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Cassazione Civile: il diritto al tempo libero non esiste-(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 27 aprile 2011, n. 9422)-Filodiritto.it

 

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In merito alla risarcibilità della perdita del tempo libero la Cassazione concorda con i giudici di primo e secondo grado, opponendo un rifiuto. Nel caso di specie i danni lamentati erano originati dalla illegittima sospensione di linee telefoniche urbane per tre giorni nonché dalle errate informazioni fornite dal tecnico sull'operatività della nuova linea ADSL, con conseguenti interventi sostitutivi.

 

In via preliminare la Cassazione ha ribadito che “i diritti inviolabili dalla valenza costituzionale sono quelli non solo positivizzati, ma anche che emergono dai documenti sovranazionali, quali interpretati dai giudici nella loro attività ermeneutica. Si tratta di diritti o interessi che l'ordinamento non solo riconosce, ma garantisce e tutela con efficacia erga omnes, proprio perché fondanti la persona umana, che presenta una sua dignità, la quale fa da presupposto ineludibile per il loro esercizio e la loro attuazione”.

 

In sostanza: “la normativa costituzionale da un lato, le norme della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo, così come interpretati dalla Corte di Strasburgo, lo stesso Trattato di Lisbona con l'allegata - e giuridicamente vincolante - Carta di Nizza, la Carta sociale Europea aggiornata nel 1999, dall'altro, non consentono di ritenere il diritto al tempo libero come diritto fondamentale dell'uomo e, nella sola prospettiva costituzionale, come diritto costituzionalmente protetto e ciò per la semplice ragione che il suo esercizio è rimesso alla esclusiva autodeterminazione della persona, che è libera di scegliere tra l'impegno instancabile nel lavoro e il dedicarsi, invece, a realizzare il suo tempo libero da lavoro e da ogni occupazione. Questa sua caratterizzazione di autonoma opzionalità lo distingue dai diritti inviolabili, che sono, di per sé, eccetto i limiti posti dalle leggi, che, comunque con essi si devono confrontare, pena la loro disapplicazione, diritti irretrattabili della persona, perché ne fondano la giuridica esistenza sia dal punto di vista della identità individuale che della sua relazionalità sociale”.

 

La Cassazione passa poi ad esaminare i più recenti orientamenti in materia di danno risarcibile, ricordando che “sulla base delle argomentazioni svolte negli ultimi tempi dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le Sezioni Unite riconoscono la tutela risarcitoria, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia costituzionalmente ed, aggiunge questo Collegio, internazionalmente riconosciuta e qualificata. Invero, nella motivazione, le Sezioni Unite escludono ogni risarcibilità proprio per quello che il ricorrente definisce un problema che si manifesta con preoccupante frequenza nella vita quotidiana, per cui gli utenti sono costretti a trascorrere ore a stare in coda, tanto che sta assurgendo a causa primaria della oggettiva insufficienza di ogni giornata ad adempiere alle proprie incombenze lavorative. Infatti, il ricorrente invoca i fastidi della vita quotidiana che, per le Sezioni Unite integrano solo un attentato a diritti immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva, il diritto ad essere e vivere felici. In questi casi, se non prevista dalla legge, la lesione di un tale "immaginario" diritto non è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale”.

 

 

 

 

 

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