La
linea di discrimine tra il reato di indebita
percezione di pubbliche erogazioni e quello di
truffa aggravata finalizzata al conseguimento
delle stesse va ravvisata nella mancata
inclusione tra gli elementi costitutivi del
primo reato della induzione in errore del
soggetto passivo. Pertanto qualora l'erogazione
consegua alla mera presentazione di una
dichiarazione mendace senza costituire l'effetto
dell'induzione in errore dell'ente erogante
circa i presupposti che la legittimano, ricorre
la fattispecie prevista dall'art. 316-ter c.p. e
non quella di cui all'art. 640-bis c.p.
Cassazione, sez. II, 13 settembre 2011, n. 33841
(Pres.Fiandanese
– Relatore D’Arrigo
Osserva
Con sentenza del 5-25 giugno 2009 la Corte
d'appello di Napoli - in parziale riforma della
sentenza in data 19 aprile 2007 del Tribunale di
Avellino - confermava la condanna di G.M. per il
reato di truffa aggravata, concedendo però il
beneficio della sospensione condizionale della
pena negato in primo grado.
Avverso tale sentenza la G. propone ricorso
deducendo che la condotta addebitatale andrebbe
ascritta nella meno grave fattispecie di cui
all'art. 316 ter c.p., difettando nella specie
gli artifizi ed i raggiri tipici della truffa.
Denunzia, inoltre, in modo generico, il vizio di
motivazione e richiama per relationem tutti gli
altri motivi di doglianza già esposti nell'atto
di appello.
Il
ricorso è inammissibile.
Com'è noto, a seguito dell'inserimento dell'art.
316-ter c.p. (introdotto nel codice penale
dall'art. 4 l. 29 settembre 2000, n. 300), si è
posto il problema di chiarificare i rapporti fra
questa nuova fattispecie incriminatrice e quella
di truffa ai danni dello Stato, di cui all'art.
640-bis c.p..
La
questione è stata risolta da questa Corte
osservando che “la fattispecie criminosa di cui
all'art. 316-ter c.p., che sanziona l'indebita
percezione di erogazioni a danno dello Stato,
costituisce norma sussidiaria rispetto al reato
di truffa aggravata (artt. 640 commi primo e
secondo n. 1, 640-bis c.p.), essendo destinata a
colpire condotte che non rientrano nel campo di
operatività di queste ultime. Ne consegue che la
semplice presentazione di dichiarazioni o di
documenti falsi o attestanti cose non vere non
integra necessariamente il primo delitto ma,
quando ha natura fraudolenta, può configurare
gli artifici o raggiri descritti nel paradigma
della truffa e, unitamente al requisito della
induzione in errore, può comportare la
qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 640
o 640-bis c.p.” (Cass. 8 giugno 2006, n. 23623;
Cass. 12 febbraio 2009, n. 8613; v. pure 18
febbraio 2009, n. 21609).
Quindi, “la linea di discrimine tra il reato
di indebita percezione di pubbliche erogazioni e
quello di truffa aggravata finalizzata al
conseguimento delle stesse va ravvisata nella
mancata inclusione tra gli elementi costitutivi
del primo reato della induzione in errore del
soggetto passivo. Pertanto qualora l'erogazione
consegua alla mera presentazione di una
dichiarazione mendace senza costituire l'effetto
dell'induzione in errore dell'ente erogante
circa i presupposti che la legittimano, ricorre
la fattispecie prevista dall'art. 316-ter c.p. e
non quella di cui all'art. 640-bis c.p.”
(Cass. 26 giugno 2007, n. 30155; v. pure Cass.
sez. un. 16 dicembre 2010, n. 7537).
Questa Corte ha dunque chiarito che la
qualificazione della condotta va effettuata caso
per caso dal giudice del merito, dal momento che
pure il silenzio o il mendacio possono assumere
natura fraudolenta ed integrare l'elemento
oggettivo del reato di truffa. L'induzione in
errore, infatti, anche mediante l'affidamento
che può essere ingenerato da una condotta
meramente omissiva, qualora questa costituisca
inadempimento di un obbligo di comunicazione.
Consegue che, qualora il giudice di merito abbia
congruamente motivato circa la ricorrenza in
concreto degli elementi distintivi - "artifizi o
raggiri" e "induzione in errore" - che
definiscono in reato di truffa aggravata ai
danni dello Stato (art. 640-bis c.p.) rispetto a
quello di indebita percezione di erogazioni a
danno dello Stato (art. 316-ter c.p.), la
qualificazione giuridica del fatto che ne
consegue non è censurabile in sede di
legittimità.
Nella specie, la sentenza impugnata assolve a
tale obbligo di motivazione, osservando che
“l'artifizio rappresentato dalla allegazione di
falsa documentazione è vieppiù rafforzato dalla
dichiarazione dell'interessata volta ad
avvalorare il dato non corrispondente al vero;
tanto consente di escludere la sussistenza del
meno grave reato di cui all'art. 316-ter c.p.,
rappresentando proprio detta dichiarazione
l'elemento ulteriore finalizzato ad indurre in
errore il soggetto passivo”. Non sussistono,
quindi, i vizi denunziati.
Il
ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato
inammissibile con conseguente condanna alle
spese processuali ed a pena pecuniaria,
potendosi ravvisare profili di colpa nella causa
di inammissibilità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
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