Avv. Donatella Summa
La sentenza in esame offre alcuni
spunti di riflessione per analizzare talune
problematiche inerenti alla deontologia forense nonché
per valutare il potere di ingerenza della Suprema Corte
nell’interpretazione della decisione prese dai
competenti consigli dell’ordine professionale.
In particolare, nel caso oggetto
della sentenza in commento, viene rilevata la violazione
dell’art. 19 e dell’art. 37 del codice di deontologia
forense da parte di un avvocato, denunciata dal
Consiglio dell’Ordine di appartenenza. La prima norma
riguarda il divieto di accaparramento della clientela
mentre la seconda attiene al divieto di fornire mandato
ad una controparte in conflitto d’interessi.
In particolare quest’ultima norma,
in linea con i generali doveri di correttezza e lealtà
previsti dal codice deontologico, enuncia la regola base
per la quale “l’avvocato ha l’obbligo di astenersi dal
prestare attività professionale quando questa determini
un conflitto con gli interessi di un proprio assistito”.
La norma deontologica considerata mira a tutelare
l’indipendenza e l’imparzialità della funzione difensiva
e, quindi, ad assicurare che il mandato professionale
sia svolto in assoluta libertà ed indipendenza da ogni
vincolo, nonché a garantire che il rapporto fiduciario,
che deve sussistere tra il cliente e l’avvocato, ed il
connesso vincolo di riservatezza che concerne le notizie
apprese dal cliente nell’espletamento del mandato, non
sia in alcun modo incrinato da altri incarichi assunti
dal professionista (cfr, per tutte: C.N.F. 21 settembre
2007, n. 111).
La questione che spesso ha
sollevato dubbi in tale materia è quella inerente alla
natura del conflitto d’interesse ed al fatto che questo
– per configurare la violazione disciplinare in
questione debba essere concreto o possa invece essere
anche solo potenziale.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite
civile
Sentenza 13 settembre 2011, n.
18695
Integrale
ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI -
AVVOCATO - GIUDIZI DISCIPLINARI
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Primo
Presidente f.f.
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente
di Sezione
Dott. FELICETTI Francesco -
Consigliere
Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere
Dott. BUCCIANTE Ettore -
Consigliere
Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere
Dott. CHIARINI Maria Margherita -
rel. Consigliere
Dott. TIRELLI Francesco -
Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22395-2010 proposto da:
RA. GI. , elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio
dell'avvocato PANARITI BENITO, che lo rappresenta e
difende unitamente all'avvocato CALGARO MARIO, per
delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI
AVVOCATI DI VICENZA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA
CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 11/2010 del
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 16/03/2010;
udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 18/01/2011 dal
Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
udito l'Avvocato Benito PANARITI;
udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'8 agosto 2008 Po.Al. esponeva al
C.N.F. di Vicenza di aver appreso dalla Corte di Appello
di Trento che era stato emesso a suo favore un vaglia
cambiario per euro 14.500,00 a titolo di equa
riparazione per la violazione del termine di durata
ragionevole del processo a norma della cd. legge Pinto.
Pertanto chiedeva la consegna del titolo da parte del
difensore, avv. Ra. Gi. , unitamente alla sentenza ed
alla nota spese, contestando l'importo dai medesimo
richiesto di diecimila Euro. L'avvocato, invitato dal
Consiglio dell'Ordine a chiarimenti, deduceva che si era
accordato con il Po. nel senso che in caso di vittoria
del giudizio, di cui si era assunto i rischi per le
spese di causa, il 70% sarebbe spettato a lui, ed il 30%
al cliente e percio', conoscendone la scarsa
solvibilita', a titolo di deposito fiduciario aveva
trattenuto il suddetto vaglia.
Successivamente l'avv. Ra.
produceva una copia dell'accordo, esibendo un foglio sul
cui margine inferiore vi era la procura a lui e a sua
figlia, sottoscritta dal Po. e dal Ra. , e di traverso,
sopra la procura, vi erano 8 righe scritte a mano di
difficile lettura, accompagnate dalla traduzione
dattiloscritta, e sottoscritte dal solo Ra. .
