Luca Raponi (Studio Patti)
In ragione della loro attitudine ad
incidere significativamente sui diritti fondamentali
dell’individuo, le misure di sicurezza sono sottoposte
al principio di legalità sancito dal codice penale e
confermato dall’art. 25, comma terzo, della
Costituzione.
Alla perentoria affermazione di
tale principio corrisponde, tuttavia, un impianto
normativo che non sembra del tutto coerente rispetto ad
esso.
Già nella fase applicativa,
infatti, si registra una evidente flessione in punto di
tassatività con riguardo al presupposto soggettivo delle
misure di sicurezza di cui all’art. 202 c.p. Non può
sfuggire, innanzitutto, come l’accertamento della
“pericolosità sociale” si risolva in un giudizio
prognostico sul rischio di recidiva che non appare
coperto da adeguate leggi scientifiche. Del resto, il
legislatore non ha elaborato degli indici alla stregua
dei quali indurre la conoscenza dello stato di
pericolosità né ha dato al giudice degli strumenti
appropriati per accertarne l’esistenza dovendosi
ritenere, a tal fine, insufficienti i parametri
dell’art. 133 c.p., cui espressamente rinvia il secondo
comma dell’art. 203 c.p.; resta, invece, sbarrata, a
mente dell’art. 220 c.p.p., la possibilità di avvalersi
di perizie criminologiche. La carenza appena
evidenziata, probabilmente, non è sfuggita ai
codificatori del 1930 che, però, ritennero di colmarla,
almeno parzialmente, con la previsione delle fattispecie
di pericolosità presunta, juris et de jure, di cui
all’art. 204 c.p., poi abrogate nel 1986 perché
inconciliabili con le necessarie garanzie individuali
così come affermato a più riprese dalla Corte
Costituzionale. Permangono, invece, nel sistema, tre
ipotesi di pericolosità c.d. speciale da accertarsi in
concreto e corrispondenti ai tre tipi criminologici del
delinquente abituale, professionale e per tendenza.
In ogni caso, consapevole del
rischio di accertamenti arbitrari della pericolosità, il
legislatore ha affiancato ad essa il presupposto
oggettivo, costituito dalla previa commissione di un
fatto preveduto dalla legge come reato da parte del
soggetto da sottoporre alle misure di sicurezza. Ciò
stride con la funzione specialpreventiva delle misure
giacché ne aggancia l’applicabilità ad eventi passati
tanto che la dottrina valorizza il pregresso reato quale
indice rivelatore della pericolosità con una lettura
che, seppur autorizzata dalla “circolarità” degli
articoli 202 e 203 c.p., finisce per ibridare il
presupposto soggettivo con quello oggettivo.
Quest’ultimo, poi, si rivela inidoneo a svolgere
compiutamente una funzione di garanzia ed anzi presta il
fianco ad applicazioni “a maglie larghe” giacché può
essere integrato anche da quasi reati o da fatti che,
qualora commessi da soggetti non imputabili, devono
essere tipici ed antigiuridici senza necessità, però,
che siano anche colpevoli.
Neppure può essere sottovalutato il
fatto che, pur prevedendone tassativamente i tipi, il
legislatore ha talvolta omesso di predeterminare i
contenuti concreti delle misure di sicurezza; ciò è
vero, in primis, per la libertà vigilata visto che il
codice non contiene l’elencazione delle possibili
prescrizioni a carico del soggetto pericoloso né possono
supplire ad esse i limiti “negativi” imposti dall’art.
190 disp. att. c.p.p. Del pari, la legge non specifica
in cosa consistano esattamente le misure che, rivolte
agli infermi di mente, coniugano la componente
custodiale con quella terapeutica; ciò ha spinto il
legislatore ad escludere la competenza del giudice ad
adottare provvedimenti in punto di trattamento della
malattia psichica che, se presi in caso di indifferibile
urgenza ex art. 73 c.p.p., sono, comunque, destinati a
caducarsi, se non alternativi alla custodia in carcere,
una volta che il soggetto pericoloso sia stato preso in
carico dalle competenti autorità sanitarie.
Se il principio di legalità non
sembra compiutamente rispettato dalle norme che
disciplinano l’applicazione delle misure di sicurezza,
neppure può dirsi totalmente soddisfatto con riguardo
alle modalità della loro esecuzione.
Innanzitutto, in questa seconda
fase, appare compresso il principio di irretroattività
giacché, a mente dell’art. 200 c.p., se la legge del
tempo in cui la misura fu applicata è diversa da quella
del tempo in cui deve essere eseguita, si applica
quest’ultima. Anche volendo dare una lettura
costituzionalmente orientata della norma, limitandone al
minimo la portata, non si può escludere la possibilità
di veder eseguita una misura di sicurezza, già prevista
ed applicata ad un certo soggetto, con modalità
assolutamente nuove e, in ipotesi, più sfavorevoli a chi
vi è sottoposto, quand’anche maggiormente efficaci sotto
il profilo della prevenzione.
L’esecuzione delle misure di
sicurezza è, poi, condizionata, in maniera determinante,
dal fatto che la pericolosità altro non è che un modo di
essere del soggetto che vi soggiace così che essa è,
assieme a lui, in continuo divenire e può evolvere in
forme più acute o, al contrario, regredire fino a
scomparire del tutto. Le misure di sicurezza debbono
necessariamente adeguarsi a questa mutevole realtà
quand’anche ciò comporti il ridimensionamento di alcuni
principi di garanzia; così accade, ad esempio, riguardo
al ne bis in idem che, pur applicabile in linea generale
nel procedimento di sorveglianza, si traduce in una
preclusione da giudicato attenuata giacché quest’ultimo
opera, qui, rebus sic stantibus così che non impedisce,
una volta esauriti i propri effetti, di procedere ad una
rivalutazione della pericolosità del soggetto ed alla
conseguente applicazione di una nuova misura. Va da se
che, per questa via, si svuota di contenuto la garanzia
rappresentata dalla c.d. “giurisdizionalizzazione” del
processo di sicurezza voluta dalla Corte Costituzionale
proprio per compensare la parziale perdita di legalità
che caratterizza la disciplina delle misure
specialpreventive.
Comunque sia, risultano chiaramente
informate alla dinamica della pericolosità, per esempio,
le norme relative alla durata delle singole misure che,
proprio per questo, non contemplano un limite massimo.
L’adattamento della misura applicata alla situazione di
fatto conosce, però, la sua più evidente realizzazione
nelle norme che ne disciplinano la sostituzione e la
trasformazione; il riferimento è, in particolare, agli
art. 212, 231 e 232 c.p. di cui si sono fatte interpreti
le SS.UU. della Suprema Corte al fine di stabilire entro
quali limiti essi abilitino il giudice al mutamento
della misura stessa così da evitare un ulteriore
superamento del principio di legalità e della sua
funzione di garanzia.
Sentenza 15 settembre 2011, n. 34091
Integrale
Misure amministrative di sicurezza - Libero vigilato -
Abitualità del reato - Sopravvenuta infermità psichica -
Sostituzione della misura - Ricovero in casa di cura e
custodia - Esclusione - Fondamento
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente
Dott. CHIEFFI Severo - Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. MILO Nicola - rel. Consigliere
Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere
Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Se. Fr. , nato a (OMESSO);
avverso l'ordinanza del 01/07/2010 del Tribunale di
sorveglianza di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il
ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Nicola
Milo;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona
del Sostituto Procuratore generale Dr. Delehaye Enrico,
che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso
con condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma alla cassa delle ammende.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di sorveglianza di Ancona, con ordinanza
del 1 luglio 2010, rigettava l'appello proposto da Se.
