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Lavoro,malattia,nesso di causalita',onere della prova,civile,danni- Cassazione IV Penale n. 14682 del 12 aprile 2011 – Ricerca giuridica.com

 

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"Il Tribunale inoltre ha ritenuto che, anche se si ritenesse provato il nesso di causalità tra le lavorazioni presso la G. e l'insorgenza della malattia, le caratteristiche di cancerogenicità delle sostanze utilizzate non consentivano di risalire al momento iniziale dell'instaurarsi della lesione, nè di affermare con sicurezza un rapporto dose-risposta e pertanto non sarebbe possibile stabilire il momento di assunzione della dose scatenante il processo patologico, nè se eventuali successive esposizioni avrebbero potuto avere influito sul periodo di latenza della malattia e sul momento della morte.

 

Tale motivazione appare assolutamente congrua e pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di nesso causale."

 

 

           

           

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE QUARTA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

 

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

 

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

 

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

 

Dott. MARINELLI Felicetta - rel. Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

 

1) Tizio N. IL (OMISSIS);

 

2) Caio N. IL (OMISSIS);

 

3) Sempronio N. IL (OMISSIS);

 

avverso la sentenza n. 3493/2009 TRIBUNALE di BRESCIA, del 22/02/2010; visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/03/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARINELLI Felicetta;

 

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MONETTI Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso; Udito il difensore Avv. Parreca Eustacchio del Foro di Brescia che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

 

Fatto

 

Tizio, Caio ed Sempronio sono stati tratti a giudizio davanti al Tribunale di Brescia per rispondere del reato di cui agli artt. 41 cpv. e 589 c.p. per avere, - il primo in qualità di presidente, consigliere delegato ed amministratore delegato, dal 1966, della ditta "Alfa spa" con stabilimento in (OMISSIS) in qualità di Presidente e consigliere delegato della ditta "Alfa spa" sopra citata, il secondo in qualità di consigliere delegato, dal 1980, della ditta "Alfa s.p.a.", il terzo in qualità di direttore del medesimo stabilimento di (OMISSIS) della suddetta ditta, delegato dal 1983 per gli aspetti di igiene e sicurezza del lavoro, - cagionato colposamente la morte del lavoratore Z. G., operaio, decesso intervenuto in data (OMISSIS) per arresto cardio - respiratorio in soggetto affetto da "carcinoma dell'orofaringe", patologia di origine professionale, per colpa consistita in negligenza, imprudenza,imperizia ed inosservanza di norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.

 

Con sentenza del 22 febbraio 2010 il Tribunale di Brescia assolveva i sopra indicati imputati dal reato loro ascritto perchè il fatto non costituisce reato.

 

Avverso la decisione del Tribunale di Brescia presentavano ricorso in Cassazione, a mezzo del loro difensore, Tizio, Caio ed Sempronio e concludevano chiedendo a questa Corte di volere provvedere alla sostituzione della formula assolutoria adottata con quella "perchè il fatto non sussiste" ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l).

 

All'udienza pubblica del 3/02/2011 il ricorso era deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

 

Diritto

 

I ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

 

violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per erronea applicazione degli artt. 40 e 589 c.p. (conseguente all'erronea applicazione dell'art. 530 c.p.p.).

 

Secondo i ricorrenti il dispositivo della sentenza impugnata sarebbe affetto da errore nell'adozione della formula di proscioglimento in quanto, snodandosi la motivazione sull'insussistenza della prova del nesso di causalità tra le condotte degli imputati e il decesso del lavoratore Z.G., essi avrebbero dovuto essere assolti con la formula perchè il fatto non sussiste e non già con la formula perchè il fatto non costituisce reato.

 

Rilevavano poi i ricorrenti che sussisteva il loro interesse ad ottenere in tal senso la rettifica della formula di proscioglimento in considerazione della diversità degli effetti che gli artt. 652 e 653 c.p.p. collegano ai due tipi di dispositivo nel giudizio civile o amministrativo.

 

Il ricorso è fondato.

 

Si rileva preliminarmente che sussiste l'interesse dei ricorrenti ad ottenere la rettifica della formula di proscioglimento adottata "perchè il fatto non costituisce reato" in luogo di quella "perchè il fatto non sussiste", a fronte della diversità degli effetti che gli artt. 652 e 653 c.p.p. collegano ai due tipi di dispositivo nel giudizio civile o amministrativo di danno. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (cfr., tra le altre, Cass., Sez., Sent. n. 3193 de 14.02.2006) l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione con dispositivo "perchè il fatto non costituisce reato" non possiede efficacia di giudicato, come previsto dall'art. 652 c.p.p. nel giudizio civile di danno, rimanendo immutato in capo al giudice civile il potere di accertare autonomamente e con pienezza di cognizione i fatti dedotti in giudizio.

 

Tanto premesso si osserva che nella fattispecie di cui è processo il giudice non ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra le condotte ascritte agli odierni ricorrenti e la malattia che ha portato al decesso il lavoratore Z., in quanto ha ritenuto che non vi fossero elementi che consentissero di ricondurre con apprezzabile sicurezza l'insorgenza della malattia e la sua evoluzione nel tempo alle violazioni riscontrate presso la "Alfa s.p.a.". Il Tribunale inoltre ha ritenuto che, anche se si ritenesse provato il nesso di causalità tra le lavorazioni presso la G. e l'insorgenza della malattia, le caratteristiche di cancerogenicità delle sostanze utilizzate non consentivano di risalire al momento iniziale dell'instaurarsi della lesione, nè di affermare con sicurezza un rapporto dose-risposta e pertanto non sarebbe possibile stabilire il momento di assunzione della dose scatenante il processo patologico, nè se eventuali successive esposizioni avrebbero potuto avere influito sul periodo di latenza della malattia e sul momento della morte.

 

Tale motivazione appare assolutamente congrua e pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di nesso causale.

 

Peraltro deve essere pronunciata assoluzione con la formula "perchè il fatto non sussiste" allorquando manchi uno degli elementi oggettivi del reato (azione, evento, nesso di causalità), mentre deve assolversi con la formula "perchè il fatto non costituisce reato" quando manchi l'elemento soggettivo.

 

Nella fattispecie di cui è processo, quindi, essendo stato accertato il difetto del nesso di causalità tra l'azione e l'evento, doveva essere pronunciata assoluzione con la formula "perchè il fatto non sussiste".

 

Ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l) la sentenza impugnata deve essere quindi annullata senza rinvio limitatamente alla formula di assoluzione, che deve essere sostituita con la formula "perchè il fatto non sussiste".

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla formula di assoluzione e sostituisce quella indicata "perchè il fatto non costituisce reato" con quella "perchè il fatto non sussiste

 

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