

 

Tanto premesso, il Fallimento chiedeva la declaratoria di inefficacia ex art. 67, 2 comma L.F. dei detti pagamenti, per il complessivo importo di lire 68.584.379. La convenuta si costituiva e contestava la sussistenza del requisito soggettivo.

 

La causa veniva istruita con prove orali; non compariva a rendere interrogatorio formale il legale rappresentante della C..

 

Il Tribunale, con sentenza del 10 aprile 5 luglio 2001, accoglieva la domanda del Fallimento.

 

Avverso tale sentenza C. S.r.l. proponeva appello, sostenendo di non essere stata a conoscenza dello stato di insolvenza della Magazzini D., per operare nel settore del software, totalmente diverso da quello della D.; perché la modifica delle condizioni di pagamento, inizialmente stabilita in 30 giorni dalla fattura e la consegna dell'assegno postdatato, negato peraltro dal Tribunale, potevano far presumere solo una temporanea difficoltà; perché il primo pagamento, avvenuto con assegno del 18 febbraio 1993, risaliva a 10 mesi prima della ammissione della società al concordato preventivo, epoca in cui non vi era alcun sintomo dell'insolvenza, come provato dall'incasso dell'assegno del febbraio 1993;

 

infine, C. non aveva cessato la collaborazione con la D. né agito in giudizio per il recupero del credito.

 

La Corte d'appello, con sentenza del 2/3/2005, ha respinto l'impugnazione.

 

La Corte territoriale, pur ritenendo che, mutando le precedenti condizioni di pagamento, il credito della Magazzini D. era stato in un primo tempo soddisfatto con cessioni poi protestate nei confronti della Shopping S.r.l., che era presumibile che C. conoscesse i rapporti esistenti tra queste società, avendo curato il settore informatico della Magazzini D. e che dopo i protesti la società poi fallita si era dimostrata incapace di pagare i propri debiti in unica soluzione, ha concluso nel senso che tali elementi potevano "suffragare solo l'ipotesi che l'appellante fosse a conoscenza che la debitrice attraversasse un periodo di temporanea illiquidità e non che fosse già decotta".

 

Propone ricorso per cassazione il Fallimento sulla base di due motivi.

 

Resiste la C. S.r.l. con controricorso.

 

Il Fallimento ha depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

1.1.- Con il primo motivo, il Fallimento denuncia la violazione dell'articolo 67, 2 comma L.F., in relazione all'art. 5 della medesima legge, per avere la Corte territoriale, in violazione dell'interpretazione pacificamente accolta del concetto di insolvenza, erroneamente ricondotto gli elementi di prova offerti dalla Curatela nell'ambito della temporanea illiquidità.

 

1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la motivazione solo apparente, insufficiente e, comunque, contraddittoria su punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale raggiunto una conclusione incompatibile con le premesse, attribuendo agli elementi considerati un significato che va al di fuori del senso comune, omettendo di considerare ulteriori circostanze obiettive (e cioè che la D., a partire dalla fine del 1991, non aveva onorato le ricevute bancarie; che nel corso del 1992,a fronte di un'esposizione di oltre 38 milioni di lire, aveva corrisposto soltanto la modestissima somma di lire 316.711; che parte del debito era stato ripianato a mezzo di assegno postdatato emesso da società collegata; che la società era amministrata delle medesime persone fisiche che amministravano Computer Veneto S.r.l. e General Computer S.r.l. che, al pari della C., non riuscivano ad ottenere dalla D. il regolare pagamento dei propri crediti), e concludendo in modo assiomatico, senza spiegare il perché delle conclusioni raggiunte, antitetiche rispetto a quelle adottate dal Tribunale, pur muovendo dalle stesse premesse.

 

2.1.- I due motivi di ricorso, in quanto strettamente connessi, possono essere valutati congiuntamente e sono da ritenersi infondati.

 

Quanto al vizio di violazione di legge, è agevole rilevare che la censura appare diretta a far valere la violazione dell'art.5, L.F., per avere la Corte territoriale erroneamente ricondotto gli elementi di prova offerti dalla Curatela nell'ambito riduttivo della "temporanea illiquidità", anziché in quello dell'incapacità di provvedere al pagamento durata quasi un anno e mezzo, facendo così venir meno, di riflesso, il requisito soggettivo della revocatoria.

 

Detta censura non coglie il profilo proprio della fattispecie della revocatoria che qui interessa, ovvero la conoscenza e comunque la percezione dello stato di insolvenza della Magazzini D. da parte della C. alla data di ricezione dei pagamenti per cui è causa, e non già la qualificazione degli elementi probatori offerti dalla Curatela in termini di insolvenza anziché come temporanea illiquidità.

 

È noto infatti che nel periodo sospetto anteriore alla dichiarazione di fallimento o, nel caso di consecuzione di procedure concorsuali, all'ammissione alla prima delle procedure (così Cass. 28445/08 e 2437/2006), non si pone la questione della prova dello stato di insolvenza, che è oggetto di presunzione iuris ed de iure, spiegando rilievo solo la conoscenza o meno di detto stato (così Cass. 5953/1985 e 2936/1978).

 

Nel resto, quanto alla censura di vizio di motivazione, vale il richiamo al principio secondo il quale il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione si configura solo quando dal ragionamento del Giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione,né tali vizi consistono nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal Giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al primo il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di controllare sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal Giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti (così Cass. 18119/08,23929/07, 15489/07, 16459/04, tra le tante).

 

Dal principio sopra esposto consegue che non è sindacabile per vizio di motivazione la sentenza di merito che abbia adeguatamente e logicamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la ratio decidendi (così le pronunce 20911/05 e 10330/03): alla stregua di detti principi, deve concludersi nel senso che le censure del Fallimento sono nella sostanza inammissibilmente intese a prospettare una valutazione diversa degli elementi presuntivi offerta dalla Corte territoriale.

 

Quanto alla addotta mancanza, o mera apparenza di motivazione, all'attribuzione agli elementi presi in considerazione di un significato al di fuori del senso comune, premesso che la prima censura sarebbe più propriamente riconducibile al vizio di violazione di legge, ex art. 360 n.3 c.p.c. (così le pronunce 24985/06, 25494/06, 15523/06, tra le tante), nel resto, va rilevato che la Corte territoriale ha esposto, sia pure in maniera stringata, le ragioni del proprio convincimento sulla base degli elementi valutati, non in contrasto con la decisione, proprio in forza della valutazione di merito degli indizi, come tale insindacabile nella presente sede;

 

infine, il criterio logico seguito dalla Corte territoriale, quale si evince alla stregua della valutazione degli elementi presuntivi ritenuti rilevanti, da conto delle ragioni del dissenso rispetto alla decisione assunta dal Tribunale, così dovendosi concludere per l'infondatezza dell'ultimo rilievo del secondo motivo.

 

3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Fallimento a rifondere alla C. s.r.l. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori.

 

 

 

 

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