Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

Procedimento disciplinare e conflitto d’interessi-Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza del 13 Settembre 2011, n. 18695-commento e testo sentenza-Lex 24.it

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

Avv. Donatella Summa

 

 

 

La sentenza in esame offre alcuni spunti di riflessione per analizzare talune problematiche inerenti alla deontologia forense nonché per valutare il potere di ingerenza della Suprema Corte nell’interpretazione della decisione prese dai competenti consigli dell’ordine professionale.

 

In particolare, nel caso oggetto della sentenza in commento, viene rilevata la violazione dell’art. 19 e dell’art. 37 del codice di deontologia forense da parte di un avvocato, denunciata dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza. La prima norma riguarda il divieto di accaparramento della clientela mentre la seconda attiene al divieto di fornire mandato ad una controparte in conflitto d’interessi.

 

In particolare quest’ultima norma, in linea con i generali doveri di correttezza e lealtà previsti dal codice deontologico, enuncia la regola base per la quale “l’avvocato ha l’obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito”. La norma deontologica considerata mira a tutelare l’indipendenza e l’imparzialità della funzione difensiva e, quindi, ad assicurare che il mandato professionale sia svolto in assoluta libertà ed indipendenza da ogni vincolo, nonché a garantire che il rapporto fiduciario, che deve sussistere tra il cliente e l’avvocato, ed il connesso vincolo di riservatezza che concerne le notizie apprese dal cliente nell’espletamento del mandato, non sia in alcun modo incrinato da altri incarichi assunti dal professionista (cfr, per tutte: C.N.F. 21 settembre 2007, n. 111).

 

La questione che spesso ha sollevato dubbi in tale materia è quella inerente alla natura del conflitto d’interesse ed al fatto che questo – per configurare la violazione disciplinare in questione debba essere concreto o possa invece essere anche solo potenziale.

 

 Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile

Sentenza 13 settembre 2011, n. 18695

Integrale

 

ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI - AVVOCATO - GIUDIZI DISCIPLINARI

logo banca dati

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONI UNITE CIVILI

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. VITTORIA Paolo - Primo Presidente f.f.

 

Dott. PROTO Vincenzo - Presidente di Sezione

 

Dott. FELICETTI Francesco - Consigliere

 

Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere

 

Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere

 

Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere

 

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere

 

Dott. CHIARINI Maria Margherita - rel. Consigliere

 

Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

sul ricorso 22395-2010 proposto da:

 

RA. GI. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell'avvocato PANARITI BENITO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CALGARO MARIO, per delega a margine del ricorso;

 

- ricorrente -

 

contro

 

CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VICENZA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

 

- intimati -

 

avverso la decisione n. 11/2010 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 16/03/2010;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

 

udito l'Avvocato Benito PANARITI;

 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

L'8 agosto 2008 Po.Al. esponeva al C.N.F. di Vicenza di aver appreso dalla Corte di Appello di Trento che era stato emesso a suo favore un vaglia cambiario per euro 14.500,00 a titolo di equa riparazione per la violazione del termine di durata ragionevole del processo a norma della cd. legge Pinto. Pertanto chiedeva la consegna del titolo da parte del difensore, avv. Ra. Gi. , unitamente alla sentenza ed alla nota spese, contestando l'importo dai medesimo richiesto di diecimila Euro. L'avvocato, invitato dal Consiglio dell'Ordine a chiarimenti, deduceva che si era accordato con il Po. nel senso che in caso di vittoria del giudizio, di cui si era assunto i rischi per le spese di causa, il 70% sarebbe spettato a lui, ed il 30% al cliente e percio', conoscendone la scarsa solvibilita', a titolo di deposito fiduciario aveva trattenuto il suddetto vaglia.

 

Successivamente l'avv. Ra. produceva una copia dell'accordo, esibendo un foglio sul cui margine inferiore vi era la procura a lui e a sua figlia, sottoscritta dal Po. e dal Ra. , e di traverso, sopra la procura, vi erano 8 righe scritte a mano di difficile lettura, accompagnate dalla traduzione dattiloscritta, e sottoscritte dal solo Ra. .