Fr. avverso il provvedimento adottato, il precedente 14
aprile, dal Magistrato di sorveglianza di Macerata, che
aveva disposto l'aggravamento della misura di sicurezza
della liberta' vigilata alla quale il predetto Se. ,
dopo alternative vicende, era sottoposto, sostituendola
con quella del ricovero in casa di cura e custodia.
Il Tribunale chiariva che il Se. , gia' in data 14
giugno 2006, era stato sottoposto alla misura di
sicurezza della liberta' vigilata, perche' dichiarato
delinquente abituale, ai sensi degli articoli 103 e 109
c.p..
Il Magistrato di sorveglianza di Ancona, pero', con
provvedimento del successivo 10 ottobre, preso atto
delle plurime violazioni delle prescrizioni inerenti
all'esecuzione della misura di sicurezza non detentiva,
ritenuto inoltre che detti comportamenti erano
ascrivibili ad una evidente patologia psichiatrica di
cui il soggetto era portatore ed erano indice di nuove
manifestazioni della sua pericolosita' sociale, aveva
disposto, a norma dell'articolo 232 c.p., comma 3,
l'aggravamento della misura, sostituendola con quella
del ricovero in casa di cura e custodia.
Entrambi i provvedimenti da ultimo citati, a seguito di
appello proposto dal Se. , erano stati confermati dal
Tribunale, con ordinanza del 25 gennaio 2007, e il
successivo ricorso per cassazione contro quest'ultimo
provvedimento era stato rigettato, con sentenza di
questa Corte in data 3 ottobre 2007.
Il Tribunale di sorveglianza di Bologna, infine, con
ordinanza del 24 novembre 2009, decidendo sull'appello
avverso la proroga - disposta in data 3 settembre 2009 -
della misura contentiva, aveva ripristinato la liberta'
vigilata ed aveva affidato il Se. alla comunita'
terapeutica "(OMESSO)" di (OMESSO), misura questa
ritenuta adeguata alla ridotta pericolosita' del
predetto.
Era poi accaduto che, durante la permanenza in tale
Comunita', il Se. aveva posto in essere, la notte del
(OMESSO), un tentativo di violenza sessuale ai danni di
una operatrice della struttura; e per tale fatto egli
era stato arrestato e gli era stata applicata la
custodia cautelare in carcere.
Il Tribunale rilevava, per quanto qui interessa, che il
Se. era "incontestabilmente affetto da disturbi
psichiatrici", come dimostravano la sua lunga permanenza
in casa di cura e custodia e la certificazione in data
(OMESSO) dell'ospedale psichiatrico giudiziario di
(OMESSO), che attestava una "dipendenza da sostanze e
farmaci in disturbo della personalita' ed antisociale";
ravvisava nell'episodio della tentata violenza sessuale
una nuova manifestazione di tale patologia psichiatrica,
che imponeva, analogamente a quanto avvenuto
nell'(OMESSO) e senza la necessita' di dovere disporre
un accertamento peritale, la trasformazione della
liberta' vigilata nel ricovero in casa di cura e
custodia anziche', come previsto dall'articolo 231 c.p.,
nella casa di lavoro o nella colonia agricola, misura
quest'ultima applicabile alle persone sane di mente;
sottolineava che - per un verso - la misura non
detentiva era inidonea a contenere la pericolosita' del
soggetto e - per altro verso - il mantenimento della
medesima misura non era comunque piu' praticabile,
avendo la comunita' "(OMESSO)" revocato la propria
disponibilita' a ospitare il Se. e non essendo stata
prospettata alcun'altra "sistemazione" presso analoga
struttura di assistenza sociale.
2. Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
proprio difensore, il Se. , sollecitando l'annullamento
dell'ordinanza impugnata.
Con un primo motivo, il ricorrente deduce la carenza di
motivazione sulla ritenuta riconducibilita' del fatto
commesso il (OMESSO) alla asserita patologia
psichiatrica, non confortata - peraltro - da una perizia
specialistica, benche' espressamente sollecitata: la
patologia certificata nel (OMESSO) dall'o.p.g. di
(OMESSO), infatti, era generica, "aproblematica" e
risalente nel tempo; il tentativo di violenza sessuale
posto in essere non evidenziava dati oggettivi
sintomatici del suo radicamento nella patologia
attribuitagli, ma era riconducibile occasionalmente ad
una imprevedibile "defaillance della terapia
farmacologia" alla quale egli era sottoposto, che
avrebbe determinato una caduta dei freni inibitori,
cosi' come accertato dal consulente di parte, il cui
elaborato non era stato neppure preso in considerazione
dal Tribunale di sorveglianza.
Con un secondo motivo, lamenta l'omessa ovvero
l'illogica motivazione in ordine al carattere
necessitato del ricovero in struttura contentiva, che,
per le sue gravi e drammatiche carenze e la sua
diversita' dal carcere, non poteva comunque scongiurare
il reiterarsi di episodi analoghi; sottolinea, inoltre,
che la stessa giurisprudenza costituzionale aveva
qualificato il ricovero in casa di cura e custodia come
misura "segregante", alla quale poteva farsi ricorso
solo come extrema ratio e che incombeva al Tribunale di
sorveglianza ricercare strutture adeguate a
somministrare trattamenti alternativi in regime di
liberta' vigilata.
3. Con ordinanza del 23 novembre 2010, la Prima Sezione
penale, assegnatala del ricorso ratione materiae, ne ha
rimesso la decisione - ex articolo 618 c.p.p. - alle
Sezioni Unite, al fine di prevenire un potenziale
contrasto di giurisprudenza in ordine
all'interpretazione dell'articolo 232 c.p..
La Sezione rimettente rileva, infatti, che, con sentenza
n. 39498 del 03/10/2007, la stessa Sezione, decidendo
sul ricorso proposto nell'interesse del Se. avverso -
tra l'altro - il precedente provvedimento di
sostituzione della liberta' vigilata con il ricovero in
casa di cura e custodia, aveva sostenuto, sulla base
della disposizione di cui all'articolo 232 c.p.,
ritenuta norma speciale rispetto al precedente articolo
231, la legittimita' di tale sostituzione, perche'
giustificata dalle gravi violazioni degli obblighi
imposti con la misura di sicurezza non detentiva,
indicative di conclamate e serie turbe psichiche
sopravvenute alle condanne che avevano determinato la
dichiarazione di abitualita' nel reato e l'applicazione
dell'originaria misura di sicurezza. Sostanzialmente
analoga la soluzione adottata da Sez. 1, n. 2274 del
22/12/1976, dep. 01/03/1977, Fornelli, che, in una
ipotesi di reato impossibile, aveva ritenuto legittima,
sempre in base alla peculiare regola posta dall'articolo
232 c.p., l'applicazione al prosciolto, rivelatosi anche
affetto da infermita' psichica, della misura di
sicurezza detentiva in luogo della liberta' vigilata,
anche se quest'ultima non era sostitutiva della prima
prevista in via principale.
