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UNA VIOLENTA E VILE AGGRESSIONE FISICA DEL SUPERIORE GERARCHICO PER MOTIVI DI LAVORO COSTITUISCE GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO - In base all'art. 2119 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 8351 del 12 aprile 2011, Pres. Foglia, Rel. Filabozzi)-Legge e giustizia.it.

 

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Pierpaolo P., dipendente della Conforama Italia S.p.A., è stato sottoposto a procedimento disciplinare e licenziato con l'addebito di avere avuto con un collega di lavoro un diverbio culminato con uno scontro fisico durante la pausa pranzo. Sia il Tribunale che, in grado di appello, la Corte di Ancona, hanno ritenuto legittimo il licenziamento, in base all'art. 2119 cod. civ. La Corte d'Appello ha motivato la sua decisione affermando quanto segue: "La violenta e particolarmente vile aggressione - perpetrata in modo che nessuno potesse assistervi ed in una situazione che poneva l'aggredito in condizione di non potersi sottrarre ai colpi, tanto da presentare anche gli elementi materiali del sequestro di persona - nei confronti di un superiore gerarchico per ragioni lavorative è certamente circostanza idonea a comportare ripercussioni nell'ambiente lavorativo ed a minare radicalmente la fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, che ha dimostrato di essere persona violenta e priva di autocontrollo, irrispettosa degli elementari valori di convivenza civile. E' perciò pienamente ricorrente la giusta causa di licenziamento, per essere stati gravemente violati i doveri di fedeltà ed obbedienza del lavoratore, che per ragioni di lavoro ha aggredito e procurato lesioni ad un suo superiore ... Le già evidenziate modalità del fatto, di particolare gravità perché contrarie e regole minime di comportamento civile ed integranti reato, comportano la sicura antigiuridicità del comportamento e sono tali da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro; il provvedimento espulsivo è pertanto pienamente proporzionato all'illecito disciplinare (illecito anche penale) contestato."

 

Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte di Ancona per vizi di motivazione e violazione di legge.

 

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 8351 del 12 aprile 2011, Pres. Foglia, Rel. Filabozzi) ha rigettato il ricorso affermando che la sentenza impugnata è sorretta da motivazione adeguata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi enunciati in materia della giurisprudenza di legittimità. Il giudizio in ordine alla proporzionalità della sanzione - ha ricordato la Corte - è rimesso al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, spettando, fra l'altro, al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità.

 

 

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