 

Il Po. integrava l'esposto deducendo che il Ra. lo aveva conosciuto come legale di sua madre e sua sorella, sue controparti in una causa da costoro avviata contro di lui, e nel (OMESSO) lo stesso Ra. aveva contattato e il Po. al fine di ottenere il conferimento dei mandato contro il Ministero della giustizia per l'eccessiva durata di tale processo. Quindi, avuta notizia nel luglio 2008 del suddetto vaglia a suo favore, si era recato allo studio del difensore Ra. che gli aveva chiesto 10 mila euro per l'assistenza prestatagli, da corrispondergli previa riscossione del vaglia, trattenendo il resto. Nel frattempo, tra aprile e luglio dello stesso anno 2008, il suddetto gli aveva intimato precetto per la causa patrocinata a favore dei suoi familiari, ponendo in esecuzione la sentenza del Tribunale di Vicenza del 2001. Negava il preteso accordo per il compenso in caso di vittoria del giudizio e di aver consentito al deposito fiduciario del vaglia presso il Ra. , avendo peraltro appreso che la Corte di Appello di Trento con decreto dell'ottobre 2007 gli aveva liquidato euro 1.100 per diritti e onorari, distratti a favore dei difensori, e percio' lo denunciava per aver utilizzato un mandato rilasciatogli per il processo di equa riparazione riempiendo il foglio in bianco con uno pseudo patto di quota lite. Il Ra. replicava che alla presenza della sua segretaria gli erano stati rilasciati due mandati, di cui uno per il patto di quota lite, il cui divieto era stato abolito. Inoltre tale accordo era di carattere commerciale piu' che professionale non avendo svolto nessuna particolare attivita' nei confronti del Ministero della giustizia. Aggiungeva di non aver svolto nessun' altra attivita' professionale per conto del Po. mentre era pendente il procedimento per la legge Pinto e di non conoscere che nell'aprile e luglio 2008 il suo studio, per l'attivita' svolta dalla figlia Fr. , aveva intimato al Po. precetti in esecuzione della sentenza del Tribunale di Vicenza in cui aveva patrocinato le controparti di costui, a cui questi non aveva ottemperato; quindi disconosceva le firme a suo nome apposte sui precetti. Il Consiglio dell'Ordine apriva procedimento disciplinare con Delib. 19 novembre 2008 contestando all'avv. Ra. di esser venuto meno ai doveri di probita', dignita' e decoro, e all'obbligo di astenersi dall'assumere incarichi in situazione di conflitto di interessi per: a) aver contattato il (OMESSO) al fine di sollecitare il conferimento dell'incarico professionale a proprio favore, Po. Al. , controparte delle proprie assistite Po. Ma. An. e Ma. Ma. El. nel giudizio definito nel 2001 dal Tribunale di Vicenza, nel procedimento esecutivo immobiliare definito nel 2006 e nel procedimento di esecuzione forzata estinto nel 2003; c) aver formato un documento sottoscritto dal cliente ad altro scopo, al fine di far figurare un accordo sul compenso manifestamente sproporzionato a proprio favore, avendo previsto un corrispettivo commisurato al 70% del danno eventualmente riconosciuto dalla Corte di appello di Trento, al netto degli interessi e delle spese, accollandosi solo il rischio delle anticipazioni borsuali in caso di esito negativo della causa; e) avere indebitamente trattenuto, dopo aver percepito direttamente per distrazione gli onorari e le spese di causa liquidati in euro 1.100 dalla Corte di appello con decreto del 10 ottobre 2007, il vaglia cambiario del 2008 emesso dalla Ba. D'. per euro 14.500,00 a favore di Po.Al. , al solo fine di costringere il cliente ad ottemperare all'illegittimo accordo sul compenso sopraindicato, rifiutandosi per di piu' di consegnare il titolo nonostante i reiterati solleciti; f) aver promosso una nuova azione esecutiva a carico di Po.Al. , notificando il 7 aprile 2008 un atto di precetto per conto di Po.Ma. An. , in relazione a medesimo titolo costituito dalla sentenza 2001 del Tribunale di Vicenza per cui l'incolpato aveva prestato la precedente opera professionale, per giunta rinnovando la notifica ne luglio 2008 mentre era ancora in corso il rapporto professionale con il predetto Po. . Il Ra. contestava la validita' dei capi di incolpazione per indeterminatezza e mancata indicazione delle norme deontologiche violate; deduceva la nullita' dell'avviso di udienza per omessa indicazione delle circostanze su cui erano stati indicati i testimoni citati dal Consiglio. Il Consiglio riteneva il Ra. colpevole di aver contattato di propria iniziativa il Po. per proporgli la causa per l'equo indennizzo in violazione del divieto di offerta di prestazioni personalizzate a persona determinata per specifico affare; per aver utilizzato il mandato per far figurare un inesistente accordo su un compenso manifestamente sproporzionato a proprio favore; per aver indebitamente trattenuto somme di spettanza dell'assistito e per aver agito contro un cliente in costanza di rapporto professionale con lo stesso e, considerata la gravita' complessiva degli illeciti ed i numerosi precedenti disciplinari, lo sospendeva dalla professione per sei mesi.