La Sezione rimettente, quindi, dopo avere ricostruito il
sistema delle misure di sicurezza delineato dal codice
penale e avere evidenziato l'evoluzione scientifica e
normativa, a partire dalla Legge 13 maggio 1978, n. 180,
in tema di assistenza ai malati di mente, con
conseguenti e inevitabili riflessi sul contemperamento
tra esigenze special-preventive legittimanti le misure
di sicurezza e le necessita' terapeutiche della persona
interessata, offre una diversa lettura dell'articolo 232
c.p. rispetto a quella proposta dai richiamati
precedenti giurisprudenziali.
In particolare, sottolinea che tale disposizione "si
riferisce nel titolo e nelle sue varie previsioni, per
quanto interessa in questa sede, agli infermi psichici
in stato di liberta' vigilata e di infermita' psichica:
letta in combinato con l'articolo 212 c.p., appare
chiaramente volta a disciplinare le situazioni in cui
l'infermita' psichica preesiste all'applicazione della
misura e ne costituisce la ragione, non gia' quelle in
cui, applicata la misura per altro titolo di
pericolosita', l'infermita' sopraggiunga. Ipotesi queste
in cui (...) l'articolo 212 c.p., comma 2, consente la
"sostituzione", a causa di una infermita' sopravvenuta,
della misura imposta per altre ragioni con l'o.p.g. o la
casa di cura e custodia, solo ove quella in atto sia
gia' una misura detentiva. D'altronde, l'articolo 232
non collega affatto la sostituzione o l'imposizione
della casa di cura e custodia a violazioni delle
prescrizioni della liberta' vigilata, limitandosi al
comma 3 a prescrivere l'aggravamento quando la persona
in stato di infermita' psichica si riveli "di nuovo"
pericolosa". In sostanza, la portata della norma e'
circoscritta, secondo l'ordinanza di rimessione, alle
sole ipotesi in cui occorra rivedere il giudizio di
pericolosita', che aveva consentito di applicare la
misura gradata della liberta' vigilata all'infermo di
mente, e tale conclusione trova conferma nei seguenti
rilievi: a) l'analoga previsione dell'articolo 232,
comma 3, riferita al minore finirebbe altrimenti per
costituire mera ripetizione di quella contenuta
nell'articolo 231, comma 2, relativa all'aggravamento
della liberta' vigilata a causa della violazione delle
prescrizioni imposte; b) l'omesso riferimento, per
l'infermo di mente, alle violazioni delle prescrizioni
della liberta' vigilata trova spiegazione nel principio,
ispiratore anche della norma di cui all'articolo 214
c.p., comma 2, che l'inosservanza della misura di
sicurezza da parte dell'infermo di mente non comporta,
per costui, sanzione; c) l'articolo 232 non prevede la
sostituzione della liberta' vigilata con l'ospedale
psichiatrico giudiziario, perche', nel momento in cui la
norma venne scritta, la liberta' vigilata non poteva mai
essere applicata in luogo dell'o.p.g..
4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta del
5 aprile 2011, dopo avere premesso di condividere la
lettura dell'articolo 232 c.p. proposta dalla prima
Sezione penale, sostiene che la questione sollevata non
avrebbe alcun rilievo nel caso in esame, i cui dati
fattuali sarebbero coerenti con detta lettura:
l'infermita' psichica del Se. , infatti, preesisteva
all'applicazione della misura di sicurezza e ne
costituiva la ragione; l'ordinanza impugnata, in stretta
aderenza alla lettera dell'articolo 232 c.p., si era
limitata a ripristinare, a seguito della constatata
riacutizzazione della infermita' psichica di cui il Se.
soffriva, la misura di sicurezza detentiva del ricovero
in casa di cura e custodia, gia' in precedenza applicata
in occasione di una analoga situazione venutasi a
determinare, con provvedimento 10 ottobre 2006 del
Magistrato di Sorveglianza, confermato in sede di
appello il 25 gennaio 2007 e divenuto irrevocabile il 3
ottobre successivo per effetto della sentenza in pari
data della Suprema Corte; ne conseguiva che la
legittimita' della ripristinata misura di sicurezza
contenitiva non poteva piu' essere posta in discussione.
Rileva ancora il P.g. che la questione non era stata
neppure dedotta con il ricorso, in quanto i motivi di
doglianza in esso articolati attengono esclusivamente al
vizio di motivazione sul merito della vicenda. Conclude,
quindi, nei termini in epigrafe precisati.
5. Con memoria depositata il 21 aprile 2011, il
difensore del ricorrente, in replica alla richiesta di
inammissibilita' del ricorso formulata dal P.g.,
precisa: a) le doglianze prospettate nell'atto
d'impugnazione non si risolvono in non consentite
censure in fatto all'apparato argomentativo
dell'ordinanza impugnata, ma colgono reali carenze di
questa in punto di motivazione; b) il titolo per il
quale il Se. era stato sottoposto alla misura di
sicurezza, individuata originariamente nella liberta'
vigilata, era la dichiarazione di delinquenza abituale,
che prescinde da qualsivoglia minorazione psichica; c)
la liberta' vigilata, gia' trasformata - con dubbia
legittimita' - nel ricovero in casa di cura e custodia,
era stata ripristinata nel novembre 2009; d)
"inconferente" era il richiamo del P.g. alla asserita
preclusione del giudicato, che sarebbe insito nella
precedente applicazione della misura di sicurezza
detentiva, considerato che le decisioni in tale materia
vengono adottate rebus sic stantibus e sono
suscettibili, in quanto "colgono una realta' in
divenire", di successive modificazioni.
6. Il Primo Presidente, con decreto del 25 febbraio
2011, ha assegnato il ricorso, ex articolo 618 c.p.p.,
alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione
l'odierna udienza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto per la quale il ricorso e'
stato rimesso alle Sezioni Unite e' la seguente: "se la
misura di sicurezza della liberta' vigilata applicata in
conseguenza della dichiarazione di abitualita' nel reato
possa essere sostituita, per sopravvenuta infermita'
psichica, con la misura del ricovero in casa di cura e
custodia".
2. Preliminare all'esame della quaestio iuris e' la
verifica della sussistenza o meno, nel caso di specie,
della preclusione del giudicato, che, a parere del
Procuratore generale, sarebbe determinata dalla
precedente sostituzione, ritenuta legittima con la
succitata sentenza 3 ottobre 2007 di questa Suprema
Corte, della liberta' vigilata, originariamente
applicata al Se. , con il ricovero in casa di cura e
custodia.
Il procedimento di sorveglianza e' indubbiamente
assoggettato alle regole proprie di ogni altro
procedimento giurisdizionale, ivi compresa quella che
disciplina la definitivita' dei provvedimenti in caso di
esaurimento dell'iter delle impugnazioni ovvero di
mancata impugnazione da parte dei soggetti legittimati.
In sostanza, il principio del ne bis in idem trova
applicazione, in linea generale, anche in tale
procedimento, in forza del richiamo che l'articolo 678
c.p.p., fa al precedente articolo 666, il cui comma 2
sancisce l'inammissibilita' della successiva richiesta,
se fondata sui medesimi presupposti di fatto e sulle
stesse ragioni di diritto di quella precedente, gia'
rigettata con provvedimento non piu' impugnabile.
