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Con la "conversione" dell’azione scatta il rischio della ultra petizione-Tar Lazio - Sede di Roma - Sezione I - Sentenza 19 gennaio 2011 n. 472-Commento-(Guida al Diritto.it)

 

 

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L’Osservatorio nasce da una collaborazione tra l 'Università "Luiss-Guido Carli" di Roma e Guida al Diritto, a pochi mesi dall’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, per seguirne l’attuazione in giurisprudenza e lo studio da parte della dottrina.

L’Osservatorio - realizzato nell’ambito del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” - è aperto a docenti e ricercatori universitari, magistrati del Consiglio di Stato e dei Tar, magistrati della Corte di Cassazione, avvocati di Stato e del libero foro. L’osservatorio opera con un comitato di coordinamento, un nucleo di collaboratori stabili e gruppi di ricerca istituiti per l’approfondimento di temi specifici. Per eventuali segnalazioni di sentenze sull'applicazione del Codice, con la specificazione del principio giuridico in esse contenuto, può essere utilizzato il seguente indirizzo osservatoriocpa@luiss.it.

 

 

Con la "conversione" dell’azione scatta il rischio della ultra petizione

 

 

 

di Francesco Follieri

 

 

 

La sentenza del Tar Lazio in epigrafe riguarda una controversia sorta tra un magistrato ed il Csm, in ordine al diniego di trasferimento in sede disagiata, ai sensi dell’articolo 1 della legge 133/1998.

 

 

 

Il ricorrente chiedeva: a) l’annullamento di tre delibere asseritamente lesive, impugnate con il ricorso (le prime due) e con motivi aggiunti (la terza); b) l’accertamento del suo diritto ad ottenere il trasferimento; c) il risarcimento dei danni patiti.

 

Dichiarata parzialmente inammissibile l’azione di annullamento, in ragione della natura di atto endoprocedimentale della delibera della Terza Commissione del Csm di revoca della proposta di trasferimento, il Tar annulla le altre due delibere gravate.

 

Con riguardo all’azione di accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere il trasferimento, il Collegio afferma che “sarebbe in teoria inammissibile in quanto postula la natura di diritto soggettivo della posizione giuridica dedotta in giudizio”, nonostante, nel caso di specie, il ricorrente vanti un interesse legittimo pretensivo ad ottenere il trasferimento.

 

 

 

Il Tar, però, dispone la conversione di quest’azione di accertamento in azione di condanna atipica, di cui all’articolo 34, comma 1, lett. c), Cpa (letto in combinato disposto con l’articolo 30, comma 1, Cpa), in applicazione dell’articolo 32 Cpa , accogliendo la domanda così convertita.

 

 

 

Infine, viene rigettata la domanda risarcitoria, poiché il ricorrente non ha assolto l’onere probatorio in relazione agli elementi costitutivi dell’illecito, con particolare riferimento alla sussistenza di un danno risarcibile.

 

 

 

Il profilo processuale più interessante della pronuncia in commento è la conversione dell’azione di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del richiedente (nella specie, il provvedimento di trasferimento in una sede disagiata che consente la maturazione di un punteggio notevolmente maggiore per il periodo di servizio ivi prestato, rispetto all’attività svolta in sede non disagiata; punteggio spendibile per le procedure selettive successive) in azione di condanna atipica, corrispondente, nella sostanza, all’azione di adempimento, soppressa nell’ultima fase dell’iter di adozione del Dlgs 104/2010.

 

 

 

In altri termini, il Tar Lazio, utilizzando lo strumento di cui all’articolo 32 Cpa, ha “corretto” il tiro della domanda proposta dal ricorrente, permettendogli di ottenere una pronuncia non conforme alla formulazione della domanda nell’atto introduttivo.

 

 

Orbene, secondo il principio della domanda, spetta solo alla parte legittimata la proposizione dell’azione attraverso la domanda, che individua, di conseguenza, il thema decidendum, mentre il giudice deve decidere su tutte le domande proposte dal ricorrente e nei soli limiti di esse (in base al principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato).

 

 

 

Se, cioè, la domanda costituisce il fondamento e la misura del potere decisorio del giudice (che, in relazione alla domanda si atteggia ad obbligo), appare un crinale scivoloso quello su cui si muove il giudice, utilizzando lo strumento della qualificazione delle azioni e della conversione.

 

Di poi, c’è differenza, quanto meno teorica, fra qualificazione dell’azione proposta “in base ai suoi elementi sostanziali” e conversione delle azioni (articolo 32, comma 2, primo e secondo periodo, Cpa)

 

La qualificazione è un’operazione ermeneutica che interviene a correggere la denominazione fornita dall’autore all’atto, sottoponendolo alla disciplina della fattispecie cui è riconducibile dal punto di vista sostanziale

 

 

 

La conversione, invece, presuppone l’invalidità dell’atto e, sostanziandosi pur sempre in un’operazione interpretativa, rende l’atto idoneo a produrre gli effetti di un atto diverso, purché ne contenga i requisiti formali e sostanziali e valutando se l’autore avrebbe voluto porre in essere l’altro atto se avesse conosciuto la causa di invalidità, tenuto conto del risultato perseguito dall’autore stesso.