Il Po. integrava l'esposto
deducendo che il Ra. lo aveva conosciuto come legale di
sua madre e sua sorella, sue controparti in una causa da
costoro avviata contro di lui, e nel (OMESSO) lo stesso
Ra. aveva contattato e il Po. al fine di ottenere il
conferimento dei mandato contro il Ministero della
giustizia per l'eccessiva durata di tale processo.
Quindi, avuta notizia nel luglio 2008 del suddetto
vaglia a suo favore, si era recato allo studio del
difensore Ra. che gli aveva chiesto 10 mila euro per
l'assistenza prestatagli, da corrispondergli previa
riscossione del vaglia, trattenendo il resto. Nel
frattempo, tra aprile e luglio dello stesso anno 2008,
il suddetto gli aveva intimato precetto per la causa
patrocinata a favore dei suoi familiari, ponendo in
esecuzione la sentenza del Tribunale di Vicenza del
2001. Negava il preteso accordo per il compenso in caso
di vittoria del giudizio e di aver consentito al
deposito fiduciario del vaglia presso il Ra. , avendo
peraltro appreso che la Corte di Appello di Trento con
decreto dell'ottobre 2007 gli aveva liquidato euro 1.100
per diritti e onorari, distratti a favore dei difensori,
e percio' lo denunciava per aver utilizzato un mandato
rilasciatogli per il processo di equa riparazione
riempiendo il foglio in bianco con uno pseudo patto di
quota lite. Il Ra. replicava che alla presenza della sua
segretaria gli erano stati rilasciati due mandati, di
cui uno per il patto di quota lite, il cui divieto era
stato abolito. Inoltre tale accordo era di carattere
commerciale piu' che professionale non avendo svolto
nessuna particolare attivita' nei confronti del
Ministero della giustizia. Aggiungeva di non aver svolto
nessun' altra attivita' professionale per conto del Po.
mentre era pendente il procedimento per la legge Pinto e
di non conoscere che nell'aprile e luglio 2008 il suo
studio, per l'attivita' svolta dalla figlia Fr. , aveva
intimato al Po. precetti in esecuzione della sentenza
del Tribunale di Vicenza in cui aveva patrocinato le
controparti di costui, a cui questi non aveva
ottemperato; quindi disconosceva le firme a suo nome
apposte sui precetti. Il Consiglio dell'Ordine apriva
procedimento disciplinare con Delib. 19 novembre 2008
contestando all'avv. Ra. di esser venuto meno ai doveri
di probita', dignita' e decoro, e all'obbligo di
astenersi dall'assumere incarichi in situazione di
conflitto di interessi per: a) aver contattato il
(OMESSO) al fine di sollecitare il conferimento
dell'incarico professionale a proprio favore, Po. Al. ,
controparte delle proprie assistite Po. Ma. An. e Ma.
Ma. El. nel giudizio definito nel 2001 dal Tribunale di
Vicenza, nel procedimento esecutivo immobiliare definito
nel 2006 e nel procedimento di esecuzione forzata
estinto nel 2003; c) aver formato un documento
sottoscritto dal cliente ad altro scopo, al fine di far
figurare un accordo sul compenso manifestamente
sproporzionato a proprio favore, avendo previsto un
corrispettivo commisurato al 70% del danno eventualmente
riconosciuto dalla Corte di appello di Trento, al netto
degli interessi e delle spese, accollandosi solo il
rischio delle anticipazioni borsuali in caso di esito
negativo della causa; e) avere indebitamente trattenuto,
dopo aver percepito direttamente per distrazione gli
onorari e le spese di causa liquidati in euro 1.100
dalla Corte di appello con decreto del 10 ottobre 2007,
il vaglia cambiario del 2008 emesso dalla Ba. D'. per
euro 14.500,00 a favore di Po.Al. , al solo fine di
costringere il cliente ad ottemperare all'illegittimo
accordo sul compenso sopraindicato, rifiutandosi per di
piu' di consegnare il titolo nonostante i reiterati
solleciti; f) aver promosso una nuova azione esecutiva a
carico di Po.Al. , notificando il 7 aprile 2008 un atto
di precetto per conto di Po.Ma. An. , in relazione a
medesimo titolo costituito dalla sentenza 2001 del
Tribunale di Vicenza per cui l'incolpato aveva prestato
la precedente opera professionale, per giunta rinnovando
la notifica ne luglio 2008 mentre era ancora in corso il
rapporto professionale con il predetto Po. . Il Ra.