Tuttavia, considerata la peculiarita' del procedimento
di sorveglianza in tema di misure di sicurezza, le quali
sono ancorate ad una realta' - per cosi' dire - in
divenire, la preclusione del giudicato e' attenuata
rispetto all'irrevocabilita' delle sentenze e dei
decreti penali, nel senso che opera rebus sic stantibus
e non impedisce la rivalutazione della pericolosita' e
dell'adeguatezza della misura, alla luce di nuovi
elementi sopravvenuti ovvero preesistenti e non
considerati, che offrano una mutata piattaforma di
valutazione ed abbiano comunque una diretta incidenza
sulla posizione della persona interessata, fino a
coinvolgere diritti fondamentali della medesima.
Cio' posto, non si puo' prescindere dal dato di fatto
che la misura di sicurezza non detentiva applicata al
Se. nel giugno 2006 trova titolo nella dichiarazione di
delinquenza abituale ex articolo 103 c.p., con gli
effetti di cui al successivo articolo 109 c.p..
La trasformazione, disposta nell'ottobre 2006 e avallata
dalla sentenza 3 ottobre 2007 di questa Corte, della
liberta' vigilata nel ricovero in casa di cura e
custodia non ha determinato un mutamento del titolo di
legittimazione della misura, individuato sempre nella
dichiarazione di delinquenza abituale.
Tale trasformazione, ritenuta legittima, era stata
decisa sulla base della situazione di fatto all'epoca
presa in considerazione e, mutata questa a seguito della
sua evoluzione dinamica, aveva esaurito ogni suo
effetto.
Il Tribunale di sorveglianza di Bologna, infatti, con
provvedimento 24 novembre 2009, non impugnato dal
pubblico ministero, aveva ripristinato la liberta'
vigilata, ritenendola adeguata alla persistente
pericolosita' sociale del Se. , connessa sempre ed
esclusivamente alla sua posizione di delinquente
abituale e non di soggetto affetto da malattia mentale.
E' in questa nuova e mutata situazione di fatto che si
inserisce l'adozione da parte del Magistrato di
sorveglianza di Macerata del nuovo provvedimento del 14
aprile 2010 di ricovero in casa di cura e custodia,
confermato in appello e oggetto del ricorso per
cassazione.
Si e' di fronte, quindi, ad un nuovo e autonomo
procedimento di sorveglianza, che, in quanto attivato
sulla base della nuova situazione fattuale venutasi a
determinare, non e' precluso, perche' non basato sui
medesimi elementi, dall'esito del precedente
procedimento, che, come si e' detto, aveva gia' esaurito
i suoi effetti.
La decisione di questa Corte che definiva la pregressa
procedura, affermando il principio della legittimita'
della sostituzione della liberta' vigilata, in caso di
gravi violazioni delle relative prescrizioni e di
manifestazione di conclamate turbe psichiche, con il
ricovero in casa di cura e custodia, rappresenta solo un
precedente giurisprudenziale, che non puo' condizionare
la presente decisione e che, per le ragioni di seguito
esposte, non puo' essere condiviso.
Conclusivamente deve essere enunciato sul punto, in
applicazione dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma
3, il seguente principio di diritto: "la preclusione del
giudicato, nel procedimento di sorveglianza in materia
di misure di sicurezza, opera rebus sic stanti bus e non
impedisce, una volta esauriti gli effetti della
precedente decisione, la rivalutazione della
pericolosita' del soggetto e la conseguente
individuazione di un'eventuale nuova misura da applicare
sulla base di ulteriori elementi non valutati, perche'
palesatisi successivamente all'adozione del
provvedimento divenuto definitivo o, pur preesistenti,
non presi da questo in considerazione".
3. La questione controversa consiste, come si e' detto,
nella possibilita' o meno di sostituire la misura di
sicurezza della liberta' vigilata, applicata in
conseguenza della dichiarazione di abitualita' nel
reato, con la misura del ricovero in casa di cura e
custodia per sopravvenuta infermita' psichica.
Tale sostituzione o piu' esattamente trasformazione
risulta essere stata adottata nel caso in esame, come
testualmente si evince dall'ordinanza impugnata,
"all'esito di procedimento ex articolo 231 c.p.", ossia
a seguito della rilevata trasgressione degli obblighi
imposti, avendo sia il Magistrato di sorveglianza che il
Tribunale di sorveglianza evidenziato il grave episodio
di tentata violenza sessuale posto in essere dal Se. in
danno di un'operatrice della struttura in cui era
ospitato e avendo ritenuto conseguentemente
l'inidoneita' della liberta' vigilata a contenere la
pericolosita' del predetto; il ricovero in casa di cura
e custodia risulta essere stato prescelto, in luogo
dell'assegnazione ad una casa di lavoro o ad una colonia
agricola previste dal richiamato articolo 231 c.p., in
considerazione della patologia psichiatrica di cui il
Se. era portatore e in applicazione dell'articolo 232
c.p., comma 3, "norma speciale" rispetto alla prima.
Si impone, quindi, una sia pure sintetica ricostruzione
del sistema delle misure di sicurezza delineato dal
codice, al fine di individuare la corretta soluzione del
caso, alla luce del corrispondente quadro normativo di
riferimento.
4. Il legislatore del 1930, mediando tra le opposte
posizioni della Scuola positiva e della Scuola classica,
ha inserito nel codice penale il cosi' detto sistema
dualistico o del doppio binario, affiancando alla
sanzione penale tradizionale la misura di sicurezza, la
cui funzione e' quella di neutralizzare la pericolosita'
sociale di ben individuate categorie di soggetti.
Lo scopo delle misure di sicurezza e' quello di
potenziare la difesa sociale mediante la prevenzione del
pericolo di reiterazione del reato da parte del soggetto
ritenuto pericoloso.
La pena assolve funzioni di retribuzione e di
prevenzione generale, la misura di sicurezza persegue
una funzione special-preventiva, che mira a
neutralizzare, curare e rieducare la persona socialmente
pericolosa, per scongiurarne le spinte soggettive verso
l'atto criminale.
L'applicazione delle misure di sicurezza richiede
l'esistenza di due presupposti: uno oggettivo, integrato
dalla previa commissione di un reato o di un fatto dalla
legge ad esso equiparato; l'altro soggettivo, costituito
dall'accertamento della pericolosita' sociale del reo.
L'articolo 202 c.p., comma 1, infatti, testualmente
recita: "le misure di sicurezza possono essere applicate
soltanto alle persone socialmente pericolose, che
abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come
reato". Il comma 2 dello stesso articolo prevede
un'eccezione a tale principio, aggiungendo che "la legge
penale determina i casi nei quali a persone socialmente
pericolose possono essere applicate misure di sicurezza
per un fatto non preveduto dalla legge come reato"; tali
ipotesi, che si concretano in situazioni equiparabili al
reato (c.d. quasi reato), sono tassativamente
individuate dalla legge nel reato impossibile (articolo
49 c.p., comma 2) e nell'accordo criminoso non eseguito
o nell'istigazione, non accolta, a commettere un delitto
(articolo 115 c.p.).
La previsione del presupposto oggettivo, in seno ad un
istituto giuridico con chiara finalita' di prevenzione e
quindi proiettato a scongiurare reati futuri piuttosto
che a occuparsi di quelli gia' commessi, e' indice della
preoccupazione del legislatore di evitare eventuali
arbitri nell'accertamento della pericolosita' sociale,
requisito - questo - dai molteplici significati
potenziali e percio' agevolmente manipolabile, e di
ancorare la misura di sicurezza ad un dato di fatto non
suscettibile di plurime interpretazioni, appunto il
reato o il quasi reato, ritenuto di per se' sintomo di
pericolosita' sociale gia' concretamente manifestatasi.
