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Neutralizzazione dei contributi (Cass. civ., n. 17739/2011)-Diritto.it

 

 

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Staiano Rocchina

                              

Previdenza sociale – Contribuzione figurativa – Sospensione rapporto di lavoro – Indennità di disoccupazione.

 

Massima

In tema di licenziamento, nel concetto di "giustificato motivo obiettivo" ex art. 3, legge n. 604/1986 rientra anche l'ipotesi di riassetti organizzativi attuati per la più economica gestione dell'azienda, purché non pretestuosi e strumentali, bensì volti a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti che influiscano decisamente sulla normale attività produttiva imponendo un'effettiva necessità dei riduzione dei costi.

 

 

L'art. 37 del d.P.R. 818 del 26 aprile 1957, che disciplina la c.d. neutralizzazione dei contributi dispone, per quel che rileva nella presente sede, che i periodi riconosciuti come periodi di contribuzione a norma dei precedenti articoli 10 e 12 sono esclusi dal computo del quinquennio per l'accertamento dei requisiti contributivi stabiliti dall'art. 5 della legge 4 aprile 1952 n. 218, per l'ammissione al versamento dei contributi volontari o, successivamente, ai fini dell'applicazione dei primi due commi dell'art. 15 del presente decreto.

Allo stesso modo vanno considerati:

A) i periodi di assenza facoltativa dal lavoro dopo il parto previsti dal secondo comma

dell'art. 6 della legge 26 agosto 1950 n. 860, nel testo modificato dalla legge 23 maggio 1951 n. 394;

B) i periodi di lavoro subordinato all'estero che non sono protetti agli effetti delle assicurazioni interessate in base a convenzioni od accordi internazionali;

C) i periodi di servizio militare eccedenti il periodo corrispondente al servizio di leva;

D) i periodi di malattia, comprovati con certificato riconosciuto da un ente previdenziale o da una pubblica amministrazione ospedaliera che eccedano i limiti stabiliti dall'art. 56, lett. a) punto 2 del regio decreto legge 4 ottobre 1935 n. 1827.

La giurisprudenza di legittimità rileva che tale norma - lungi dall'avere carattere speciale - detta regole di portata generale, sebbene derogatorie rispetto alle ipotesi normali in cui si richiede una perfetta corrispettività fra versamenti contributivi e prestazione previdenziale erogata all'assicurato.

Essa è infatti proprio diretta a spezzare il predetto nesso di sinallagmaticità, che, ove operasse - indiscriminatamente - nella sua pienezza, sarebbe improprio in un sistema previdenziale basato sulla tutela del lavoratore a fronte di eventi che ne riducano o eliminino le capacità reddituali: comportando la perdita della prestazione previdenziale anche quando il versamento contributivo non avvenga per ragioni non imputabili al lavoratore assicurato. giurisprudenza di legittimità (1) ha rilevato in altre decisioni attinenti alla c.d. neutralizzazione del periodo contributivo utile per ottenere la prestazione previdenziale, la norma è espressione di un principio generale del sistema previdenziale inteso ad impedire che il lavoratore perda la prestazione stessa allorché il versamento contributivo sia carente per ragioni non a lui imputabili.

Non può, pertanto, limitarsi l'incidenza del meccanismo di neutralizzazione, come pretende l'INPS, alle sole ipotesi in cui la carenza contributiva intervenga nel corso di un rapporto di lavoro che rimane sospeso per uno degli eventi tipici prima indicati.

Le ipotesi esaminate rappresentano, appunto, solo, una tipicizzazione delle cause incolpevoli che non consentono il versamento contributivo nel quinquennio utile per l'attribuzione della prestazione previdenziale, nell'ambito del principio di irrilevanza delle carenze contributive non imputabili al lavoratore assicurato.

Per il quale - affinché trovi applicazione il principio stesso - è sufficiente che esista solo una posizione assicurativa.

