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Legittima la convenzione con l'avvocato che blocca la parcella ai minimi -Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 28 aprile 2011 n. 9488-Guida al diritto.it

 

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    È legittimo l’accordo concluso fra un comune e l’avvocato difensore che ancora la determinazione degli onorari ai minimi tariffari. Lasciando, poi, alla discrezionalità dell’amministrazione la possibilità di liquidare una maggior somma a fronte dell’attività effettivamente svolta dal professionista. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza del 28 aprile 2011 n. 9488.

 

 

 

Il fatto

 

Il caso è quello di una professionista di Benevento che aveva adito il tribunale di Napoli per vedersi riconosciuta la liquidazione delle spese e degli onorari sostenuti nella difesa in giudizio del comune campano. Il giudice aveva accolto solo parzialmente le richieste del legale, determinando in 13.344 euro i compensi spettanti. Per il resto aveva ritenuto legittima la convenzione stipulata tra il municipio e il professionista nel 1996, in base alla quale si stabiliva che “per tutta l’opera prestata i compensi di avvocato le saranno liquidati dall’amministrazione, con intesa che non si scenderà al di sotto dei minimi tariffari”. In tal modo, secondo il tribunale l’avvocato “aveva rinunciato alla facoltà di determinare da sé gli onorari, in quanto ciò rimaneva di eslcusiva pertinenza dell’amministrazione, la quale non sarebbe andata sotto i minimi”.

 

 

 

La validità della convenzione

 

Per i giudici di Piazza Cavour l’interpretazione fornita in primo grado è corretta infatti “la clausola della convenzione riguardante i rapporti di un comune con i legali di propria fiducia, prevedente l’impegno dell’amministrazione committente a riconoscere il minimo stabilito dalla tariffa, con la facoltà discrezionale per essa, di liquidare, a fronte della notula presentata dal professionista, eventuali maggiori compensi, non costituisce clausola vessatoria”. E, dunque, come tale non è “abbisognevole di specifica approvazione per iscritto per essere vincolante”, come, invece, sostenuto nel ricorso . Infatti “detta clausola non limita la facoltà di opporre eccezioni ma definisce l’oggetto del contratto, individuando il corrispettivo della prestazione con riferimento all’entità e alle modalità di liquidazione del compenso professionale”.

 

 

 

Il criterio del valore

 

Neppure vale il criterio del valore della controversia per richiedere una maggior somma, in quanto l’autonomia negoziale nella determinazione del compenso “non incontra alcun limite che quello del rispetto del minimo fissato dalle tariffe inderogabili”. Il giudice dunque pur volendo non può ricorrere ad una “liquidazione in misura diversa da quella pattuita” dalle parti. E ciò prescindendo dalla “congruità del quantum convenuto rispetto all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.

 

 

 

La determinazione del valore

 

In ultimo, neppure la doglianza sullo scaglione corrispondente al valore della causa è stata accolta in quanto la liquidazione non deve essere fatta sommando “il valore delle domande proposte dai diversi attori nell’unico processo”. Infatti, “il cumulo riguarda solo le domande proposte tra le stesse parti, mentre non si riferisce all’ipotesi di domande avanzate nei confronti dello stesso soggetto da diverse parti processuali”, in litisconsorzio facoltativo.

 

 

 

 

 

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