(Pres. Amato – Rel. Bevere)
Fatto e diritto
Con sentenza 30.6.2010, il
tribunale di Novara ha confermato la sentenza 20.12.2010
del giudice di pace della stessa sede , con la quale B.
M. è stato condannato alla pena di € 800 di multa, al
risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese, in
favore della parte civile, in quanto ritenuto colpevole
del delitto di diffamazione, perché, con missiva datata
25.2.05, inviata al giudice di pace di Novara, avv. E.
A., e al procuratore della Repubblica presso il
tribunale di Novara, dr. C. C., offendeva la reputazione
dell'avv. F. A., suo difensore di ufficio nel
procedimento penale, instaurato su querela dell'avv. M.
C. nei suoi confronti, incolpandola di infedele
patrocinio, asserendo che vi fosse una sorta di
scorretta intelligenza tra l'avv. C. e il proprio
difensore di ufficio.
Il B. ha presentato ricorso per i
seguenti motivi :
1. violazione di legge: non può
essere considerato diffamazione segnalare reati a due o
più magistrati, se non sussiste quello di calunnia.
Inoltre il ricorrente rileva che la comunicazione a più
persone del contenuto della missiva è avvenuta per
mancato rispetto della normativa sulla procedura e per
intempestiva iniziativa dei destinatari.
2. vizio di motivazione:
l'affermazione che vi è prova documentale della missiva
da lui inviata è smentita dal contenuto della missiva
stessa e dagli atti del presente procedimento. Inoltre
l'affermazione di responsabilità si basa sulle
dichiarazioni della parte civile, su elementari
tautologie, su inconferenti considerazioni e su altre
inesattezze, elencate nella memoria difensiva,
depositata il 28.6.2010, allegata agli atti di appello.
Il ricorrente rileva inoltre alcune
irregolarità formali della sentenza impugnata, in quanto
la copia della motivazione ricevuta dal proprio avvocato
era priva del frontespizio e questo atto, unitamente
alla copia del dispositivo e del p.v. dell'udienza
30.6.2010 erano privi del numero della sentenza.
Il ricorso non merita accoglimento,
in quanto le censure sono del tutto infondate.
L'interrogativo sulla correttezza
professionale del proprio difensore ben poteva essere
espresso dal B. con una valutativa esposizione delle
vicende processuali agli organi preposti al controllo
della capacità e della lealtà professionali del
difensore d'ufficio. In questa ipotesi ricorre la
generale causa di giustificazione ex art. 51 c.p., quale
esercizio di un diritto di critica costituzionalmente
tutelato dall'art.21 della Carta Costituzionale.
Nel caso in esame, l'imputato ha
raggiunto conclusioni direttamente diffamatorie nei
confronti dell'avv. A., alla luce di proprie valutazioni
faziose e tecnicamente scorrette, anticipando qualsiasi
controllo e qualsiasi accertamento, correttamente
esercitabili nelle sedi istituzionali. Queste offese
sono state comunicate a più persone : ai due magistrati,
diretti destinatari della missiva, e ai soggetti che,
per dovere di ufficio, i predetti magistrati erano
tenuti a informare.
Il contenuto della missiva
acquisita agli atti, è, con immediata evidenza, lesivo
del credito professionale dell'avv. A., accusata - senza
alcuna giustificazione - di “rendersi infedele ai suo
doveri professionali , cercando di arrecare nocumento
agli interessi del suo assistito”.
Nessuna censura è quindi
formulabile sulla ricostruzione dei fatti e sulla loro
valutazione giuridica, contenute nella sentenza
impugnata.
Quanto alle asserite irregolarità
formali degli atti indicati dal ricorrente, esse non
hanno alcun rilievo, ai fini del riconoscimento di un
qualsiasi ostacolo al pieno esercizio del diritto di
difesa. Il ricorso va quindi rigettato con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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