Da ciò si ricava che la neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio, che derivino da alcune obiettive situazioni impeditive (quali l'astensione facoltativa dal lavoro per maternità, la prestazione di lavoro all'estero, la malattia di una certa durata e altre) - prevista dal d.P.R. n. 818 del

1957, art. 37 ai fini dell'esclusione dei periodi medesimi in sede di verifica dei requisiti contributivi e, in particolare, del requisito del prescritto numero di contributi nell'ultimo quinquennio ai fini del diritto alla pensione di invalidità - è espressione di un principio generale del sistema previdenziale, diretto ad impedire che il lavoratore perda il diritto alla prestazione previdenziale allorchè il versamento contributivo sia carente per ragioni a lui non imputabili, con la conseguenza che non è necessario che la causa impeditiva operi nel corso di un rapporto di lavoro, in atto sospeso, e che, in caso di mancata maturazione del requisito contributivo specifico, consistente nella contribuzione versata nell'ultimo quinquennio precedente la domanda per il pensionamento di invalidità imputabile ad infermità dell'assicurato, deve ritenersi sufficiente il requisito contributivo cosiddetto generico (2).

______

(1)  Cass. civ., 15 settembre 1970, n. 1507; Cass. civ., 24 gennaio 1992, n. 765.

(2)  Cass. civ., Sez. lav., 8 gennaio 2009, n. 166.

orte di Cassazione Civile n. 17739/2011, sez. lavoro del 29/8/2011

 

 

               

               

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Ritenuto in fatto

 

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Genova, confermando la decisone di primo grado, ha affermato il diritto di (…) a percepire l’indennità di disoccupazione dal 1° gennaio 2006 al 30 aprile 2006, ritenendo che il biennio antecedente l’inizio dello stato di disoccupazione (biennio nel quale deve realizzarsi il requisito dell’anno di contribuzione richiesto per l’attribuzione del suddetto trattamento previdenziale), dovesse essere, nella specie, ampliato facendo applicazione dell’istituto della c.d. “neutralizzazione” in relazione a un periodo (5 mesi) corrispondente a quello di astensione obbligatoria per maternità, fruito dall’(…) al di fuori del rapporto di lavoro, ma indennizzato e coperto da contribuzione figurativa.

L’INPS chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su un unico motivo. La parte privata non ha svolto attività difensiva.

 

Considerato in diritto

 

Nell’unico motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 12 e 37 del DPR_818_1957 in riferimento all’art. 19 r.d.l. 636 del 1939, l’Inps sostiene che le conclusioni della sentenza impugnata muovono da un’incompleta disamina delle norme che disciplinano la materia posto che i periodi di maternità corrispondenti a quelli dell’astensione obbligatoria dal lavoro, ma non interni ad un rapporto di lavoro, non danno luogo

a contribuzione figurativa utile ai fini della tutela contro la disoccupazione, né possono essere “neutralizzati” ai fini del computo del biennio, nel quale, ai sensi dell’art. 19 citato r.d.l. 636 del 1939, deve realizzarsi l’anno di contribuzione prescritto per il conseguimento del suddetto trattamento previdenziale. Tanto, sottolinea l’Istituto ricorrente, è reso evidente in particolare dalla disciplina dell’art. 37 d.p.r. 818 del 1957 ed appare successivamente ribadito dal legislatore nell’art. 25 del decreto_legislativo_151_2001.

Il ricorso è fondato.

Prima di procedere all’esame delle disposizioni di legge che vengono in rilievo nella fattispecie controversa, ritiene la Corte necessaria una premessa di carattere generale.

I contributi figurativi sono espressione della partecipazione finanziaria dello Stato al sistema di sicurezza sociale: in presenza di particolari eventi che possono pregiudicare, per il lavoratore, il futuro godimento delle prestazioni previdenziali e che la legge, di volta in volta, qualifica come meritevoli di tutela attraverso l’intervento della solidarietà generale, il finanziamento pubblico si sostituisce (sotto forma, appunto, di contribuzione fittizia) alla contribuzione dei datori e dei prestatori di lavoro.