 

Il Ra. impugnava per omessa, insufficiente e/o erronea motivazione in ordine all'eccezione di nullita' dell'avviso di fissazione di udienza per indeterminatezza del fatto illecito contestato ed omessa indicazione della norma deontologica violata in violazione della Legge n. 241 del 1990, articolo 3; omessa indicazione delle circostanze su cui i testi sarebbero stati sentiti; carente ed erronea motivazione, travisamento dei fatti contestati con riferimento al capo a) di incolpazione; indeterminatezza del fatto contestato, travisamento del fatto presupposto, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione ai capi di incolpazione sub c), e), f); eccessiva determinazione della sanzione, carenza di motivazione, illegittimita' dei motivi.

 

Con decisione del 16 marzo 2010 il C.N.F. rigettava il ricorso sulle seguenti considerazioni: 1) nessuna nullita' del procedimento era ravvisabile per la mancata precisazione delle fonti utilizzate e l'omessa individuazione delle norme deontologiche violate - il cui articolo 60 specifica come le disposizioni del codice costituiscono semplice "esemplificazione dei comportamenti piu' ricorrenti e non limitano l'ambito di applicazione dei principi generali espressi" - poiche' la predeterminazione e la certezza dell'incolpazione era collegata a concetti diffusi e compresi dalla collettivita' ed i comportamenti addebitati erano adeguatamente specificati ai fini del suo diritto alla difesa, tant' e' che aveva formulato ampie deduzioni e percio' era inesistente il pericolo di esser condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli, mentre le norme di cui alle Legge n. 689 del 1981 e Legge n. 241 del 1990 erano inapplicabili stante la specialita' del procedimento disciplinare forense; 2) questo e' caratterizzato da semplicita' di forme e disciplinato dal R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 48 che richiama soltanto gli articoli 358 e 359 c.p.p. e percio' e' infondata l'eccepita nullita' per omessa formulazione dei capitoli di prova; 3) il conflitto tra il Ra. ed il Po. per esser quegli difensore delle familiari di questi non e' decisivo per l'incolpazione, mentre e' acclarato sia che l'iniziativa del contatto per la causa di equo indennizzo e' stata dell'avv. Ra. , con conseguente violazione dell'obbligo di offrire, non richiesto, una prestazione determinata per uno specifico affare - che non si riduce alla generica informazione sui rimedi che l'ordinamento offre per tutelare i diritti, e costituisce violazione diversa da quella degli articoli 19 e 37 del codice deontologico sull'accaparramento di clientela e sul conflitto di interessi - sia che il Po. ha firmato un mandato in bianco e al di sopra di esso e' stato confezionato il patto di quota lite, scritto di traverso, inspiegabilmente come il mandato, atto impensabilmente contemporaneo o posteriore all'accordo, che percio' e' da attribuire alla sola volonta' del Ra. per giustificare, a posteriori, il suo operato; 4) pertanto la testimonianza della An. , segretaria del legale, non e' credibile, tanto piu' che proprio la collaborazione di segretarie nello studio esclude la necessita' di compilare il patto di quota lite su un foglio gia' contenente il mandato, negozio a questo estraneo, malamente manoscritto dall'autore che lo ha sottoscritto per accettazione come se la proposta provenisse dal Po. , il che e' improbabile; 5) il compenso preteso, rapportato al risarcimento complessivo e prevedibile, per un giudizio di nessuna difficolta' e celere, e' eccessivo, come provato anche dal confronto