Il licenziamento motivato da una
condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore,
indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le
misure disciplinari nella specifica disciplina del
rapporto, deve essere considerato di natura
disciplinare, e, quindi, deve ritenersi assoggettato
alle garanzie dettate in favore del lavoratore del
secondo e terzo comma dell'art. 7 St. Lav., circa la
contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa,
nonché, per il caso in cui le parti si siano avvalse
legittimamente della facoltà di prestabilire quali fatti
e comportamenti integrino l'indicata condotta
giustificativa del recesso, anche a quella posta dal
primo comma del medesimo art. 7, circa l'onere della
preventiva pubblicità di siffatte previsioni. Tale
orientamento, seguito nel tempo da numerosissime
pronunce conformi con la puntualizzazione che l'articolo
7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 trova applicazione
non soltanto quando il licenziamento disciplinare sia
intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o
giustificato motivo previste dalla normativa collettiva
e trovi fondamento nel cosiddetto codice disciplinare,
ma anche quando faccia riferimento a situazioni
giustificative del recesso previste direttamente dalla
legge o manifestamente contrarie all'etica comune o
concretanti violazione dei doveri accessori,
complementari e strumentali al compimento della
prestazione principale, tra i quali quelli nascenti
dagli obblighi di fedeltà e diligenza deve considerarsi
ormai assolutamente consolidato e ad esso si è
conformata anche la sentenza impugnata. |