In materia di equa riparazione (l.89/2001),
la Corte di Cassazione, con la sentenza 23240,
depositata l'8 novembre 2011, ha stabilito che la parte
di un processo troppo lungo che ha avuto gli effetti di
danneggiare la sua carriera ha diritto, ha diritto ad
essere risarcito non solo dei danni morali, anche a
quelli patrimoniali. Secondo il giudizio degli
Ermellini, la parte ha diritto alla differenza di
stipendio che avrebbe percepito se avesse completato
senza problemi la sua vita professionale. La sentenza,
della prima sezione civile, è l'esito della domanda
proposta da un tenente della Guardia di finanza che
aveva proposto ricorso alla Corte di appello di Venezia
a norma dell'art. 2 della legge n. 89/2001, chiedendo la
condanna del Ministro della Giustizia al pagamento di
un'equa riparazione per i danni derivati dal mancato
rispetto del termine di ragionevole durata del processo
penale nel quale egli era stato imputato. Al ricorrente
erano stati contestati i reati previsti dagli artt. 81,
319, 323, 326 e 490 cod. pen., e per effetto
dell'eccessiva durata del processo egli aveva subito
danni alla carriera, danni biologici (per i quali era
stata riconosciuta la causa di servizio dalla
Commissione medico ospedaliera di Firenze), danni morali
e danni esistenziali. Accogliendo il ricorso del
tenente, la Corte ha spiegato che l'uomo ha diritto al
risarcimento dei danni morali e patrimoniali. In
particolare, ha spiegato la Corte il creditore che
voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di
chance - che, come concreta ed effettiva occasione
favorevole di conseguire un determinato bene, non
costituisce una mera aspettativa di fatto ma un'entità
patrimoniale a sé stante, ha l'onere di provare secondo
un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto
di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del
risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita,
in questo caso era certo che il tenente sarebbe
ragionevolmente diventato colonnello.
- Autore: Luisa Foti) - Cita nel
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(Fonte: StudioCataldi.it) |