contestava la validita' dei capi di incolpazione per
indeterminatezza e mancata indicazione delle norme
deontologiche violate; deduceva la nullita' dell'avviso
di udienza per omessa indicazione delle circostanze su
cui erano stati indicati i testimoni citati dal
Consiglio. Il Consiglio riteneva il Ra. colpevole di
aver contattato di propria iniziativa il Po. per
proporgli la causa per l'equo indennizzo in violazione
del divieto di offerta di prestazioni personalizzate a
persona determinata per specifico affare; per aver
utilizzato il mandato per far figurare un inesistente
accordo su un compenso manifestamente sproporzionato a
proprio favore; per aver indebitamente trattenuto somme
di spettanza dell'assistito e per aver agito contro un
cliente in costanza di rapporto professionale con lo
stesso e, considerata la gravita' complessiva degli
illeciti ed i numerosi precedenti disciplinari, lo
sospendeva dalla professione per sei mesi.
Il Ra. impugnava per omessa,
insufficiente e/o erronea motivazione in ordine
all'eccezione di nullita' dell'avviso di fissazione di
udienza per indeterminatezza del fatto illecito
contestato ed omessa indicazione della norma
deontologica violata in violazione della Legge n. 241
del 1990, articolo 3; omessa indicazione delle
circostanze su cui i testi sarebbero stati sentiti;
carente ed erronea motivazione, travisamento dei fatti
contestati con riferimento al capo a) di incolpazione;
indeterminatezza del fatto contestato, travisamento del
fatto presupposto, insufficiente e/o contraddittoria
motivazione in relazione ai capi di incolpazione sub c),
e), f); eccessiva determinazione della sanzione, carenza
di motivazione, illegittimita' dei motivi.
Con decisione del 16 marzo 2010 il
C.N.F. rigettava il ricorso sulle seguenti
considerazioni: 1) nessuna nullita' del procedimento era
ravvisabile per la mancata precisazione delle fonti
utilizzate e l'omessa individuazione delle norme
deontologiche violate - il cui articolo 60 specifica
come le disposizioni del codice costituiscono semplice
"esemplificazione dei comportamenti piu' ricorrenti e
non limitano l'ambito di applicazione dei principi
generali espressi" - poiche' la predeterminazione e la
certezza dell'incolpazione era collegata a concetti
diffusi e compresi dalla collettivita' ed i
comportamenti addebitati erano adeguatamente specificati
ai fini del suo diritto alla difesa, tant' e' che aveva
formulato ampie deduzioni e percio' era inesistente il
pericolo di esser condannato per fatti diversi da quelli
ascrittigli, mentre le norme di cui alle Legge n. 689
del 1981 e Legge n. 241 del 1990 erano inapplicabili
stante la specialita' del procedimento disciplinare
forense; 2) questo e' caratterizzato da semplicita' di
forme e disciplinato dal R.D.L. n. 1578 del 1933,
articolo 48 che richiama soltanto gli articoli 358 e 359
c.p.p. e percio' e' infondata l'eccepita nullita' per
omessa formulazione dei capitoli di prova; 3) il
conflitto tra il Ra. ed il Po. per esser quegli
difensore delle familiari di questi non e' decisivo per
l'incolpazione, mentre e' acclarato sia che l'iniziativa
del contatto per la causa di equo indennizzo e' stata
dell'avv. Ra. , con conseguente violazione dell'obbligo
di offrire, non richiesto, una prestazione determinata
per uno specifico affare - che non si riduce alla
generica informazione sui rimedi che l'ordinamento offre
per tutelare i diritti, e costituisce violazione diversa
da quella degli articoli 19 e 37 del codice deontologico
sull'accaparramento di clientela e sul conflitto di
interessi - sia che il Po. ha firmato un mandato in
bianco e al di sopra di esso e' stato confezionato il
patto di quota lite, scritto di traverso,
inspiegabilmente come il mandato, atto impensabilmente
contemporaneo o posteriore all'accordo, che percio' e'
da attribuire alla sola volonta' del Ra. per
giustificare, a posteriori, il suo operato; 4) pertanto
la testimonianza della An. , segretaria del legale, non
e' credibile, tanto piu' che proprio la collaborazione
di segretarie nello studio esclude la necessita' di
compilare il patto di quota lite su un foglio gia'
contenente il mandato, negozio a questo estraneo,
malamente manoscritto dall'autore che lo ha sottoscritto
per accettazione come se la proposta provenisse dal Po.
, il che e' improbabile; 5) il compenso preteso,
rapportato al risarcimento complessivo e prevedibile,
per un giudizio di nessuna difficolta' e celere, e'
eccessivo, come provato anche dal confronto con le somme
liquidate a tale titolo dalla Corte di appello e quindi
viola anche il nuovo testo dell'articolo 45 del codice
deontologico che consente all'avvocato di determinare il
compenso parametrandolo ai risultati conseguiti, ma
fermi il divieto di cui all'articolo 1261 c.c. e la
proporzione all'attivita' svolta, mentre nella specie la
somma pretesa e' pari al 70% della res litigiosa; 6)
nell'articolo 7 del codice deontologico e' contenuto
l'obbligo di svolgere con fedelta' l'incarico e di
evitare atti contrari all'interesse del'assistito, e gli
articoli 41, canone 1, e 43, canone 3 vietano
all'avvocato di trattenere oltre il tempo strettamente
necessario le somme ricevute per conto dell'assistito e
di condizionarne il versamento al pagamento degli
onorari, non avendo nessun diritto di ritenzione,
neppure parziale, dovendo invece osservare l'articolo
1713 c.c. che impone al mandatario l'obbligo del
rendiconto e improntando il proprio comportamento al
disinteresse e al decoro della categoria professionale;
7) altra violazione commessa dal Ra. e' aver agito
esecutivamente nei confronti del Po. mentre egli stesso
aveva avviato il procedimento ai sensi della legge Pinto
ne' la sua responsabilita' era diminuita dall'intervento
della figlia essendo il Ra. il protagonista della
vicenda; 8) la conciliazione della controversia sul
patto di quota lite, per una somma ben ridotta rispetto
a quella pretesa, conclusa con molto ritardo al fine di
attenuare la responsabilita' disciplinare non era idonea
a modificarla; 9) la sanzione era congrua a tutti tali
fatti plurimi e singolarmente gravi per un
professionista, peraltro gia' colpito da precedenti
sanzioni.
Ra.Gi. ricorre per cassazione
dinanzi alle Sezioni Unite Civili. Il Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza non ha svolto
attivita' difensiva. Il Pubblico Ministero ha concluso
per l'inammissibilita' del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il
ricorrente deduce:" Omessa, insufficiente e/o
contraddittoria motivazione in ordine all'eccezione d
nullita' dell'avviso di fissazione di udienza per
indeterminatezza del fatto illecito contestato per
omessa indicazione della norma deontologica violata.
Violazione di legge. Legge n. 241 del 1990, articolo 3".
Il Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati ha affermato la validita' dell'avviso di
fissazione dell'udienza disciplinare benche' siano state
omesse le norme deontologiche violate con conseguente
indeterminatezza del capo di incolpazione in violazione
della disciplina contenuta nelle Legge n. 689 del 1981 e
Legge n. 241 del 1990 stante la natura di atto
amministrativo del procedimento disciplinare e quindi la
motivazione del C.O.A di rigetto di tale eccezione e'
apparente, mentre d'altro canto soltanto la specifica
determinazione del fatto illecito avrebbe consentito di
valutare se il Consiglio aveva modificato il fatto
contestato e la correlazione tra contestato e deciso,
come infatti verificatosi per il capo di incolpazione
sub C).
la censura e' inammissibile perche'
chiede un controllo di legittimita' sulla decisione del
C.O.A. anziche' del C.N.F. e non censura in alcun modo
le ragioni evidenziate in narrativa e contenute nella
decisione di secondo grado di inapplicabilita' della
speciale normativa in tema di sanzioni amministrative e
di procedimento amministrativo, di non esaustivita'
delle ipotesi vietate dal codice deontologico per la
configurabilita' di illecito disciplinare e di
esclusione della lamentata violazione del diritto di
difesa e quindi manca la necessaria riferibilita' alla
decisione impugnata.