con le somme liquidate a tale titolo dalla Corte di appello e quindi viola anche il nuovo testo dell'articolo 45 del codice deontologico che consente all'avvocato di determinare il compenso parametrandolo ai risultati conseguiti, ma fermi il divieto di cui all'articolo 1261 c.c. e la proporzione all'attivita' svolta, mentre nella specie la somma pretesa e' pari al 70% della res litigiosa; 6) nell'articolo 7 del codice deontologico e' contenuto l'obbligo di svolgere con fedelta' l'incarico e di evitare atti contrari all'interesse del'assistito, e gli articoli 41, canone 1, e 43, canone 3 vietano all'avvocato di trattenere oltre il tempo strettamente necessario le somme ricevute per conto dell'assistito e di condizionarne il versamento al pagamento degli onorari, non avendo nessun diritto di ritenzione, neppure parziale, dovendo invece osservare l'articolo 1713 c.c. che impone al mandatario l'obbligo del rendiconto e improntando il proprio comportamento al disinteresse e al decoro della categoria professionale; 7) altra violazione commessa dal Ra. e' aver agito esecutivamente nei confronti del Po. mentre egli stesso aveva avviato il procedimento ai sensi della legge Pinto ne' la sua responsabilita' era diminuita dall'intervento della figlia essendo il Ra. il protagonista della vicenda; 8) la conciliazione della controversia sul patto di quota lite, per una somma ben ridotta rispetto a quella pretesa, conclusa con molto ritardo al fine di attenuare la responsabilita' disciplinare non era idonea a modificarla; 9) la sanzione era congrua a tutti tali fatti plurimi e singolarmente gravi per un professionista, peraltro gia' colpito da precedenti sanzioni.

 

Ra.Gi. ricorre per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite Civili. Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza non ha svolto attivita' difensiva. Il Pubblico Ministero ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce:" Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine all'eccezione d nullita' dell'avviso di fissazione di udienza per indeterminatezza del fatto illecito contestato per omessa indicazione della norma deontologica violata. Violazione di legge. Legge n. 241 del 1990, articolo 3".

 

Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ha affermato la validita' dell'avviso di fissazione dell'udienza disciplinare benche' siano state omesse le norme deontologiche violate con conseguente indeterminatezza del capo di incolpazione in violazione della disciplina contenuta nelle Legge n. 689 del 1981 e Legge n. 241 del 1990 stante la natura di atto amministrativo del procedimento disciplinare e quindi la motivazione del C.O.A di rigetto di tale eccezione e' apparente, mentre d'altro canto soltanto la specifica determinazione del fatto illecito avrebbe consentito di valutare se il Consiglio aveva modificato il fatto contestato e la correlazione tra contestato e deciso, come infatti verificatosi per il capo di incolpazione sub C).

 

la censura e' inammissibile perche' chiede un controllo di legittimita' sulla decisione del C.O.A. anziche' del C.N.F. e non censura in alcun modo le ragioni evidenziate in narrativa e contenute nella decisione di secondo grado di inapplicabilita' della speciale normativa in tema di sanzioni amministrative e di procedimento amministrativo, di non esaustivita' delle ipotesi vietate dal codice deontologico per la configurabilita' di illecito disciplinare e di esclusione della lamentata violazione del diritto di difesa e quindi manca la necessaria riferibilita' alla decisione impugnata.