Nell'ambito di un diritto penale a base oggettivistica,
incentrato cioe' sui principi garantistici di
materialita'-offensivita' e non a base
soggettivistica-preventiva, non e' compito del giudice
penale applicare le misure di sicurezza a scopo
esclusivamente terapeutico-risocializzativo,
prescindendo dalla commissione di un reato o di un fatto
ad esso equiparato.
E' sulla base di tale dato oggettivo che deve innestarsi
la valutazione del giudice in ordine alla sussistenza
del presupposto soggettivo della pericolosita' sociale,
la cui nozione e' data dall'articolo 203 c.p.: "agli
effetti della legge penale, e' socialmente pericolosa la
persona, anche se non imputabile o non punibile, la
quale ha commesso taluno dei fatti indicati
nell'articolo precedente, quando e' probabile che
commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati".
La qualita' di persona socialmente pericolosa deve
essere desunta dagli indici tipizzatori di cui
all'articolo 133 c.p., utilizzati in funzione della
prognosi criminale, vale a dire del profilo di difesa
preventiva in una proiezione futura.
Le misure di sicurezza efficacemente sono state definite
dalla dottrina come misure di prevenzione post delictum,
per differenziarle dalle misure di prevenzione ante o
praeter delictum. Il presupposto soggettivo
(pericolosita') e la finalita' di prevenzione del
crimine sono comuni ad entrambe le categorie, che si
differenziano soltanto nel presupposto oggettivo: le
prime, diversamente dalle seconde, per la cui
applicazione e' sufficiente la qualita' di soggetto
socialmente pericoloso, richiedono la previa commissione
di un reato.
5. L'applicazione delle misure di sicurezza,
espressamente previste dalla Costituzione, che, pur non
imponendolo, recepisce il sistema del doppio binario, e'
presidiata dal principio di legalita'.
L'articolo 25 Cost., comma 3, dispone: "Nessuno puo'
essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei casi
previsti dalla legge". E' cosi' costituzionalizzato il
detto principio, gia' sancito a livello legislativo
dall'articolo 199 c.p., per il quale: "Nessuno puo'
essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano
espressamente stabilite dalla legge e fuori dai casi
dalla legge stessa preveduti".
E' la legge, quindi, che deve indicare tassativamente i
casi in cui puo' essere applicata la misura di sicurezza
e determinare il tipo di misura applicabile, anche con
riferimento alle ipotesi di sostituzione o di
trasformazione della misura medesima.
6. Plurimi e autonomi sono i titoli che legittimano
l'applicazione delle misure di sicurezza personali,
espressamente tipizzate in relazione al dato
personologico che connota la pericolosita' da arginare
in via preventiva.
In sostanza, il tipo di pericolosita' e' strettamente
connesso agli indici su cui esso concretamente si fonda,
varia secondo i fattori che di volta in volta assumono
valore sintomatico e orienta - di conseguenza - la
scelta della misura di sicurezza normativamente prevista
nel caso specifico.
Dalla disciplina codicistica sono enudeabili diversi
titoli di pericolosita', sulla cui base, pero', questa
deve essere accertata in concreto, essendo stato
innovato, sulla scia dell'orientamento assunto dalla
Corte costituzionale con numerose sentenze (sentt. n. 1
del 1971; n. 139 del 1982; n. 249 del 1983; n. 1102 del
1988) e dei radicali mutamenti normativi conseguenti
alla Legge 10 ottobre 1986, n. 663, articolo 31, e, per
cosi' dire, stabilizzati con l'entrata in vigore del
nuovo codice di procedura penale (articolo 679),
l'originario impianto del codice penale, che prevedeva
ipotesi di pericolosita'presunta dalla legge.
Tali titoli possono essere cosi' individuati: a)
dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o
per tendenza (articolo 216 c.p.); b) proscioglimento per
infermita' psichica o per intossicazione cronica da
alcool o stupefacenti ovvero per sordomutismo (articolo
222 c.p.); c) condanna ad una pena diminuita per ragione
di infermita' psichica, di cronica intossicazione da
alcool o stupefacenti ovvero di sordomutismo (articolo
219 c.p.); d) condanna per delitti commessi in stato di
ubriachezza abituale o sotto l'azione di stupefacenti
all'uso dei quali l'imputato sia dedito (articolo 221
c.p.); e) condanna per delitti di per se' "spregevoli" o
di particolare allarme sociale, secondo l'espressa
previsione delle varie norme di riferimento; f) la
qualita' di straniero o di cittadino appartenente ad uno
Stato membro dell'Unione europea, ove ricorrano
determinati presupposti espressamente previsti dalla
legge (articolo 235 c.p.); g) la non imputabilita' per
minore eta' o la condanna del minore imputabile, in
presenza di determinate condizioni (articoli 224, 225 e
226 c.p.).
7. Con specifico riferimento alle ipotesi, rilevanti in
questa sede, della pericolosita' qualificata del
delinquente abituale e di quella dipendente da
infermita' o seminfermita' psichica, osserva la Corte
che la prima, legata alla reiterazione di una serie di
fatti criminosi (articolo 103 c.p.), si differenzia
nettamente dalla seconda, diverse essendo la genesi e le
connotazioni strutturali delle due situazioni, con la
conseguenza che l'applicazione, il mantenimento e
l'eventuale trasformazione delle misure di sicurezza
devono conformarsi alle corrispondenti previsioni
normative.
Alla persona affetta da parziale o totale infermita'
psichica puo' essere applicata, a norma degli articoli
219 e 222 c.p., rispettivamente la misura di sicurezza
del ricovero in casa di cura e custodia ovvero quella
del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, fatta
salva l'eventuale scelta alternativa di una diversa
misura, alla luce di quanto statuito dalla Corte
costituzionale con le sentenze n. 253 del 2003 e n. 208
del 2009. L'applicazione di tali misure presuppone
l'accertamento giudiziale della commissione di un reato,
dell'infermita' psichica dell'agente e della
pericolosita' da infermita' di costui, pur ritenendo
scemata l'imputabilita' o escludendola del tutto.
Le stesse misure non sono applicabili al delinquente
abituale (o professionale o per tendenza), la cui
pericoiosita deriva dalla notevole attitudine al crimine
e non gia' da una infermita' psichica.
Che il legislatore del 1930 abbia tenuto ben distinti i
due titoli di pericolosita' emerge dai seguenti rilievi:
a) l'inclinazione al delitto originata dall'infermita'
preveduta dagli articoli 38 e 89 c.p. e' diversa da
quella che trova la sua causa nell'indole
particolarmente malvagia del colpevole e non consente,
secondo l'espressa previsione dell'articolo 108 c.p.,
comma 2, l'applicazione della disposizione di cui al
primo comma dello stesso articolo, vale a dire la
dichiarazione di pericolosita' qualificata dalla
tendenza a delinquere, ossia da una sorta di "follia
morale", che compromette la sola sfera dei sentimenti e
non quella intellettiva o volitiva dell'agente; b)
l'unica ipotesi di trasformazione della misura di
sicurezza applicata a persona imputabile in misura di
sicurezza correlata a infermita' psichica e' prevista
dall'articolo 212 c.p., comma 2.
