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LA TRANSAZIONE CHE DECIDE SUL GIUDIZIO DI IMPUGNAZIONE DELLA DELIBERA PUÒ ESSERE CONTESTATA IN QUEL GIUDIZIO-Cassazione, sez. II, 11 luglio 2011, n. 15208-(Pres. Triola – Rel. De Celso)-Diritto e processo.it

 

 

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Svolgimento del processo

 

La s.a.s. N, proprietaria di un immobile nello stabile condominiale di via (omissis), impugnava in più parti (servizio di portineria, installazione di citofono esterno, fornitura ed installazione di cassette da lettere) la delibera condominiale 7/3/2000 sostenendone l'invalidità o l'inefficacia.

 

Il condominio convenuto, costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda dell'attrice e, in via riconvenzionale, l'eliminazione di opere abusive realizzate dalla N occupando spazi condominiali.

 

Nel corso del processo, alla prosecuzione dell'udienza ex articolo 183 c.p.c., intervenivano in giudizio i condomini s.a.s. Centro Tecnico Ortopedico (CTO), S.A. e M.L. i quali, oltre a riportarsi alle richieste formulate dal condominio in sede di comparsa di risposta, chiedevano la dichiarazione di nullità di due nuove delibere condominiali 3/4/2001 e 20/7/2000 con le quali era stato approvato (a maggioranza) l'accordo transattivo per la definizione del giudizio con la N.

 

Con sentenza 5/3/2002 l'adito tribunale di Torino dichiarava cessata la materia del contendere tra parte attrice e parte convenuta e, ritenuto ammissibile l'intervento dei tre condomini, dichiarava nei confronti degli stessi la nullità della delibera condominiale 3/4/2001 e, conseguentemente, dichiarava l'inefficacia nei confronti dei detti condomini dell'accordo transattivo raggiunto dalle parti originarie del giudizio.

 

Avverso la detta sentenza la società N proponeva appello al quale resistevano i tre condomini, intervenuti nel giudizio di primo grado, spiegando appello incidentale. Il condominio si costituiva svolgendo difese analoghe a quelle della società appellante principale.

 

Con sentenza 4/2/2004 la corte di appello di Torino in parziale riforma della decisione impugnata: a) dichiarava inammissibile la domanda proposta dai condomini in via di intervento principale relativa alla declaratoria di nullità delle delibere 20/7/2000 e 3/4/2001 concernenti l'approvazione dell'accordo transattivo; b) dichiarava cessata la materia del contendere tra parte appellante e parte appellata in relazione alla domanda proposta in via di intervento litisconsortile quanto al rigetto della domanda attorea ed all'accoglimento di quella riconvenzionale; c) confermava nel resto l'impugnata sentenza; d) condannava gli appellanti principali al pagamento in favore del condominio e della N della metà delle spese del doppio grado del giudizio. La corte di appello osservava: che era coperta da giudicato, in quanto non oggetto di impugnazione, la qualificazione data dal tribunale all'intervento come principale, in relazione alla domanda di nullità delle delibere 3/4/2001 e 20/7/2000 con riferimento all'accordo transattivo, ed in parte come litisconsortile quanto al rigetto della domanda della società attrice ed all'accoglimento della domanda riconvenzionale; che, in base ad una corretta e razionale interpretazione (nel rispetto anche del principio del giusto processo di cui all'articolo 111 Costituzione) di quanto disposto dagli articoli 268, 105, 183 c.p.c., l'oggetto dell'intervento principale doveva ritenersi possibile ed utile per l'interveniente solo fino al momento della maturazione delle preclusioni per le attività assertive delle parti originarie; che le domande originarie di parte attrice e quelle successive degli intervenuti avevano oggetto radicalmente diverso avuto riguardo al petitum sostanziale desunto sia dalla formulazione originariamente proposta, sia dai motivi di impugnazione delle varie delibere condominiali, sia dal contenuto di tali delibere; che la domanda iniziale della società N mirava alla eliminazione delle delibere impugnate, mentre la domanda degli interventori era volta alla eliminazione degli effetti della transazione, fatto posteriore e diverso rispetto alle delibere impugnate dalla società; che si trattava quindi di cause aventi oggetti diversi che non richiedevano il "simultaneus processus", sicché sotto tale profilo mancava un elemento strutturale proprio dell'intervento principale; che l'intervento era avvenuto mentre erano in corso le udienze di cui al quinto comma dell'articolo 183 c.p.c. per cui era spirato il termine ( di cui al quarto comma del citato articolo ) per parte attrice di proporre domande nuove dipendenti dalle difese di parte convenuta; che pertanto, a norma del secondo comma dell'articolo 268 cpc, anche per gli intervenuti valeva la detta preclusione con conseguente inammissibilità della domanda proposta in via di intervento principale trattandosi di domanda nuova mai formulata in precedenza nel processo e del tutto priva di riferimento all'oggetto del processo originario; che in conclusione andava dichiarata inammissibile la domanda proposta dalle parti appellate intervenute in via principale concernente la declaratoria di nullità delle delibere 20/7/2000 e 3/4/2001 relative alla transazione deliberata; che restava da considerare l'intervento litisconsortile relativo al rigetto della domanda originaria della società attrice ed all'accoglimento di quella riconvenzionale formulata dal condominio; che tale ultima domanda era venuta meno per la raggiunta transazione; che essendo inammissibile la domanda degli intervenuti in via principale circa la transazione ed essendo quindi tale transazione loro opponibile, la materia del contendere circa la domanda proposta in via litisconsortile era del pari cessata in ragione della delibera 3/4/2001 implicante la revoca della delibera 7/3/2000 sul cui fondamento il condominio aveva proposto la domanda riconvenzionale; che pertanto la medesima pronuncia della cessazione della materia del contendere adottata tra le parti originarie valeva pure nei confronti degli appellati intervenuti; che erano assorbite le diverse eccezioni e doglianze; che sussistevano giusti motivi per la parziale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio; che la residua metà di tali spese andava posta a carico degli appellanti incidentali.

 

La cassazione della sentenza della corte di appello di Torino è stata chiesta dalla società CTO, da S.A. e da M.L. con ricorso affidato a sei motivi. La società N ha resistito con controricorso. All'udienza del 9/3/2010 questa Corte ha disposto la rinotifica del ricorso al condominio. A tale ordinanza non è stata data esecuzione per cui - dopo l'invio degli atti al P.G. il quale ha chiesto la pronuncia di inammissibilità del ricorso - è stata disposta la trattazione in camera di consiglio. I ricorrenti hanno depositato memoria sostenendo l'insussistenza dell'ipotesi prevista dall'articolo 375 c.p.c. e chiedendo la trattazione in pubblica udienza. A seguito dell'ordinanza di questa Corte, pronunciata all'esito dell'udienza camerale del 14 dicembre 2010, è stata disposta la discussione in pubblica udienza.

 

Motivi della decisione

 

Innanzitutto va rilavato che il ricorso è stato ritualmente e tempestivamente notificato al condominio di via (omissis) come risulta dalla relata di notifica depositata unitamente al ricorso. Deve quindi essere revocata l'ordinanza con la quale questa Corte, all'udienza del 9/3/2010, ha disposto la rinotifica al detto condominio.

 

Ciò posto, sempre in via preliminare, va rilevata l'infondatezza dell'eccezione sollevata dalla società resistente relativa alla inammissibilità del ricorso per irritualità della procura, rilasciata al difensore in calce all'atto, in quanto priva del requisito della specialità.

 

Al riguardo è appena il caso di osservare che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui il requisito della specialità della procura previsto dall'articolo 365 c.p.c. può essere ravvisato, indipendentemente dal tenore delle espressioni usate nella redazione dell'atto, per il solo fatto che - come nella specie - la procura sia apposta a margine o in calce al ricorso venendo in tal caso a costituire un corpo unico ed inscindibile con il ricorso stesso, escludendosi perciò ogni dubbio sulla volontà della parte. Peraltro la procura al difensore apposta con espressioni generi-che, che tuttavia non escludono univocamente la volontà della parte di proporre ricorso per cassazione, deve ritenersi in dubbio speciale e non generica, in applicazione del principio interpretativo di conservazione dell'atto giuridico (articolo 1367 c.c.) di cui è espressione l'articolo 159 c.p.c. per gli atti processuali. Inoltre a nulla rilevano eventuali riferimenti "al presente procedimento" o alla facoltà concessa al difensore di "transigere, conciliare o transigere", trattandosi di espressioni superflue che non eliminano il collegamento tra procura e ricorso per cassazione, specie quando vi siano elementi favorevoli come l'elezione di domicilio in Roma, ove ha appunto sede la Corte di cassazione.

 

Con il primo motivo di ricorso la società CTO, S.A. e M.L. denunciano violazione degli articoli 105 e 268 c.p.c., nonché vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello non ha motivato dove e perché la domanda proposta da essi interventori - ricorrenti non è connessa e fondata sulla medesima causa pretendi dedotta nel giudizio in primo grado che invece - come rilevato dal tribunale - riguarda proprio il regolamento di condominio e le limitazioni che possono essere imposte ai condomini tramite questo. Al riguardo la corte di merito si è soffermata solo sulla domanda della società attrice senza considerare quelle originariamente proposte dal condominio convenuto ed intrinsecamente legate a quelle oggetto dell'intervento principale.

 

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 105 e 268 c.p.c., nonché vizi di motivazione, sostenendo che - come rilevato dalla stessa corte di appello - l'intervento nel giudizio di primo grado è avvenuto prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni in conformità a quanto previsto dal citato articolo 268 c.p.c.. L'istanza di pronuncia di cessazione della materia del contendere è stata formulata dalle parti originarie dopo l'intervento di essi ricorrenti ritenuto ammissibile dalla stessa corte di appello e qualificato come principale - con riferimento alla richiesta di nullità della nuova delibera - e adesivo autonomo in relazione al rigetto della domanda della società attrice ed all'accoglimento della riconvenzionale del condominio. La corte di merito ha però contraddittoriamente ritenuto inammissibile la domanda litisconsortile disgiuntamente da quella principale sul rilievo dell'opponibilita ad essi interventori della transazione approvata però con delibera da adottare all'unanimità e, quindi, inefficace nei confronti di essi dissenzienti interventori.

 

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 105 e 268 c.p.c., nonché vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello ha vietato ad essi interventori la possibilità di attività istruttoria - in quanto già preclusa alle parti originarie - così finendo per escludere la stessa tempestività dell'intervento. La corte di merito non ha considerato che l'intervento è avvenuto in piena udienza di trattazione laddove l'intervento adesivo autonomo e litisconsortile è da escludere solo dopo la detta udienza e non durante, ossia in una fase nella quale tutte le parti possono chiedere i termini i-struttori ed i terzi possono proporre domande fondate sul materiale istrutto-rio acquisito e/o non precluso. Inoltre, essendo le parti ancora nella fase concernente il tentativo di conciliazione, è errata l'affermazione della corte di appello circa la decadenza di parte attrice di proporre domande nuove dipendenti dalle difese di parte convenuta. Infine essi ricorrenti, intervenuti quali condomini nel giudizio promosso da altro condomino nei confronti del condominio, ben potevano proporre domande nuove non essendo la loro attività processuale legata a quella della parte che aveva iniziato il giudizio stante l'autonomia del diritto fatto valere nei confronti dell'altra parte.

 

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 105 c.p.c. e 1372, 1420, 1423, 1123, 1136, 1138 e 1120 c.c., nonché vizi di motivazione, sostenendo che - al contrario di quanto affermato dalla corte di appello - la transazione non è opponibile ad essi interventori posto che la delibera di approvazione della transazione non può essere ritenuta vincolante in quanto priva del requisito della unanimità, requisito necessario trattandosi di modifica di tabelle millesimali. La giurisprudenza di legittimità in proposito ha affermato che nel giudizio instaurato da altri contro il condominio, per l'impugnazione di una delibera contraria al regolamento condominiale contrattuale, ciascun condomino ha un autonomo interesse ad intervenire al fine di ottenere una pronuncia sulla domanda indipendentemente dalla eventuale transazione tra le parti originarie.

 

Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'articolo 105 c.p.c., nonché vizi di motivazione, deducendo che - come già evidenziato -la decisione della corte di appello di considerare la domanda proposta in via di intervento principale diversa ed autonoma, rispetto alla domanda di parte attrice, è errata ed affetta da vizio logico oltre che adottata senza considerare le domande di parte convenuta e senza tener conto che la domanda di intervento principale è per sua natura autonoma in quanto proposta nei confronti di tutte le parti in causa. Del pari errato è il riferimento alla celerità del processo al fine di giustificare l'ammissibilità dell'intervento in quanto in tal modo la corte di appello ha contradditoriamente rimandato i condomini dissenzienti ad una nuova decisione a seguito di un nuovo giudizio di nullità della delibera impugnata affetta da nullità. La corte di merito, inoltre, non ha tenuto presente il principio giurisprudenziale secondo cui il condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della collettività condominiale non è terzo, ma è una delle parti originarie intenzionata a far valere direttamente le proprie ragioni.