 

2.- Con il secondo motivo deduce: "Omessa indicazione delle circostanze sulle quali i testimoni sarebbero stati sentiti".

 

La Legge n. 241 del 1990 ha previsto il diritto del cittadino di partecipare al procedimento amministrativo per attuare i principi costituzionali di correttezza, imparzialita' e legalita' dell'azione amministrativa (articolo 97 Cost.) e la mancata indicazione delle circostanze su cui i testi;

 

indicati da C.O.A. sarebbero stati sentiti ha impedito all'incolpato di formulare prove contrarie e a controprova in violazione del suo diritto di difesa. Il C.O.A. si e' limitato ad affermare che il Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 48 e l'articolo 8 del Regolamento disciplinare approvato dal Consiglio dell'Ordine non attribuiscono alcun onere al Consiglio di indicare le circostanze di fatto su cui sentire i testimoni, mentre l'incolpato ha il diritto di difendersi dall'accusa.

 

Il motivo e' inammissibile per le medesime ragioni esposte in relazione al primo motivo non essendo censurata la motivazione del C.N.F. di rigetto di questa doglianza rivolta alla decisione del C.O.A..

 

3.- Con il terzo motivo deduce:" Carente ed erronea motivazione, travisamento dei fatti contestati con riferimento al capo A) di incolpazione;

 

violazione di legge".

 

Il capo di incolpazione e' la prova evidente dell'indeterminatezza del fatto contestato ed infatti non e' indicato se la condanna e' avvenuta per avere il Ra. violato l'articolo 19 o l'articolo 37 del codice deontologico e cioe' se per avere accaparrato la clientela o se per aver contattato una controparte in conflitto di interessi. Dalla motivazione del C.O.A. sembrerebbe che la condanna sia avvenuta per violazione dell'articolo 19 che prevede tre ipotesi diverse di accaparramento di clientela e vieta di accaparrarsi una quantita' plurima di clienti, non un singolo cliente o di instaurare un rapporto con un cliente, senza agenzia o procacciatori in contrasto con le norme di correttezza e decoro. Al riguardo il C.O.A. con affermazione tautologica ha statuito che non e' in facolta' di un avvocato contattare un potenziale cliente per informarlo dei suoi diritti. Ma tale accertamento e' in contrasto con la testimonianza dell' An. secondo cui e' stato il Po. a chiedere un appuntamento per il ricorso ai sensi della legge Pinto, redatto nell'(OMESSO).

 

Se poi il Ra. e' stato condannato per violazione dell'articolo 37 del codice deontologico il fatto non sussiste poiche' il Po. gia' frequentava il suo studio per la cancellazione delle trascrizioni, successiva all'esecuzione estinta nel 2003, mentre l'insinuazione nella procedura per le spese e competenze relative al processo definito nel 2001 era dell'ottobre 2006 e quindi non vi era alcun conflitto di interessi tra il Po. , sua madre e sua sorella, gia' clienti del Ra. e sue controparti, al momento del conferimento dell'incarico. Ed infatti il Ra. e' stato prosciolto dal'incolpazione sub B) - "per aver proposto al Po. di promuovere un procedimento ai sensi della Legge n. 89 del 2001, articolo 3 per il ritardo nella definizione del giudizio contro di lui della madre e della sorella" perche', nel 2007, i procedimenti del 2003 e del 2006 erano definiti. Quindi il capo di incolpazione sub A) "per aver contattato controparte" doveva anch' esso venir meno non essendo piu' a tale data il Po. controparte e quindi e' venuta meno la correlazione tra la contestazione e la condanna; la motivazione non contiene l'esposizione dei fatti e degli argomenti di diritto richiesti dalla Legge n. 241 del 1990, articolo 3.