S'impone una piu' dettagliata illustrazione di questo
secondo aspetto.
8. Secondo la disposizione di cui all'articolo 212 c.p.,
comma 2, se nel corso dell'esecuzione di una misura di
sicurezza detentiva sopravviene un'infermita' psichica
dell'internato, il giudice deve sostituire alla misura
precedentemente disposta (la colonia agricola o la casa
di lavoro) quella dell'ospedale psichiatrico giudiziario
o della casa di cura e custodia. Cessata l'infermita'
psichica, il giudice deve accertare ex novo, ai sensi
del comma terzo del richiamato articolo, la persistenza
della pericolosita' connessa agli indici su cui essa si
fonda e ripristinare, in caso di esito positivo, la
precedente misura di sicurezza, a meno che non ritenga
piu' opportuno, per la constatata attenuazione della
pericolosita', applicare la liberta' vigilata.
L'esecuzione di una misura di sicurezza non detentiva
cessa nel caso in cui la persona, colpita da infermita'
psichica, e' ricoverata nello spazio psichiatrico di un
ospedale civile per essere sottoposta a trattamento
sanitario obbligatorio, venendosi in tal caso a
determinare "condizioni di fatto manifestamente
incompatibili" (cfr. Relazione ministeriale sul progetto
del codice penale, parte 1, pag. 262). Anche in tale
caso, cessato il ricovero ospedaliere, il giudice
procede al riesame della pericolosita' sulla base degli
originari indici di valutazione, attualizzati in
relazione anche all'evoluzione dinamica della
situazione, e, in caso di accertamento positivo, applica
una misura di sicurezza personale non detentiva
(articolo 212 c.p., comma 4). E' agevole desumere a
contrariis che, ove la persona imputabile, gia'
sottoposta a misura di sicurezza non detentiva (liberta'
vigilata) e colpita, durante l'esecuzione di questa, da
infermita' psichica, non venisse ricoverata in ospedale,
la misura in oggetto continuerebbe ad operare
regolarmente.
Si coglie chiaramente nelle disposizioni, di carattere
generale, della norma codicistica esaminata l'autonomia
del titolo su cui riposano tanto la dichiarazione di
pericolosita' della persona imputabile quanto
l'applicazione ad essa della corrispondente misura di
sicurezza, la quale - di norma - non puo' essere
trasformata in altra misura che si collega all'eventuale
infermita' psichica sopravvenuta.
L'eccezione prevista dal comma secondo dell'articolo 212
c.p. rimane isolata ed e' giustificata dal fatto che
l'infermita' colpisce un soggetto gia' internato, anche
se l'automatismo della previsione appare - oggi - assai
discutibile e scarsamente coordinato con l'evoluzione
scientifica e normativa in materia di assistenza e cura
ai malati di mente. Sarebbe auspicabile, de iure
condendo, che il sopravvenire di un'infermita' psichica,
anziche' giustificare un'automatica e superficiale
applicazione del ricovero in struttura psichiatrica
giudiziaria, imponesse piu' coerentemente una
rivalutazione dei precedenti indici di pericolosita',
onde verificarne l'eventuale perdita di significato.
La diversa regolamentazione, coerente col sistema
generale delineato in materia, del caso di infermita'
sopravvenuta alla persona (imputabile) sottoposta a
misura di sicurezza non detentiva trova significativa
spiegazione nella citata Relazione ministeriale sul
progetto del codice penale, ove testualmente si afferma
che «dare facolta' al giudice di disporre il ricovero
in un manicomio giudiziario o in una casa di cura e di
custodia sarebbe stato eccessivo, e, d'altro canto,
occorreva preoccuparsi della necessita' pratica di non
ingombrare eccessivamente gli stabilimenti. Il progetto,
pertanto, lascia, in questo campo, che agisca
l'Autorita' amministrativa di polizia o che in altro
modo si provveda, ad es., a cura dei parenti
dell'infermo, ai sensi della legge sui manicomi" (parte
1, pag. 262).
Non va sottaciuto che l'impianto codicistico risente
della disciplina della legge manicomiale del 1904,
improntata ad una logica custodialistica per il
trattamento del malato di mente, e mal si concilia con
la Legge 13 maggio 1978, n. 180, che privilegia invece
l'intervento terapeutico erogato sul territorio e riduce
quello sanitario obbligatorio in condizioni di degenza
ospedaliera ad intervento del tutto eccezionale, se
imposto dalla necessita' di garantire il diritto
individuale alla salute mentale.
Il legislatore del 1988, intervenendo sul piano
processuale, ha implicitamente tenuto conto
dell'evoluzione scientifica e normativa in tema di
assistenza e cura agli infermi psichici ed ha
conseguentemente circoscritto entro confini molto
ristretti la competenza del giudice penale in relazione
ai provvedimenti da adottare nei confronti di persone
che vengano a trovarsi in tale condizione, stabilendo il
principio che detto giudice non e' - di regola
-autorizzato ad intervenire sul trattamento della
malattia mentale (Relazione al progetto preliminare,
pag. 32).
Esemplificativamente, l'articolo 73 c.p.p. impone al
giudice (o al p.m. nel corso delle indagini preliminari)
l'obbligo di informare, con il mezzo piu' rapido, della
probabile necessita' di sottoporre l'imputato (o
l'indagato) a cure psichiatriche "l'autorita' competente
per l'adozione delle misure previste dalle leggi sul
trattamento sanitario per malattie mentali"; e solo se
vi sia "pericolo nel ritardo", e' consentito al giudice
adottare provvedimenti di urgenza, fino al ricovero
provvisorio dell'imputato in idonea struttura del
servizio psichiatrico ospedaliero, avvisando gli organi
competenti, il cui provvedimento, non appena eseguito,
fara' perdere efficacia a quello interinale del giudice.
Detto ricovero ovviamente non e' soggetto agli effetti
risolutivi di interventi esterni soltanto nel caso in
cui sia disposto come misura alternativa della custodia
in carcere.
In conclusione, l'articolo 212 c.p. regolamenta il caso
della persona che, sottoposta ad una misura di sicurezza
detentiva o non detentiva, perche' dichiarata pericolosa
in forza di un titolo diverso dalla infermita' psichica,
sia colpita da tale patologia durante l'esecuzione della
misura. La norma si pone nella stessa logica che ispira
l'articolo 148 c.p., che disciplina il caso
dell'infermita' psichica sopravvenuta al condannato
prima dell'esecuzione o durante l'esecuzione di una pena
restrittiva della liberta' personale.
9. Passando ad esaminare, per quanto qui interessa, la
misura di sicurezza personale non detentiva della
liberta' vigilata, deve premettersi che la stessa
consiste nell'imposizione al soggetto che vi e'
sottoposto di una serie di prescrizioni limitative della
sua liberta' personale, non specificamente indicate dal
legislatore ma affidate all'ampio margine di
discrezionalita' del giudice in sede di applicazione
della misura (articoli 228 c.p.), al fine di adeguare
dette prescrizioni alle condizioni personali, familiari
e ambientali dell'interessato, onde allontanarlo da
occasioni di nuovi reati e promuovere il suo
reinserimento sociale, anche attraverso interventi di
sostegno e di assistenza da parte del servizio sociale
(articolo 55 Ord. Pen.).