2.- Con il secondo motivo deduce:
"Omessa indicazione delle circostanze sulle quali i
testimoni sarebbero stati sentiti".
La Legge n. 241 del 1990 ha
previsto il diritto del cittadino di partecipare al
procedimento amministrativo per attuare i principi
costituzionali di correttezza, imparzialita' e legalita'
dell'azione amministrativa (articolo 97 Cost.) e la
mancata indicazione delle circostanze su cui i testi;
indicati da C.O.A. sarebbero stati
sentiti ha impedito all'incolpato di formulare prove
contrarie e a controprova in violazione del suo diritto
di difesa. Il C.O.A. si e' limitato ad affermare che il
Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 48 e l'articolo 8
del Regolamento disciplinare approvato dal Consiglio
dell'Ordine non attribuiscono alcun onere al Consiglio
di indicare le circostanze di fatto su cui sentire i
testimoni, mentre l'incolpato ha il diritto di
difendersi dall'accusa.
Il motivo e' inammissibile per le
medesime ragioni esposte in relazione al primo motivo
non essendo censurata la motivazione del C.N.F. di
rigetto di questa doglianza rivolta alla decisione del
C.O.A..
3.- Con il terzo motivo deduce:"
Carente ed erronea motivazione, travisamento dei fatti
contestati con riferimento al capo A) di incolpazione;
violazione di legge".
Il capo di incolpazione e' la prova
evidente dell'indeterminatezza del fatto contestato ed
infatti non e' indicato se la condanna e' avvenuta per
avere il Ra. violato l'articolo 19 o l'articolo 37 del
codice deontologico e cioe' se per avere accaparrato la
clientela o se per aver contattato una controparte in
conflitto di interessi. Dalla motivazione del C.O.A.
sembrerebbe che la condanna sia avvenuta per violazione
dell'articolo 19 che prevede tre ipotesi diverse di
accaparramento di clientela e vieta di accaparrarsi una
quantita' plurima di clienti, non un singolo cliente o
di instaurare un rapporto con un cliente, senza agenzia
o procacciatori in contrasto con le norme di correttezza
e decoro. Al riguardo il C.O.A. con affermazione
tautologica ha statuito che non e' in facolta' di un
avvocato contattare un potenziale cliente per informarlo
dei suoi diritti. Ma tale accertamento e' in contrasto
con la testimonianza dell' An. secondo cui e' stato il
Po. a chiedere un appuntamento per il ricorso ai sensi
della legge Pinto, redatto nell'(OMESSO).
Se poi il Ra. e' stato condannato
per violazione dell'articolo 37 del codice deontologico
il fatto non sussiste poiche' il Po. gia' frequentava il
suo studio per la cancellazione delle trascrizioni,
successiva all'esecuzione estinta nel 2003, mentre
l'insinuazione nella procedura per le spese e competenze
relative al processo definito nel 2001 era dell'ottobre
2006 e quindi non vi era alcun conflitto di interessi
tra il Po. , sua madre e sua sorella, gia' clienti del
Ra. e sue controparti, al momento del conferimento
dell'incarico. Ed infatti il Ra. e' stato prosciolto
dal'incolpazione sub B) - "per aver proposto al Po. di
promuovere un procedimento ai sensi della Legge n. 89
del 2001, articolo 3 per il ritardo nella definizione
del giudizio contro di lui della madre e della sorella"
perche', nel 2007, i procedimenti del 2003 e del 2006
erano definiti. Quindi il capo di incolpazione sub A)
"per aver contattato controparte" doveva anch' esso
venir meno non essendo piu' a tale data il Po.
controparte e quindi e' venuta meno la correlazione tra
la contestazione e la condanna; la motivazione non
contiene l'esposizione dei fatti e degli argomenti di
diritto richiesti dalla Legge n. 241 del 1990, articolo
3.
Il motivo e' inammissibile perche'
propone censure avverso la decisione del C.O.A. che il
C.N.F. ha respinto motivando sull'irrilevanza degli
articoli 19 e 37 del codice deontologico, essendo
diverso l'illecito disciplinare (divieto per l'avvocato
di offrire una prestazione rivolta a persona determinata
per uno specifico affare: pag. 9 della decisione di
secondo grado) e le censure non attengono a questa ratio
decidendi.