 

Il motivo e' inammissibile perche' propone censure avverso la decisione del C.O.A. che il C.N.F. ha respinto motivando sull'irrilevanza degli articoli 19 e 37 del codice deontologico, essendo diverso l'illecito disciplinare (divieto per l'avvocato di offrire una prestazione rivolta a persona determinata per uno specifico affare: pag. 9 della decisione di secondo grado) e le censure non attengono a questa ratio decidendi.

 

4.- Con il quarto motivo deduce: "Indeterminatezza del fatto contestato: travisamento del fatto presupposto, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione al capo di incolpazione C)".

 

Dalla decisione del C.O.A. si desume che le contestazioni consistevano nell'aver utilizzato un foglio firmato in bianco e nell'aver concordato un corrispettivo sproporzionato mentre la decisione di condanna, in violazione della correlazione, e' per aver utilizzato un mandato in bianco apponendovi di proprio pugno un presunto accordo sul compenso, non specificatamente sottoscritto dal cliente. La decisione del CO.A. e' basata su una ricostruzione dei fatti in contrasto con le testimonianze delle segretarie secondo cui l'accordo sul compenso e' stato scritto di getto, a mano, prima della sottoscrizione del mandato e non su un foglio contenente gia' il mandato. Inoltre non vi era sproporzione tra il compenso pattuito e quello spettante avuto riguardo a rischio di insuccesso che si era assunto il Ra. che nell'identico processo ai sensi della legge Pinto instaurato per conto della sorella del Po. , in relazione al medesimo ritardo della definizione nel 2001 del processo instaurato nel 1991 tra dette parti, aveva avuto soltanto euro 1000 di indennizzo con compensazione delle spese, tanto piu' che sussisteva anche il rischio della responsabilita' aggravata chiesta dal Ministero e quindi il CO.A. aveva giudicato ex post e non ex ante sull'ammontare del compenso.

 

Il motivo, che non si correla a nessuna delle statuizioni contenute nella decisione del C.N.F. e che tende ad una diversa e piu' appagante valutazione dell'istruttoria, e' inammissibile.

 

6.- Con il sesto motivo deduce: "Indeterminatezza del fatto contestato; travisamento del fatto presupposto, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione al capo di incolpazione F)".

 

Il Ra. aveva prodotto la rinuncia all'esecuzione dell'agosto 2006 mentre l'esecuzione per obblighi di fare era stata definita nel 2003. L'esecuzione della sentenza del 2001 era stata trattata dalla sorella e madre del Po. con la figlia del Ra. e su insistenza della sorella era stato intimato il precetto nel 2008, a cui non era seguita nessuna azione esecutiva e per rispetto era stato inserito il nome del padre, avv. Ra. , ma il precetto e' atto di parte e questi non l'aveva firmato. La motivazione della condanna per mancata vigilanza sull'attivita' dello studio per impedire attivita' in conflitto di interesse anche solo potenziale con i clienti e' diversa dall'accusa di aver notificato un precetto mentre era in corso l'attivita' professionale a favore del Po. .

 

Non essendovi correlazione con la ratio decidendi della decisione di secondo grado, le censure sono inammissibili (Sezioni Unite 28505 del 23 dicembre 2005).

 

7.- Con il settimo motivo deduce: "eccessiva determinazione della sanzione. Carenza di motivazione: Illegittimita' dei motivi".

 

7.1- Nel capo di incolpazione mancava la contestazione dei numerosi precedenti, non contestati neppure all'udienza preliminare, ne' erano indicate le date di comminazione delle sanzioni valutate come R.D.L. n. 1578 del 1933, articoli 37 e 45, ovvero del principio di correlazione tra contestazione e condanna.

 

La censura, volta a ottenere il sindacato di questa Corte sulla determinazione della sanzione inflitta all'incolpato dal Consiglio nazionale forense e' inammissibile essendo riservati alla scelta discrezionale dell'ordine professionale il tipo e l'entita' della sanzione, da adeguare alla gravita' ed alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale (Sezioni Unite del 23 gennaio 2004 n. 1229).

 

7.2- Il C.N.F. senza motivazione ha affermato che l'avv. Ra. ha contattato il cliente e percio' la decisione viola l'articolo 111 Cost., comma 6.