Quanto alle possibili "mutazioni" della liberta'
vigilata in altra misura, rileva la Corte che devono
essere prese in considerazione le disposizioni speciali
di cui agli articoli 231 e 232 c.p., per coglierne la
reale portata e la sfera di rispettiva operativita'.
9.1. La prima norma disciplina, come si evince dallo
stesso titolo, la "trasgressione degli obblighi
imposti", valutata come una possibile nuova
manifestazione della pericolosita' sociale
precedentemente ritenuta, con i conseguenti effetti
sanzionatori dalla stessa norma previsti.
Tali effetti consistono, eccettuato il caso previsto
dalla prima parte dell'articolo 177 c.p.,
nell'imposizione della cauzione di buona condotta in
aggiunta alla liberta' vigilata (comma 1); oppure,
tenuto conto della particolare gravita' della violazione
o del ripetersi di essa o della mancata prestazione
della cauzione, nella sostituzione della liberta'
vigilata con l'assegnazione ad una colonia agricola o ad
una casa di lavoro, ovvero, se si tratta di un minore,
con il ricovero in un riformatorio giudiziario (comma
2), da eseguirsi eventualmente nelle forme del
collocamento in comunita' (Decreto del Presidente della
Repubblica 22 settembre 1988, n. 448).
Anche l'articolo 231 c.p. ha chiaramente come
destinatari quei soggetti dichiarati pericolosi in forza
di un titolo diverso dalla infermita' o seminfermita'
psichica e sottoposti alla misura di sicurezza non
detentiva della liberta' vigilata, i quali ne violano le
relative prescrizioni.
9.2. La norma di cui all'articolo 232 c.p. detta,
invece, alcune regole per il caso in cui la liberta'
vigilata abbia come destinatari soggetti di eta' minore
ovvero infermi psichici, ritenuti pericolosi per tale
loro condizione.
La norma parte dal presupposto che costoro, per il
proprio stato di immaturita' o di incapacita', non
sarebbero in grado di provvedere a se' stessi e di
realizzare compiutamente l'afflittivita' delle
prescrizioni connesse alla liberta' vigilata, stabilendo
quindi, al comma primo, come condizione per la stessa
applicabilita' della misura, la necessita' di affidare
tali soggetti, durante l'esecuzione della misura
medesima, ad una persona o ad un ente che vigili su di
loro.
Il comma 2 della disposizione in esame stabilisce,
inoltre, che sia ordinato o mantenuto il ricovero in
riformatorio (fatta salva la disciplina ex Decreto del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo
36) per il minore e nella casa di cura e custodia per
l'infermo di mente, ove l'affidamento di costoro ai
soggetti indicati nel comma 1 non sia "possibile" od
"opportuno".
Il comma 3, infine, prevede che, "Se, durante la
liberta' vigilata, il minore non da prova di
ravvedimento o la persona in stato di infermita'
psichica si rivela di nuovo pericolosa", la misura non
detentiva in atto deve essere sostituita rispettivamente
con il ricovero in un riformatorio o in una casa di cura
e custodia.
Quest'ultima disposizione, pertanto, opera ove si
accerti un aggravamento della pericolosita' sociale gia'
manifestata in ragione della minore eta' o
dell'infermita' psichica e posta a fondamento
dell'applicazione della liberta' vigilata.
Contrariamente a quanto sostenuto da Sez. 1, n. 39498
del 03/10/2007, Se. (e implicitamente da Sez. 1, n, 2274
del 22/12/1976, dep. 01/03/1977, Fornelli), la
disposizione non si pone in rapporto di specialita'
rispetto alla norma di cui all'articolo 231 c.p. e ai
casi ivi disciplinati.
Le due norme hanno autonomi campi operativi: l'articolo
231 c.p. attiene, come si e' detto, alla trasgressione
degli obblighi inerenti alla liberta' vigilata da parte
del soggetto che vi e' sottoposto, perche' dichiarato
pericoloso per ragioni diverse dalla infermita'
psichica; l'articolo 232 c.p., comma 3, che e'
disposizione speciale rispetto alla norma generale di
cui all'articolo 212 c.p. (relativa al caso di
infermita' psichica sopravvenuta in soggetto sano) e non
gia' a quella di cui all'articolo 231 c.p., non collega
affatto la trasformazione della liberta' vigilata nel
ricovero in casa di cura e custodia a violazioni delle
prescrizioni imposte con la prima misura, ma prevede
tale trasformazione in quanto la persona, gia'
dichiarata pericolosa per infermita' psichica, manifesta
nuovi e piu' allarmanti segni di tale pericolosita', si
da imporre l'adozione della piu' rigorosa misura
contenitiva.
Tale interpretazione dell'articolo 232 c.p., comma 3,
circoscritto alle sole ipotesi in cui occorre rivedere
il giudizio di pericolosita' che aveva consentito
l'applicazione della misura non detentiva, trova
conferma, come incisivamente sottolineato dall'ordinanza
di rimessione, nei seguenti rilievi: a) con riferimento
alla posizione del minore che "non da prova di
ravvedimento", la previsione della disposizione in
esame, se interpretata nel senso di cui all'ordinanza
impugnata e ai richiamati precedenti giurisprudenziali
di questa Suprema Corte, sarebbe mera e irragionevole
duplicazione della disposizione di cui al comma secondo
dell'articolo 231 c.p., relativa all'aggravamento, per
trasgressione degli obblighi imposti, della liberta'
vigilata applicata al minore; b) nessun riferimento la
disposizione in esame fa alla violazione delle
prescrizioni della liberta' vigilata, ma considera solo
il fatto che "il minore non da prova di ravvedimento o
la persona in stato di infermita' psichica si rivela di
nuovo pericolosa", evidenziando cosi' soltanto
l'accentuato grado di pericolosita'; c) la disposizione
non prevede la sostituzione della liberta' vigilata con
l'ospedale psichiatrico giudiziario per la ragione che,
all'epoca in cui la norma venne scritta, la misura non
detentiva non poteva mai essere applicata in luogo di
quella detentiva.
10. All'esito dell'analisi logico-sistematica della
normativa esaminata, devono enunciarsi, in ossequio al
disposto dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 3, i
seguenti principi di diritto:
- "il giudizio di pericolosita', in quanto strettamente
connesso agli indici di salutazione su cui esso di volta
in volta di fonda, trova la sua ragion d'essere in
titoli diversi e comporta, in forza del principio di
legalita', l'applicazione o la sostituzione o il
mantenimento o la trasformazione della misura di
sicurezza prevista dalle corrispondenti norme di
riferimento";
- "l'articolo 212 c.p. disciplina il caso della persona
che, sottoposta a misura di sicurezza detentiva o non
detentiva per un titolo diverso dalla infermita'
psichica, sia colpita da tale patologia durante
l'esecuzione della misura";
- "l'articolo 231 c.p. regolamenta gli effetti che
conseguono alla trasgressione degli obblighi imposti al
libero vigilato, dichiarato pericoloso per un titolo
diverso dalla infermita' psichica";
- "l'articolo 232 c.p. non e' norma speciale rispetto
all'articolo 231 c.p. e disciplina - tra l'altro - la
diversa ipotesi della persona che, dichiarata pericolosa
per infermita' psichica e sottoposta alla liberta'
vigilata per tale titolo, manifesta, in corso di
esecuzione della misura, nuovi sintomi di una piu'
accentuata pericolosita', si' da rendere inadeguata la
misura non detentiva in atto e da legittimarne la
sostituzione con il ricovero in casa di cura e
custodia";
- "la misura di sicurezza della liberta' vigilata
applicata per effetto della dichiarazione di abitualita'
nel reato non puo' essere sostituita, per sopravvenuta
infermita' psichica, con la misura del ricovero in casa
di cura e custodia, non operando in tale ipotesi la
disposizione di cui all'articolo 232 c.p., comma 3".
11. L'ordinanza impugnata, confermativa di quella del 14
aprile 2010 del Magistrato di sorveglianza di Macerata,
si pone in aperto contrasto con gli enunciati principi,
in quanto privilegia la tesi secondo cui le norme di,
cui agli articoli 231 e 232 c.p. si integrerebbero tra
loro, nel senso che la seconda sarebbe in rapporto di
specialita' rispetto alla prima e, quindi,
legittimerebbe, per l'accertata trasgressione degli
obblighi imposti con la liberta' vigilata e per il
constatato peggioramento della patologia psichiatrica di
cui il Se. era portatore, la sostituzione della misura
di sicurezza non detentiva con quella del ricovero in
casa di cura e custodia.
L'ordinanza, cosi' argomentando, confonde i
differenziati aspetti che contraddistinguono le diverse
e autonome ipotesi di mutazione della liberta' vigilata
in corso di esecuzione (violazione delle relative
prescrizioni, nuova e piu' grave manifestazione di
pericolosita'), non tiene conto del titolo per il quale
il Se. era stato sottoposto a misura di sicurezza,
costituito esclusivamente dalla pericolosita' connessa
alla dichiarazione di delinquenza abituale, e da
rilievo, invece, all'asserita infermita' psichica
pregressa del predetto, evidenziatasi ulteriormente in
occasione dell'episodio verificatosi la notte del
(OMESSO) presso la comunita' "(OMESSO)", omettendo pero'
di considerare che tale presunto stato patologico,
contrariamente a quanto sembra sostenere anche in questa
sede il P.g. nella sua requisitoria scritta del 5 aprile
2011, non era stato mai giudizialmente accertato come
titolo di pericolosita' legittimante la misura di
sicurezza.
Erroneamente, quindi, l'ordinanza in verifica,
nell'avallare sostanzialmente la linea argomentativa del
provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza,
riconduce il caso in esame nella previsione di cui
all'articolo 232 c.p., comma 3, disposizione riferibile
invece, come si e' detto, alle persone dichiarate
pericolose per infermita' psichica, sottoposte, per tale
ragione, a liberta' vigilata e rivelatesi di nuovo
pericolose.
Anche a volere ammettere, pur non essendo stato
espletato - nonostante le pertinenti allegazioni
difensive - alcun serio e approfondito accertamento al
riguardo (perizia psichiatrica), che il Se. sia stato
colpito, mentre era sottoposto a liberta' vigilata
perche' dichiarato delinquente abituale, da infermita'
psichica, non per questo il Magistrato di sorveglianza
avrebbe potuto sostituire la misura non detentiva in
atto con quella del ricovero in casa di cura e custodia,
non consentendolo l'articolo 212 c.p., comma 4, che
disciplina tale ipotesi.
La pericolosita' sociale di natura psichiatrica, che
eventualmente va a sovrapporsi e ad assorbire quella
derivante da altro titolo e fronteggiata con misura di
sicurezza non detentiva, comporta certamente una
commistione di istanze terapeutiche e di
neutralizzazione della pericolosita'. Tale situazione,
pero', se non connessa alla commissione di un reato, non
puo' essere affidata alle valutazioni della psichiatria
forense ma a quelle della psichiatria clinica, che,
nello spirito della Legge n. 180 del 1978, deve
privilegiare le esigenze di cura e adottare gli
interventi terapeutici ritenuti piu' opportuni, anche
ricorrendo eventualmente al trattamento sanitario
obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera.
Nel caso specifico, tuttavia, non puo' ignorarsi che il
Se. , in relazione al fatto di cui si rese protagonista
la notte del (OMESSO), fu tratto in arresto e pende a
suo carico procedimento penale per il reato di tentata
violenza sessuale. Ammettendo che tale illecito fu
commesso in stato di infermita' o seminfermita'
psichica, indice della pericolosita' dell'agente,
compete al giudice procedente verificare in concreto,
sulla base di una approfondita indagine, tale
pericolosita' e applicare eventualmente, anche in via
provvisoria, in aderenza a quanto statuito dal Giudice
delle leggi con la sentenza n. 367 del 2004, la misura
di sicurezza ritenuta piu' adeguata ex articolo 206 c.p.
e articolo 312 c.p.p..
Il provvedimento adottato, all'esito del procedimento di
sorveglianza, nei confronti del Se. , sottoposto alla
liberta' vigilata per titolo diverso dalla infermita'
psichica, non e' in sintonia con le previsioni di cui
all'articolo 212 c.p., comma 4, articolo 231 c.p., comma
2, e articolo 232 c.p., comma 3, e si pone, quindi, in
palese contrasto con il principio di legalita' che
permea l'intera disciplina delle misure di sicurezza,
considerato che queste vanno tenute distinte in
relazione al titolo di pericolosita' e che la
fungibilita' tra i diversi tipi di misura, anche in sede
di sostituzione o di trasformazione, e' soggetta a
criteri tassativi predeterminati dal legislatore e non
puo' essere affidata alla libera scelta del giudice, che
non ha poteri di supplenza, rispetto agli organi a cio'
preposti, nel trattamento della malattia mentale.
12. E' il caso di precisare che la questione esaminata,
anche se non esplicitata nel ricorso, deve ritenersi
implicitamente sollevata con il motivo che contesta la
legittimita' del disposto ricovero in casa di cura e
custodia, motivo ripreso e piu' ampiamente sviluppato
nella memoria difensiva del 21 aprile 2011.
Non puo', inoltre, essere sottaciuto che la riscontrata
violazione del principio di legalita' delle misure di
sicurezza (articolo 199 c.p. e articolo 25 Cost., comma
3), incidendo negativamente - tra l'altro - su diritti
fondamentali della persona, quali quello alla salute
(articolo 32 Cost.) e alla liberta' (articolo 13 Cost.),
e' comunque rilevabile d'ufficio anche nell'ambito del
giudizio di cassazione.
13. L'ordinanza impugnata e quella in data 14 aprile
2010 del Magistrato di sorveglianza di Macerata devono,
pertanto, essere annullate senza rinvio, con l'effetto
che rivive - allo stato - la misura di sicurezza della
liberta' vigilata assistita, imposta al Se. con il
provvedimento del 24 novembre 2009 del Tribunale di
sorveglianza di Bologna, fatte salve logicamente le
ulteriori ed eventuali determinazioni del competente
Magistrato di sorveglianza ovvero del giudice competente
nell'ambito del procedimento penale a carico del Se. per
il reato di tentata violenza sessuale.
La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui
all'articolo 626 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e quella in
data 14 aprile 2010 del Magistrato di sorveglianza di
Macerata.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui
all'articolo 626 c.p.p..
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