Marco Proietti, Associate Studio
Legale "Guidi Federzoni - Pereno" di Roma - (Lex24) 13
settembre 2011
La disciplina del demansionamento
nel pubblico impiego ha seguito le orme del rapporto di
lavoro privato assorbendo, nei limiti del possibile,
aspetti dottrinali e pratici frutti di anni di
interpretazione effettuate sull'art. 2103 cod. civ.;
certamente, anche per le differenze abissali tra i due
tipi di rapporto di lavoro, il pubblico impiego continua
a mantenere un'autonomia propria ed una propria
disciplina indissolubilmente legata alla diversa
disciplina dei rapporto di lavoro, dalla fase genetica
alla cessazione.
INTRODUZIONE
Se esiste un principio cardine
della pubblica amministrazione esso è, certamente,
quello del c.d. “buon andamento” che trova evidentemente
il proprio presupposto nella Costituzione e,
precipuamente, nell'art. 97: l'efficienza della pubblica
amministrazione – anche in ragione del disposto
costituzionale – è stato il primo pensiero del
legislatore negli ultimi anni, ed ha creato non pochi
problemi di bilanciamento degli interessi in gioco.
A ben vedere, infatti, se da un
lato si è cercato di snellire la nota complessità della
macchina burocratica italiana, dall'altro lato si è
cercato di far si di attribuire una serie di poteri ai
dirigenti pubblici così da assimilare (per quanto
possibile) quel ruolo a quello dei propri omologhi del
lavoro privato: ciò comporta l'inevitabile assunzione,
da parte del dirigente pubblico, di una serie di oneri e
responsabilità prima nemmeno contemplate nel nostro
ordinamento e che, invece, ora lo rendono – o quanto
meno provano a renderlo – maggiormente competitivo sulla
scena europea.
L'efficienza della pubblica
amministrazione, pertanto, passa inevitabilmente
attraverso la predisposizione di una serie di strumenti
di gestione maggiormente incisivi che garantiscano, a
chi ricopre ruoli di vertice, di poter ottenere il
massimo risultato con le risorse a disposizione ; tra
gli strumenti di gestione garantiti al dirigente
pubblico rientra, certamente, il potere di mutare le
mansioni dei dipendenti, pur con il massimo riguardo per
la professionalità acquisita dai medesimi.
LA DISCIPLINA SUL DEMANSIONAMENTO
La disciplina relativa alle
mansioni (e quindi ad un possibile demansionamento) è
affidata – per quel che concerne il pubblico impiego –
all'art. 52 del D.lgs. 30.3.2001, n. 165, la cui lettura
va combinata con quanto disposto dall'art. 2103 cod.
civ.
Entrambe le norme ribadiscono,
senza contraddizioni, che “il prestatore di lavoro deve
essere adibito alle mansioni per le quali è stato
assunto” e vietano, in questo modo, ogni forma di
mutamento in pejus delle mansioni, fosse anche pattizia,
poiché lo stesso porterebbe ad una lesione alla
professionalità acquisita dal prestatore; l'unico punto
di divergenza tra la disciplina fissata dal codice
civile e quella prevista dal Testo Unico sul pubblico
impiego riguarda, non a caso, la progressione interna:
nel pubblico impiego, infatti, le progressioni di
carriera avvengono unicamente tramite concorso pubblico.
Questa prima distinzione, che poi
si riprenderà più avanti, è essenziale: il pubblico
dipendente eventualmente assegnato – per un breve
periodo – allo svolgimento di mansioni proprie di un
livello superiore, non ha diritto ad agire per il
riconoscimento del superiore inquadramento ma solo per
il pagamento delle differenze retributive spettanti: nel
rapporto di lavoro privato, invece, accade esattamente
il contrario .
Da questa premessa si può
facilmente evincere che: (i)il lavoratore non può in
alcun modo essere demansionato, nemmeno con accordo tra
le parti; (ii) l'eventuale demansionamento comporta un
danno, sia patrimoniale che non patrimoniale,
risarcibile e valutabile dal giudice in via equitativa;
(iii) la mobilità interna, nell'ambito della pubblica
amministrazione, è regolata dalla presenza di concorsi
pubblici che divengono un ostacolo insormontabile sia in
senso negativo che in positivo ovvero: il lavoratore non
potrà ottenere dal giudice il riconoscimento di una
qualifica superiore ma, al contempo, il dirigente non
potrà assegnare al dipendente una qualifica diversa da
quella ottenuta tramite il concorso; (iv) il
demansionamento è ammesso solo in casi estremi – a
tutela del posto di lavoro – e comunque solo
nell'impiego privato; (v) in questo senso, le riforme
recenti del pubblico impiego hanno eliminato la
possibilità di assegnazione a mansioni inferiori,
legittime nella precedente legislazione.