 

La censura, volta ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, ampiamente motivate, e' inammissibile.

 

7.3- Il C.N.F. ha ritenuto che non sussisteva ne' la violazione dell'articolo 1 ne' dell'articolo 37 codice deontologico bensi' la violazione di offrire, senza esser richiesto, una prestazione rivolta a persona determinata per uno specifico affare. Questo rende incomprensibile la contestazione perche' e' indeterminato il fatto illecito.

 

Il motivo e' manifestamente infondato poiche' nei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare, definite dalla legge mediante una clausola generale (mancanze nell'esercizio della professione o, comunque, fatti non conformi alta dignita' e al decoro professionale), e' rimessa alla valutazione dell'Ordine professionale ed il controllo di legittimita' sull'applicazione di tali valutazioni non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza (Sezioni Unite dell'8 ottobre del 2004 n. 20024 e del 18 novembre 18 novembre 2010 n. 23287).

 

8.- Con l'ottavo motivo deduce:" Violazione di legge: articolo 45 codice deontologico forense, modificato in applicazione Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223 convertito in Legge 4 agosto 2006, n. 248. Eccesso di potere C.N.F.".

 

Le norme suindicate hanno eliminato il divieto del patto di quota lite e quindi il compenso eccessivo non puo' esser quantificato nella percentuale della res litigiosa mentre al momento dell'accordo il 70% non era sproporzionato, avendo la sorella del Po. percepito soltanto mille Euro.

 

Il motivo, che non censura l'ampia motivazione sull'apprezzamento del fatto, e' inammissibile.

 

9.- Con il nono motivo deduce: "Violazione di legge: articolo 7 in relazione agli articoli 41 canone 1 e 43 canone 3 codice deontologico. Eccesso di potere".

 

Erroneamente il C.N.F. ha qualificato il fatto come vietato dal codice deontologico mentre l'avv. Ra. che aveva il diritto di riscuotere il compenso pattuito, non ha esercitato un diritto di ritenzione, ma ha invitato il Po. a riscuotere l'assegno e ripartirlo secondo il patto.

 

La censura interpreta la ratio decidendi in modo difforme da quello manifestato e riassunto in narrativa e quindi e' inammissibile.

 

10.- Con il decimo motivo deduce: "Violazione di legge: R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 45; corrispondenza tra il contestato ed il deciso".

 

La contestazione del C.O.A era di aver promosso una nuova azione esecutiva il 7 aprile 2008 nei confronti del Po. , per cui il Ra. aveva gia' prestato la propria opera professionale, per conto della sorella di costui in relazione al medesimo titolo del 2001, e rinnovando il precetto nel luglio 2008, mentre il C.N.F. aveva ravvisato l'omesso controllo dell'attivita' della figlia, collaboratrice di studio, essendo l'effettivo protagonista l'avv. Ra. , e questo fatto e' diverso da quello contestato e quindi sussiste eccesso di potere.

 

Il motivo tende ad una diversa interpretazione dell'illecito ravvisato dall'organo disciplinare della cui decisione omette la motivazione evidenziata in narrativa ed e' percio' inammissibile.

 

11.- Con l'undicesimo motivo deduce:" Eccesso di potere. Violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 40 corrispondenza tra il contestato e deciso".

 

La sanzione era eccessiva, come anche constatato dal Sostituto Procuratore Generale di udienza che l'aveva proposta in quattro mesi di sospensione. Il C.N.F. ha prestato fede alle affermazioni del Consiglio dell'Ordine sui precedenti illeciti disciplinari dell'avv. Ra. , non contestati, ne' indicati e provati e quindi sussiste eccesso di potere.

 

La censura e' inammissibile per le ragioni espresse in relazione al motivo n. 7.1.

 

12. Concludendo il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese non avendo l'intimato Consiglio dell'Ordine svolto attivita' difensiva.

 

P.Q.M.

 

La Corte a Sezioni Unite rigetta il ricorso.

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici