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DICHIARATE NON FONDATE LE QUESTIONI DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DEL "COLLEGATO LAVORO" IN MATERIA DI INDENNIZZO AI LAVORATORI PRECARI - La tutela, secondo la Consulta, è adeguata (Corte Costituzionale sentenza n. 303 dell'11 novembre 2011, Pres. Quaranta, Red. Mazzella) - Sintesi e testo integrale della decisione -

 

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La Corte Costituzionale, con sentenza n. 303 dell'11 novembre 2011 (Pres. Quaranta, Red. Mazzella) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, commi 5, 6, 7 della legge 4 novembre 2010 n. 183 (c.d. "collegato lavoro") sollevata dalla Suprema Corte di Cassazione e dal Tribunale di Trani con riferimento agli articoli 3 (principio di eguaglianza), 4 (diritto al lavoro), 11 (rispetto dei trattati internazionali), 24 (tutela dei diritti), 101 (autonomia del Giudice), 102 (riserva al magistrato della funzione giurisdizionale), 111 (giusto processo) e 117 (rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dalla Cedu), della Costituzione.

 

Nella motivazione della sentenza (il cui testo integrale pubblichiamo nella Sezione Documenti), la Corte ha tra l'altro affermato:

 

    a) che la limitazione a un'indennità variabile fra 2,5 e 12 mensilità del risarcimento dovuto al lavoratore in caso di dichiarazione di nullità del termine apposto al suo contratto di lavoro è legittima perché la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa non ha copertura costituzionale, purché sia garantita l'adeguatezza del risarcimento;

    b) che l'adeguatezza ricorre nella specie, tanto più ove si consideri che non vi è stata medio termine alcuna prestazione lavorativa;

    c) che la normativa impugnata risulta, nell'insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi, in quanto al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente a un'indennità di chiara valenza sanzionatoria, che gli è dovuta sempre e comunque, senza necessità né dell'offerta della prestazione, né di oneri probatori di sorta; al datore di lavoro per altro verso assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data di interruzione del rapporto fino a quella dell'accertamento giudiziale del diritto del lavoratore alla stabilizzazione;

    d) che la nuova normativa è applicabile anche nei processi di secondo grado e di cassazione;

    e) che la disparità di trattamento determinata dall'eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari sono inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non discendono dalle disposizioni legislative censurate;

    f) che l'ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998) nonché gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001 n. 89 (equa riparazione);

    g) che il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quale appunto quella appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite, come quella, obiettivamente più grave, dell'utilizzazione fraudolenta della collaborazione coordinata e continuativa.

 

Questa decisione pecca, tra l'altro, di astrattezza.

- E può avere conseguenze negative per il funzionamento della giustizia.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 303 del 2011 pecca, tra l'altro, di astrattezza, in particolare quando definisce meri eventuali inconvenienti i pregiudizi che derivano ai lavoratori precari dalla lentezza della giustizia. La Corte non ignora che, nella maggior parte dei Tribunali, il tempo necessario all'accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro è notevolmente superiore a 12 mensilità. Questa realtà non può essere ignorata, perché l'eguaglianza deve realizzarsi nei fatti (art. 3 della Costituzione). Rendendosi conto di ciò la Corte ha indicato come possibile rimedio alla lentezza dei processi la richiesta di misure cautelari e l'azione diretta ad ottenere l'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo. L'indicazione pecca di superficialità e non considera gli inconvenienti che potrebbero essere prodotti dai rimedi suggeriti, in termini di moltiplicazione delle controversie e di oneri finanziari per lo Stato. In particolare l'equa riparazione normalmente richiesta per i danni non patrimoniali, nel caso di processi relativi a contratti di lavoro a termine dovrebbe comprendere anche il pregiudizio patrimoniale della mancata percezione della retribuzione  per l'intera durata della controversia.

 

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