4.- Con il quarto motivo deduce:
"Indeterminatezza del fatto contestato: travisamento del
fatto presupposto, insufficiente e/o contraddittoria
motivazione in relazione al capo di incolpazione C)".
Dalla decisione del C.O.A. si
desume che le contestazioni consistevano nell'aver
utilizzato un foglio firmato in bianco e nell'aver
concordato un corrispettivo sproporzionato mentre la
decisione di condanna, in violazione della correlazione,
e' per aver utilizzato un mandato in bianco apponendovi
di proprio pugno un presunto accordo sul compenso, non
specificatamente sottoscritto dal cliente. La decisione
del CO.A. e' basata su una ricostruzione dei fatti in
contrasto con le testimonianze delle segretarie secondo
cui l'accordo sul compenso e' stato scritto di getto, a
mano, prima della sottoscrizione del mandato e non su un
foglio contenente gia' il mandato. Inoltre non vi era
sproporzione tra il compenso pattuito e quello spettante
avuto riguardo a rischio di insuccesso che si era
assunto il Ra. che nell'identico processo ai sensi della
legge Pinto instaurato per conto della sorella del Po. ,
in relazione al medesimo ritardo della definizione nel
2001 del processo instaurato nel 1991 tra dette parti,
aveva avuto soltanto euro 1000 di indennizzo con
compensazione delle spese, tanto piu' che sussisteva
anche il rischio della responsabilita' aggravata chiesta
dal Ministero e quindi il CO.A. aveva giudicato ex post
e non ex ante sull'ammontare del compenso.
Il motivo, che non si correla a
nessuna delle statuizioni contenute nella decisione del
C.N.F. e che tende ad una diversa e piu' appagante
valutazione dell'istruttoria, e' inammissibile.
6.- Con il sesto motivo deduce:
"Indeterminatezza del fatto contestato; travisamento del
fatto presupposto, insufficiente e/o contraddittoria
motivazione in relazione al capo di incolpazione F)".
Il Ra. aveva prodotto la rinuncia
all'esecuzione dell'agosto 2006 mentre l'esecuzione per
obblighi di fare era stata definita nel 2003.
L'esecuzione della sentenza del 2001 era stata trattata
dalla sorella e madre del Po. con la figlia del Ra. e su
insistenza della sorella era stato intimato il precetto
nel 2008, a cui non era seguita nessuna azione esecutiva
e per rispetto era stato inserito il nome del padre,
avv. Ra. , ma il precetto e' atto di parte e questi non
l'aveva firmato. La motivazione della condanna per
mancata vigilanza sull'attivita' dello studio per
impedire attivita' in conflitto di interesse anche solo
potenziale con i clienti e' diversa dall'accusa di aver
notificato un precetto mentre era in corso l'attivita'
professionale a favore del Po. .
Non essendovi correlazione con la
ratio decidendi della decisione di secondo grado, le
censure sono inammissibili (Sezioni Unite 28505 del 23
dicembre 2005).
7.- Con il settimo motivo deduce:
"eccessiva determinazione della sanzione. Carenza di
motivazione: Illegittimita' dei motivi".
7.1- Nel capo di incolpazione
mancava la contestazione dei numerosi precedenti, non
contestati neppure all'udienza preliminare, ne' erano
indicate le date di comminazione delle sanzioni valutate
come R.D.L. n. 1578 del 1933, articoli 37 e 45, ovvero
del principio di correlazione tra contestazione e
condanna.
La censura, volta a ottenere il
sindacato di questa Corte sulla determinazione della
sanzione inflitta all'incolpato dal Consiglio nazionale
forense e' inammissibile essendo riservati alla scelta
discrezionale dell'ordine professionale il tipo e
l'entita' della sanzione, da adeguare alla gravita' ed
alla natura dell'offesa arrecata al prestigio
dell'ordine professionale (Sezioni Unite del 23 gennaio
2004 n. 1229).
7.2- Il C.N.F. senza motivazione ha
affermato che l'avv. Ra. ha contattato il cliente e
percio' la decisione viola l'articolo 111 Cost., comma
6.
La censura, volta ad un diverso
apprezzamento delle risultanze istruttorie, ampiamente
motivate, e' inammissibile.