 

Riportando questa distinzione in ambito processuale, si ottiene che la qualificazione dell’azione si ha nell’ambito di un’azione ricevibile, ammissibile e procedibile che il giudice, semplicemente, denomina in maniera differente, atteso che essa presenta gli elementi sostanziali di un’altra azione.

 

 

 

La conversione, invece, presuppone l’irricevibilità, l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’azione (rectius della domanda) ed una rimodulazione della stessa, in modo da “salvarne” la proposizione e da mutarne l’efficacia in ordine (anche) al potere- obbligo decisorio del giudice.

 

 

 

In altre parole, la (ri)qualificazione dell’azione ne lascia intatto il contenuto, cambiandone solo la “etichetta”: l’azione era, al momento in cui è stata proposta, quella di cui alla qualificazione fornita dal giudice. La conversione trasforma l’azione, dal punto di vista effettuale: l’azione diventa quella indicata dal giudice.

 

Se la qualificazione o riqualificazione dell’azione è corollario del principio iura novit curia, la conversione è una pronuncia sulla domanda con la quale il giudice la “salva”, rimodellando l’azione con essa proposta.

 

E dell’effetto costitutivo della conversione sembra accorgersi anche il Tar che riporta nel dispositivo la conversione dell’azione.

 

 

 

Il Tar, nella sentenza che si commenta, sembra fare applicazione dell’istituto della conversione nel senso indicato precedentemente: attesa l’inammissibilità della domanda di accertamento del diritto ad essere trasferito in una sede disagiata, la domanda viene convertita in azione di condanna atipica dell’amministrazione ad adottare il provvedimento di trasferimento, essendo presenti tutti i requisiti per la stessa (annullamento del diniego, vincolatezza del potere e sussistenza dei presupposti normativi per il rilascio del provvedimento favorevole).

 

Anche se è necessario verificare la formulazione della domanda, per valutare appieno la “resistenza” della decisione in commento, si può azzardare qualche considerazione.

 

 

 

Se il ricorrente chiede che venga accertata l’esistenza di un diritto e questo diritto non c’è, perché, secondo il giudice, vi è un interesse legittimo ad ottenere il trasferimento, sembra che l’azione sia infondata e non inammissibile: nel momento in cui il giudice si “spinge” ad accertare l’esistenza del diritto, ossia a verificare se la domanda va accolta o respinta, entrando nel merito, si “avvede” che il diritto non c’è. Mancherebbe, quindi, il primo requisito della conversione (l’inammissibilità, l’irricevibilità o l’improcedibilità della domanda).

 

 

 

Sembra, poi, che la conversione, per lo meno intesa in senso proprio, si ponga in forte antitesi con i principi della domanda e della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, a meno che non si restringano le ipotesi di conversione ai casi in cui l’azione da convertire “contenga” gli effetti dell’azione in cui viene convertita.

 

 

 

Un esempio di tal genere potrebbe essere la fattispecie prefigurata dall’articolo 34, comma 3, Cpa: “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente” e, quindi, la domanda con cui è stata proposta l’azione di annullamento dovrebbe essere dichiarata improcedibile, ai sensi dell’articolo 35, comma 1, lett. c), Cpa, “il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

 

 

 

In quest’ipotesi, l’azione costitutiva di annullamento (che presuppone l’accertamento dell’illegittimità), divenuta improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, viene convertita in un’azione di accertamento dell’illegittimità, in funzione risarcitoria.

 

E se tale rapporto di continenza non si può riscontrare tra azione costitutiva e di condanna, qualitativamente diverse, esso è presente fra ciascuna di esse e l’azione di accertamento, quale prius di qualunque altra azione.

 

Se, cioè, l’accertamento è il nocciolo dell’esercizio del potere decisorio, l’azione di accertamento è contenuta in tutte le altre, ma non può contenerle.

 

 

 

Convertire un’azione di accertamento in una di condanna, seppure nell’interesse del ricorrente, produce un ampliamento degli effetti conseguibili dalla prima, ritenuta inammissibile e sottoposta a conversione.

 

Se così è, la conversione di un’azione di accertamento in una di condanna costituisce vizio di ultra-petizione della sentenza, poiché il giudice ha emesso una sentenza che ha effetti non riconducibili a quelli dell’azione esercitata.

 

Il Tar Lazio, cioè, ha attraversato la “sottile linea d’ombra” che delimita la conversione delle azioni ed il vizio di ultra-petizione.

 

 

 

 

 

 

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