 

La Corte rileva la fondatezza - nei sensi di seguito precisati - delle dette censure che, per evidenti ragioni di ordine logico, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando le stesse questioni - sia pur sotto aspetti e profili diversi - o questioni connesse e consequenziali.

 

Occorre innanzitutto osservare che - come sopra riportato nella parte narrativa che precede e come puntualizzato nella stessa sentenza impugnata le domande proposte dalle parti originarie del processo e dagli interventori sono le seguenti:

 

- per la parte attrice l'impugnativa della delibera condominiale del 7/3/2000 con riferimento al punto 2;

 

- per il condominio convenuto il rigetto delle domande dell'attrice e l'accoglimento della domanda riconvenzionale volta ad ottenere la rimozione di opere eseguite dalla N occupando spazi comuni;

 

- per gli interventori il rigetto della domande dell'attrice, l'accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto e la nullità del punto 2 della delibera condominiale 3/4/2001 con cui era stato approvato l'accordo transattivo tra la N ed il condominio per la definizione del giudizio pendente tra le parti.

 

Va aggiunto che la corte di appello ha ritenuto coperta da giudicato la parte dei la sentenza di primo grado con la quale l'intervento in causa era stato qualificato come principale in relazione alla domanda di nullità delle delibere 3/4/2001 e 20/7/2000 concernenti l'accordo transattivo e litisconsortile con riferimento alla richiesta di rigetto della domanda principale dell'attrice e di accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto condominio.

 

La corte di merito ha poi ritenuto inammissibile la domanda proposta degli interventori in via di intervento principale sotto un duplice profilo e, cioè, sia perché domanda nuova - avente oggetto diverso da quello delle domande originarie di parte attrice avuto riguardo al petitum sostanziale volto per la domanda principale alla eliminazione di delibere assembleari e per la domanda degli interventori alla eliminazione degli effetti della transazione, ossia di un fatto posteriore e diverso - sia perché proposta dopo la scadenza del termine previsto per parte attrice per la proposizione di domande nuove dipendenti dalle difese di parte convenuta.

 

La decisione della corte territoriale di ritenere inammissibile la domanda proposta dagli interventori in via principale è errata sotto entrambi i riportati profili.

 

Con riferimento al primo dei detti profili, vanno segnalati i seguenti principi che questa Corte ha avuto modo di affermare in tema di intervento di terzo, principi che il Collegio condivide e fa propri:

 

- il diritto che, a norma dell'art. 105, comma 1, c.p.c., il terzo può far valere in un processo pendente tra altre parti, in conflitto con esse (ipotesi nella quale si configura un intervento principale) o solo con alcune di esse (ipotesi di intervento litisconsortile o adesivo autonomo), legittimante l'autonoma impugnazione della sentenza che abbia statuito in senso sfavorevole alla parte adiuvata, a differenza dell'intervento meramente adesivo, escludente tale legittimazione, - deve essere relativo all'oggetto, ovvero dipendente dal titolo, e, quindi, individuabile rispettivamente con riferimento al "petitum", o alla "causa petendi" (sentenze 1/6/2004 n 10530; 22/10/2002 n. 14901);

 

- ai fini dell'intervento principale o dell'intervento litisconsortile nel processo, anche se l'art. 105 c.p.c. esige che il diritto vantato dall'interveniente non sia limitato ad una meramente generica comunanza di riferimento al bene materiale in relazione al quale si fanno valere le antitetiche pretese delle parti, la diversa natura delle azioni esercitate, rispettivamente, dall'attore in via principale e dal convenuto in via riconvenzionale rispetto a quella esercitata dall'interveniente, o la diversità dei rapporti giuridici con le une e con l'altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi decisivi per escludere l'ammissibilità dell'intervento, essendo sufficiente a farlo ritenere ammissibile la circostanza che la domanda dell'interveniente presenti una connessione od un collegamento con quella di altre parti relative allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo, particolarmente allorché la tutela del diritto vantato dall'interveniente sia incompatibile con quella vantata dall'una e/o dall'altra delle parti originarie (sentenze 27/6/2007 n. 14844; 12/6/2006 n. 13557; 3/11/2004 n. 21060);

 

- per l'ammissibilità dell'intervento di un terzo in un giudizio pendente tra altre parti è sufficiente che la domanda dell'interveniente presenti una connessione od un collegamento che giustifichi un simultaneus processus (sentenza 15/5/2002 n. 7055).

