Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza 23 agosto 2011; Pres. Est. VIGNERA, ric. C.- Al pari di ogni altro beneficio penitenziario, pure la concessione della detenzione al domicilio ex art. 1, l. 199/2010 presuppone che il condannato sia effettivamente meritevole della misura.-Diritto.it

 

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

 

 

ORDINAMENTO PENITENZIARIO – ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA – MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE – ESECUZIONE PRESSO IL DOMICILIO DELLE PENE DETENTIVE NON SUPERIORI AD UN ANNO – GIUDIZIO DI MERITEVOLEZZA – NECESSITA’ (Cost., artt. 3,  27; legge 26 novembre 2010 n. 199, disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, art. 1).

 

Al pari di ogni altro beneficio penitenziario, pure la concessione della detenzione al domicilio ex art. 1, l. 199/2010 presuppone che il condannato sia effettivamente meritevole della misura.

 

 

 

N° 2011/3850 SIUS

 

N° .......................................... SIEP

 

Ordinanza N. ............................................

 

 

 

Il Tribunale di Sorveglianza di Torino

 

composto da:

 

1) Dott. Giuseppe Vignera         Presidente est.

 

2) Dott. Elena Bonu                   Giudice

 

3) Dott. Monica Marchetti         Esperto

 

4) Dott. Franca Bo                      Esperto

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei confronti di C. D., nato a N. il XX-XX-XXXX, detenuto in A.  presso la Casa di Reclusione XXXX, difeso dall’Avv. G. F. del Foro di Torino, nel procedimento di sorveglianza avente ad oggetto il reclamo avverso provvedimento di rigetto dell’istanza di esecuzione presso il domicilio della pena detentiva (art. 1 L. 199/2010).

 

FATTO E DIRITTO

 

1. – C. D. sta espiando una pena complessiva di anni 6, mesi 11 di reclusione e giorni 20 di arresto in virtù di un cumulo di pene inflitte con 5 condanne per appropriazione indebita, associazione per delinquere, emissione di documenti contabili per operazioni inesistenti, truffa, bancarotta fraudolenta ed altro (fatti commessi  dal 1991 al 2005).

 

Oltre a queste, il predetto ha 3 precedenti condanne per reati depenalizzati.

 

La pena, iniziata nell’ottobre 2009, terminerà il 13 giugno 2012.

 

Con provvedimento in data 5 luglio 2011 il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria rigettava la domanda del C. intesa ad ottenere la misura ex art. 1 legge 199/2010, atteso che erano rimaste immutate le valutazioni poste da questo Tribunale a fondamento dell’ordinanza, con la quale il 15 giugno 2011 erano state rigettate altre istanze di misure alternative.

 

Con codesta ordinanza (che era stata redatta dall’odierno estensore e che veniva allegata al superiore provvedimento del 5 luglio 2011, costituendone parte integrante), a sua volta, si rilevava quanto segue:

 

<<1. - Il detenuto ha chiesto  l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare, deducendo la correttezza della sua condotta successiva ai fatti di cui al titolo esecutivo, la lontananza nel tempo dei medesimi (risalenti al 2001-2003: il che non è del tutto esatto perchè la truffa continuata e l’appropriazione indebita continuata, di cui alla sentenza del Tribunale di Milano in data 17 aprile 2008, sono state commesse nel febbraio e nel maggio del 2005) e, contestando espressamente quanto scritto al riguardo nella relazione di sintesi, di avere una risorsa lavorativa dimostrata da fatture emesse a suo favore nel 2009 (a titolo di compensi ricevuti per la commercializzazione di prodotti di telefonia mobile) e da una lettera di incarico  quale procacciatore di affari emessa a suo favore dalla S. SRL di Milano (la quale risulta essere senza data).

 

E’ bene sottolineare sin d’ora che la sede operativa di codesta società coincide con quella della società emittente le fatture suindicate.

 

La relazione di sintesi evidenzia che:

 

- i reati (associazione a delinquere finalizzata all’evasione delle imposte attraverso un articolato sistema di frode allo Stato) sono stati commessi per conseguire uno status economico corrispondente a quello della famiglia della moglie (figlia di un Direttore di Banca);

 

- nel 2002, quando iniziò l’indagine che portò all’accertamento dei fatti, il “C. era riuscito a trattenere sui suoi conti 5 milioni di euro derivanti dal mancato versamento dell’IVA”;

 

- il 1° febbraio 2010 è stato inserito nel corso di formazione professionale per operatori agricoli;

 

- la condotta intramuraria è stata sempre corretta;

 

-  il nucleo familiare è composto dalla moglie (pensionata) e da due figli di 27 e 36 anni (una disoccupata e l’altro che aiuta economicamente la famiglia);

 

- “in ordine alle prospettive future, ad oggi non vi è una ipotesi progettuale concreta se non l’interesse dei familiari che il soggetto rientri in famiglia e reperisca un’attività lavorativa in qualunque settore”;

 

- “l’eventuale percorso nell’ambito torinese è, in questo momento, assolutamente ipotetico non avendo il soggetto alcuna risorsa lavorativa nè con valenza di dipendente nè attraverso attività di tipo imprenditoriale a suo nome”.