Peraltro, proprio perché si tratta di interventi che vanno ad incidere sull’intera collettività, la legge stabilisce, in modo particolareggiato, le prestazioni che ne costituiscono oggetto e quali ne sono le

modalità e i limiti. Si tratta quindi, per ogni situazione regolamentata, di una disciplina speciale che non può essere “esportata” ad altre e diverse situazioni in nome di un “principio generale” di sistema che, per le considerazioni appena esposte, non ha ragion d’essere quando si tratti di sostituire all’apporto finanziario da parte delle categorie interessate quello dello Stato.

Non può, conseguentemente, condividersi la sentenza impugnata, laddove, richiamando la sentenza di questa Corte n. 8895 del 2003 (quest’ultima riferita ai periodi di contribuzione necessari ai fini del diritto alla pensione di invalidità) e facendone propria la tesi, afferma l’esistenza, nel sistema previdenziale, di un principio generale di “neutralizzazione” dei periodi di contribuzione figurativa, applicabile, dunque, per tutte le prestazioni previdenziali; né tantomeno può considerarsi conforme a diritto l’affermazione secondo cui il principio in questione sarebbe argomentabile dalle disposizioni dettate dall’art.37 del d.p.r. 26 aprile 1957 n. 818.

Deve, infatti, osservare la Corte l’art. 37 del d.p.r. n. 818 del 1957, nel suo secondo comma, considera rilevanti, ai fini della loro esclusione (c.d. neutralizzazione) dal computo del periodo contributivo necessario per l’acquisizione del diritto alle varie prestazioni nello stesso comma nominativamente indicate (e, tra queste, le indennità di disoccupazione) “I periodi indicati

nel comma precedente .. ” ossia (primo comma) “I periodi riconosciuti come periodi di contribuzione a norma dei precedenti articoli 10 e 12 …” (prima alinea del primo comma), nonché quelli considerati nelle successive lettere a), b), c) e d) dello stesso primo comma. Non, dunque, tutti i periodi coperti da contribuzione figurativa ma solamente quelli specificamente indicati nell’art. 37. E tali sono - per quanto riguarda i periodi di maternità (i soli che vengono in questione nel caso controverso) - ” i periodi di interruzione obbligatoria del lavoro durante lo stato di gravidanza e puerperio ..” sempre che si verifichino nel corso di una prestazione d’opera determinante l’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione (art. 12, commi secondo e terzo), cui si aggiungono (ai sensi dell’art. 37, primo comma, letta) “i periodi di assenza facoltativa dal lavoro dopo il parto previsti dal secondo comma dell’arto della legge 26 agosto 1950 n. 860, nel testo modificato dalla legge 23 maggio 1951 n. 394 (dunque i periodi di assenza, ma sempre interni al rapporto di lavoro, dei quali ha facoltà di fruire la lavoratrice madre).

In sostanza, giusta le dettagliate indicazioni risultanti dal combinato disposto degli artt. 12 e 37 del d.p.r. n. 818 del 1957, sono esclusi dal computo del biennio previsto dall’art. 19 del citato r.d.l. n. 636 del 1939 solamente i periodi di astensione obbligatoria per maternità e di assenza facoltativa dopo il parto fruiti nel corso di un rapporto di lavoro che viene interrotto per il verificarsi dell’evento tutelato.

Questa conclusione non è contraddetta dalle norme di legge successivamente intervenute e che hanno dato tutela, attraverso la contribuzione figurativa, anche ai periodi di maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro.

Il d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 (recante “Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici) che, appresta, per la prima volta, tale tutela, prevede, infatti, nell’art. 14 (primo comma) la facoltà di riscattare, a domanda, i” periodi corrispondenti a quelli di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza e puerperio”; mentre, sempre nell’art. 14 (terzo comma), considera coperti da contribuzione figurativa i periodi per i quali sia prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio” ancorché intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro”. Si tratta, tuttavia, di contribuzione da accreditare secondo le disposizioni di cui all’art. 8 della legge 23 aprile 1981 n. 155 (ultima alinea del terzo comma) e, dunque,

unicamente agli effetti dell’acquisizione del diritto a pensione.

Statuizione, quest’ultima convalidata dall’ art. 2, quarto comma, del d.lgs. 16 settembre 1996 n. 564, il quale, anch’esso, dispone che i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli articoli 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204 (e successive modificazioni ed integrazioni) verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro ” sono considerati utili ai fini pensionistici”, indipendentemente dal loro verificarsi precedentemente o successivamente al 1° gennaio 1994 (data quest’ultima cui faceva, invece, riferimento l’art. 14 del citato d.lgs n. 503 del 1992).

II.contenuto della norma di legge appena decritto è stato, a sua volta, sostanzialmente recepito nell’art. 25, secondo comma, del decreto legislativo 26 marzo 2001 n.151 (che raccoglie, in forma di testo unico, le disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità), il quale stabilisce, ancora una volta, che i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui ai (precedenti) articoli 16 e 17 (ossia i periodi di astensione obbligatoria e quelli in cui il divieto di adibizione al lavoro della donna in gravidanza è anticipato per disposizione del servizio ispettivo del Ministero del lavoro) “verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro ono considerati utili ai fini pensionistici …”.

Come rende evidente il loro dato testuale, le disposizioni normative appena analizzate riconoscono come periodi di contribuzione i periodi corrispondenti a quelli di astensione obbligatoria per maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, ma unicamente a fini pensionistici. Nessuna di esse menziona, invero, l’indennità di disoccupazione, né al fine di integrare, attraverso la contribuzione figurativa, il requisito contributivo necessario all’acquisizione del relativo diritto, né al fine di escludere (ovvero di “neutralizzare”) i sopra indicati periodi dal computo del biennio nel quale deve realizzarsi l’esistenza del requisito in parola.

Ne deriva, con riferimento alla presente controversia, che dal biennio previsto dall’art. 19 del r.d.l. n. 636 del 1939, ai fini dell’accertamento del requisito contributivo necessario al riconoscimento del diritto alla indennità di disoccupazione richiesta dalla lavoratrice odierna intimata, non poteva essere escluso (”neutralizzato”) il periodo (cinque mesi) corrispondente a quello di astensione obbligatoria per maternità, ma da essa fruito al di fuori del rapporto di lavoro, benché “coperto” da contribuzione figurativa; con l’ulteriore conseguenza che, essendo l’ampliamento del biennio in questione determinante ai fini del perfezionamento del ripetuto requisito contributivo,la sentenza impugnata (contrariamente a quanto dalla stessa ritenuto) doveva affermarne l’insussistenza.

Le

considerazioni che precedono possono sintetizzarsi nel seguente principio di diritto: “I periodi corrispondenti a quelli per i quali sia prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro in relazione all’evento maternità, ma che si collochino al di fuori del rapporto di lavoro, seppure riconosciuti come periodi contributivi attraverso la contribuzione figurativa (come previsto, nel tempo, dall’art. 14, commi 3, del dlgs. n. 503 del 1992; poi, dall’art. 2, comma 4, del dlgs. n. 564 del 1996; infine, dall’art. 25, comma 2, del dlgs. n. 151 del 2001), non sono utili ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione e neppure possono essere esclusi (”neutralizzati”) dal computo del biennio previsto dall’art. 19 del r.d.l. n. 636 del 1939 per l’accertamento del requisito contributivo necessario per il diritto in questione”.

In conclusione il ricorso dell’INPS va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è decisa direttamente nel merito da questa Corte (art.384 c.p.c.) nel senso del rigetto della domanda di (…).

 

Stante la particolarità della questione, per la prima volta all’esame di questa Corte, si compensano tra le parti le spese dell’intero processo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa fra le parti le spese dell’intero processo.

 

 

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