7.3- Il C.N.F. ha ritenuto che non
sussisteva ne' la violazione dell'articolo 1 ne'
dell'articolo 37 codice deontologico bensi' la
violazione di offrire, senza esser richiesto, una
prestazione rivolta a persona determinata per uno
specifico affare. Questo rende incomprensibile la
contestazione perche' e' indeterminato il fatto
illecito.
Il motivo e' manifestamente
infondato poiche' nei procedimenti disciplinari a carico
degli avvocati, la concreta individuazione delle
condotte costituenti illecito disciplinare, definite
dalla legge mediante una clausola generale (mancanze
nell'esercizio della professione o, comunque, fatti non
conformi alta dignita' e al decoro professionale), e'
rimessa alla valutazione dell'Ordine professionale ed il
controllo di legittimita' sull'applicazione di tali
valutazioni non consente alla Corte di cassazione di
sostituirsi al Consiglio nazionale forense
nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei
limiti di una valutazione di ragionevolezza (Sezioni
Unite dell'8 ottobre del 2004 n. 20024 e del 18 novembre
18 novembre 2010 n. 23287).
8.- Con l'ottavo motivo deduce:"
Violazione di legge: articolo 45 codice deontologico
forense, modificato in applicazione Decreto Legge 4
luglio 2006, n. 223 convertito in Legge 4 agosto 2006,
n. 248. Eccesso di potere C.N.F.".
Le norme suindicate hanno eliminato
il divieto del patto di quota lite e quindi il compenso
eccessivo non puo' esser quantificato nella percentuale
della res litigiosa mentre al momento dell'accordo il
70% non era sproporzionato, avendo la sorella del Po.
percepito soltanto mille Euro.
Il motivo, che non censura l'ampia
motivazione sull'apprezzamento del fatto, e'
inammissibile.
9.- Con il nono motivo deduce:
"Violazione di legge: articolo 7 in relazione agli
articoli 41 canone 1 e 43 canone 3 codice deontologico.
Eccesso di potere".
Erroneamente il C.N.F. ha
qualificato il fatto come vietato dal codice
deontologico mentre l'avv. Ra. che aveva il diritto di
riscuotere il compenso pattuito, non ha esercitato un
diritto di ritenzione, ma ha invitato il Po. a
riscuotere l'assegno e ripartirlo secondo il patto.
La censura interpreta la ratio
decidendi in modo difforme da quello manifestato e
riassunto in narrativa e quindi e' inammissibile.
10.- Con il decimo motivo deduce:
"Violazione di legge: R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo
45; corrispondenza tra il contestato ed il deciso".
La contestazione del C.O.A era di
aver promosso una nuova azione esecutiva il 7 aprile
2008 nei confronti del Po. , per cui il Ra. aveva gia'
prestato la propria opera professionale, per conto della
sorella di costui in relazione al medesimo titolo del
2001, e rinnovando il precetto nel luglio 2008, mentre
il C.N.F. aveva ravvisato l'omesso controllo
dell'attivita' della figlia, collaboratrice di studio,
essendo l'effettivo protagonista l'avv. Ra. , e questo
fatto e' diverso da quello contestato e quindi sussiste
eccesso di potere.
Il motivo tende ad una diversa
interpretazione dell'illecito ravvisato dall'organo
disciplinare della cui decisione omette la motivazione
evidenziata in narrativa ed e' percio' inammissibile.
11.- Con l'undicesimo motivo
deduce:" Eccesso di potere. Violazione del R.D.L. n.
1578 del 1933, articolo 40 corrispondenza tra il
contestato e deciso".
La sanzione era eccessiva, come
anche constatato dal Sostituto Procuratore Generale di
udienza che l'aveva proposta in quattro mesi di
sospensione. Il C.N.F. ha prestato fede alle
affermazioni del Consiglio dell'Ordine sui precedenti
illeciti disciplinari dell'avv. Ra. , non contestati,
ne' indicati e provati e quindi sussiste eccesso di
potere.
La censura e' inammissibile per le
ragioni espresse in relazione al motivo n. 7.1.
12. Concludendo il ricorso va
respinto. Non si deve provvedere sulle spese non avendo
l'intimato Consiglio dell'Ordine svolto attivita'
difensiva.
P.Q.M.
La Corte a Sezioni Unite rigetta il
ricorso.
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