 

Conclude, pertanto, per la prosecuzione del trattamento intramurario.

 

La Questura di Torino, oltre ad evidenziare i precedenti del soggetto, ha raccolto le dichiarazioni della moglie, la quale ha ribadito la disponibilità ad accogliere il marito in caso di concessione della misura alternativa, riferendo altresì (sostanzialmente) che lo stesso attualmente non ha opportunità lavorative (“il congiunto è un tecnico agrario e precedentemente lavorava in libera professione, prestando la propria consulenza a diverse ditte sia in ambito nazionale che internazionale”).

 

2. – La domanda va rigettata atteso che:

 

a) a differenza di quanto scritto nell’istanza, il detenuto non dispone di alcuna risorsa lavorativa, di guisa che non si comprende su cosa dovrebbe svolgersi la richiesta “messa in prova”;

 

b) l’opportunità lavorativa “documentata” nell’istanza, invero, non solo non può considerarsi attuale (le fatture allegate all’istanza, infatti, risalgono ad epoca precedente la carcerazione; mentre la lettera d’incarico allegata anch’essa all’istanza è senza data), ma si concreterebbe sostanzialmente nell’esercizio di un’attività commerciale vietata al condannato in virtù delle pene accessorie inflitte dal  Tribunale di Torino con la sentenza in data 20 giugno 2008, irrevocabile il 5 dicembre 2008 (interdizione dall’esercizio di un’impresa commerciale ed incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni 10);

 

c) quelle medesime fatture, essendo state emesse nel corso del 2009 (ergo: dopo il passaggio in giudicato di codesta sentenza), denotato la persistenza di condotte antigiuridiche da parte del C.;

 

d) la brevità della pena espiata, rapportata a quella ancora da espiare, rende necessaria la prosecuzione del trattamento intramurario anche per ottenere dal detenuto notizie “attendibili” sui 5 milioni di euro trattenuti sul suo conto prima delle indagini del 2002 (e verificare così l’effettivo avvio di un percorso di revisione critica);

 

e) non fruendo il detenuto di benefici prodromici (permessi premiali o lavoro all’esterno), l’accoglimento dell’istanza nella fattispecie determinerebbe una inammissibile violazione del principio di progressività e gradualità dei risultati del trattamento (cfr. Cass. pen., Sez. I, 06/03/2003, n.15064, Chiara, in Riv. Pen., 2004, 120: “Ai fini dell'affidamento in prova al servizio sociale, i riferimenti alla gravità del reato commesso o ai precedenti penali e giudiziari del condannato o al comportamento da lui tenuto prima o dopo la custodia cautelare ben possono essere utilizzati come elementi che concorrono alla formazione del convincimento circa la praticabilità della misura alternativa. Ne consegue che il mantenimento di una condotta positiva, anche in ambiente libero, non è di per sé determinante, soprattutto ove la condanna in espiazione sia stata inflitta per reati di obiettiva gravità (nella specie, rapina aggravata e sequestro di persona) e sia inadeguato il periodo di carcerazione sofferto, ma deve essere valutato nell'ambito di un giudizio globale di tutti gli elementi emersi dalle indagini esperite e dalle informazioni assunte, che tenga anche conto della progressività e gradualità dei risultati del trattamento e, conseguentemente, dell'eventuale previa esperienza di permessi-premio”).

 

P.Q.M.

 

rigetta l’istanza>>.

 

Avverso il superiore provvedimento del 5 luglio 2011 ha proposto tempestiva impugnazione il difensore del C., deducendo che:

 

- poiché i presupposti della misura ex art. 1 l. 199/2010 non coincidono con quelli delle altre misure alternative, non basta a giustificare il rigetto dell’istanza de qua il mero richiamo dell’ordinanza del 15 giugno 2011, relativa a procedimento avente ad oggetto  misure diverse;

 

- nella fattispecie non sussiste nessuna delle condizioni ostative tassativamente previste dal comma 2 del predetto art. 1 l. 199/2010;

 

- in particolare, la pena residua da espiare è inferiore ad un anno, la moglie del C. ha dato la disponibilità ad accoglierlo nella propria abitazione, il nucleo familiare è in grado di provvedere a tutte le esigenze del detenuto e, infine, non emergono concreti elementi che rendono nella fattispecie verosimile il pericolo di fuga o di recidiva.