Infine, ogni rapporto di lavoro è
sorretto da un principio fondamentale e
costituzionalmente garantito dall'art. 36 Cost., ovvero
la c.d. irriducibilità della retribuzione in ragione del
quale la retribuzione percepita dal dipendente non può,
in alcun modo, essere ridotta.
Si può pattiziamente prevedere una
modifica dell'orario di lavoro, ma non si può stabilire
una retribuzione inferiore per un dipendente, rispetto a
quella ordinariamente conseguita con l'anzianità di
servizio; anche in quest'ultimo caso ogni patto
contrario è nullo e comporta un danno risarcibile in via
equitativa.
Questo è lo scheletro normativo
all'interno del quale si muove il rapporto di lavoro
LA DIFFERENZA TRA IL RAPPORTO DI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO
Come già accennato, la disciplina
delle mansioni nel pubblico impiego, a seguito della
nota privatizzazione dello stesso, è stata in parte
mutuata da quella del lavoro privato ma poi ha assunto
delle caratteristiche proprie, determinate soprattutto
dall'impossibilità del giudice di poter disporre
l'assunzione in mancanza di un concorso pubblico: seppur
affini, dunque, i due rapporto di lavoro seguono strade
autonome.
Vediamo cosa resta di concreto.
Il nostro ordinamento vieta in
senso assoluto ogni modifica in pejus delle mansioni del
lavoratore e ciò sotto due profili: (i) mantenimento del
livello retributivo raggiunto; (ii) tutela e
miglioramento delle capacità professionali fino a quel
momento conseguite.
La distinzione, in questo caso, tra
il rapporto di lavoro pubblico e privato è essenziale:
se nel privato un demansionamento comporta un rischio
elettivo per il datore di lavoro (che dovrà
inevitabilmente farsi carico di un giudizio innanzi al
Giudice del Lavoro), nel caso del pubblico impiego la
circostanza assume contorni molto più sfumati poichè
viene ammessa dalla legge la mobilità in linea
orizzontale, ovvero su piani retributivi e professionali
identici.
Tribunale Aosta, Sezione Lavoro
civile
Sentenza 27 maggio 2011, n. 75
DANNI NELL'AMBITO DEL RAPPORTO DI
LAVORO - BANCA D'ITALIA - DIPENDENTE - RICORSO -
RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO - DEMANSIONAMENTO -
DANNI - INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PER DIFETTO DI
GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI AOSTA
SEZIONE CIVILE
In persona del Giudice Dr. Eugenio
Gramola
in funzione di giudice del Lavoro
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n.
126/2011 del ruolo generale Affari Contenziosi Civili
Sezione Lavoro promossa da:
Pi.Ri., nato (...), residente ad
Aosta, Via (...), rappresentato e difeso dall'Avv.
Ma.Gh. e presso di lei elettivamente domiciliato in
Aosta, Av. (...), in forza di procura a margine del
ricorso introduttivo
ricorrente
contro
Ba.It. in persona del legale
rappresentante Avenue (...) Aosta
domiciliata in Aosta (AO), presso
la Filiale di Aosta rappresentata e difesa dagli avv.ti
Co. e Pa. dell'Avvocatura della Banca con procura in
calce alla comparsa di costituzione e risposta;
convenuto
In punto: risarcimento danni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A) Natura della causa ricorso
diretto a far dichiarare, ex art. 2087 c.c., la
responsabilità del datore di lavoro il quale, secondo
l'esposto, attraverso condotte dirette a demansionare il
ricorrente e a perseguitarlo, ne cagionava un grave
danno alla salute.
Le specifiche conclusioni sono
sopra riportate.
B) Motivi, in fatto ed in diritto,
della decisione
La questione preliminare in ordine
alla insussistenza della giurisdizione di questa A.G. è
fondata
Va intanto premesso che i fatti
esposti dal ricorrente sono stati compiuti nel corso del
rapporto di lavoro, tanto che si chiede l'applicazione
dell'art. 2087 c.c. e si espongono diffusamente, in
ricorso, una serie di condotte poste in essere da parte
datoriale nel corso del rapporto di lavoro.
Tali condotte vengono indicate come
fonte diretta ed esclusiva dei danni dei quali si
domanda il risarcimento.
Ha però stabilito la Suprema Corte
(Sez. U, Sentenza n. 20475 del 24/10/2005) che Con
riferimento al rapporto d'impiego dei dipendenti della
Ba.It. - sottratto espressamente dalla legge (art. 68,
comma quarto, in riferimento all'art. 2, comma quarto,
del D.Lgs. n. 29 del 1993, ora trasfusi rispettivamente
negli artt. 63, comma quarto, e 3, comma primo, del
D.Lgs. n. 165 del 2001) alla disciplina della cosiddetta
privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico - nel
caso di assunzione con effetti giuridici decorrenti da
data diversa dagli effetti economici, la domanda di
risarcimento del danno per l'illegittimo ritardo (nella
specie collegato ad accertamenti medici relativi alla
idoneità fisica) nella decorrenza degli effetti
economici, rientra nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo trattandosi di diritti
patrimoniali connessi non occasionalmente con il
rapporto di impiego. In effetti l'art. 63 c. 4 d.lgs.
165/2001 stabilisce: Restano devolute alla giurisdizione
del giudice amministrativo le controversie in materia di
procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di
giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai
rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese
quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.
A sua volta l'articolo 3, titolato
Personale in regime di diritto pubblico (Art. 2, commi 4
e 5 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti dall'art.
2 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente
modificati dall'art. 2, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del
1998) stabilisce che: 1. In deroga all'articolo 2, commi
2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi
ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e
contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il
personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il
personale della carriera diplomatica e della carriera
prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono
la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo
1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello
Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno
1985, n. 281, e successive modificazioni ed
integrazioni, e 10 ottobre 1990,
n. 287.
Le norme da ultimo indicate fanno
tutte riferimento alla Ba.It., ad iniziare dal decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio
1947, n. 691 che statuisce: è istituito un comitato
interministeriale per il credito ed il risparmio, al
quale spetta l'alta vigilanza in materia di tutela del
risparmio, in materia di esercizio della funzione
creditizia e in materia valutaria. Il comitato è
composto dal ministro per il tesoro, che lo presiede, e
dai ministri per i lavori pubblici, per l'agricoltura e
foreste, per l'industria e commercio, per il commercio
con l'estero. Si applicano, quanto alle competenze, alle
facoltà e alle funzioni del comitato interministeriale,
le norme del regio decreto - legge 12 marzo 1936, n.
375, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141, e
successive modificazioni.
E' fuor di dubbio, infatti, che la
Banca d'Italia svolga, al massimo livello, attività in
materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio
della funzione creditizia e in materia valutaria.
Né può affermarsi come fatto dal
ricorrente in sede di discussione orale, che la
giurisdizione amministrativa non consentirebbe
un'adeguata istruttoria e un'adeguata tutela delle
legittime pretese risarcitone del ricorrente. Al di là
del fatto che, anche se così fosse, questo giudicante
non potrebbe certo disapplicare le norme in tema di
ripartizione della giurisdizione ed istruire e/o
decidere egli stesso il giudizio in piena violazione di
legge, va comunque osservato che espressis verbis l'art.
7 d.lgs. 104/2010 statuisce che:
4. Sono attribuite atta
giurisdizione generale di legittimità del giudice
amministrativo le controversie relative ad atti,
provvedimenti o omissioni delle pubbliche
amministrazioni, comprese quelle relative al
risarcimento del danno per lesione di interessi
legittimi e agli altri diritti patrimoniali
consequenziali, pure se introdotte in via autonoma.
5. Nelle materie di giurisdizione
esclusiva, indicate dalla legge e dall'articolo 133, il
giudice amministrativo conosce, pure ai fini
risarcitori, anche delle controversie nelle quali si
faccia questione di diritti soggettivi.
6. Il giudice amministrativo
esercita giurisdizione con cognizione estesa al (perito
nelle controversie indicate dalla legge e dall'articolo
134. Nell'esercizio di tale giurisdizione il giudice
amministrativo può sostituirsi all'amministrazione.
7. Il principio di effettività è
realizzato attraverso la concentrazione davanti al
giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli
interessi legittimi e, nelle particolari materie
indicate dalla legge, dei diritti soggettivi.
Va quindi dichiarata
l'inammissibilità del ricorso per difetto di
giurisdizione del giudice ordinario, appartenendo questa
al giudice amministrativo.
C) Le spese
Le spese, liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso
per difetto di giurisdizione, appartenendo questa al
giudice amministrativo;
Pone a carico del ricorrente le
spese di giudizio,liquidate in Euro 3.000 complessive +
IVA e cassa - Visto l'art. 53 cpv. d.l. 25.6.2008 n. 112
Indica in gg. 15 il termine per il
deposito della motivazione.
Così deciso in Aosta il 12 maggio
2011.
Depositata in Cancelleria il 27
maggio 2011.
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