 

Alla luce dei detti principi giurisprudenziali risulta evidente che nel caso in esame - al contrario di quanto affermato dalla corte di appello - è ravvisabile uno stretto collegamento logico e una palese connessione tra le domande inizialmente proposte dalle parti originarie del processo e le domande avanzate dagli interventori in via di intervento principale. 11 diritto fatto valere dagli interventori (impugnativa della delibera di approvazione della transazione del giudizio pendente tra condominio e N) è connesso e collegato all'oggetto sostanziale dell'originaria controversia (oggetto da individuare con riferimento al petitum ed alla causa pretendi) e dipendente dal titolo dedotto nel processo dall'attrice e dal convenuto a fondamento delle opposte domande originariamente formulate: la domanda degli interventori presenta un legame con le domande dell'attrice e del convenuto ed ha un oggetto sostanziale tale da giustificare un simultaneus processus. Il diritto fatto valere dagli interventori rientra nella struttura del rapporto giuridico già dedotto in causa ed è generato da detto rapporto oltre ad essere incompatibile con il diritto vantato dalla società attrice con l'atto introduttivo del giudizio di primo grado.

 

Del pari la dichiarazione della corte di appello di inammissibilità della domanda proposta dagli interventori in via principale, sotto il secondo profilo sopra precisato, è errata ponendosi in netto ed insanabile contrasto con i seguenti principi affermati nella giurisprudenza di legittimità e che ormai, dopo alcune lontane pronunzie di segno contrario, possono ritenersi consolidati:

 

- posto che la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile ai sensi dell'art. 105 comma 1, c.p.c. deve escludersi che l'autonoma domanda proposta dall'interventore volontario possa essere equiparata alla domanda riconvenzionale del convenuto e che, ad essa, possano di conseguenza applicarsi le preclusioni poste per quest'ultima dal codice di rito (art. 167 e 183 c.p.c.), restando solo inibito all'interventore stesso di svolgere le attività istruttorie già precluse alle originarie parti del giudizio (sentenza 3/11/2004 n. 21060);

 

- la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c. non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino all'udienza di precisazione delle conclusioni", configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie (sentenza 28/7/2005 n. 15787);

 

- la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c., nel nuovo testo introdotto dalla l. 26 novembre 1990 n. 353, non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino all'udienza di precisazione delle conclusioni", configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie (sentenza 14/2/2006 n. 3186);

 

- chi interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand'anche sia ormai spirato il termine di cui all'art. 183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum; né tale interpretazione dell'art. 268 c.p.c. viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio: infatti l'interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre - ove sia già intervenuta la relativa preclusione - nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell'istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare (sentenza 16/10/2008 n. 25264).

 

Nel caso in esame è pacifico - oltre che risultante dalla lettura della stessa sentenza - che la domanda degli interventori è stata formulata ben prima della precisazione delle conclusioni.

 

In definitiva devono essere accolti i primi cinque motivi di ricorso con assorbimento del sesto relativo al governo delle spese posto che di tale questione si dovrà occupare il giudice del rinvio.

 

La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra sezione della corte di appello di Torino che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra svolti e dei principi sopra enunciati con riferimento in particolare alla ammissibilità delle domande proposte dagli interventori in via di intervento principale. Il giudice del rinvio dovrà inoltre esaminare tutte le altre eccezioni e doglianze mosse dalla società N nell'atto di appello e ritenute assorbite dalla corte di appello a seguito dell'accoglimento del secondo motivo di gravame concernente l'inammissibilità delle domande proposte dagli interventori.

 

Al designato giudice del rinvio va rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

la Corte accoglie i primi cinque motivi di ricorso, assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Torino.

 

 

 

 

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