 

 

 

2. – L’impugnazione è infondata.

 

Va osservato preliminarmente che, per non esporsi a censure di incostituzionalità ex artt. 3 e 27 Cost., anche la norma divisante la misura in questione (recte: l’art. 1 l. 199/2010) deve essere interpretata nel rispetto di (ed in coerenza con) quel “criterio di meritevolezza” elaborato dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento a tutti i benefici penitenziari: criterio in base al quale ed in applicazione del quale il giudice [ai fini della concessione (pure) della misura de qua] deve valutare casu concreto la condotta complessivamente tenuta dal condannato (sia in libertà che durante l’espiazione della pena) per accertare se lo stesso sia o meno effettivamente meritevole del beneficio [cfr. Corte cost. 4 luglio 2006 n. 255, la quale, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, l. 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), “nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare la sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva al condannato quando ritiene il beneficio non adeguato alle finalità previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione”, ha in motivazione osservato: “Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha affermato il principio secondo cui la tipizzazione per titoli di reato non è lo strumento più idoneo per realizzare appieno i principi di proporzionalità e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario (sentenze n. 445 del 1997; n. 504 del 1995; n. 306 del 1993) e che a loro volta discendono dagli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione (sentenze n. 203 del 1991 e n. 50 del 1980), nel senso che eguaglianza di fronte alla pena significa proporzione della medesima alle personali responsabilità ed alle esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992). Per l'attuazione di tali principi, ed in funzione della risocializzazione del reo, è necessario assicurare progressività trattamentale e flessibilità della pena (sentenze n. 445 del 1997 e 306 del 1993) e, conseguentemente, un potere discrezionale al magistrato di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari (sentenza n. 504 del 1995). È del tutto evidente, infatti, che la generalizzata applicazione del trattamento di favore previsto dalla disposizione censurata, nell'assegnare un identico beneficio a condannati che presentino fra loro differenti stadi di percorso di risocializzazione, compromette, ad un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza, finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio penitenziario che non risulti correlato alla positiva evoluzione del trattamento, compromette inevitabilmente l'essenza stessa della progressività, che costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo. L'automatismo che si rinviene nella norma denunciata è sicuramente in contrasto con i principi di proporzionalità e individualizzazione della pena come precisati dalla richiamata giurisprudenza e va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 207, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare la sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva al condannato quando ritiene il beneficio non adeguato alle finalità previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione”; in argomento v. pure Cass. pen., Sez. I, sentenza 18 giugno 2008 n. 28555, Graziano, nella cui motivazione sta scritto che pure la concessione della detenzione domiciliare per il detenuto ultrassettantenne (prevista dall’art. 47 ter, comma 1, O,P.), “al pari di quanto previsto da tutte le altre disposizioni in materia di benefici penitenziari”, è rimessa “ad un potere discrezionale della magistratura di sorveglianza, cui è riservato il potere di verifica, in ogni caso, della meritevolezza del condannato e della idoneità della misura invocata a facilitarne il reinserimento nella società. Non è, quindi, previsto in tale materia alcun automatismo proprio perché la ratio di tutte le misure alternative alla detenzione - anche quando sono ammissibili perché rientranti negli specifici limiti previsti per ciascuna di esse - è quella di favorire il recupero del condannato e di prevenire la commissione di nuovi reati”; analogamente Cass. pen., Sez. I, sentenza 2 febbraio 2007 n. 10308, D’Emilio].

 

Orbene!

 

Proprio alla stregua di codesto principio il C. non appare allo stato meritevole di alcun beneficio penitenziario, mancando una sua effettiva revisione critica in ordine ai reati di cui ai titolo esecutivo: mancanza di revisione critica già posta a fondamento dell’ordinanza del 15 giugno 2011, la quale considerava “necessaria la prosecuzione del trattamento intramurario anche per ottenere dal detenuto notizie “attendibili” sui 5 milioni di euro trattenuti sul suo conto prima delle indagini del 2002 (e verificare così l’effettivo avvio di un percorso di revisione critica)”.

 

Notizie che nel frattempo non sono state date…

 

P.Q.M.

 

conferma l’impugnata ordinanza.

 

Torino 23 agosto 2011

 

Il Presidente estensore

 

(Dr. Giuseppe Vignera)

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici