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FAVOREGGIAMENTO PERSONALE E FALSE DICHIARAZIONI AL PUBBLICO MINISTERO-Cassazione, sez. VI, 28 aprile 2011, n. 16558-Diritto e processo.it

 

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Tra il delitto di false dichiarazioni rese al pubblico ministero e quello di favoreggiamento dichiarativo commesso con la condotta di false o reticenti informazioni rese alla polizia giudiziaria, si evidenzia una sostanziale omogeneità del bene protetto, che consiste nella funzionalità di ciascuna fase rispetto agli scopi propri nei quali le esigenze investigative e quelle di ricerca della verità si sommano, sicché gli artt. 378, 371 bis e 372 c.p. finiscono per presidiare ciascuno una fase distinta del procedimento e del processo, restando simmetricamente esclusa l'eventualità che la stessa condotta integri la violazione di più d'una di tali norme secondo lo schema del concorso formale di reati" (sentenza n. 75/2009).

 

Pertanto, che si voglia assegnare alle norme in questione una distinta oggettività giuridica o che si preferisca accomunarle nella sostanziale omogeneità del bene protetto, il risultato è il medesimo, ossia l'inapplicazione dell'art. 378 c.p. in favore del reato previsto dall'art. 371 bis c.p..

 

 

 

 

 

Cassazione, sez. VI, 28 aprile 2011, n. 16558

 

(Pres. De Roberto – Rel. Garibba)

 

 

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

p.1. Con sentenza del 27 aprile 2010 la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna inflitta in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato, a M.G. per plurimi reati contro l'amministrazione della giustizia, che possono essere suddivisi in due gruppi: un primo gruppo, contraddistinto dal fine di procurare l'impunità agli autori di una violenza sessuale in danno di B.V., l'altro, dal fine di procurare l'impunità a C.P., contravvenzionato per guida di autovettura in stato di ebbrezza.

 

Cominciando dal primo gruppo, secondo la ricostruzione del fatto esposta dai giudici di merito, la quindicenne B.V. la notte del (omissis) fu vittima di violenza sessuale da parte di quattro giovani, che all'uscita dalla discoteca si erano offerti di riaccompagnarla a casa. Una settimana dopo il fatto la ragazza veniva ricoverata in ospedale per ingestione eccessiva di farmaci e rivelava ai sanitari la violenza subita. La notizia era riferita alla polizia giudiziaria, la quale, il (omissis), sentiva a s.i. C.P., fidanzato della minorenne, il quale raccontava che la ragazza si era confidata con lui l'indomani del fatto e, trascorsa una settimana, mentre stavano in una birreria, aveva riconosciuto i suoi aggressori, uno dei quali, dopo che la ragazza al solo vederli era scappata via, l'aveva avvicinato pregandolo di non denunciarlo, perché - così diceva - lui, a differenza dei suoi amici, non aveva fatto niente e aggiungeva che non si era opposto all'aggressione perché altrimenti "le avrebbe prese". Il 21.11.2006 veniva presentata richiesta di rinvio a giudizio contro gli imputati della violenza commessa ai danni di V. e l’11.12.2006 C. indirizzava al pubblico ministero una lettera in cui dichiarava di ritrattare le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria. Sopravvenuto il rinvio a giudizio (il decreto del giudice dell'udienza preliminare è del 16.2.2007), C.P., istigato da M., zio di due degli imputati (F.M. e F.D.), premeva sulla ex fidanzata per indurla a ritrattare, prospettandole che il processo sarebbe probabilmente finito con un'assoluzione e lei non solo avrebbe dovuto pagarne le relative ingenti spese, ma correva anche il rischio di essere denunciata per calunnia. La ragazza non cedeva alle pressioni e si rivolgeva all'autorità giudiziaria, che, attraverso le intercettazioni telefoniche, raccoglieva la prova dei reati per cui oggi si procede, e il 12.5.2008 emetteva nei confronti di M. (e di C. ordinanza di custodia cautelare per i seguenti reati:

 

- artt. 110 e 378 c.p. perché, in concorso con l'avv. P.A. (difensore dei fratelli F. , aiutava gli indagati del delitto di violenza sessuale di gruppo commesso il … in danno di B.V., a eludere le investigazioni dell'autorità, inducendo C.P. a ritrattare le sommarie dichiarazioni rese nel corso delle indagini (capo 9, secondo la numerazione che appare nell'epigrafe della sentenza di primo grado);

 

- artt. 110 e 377 c.p., perché, in concorso con C.P., prometteva a B.V., chiamata a rendere testimonianza nel dibattimento in cui doveva comparire come persona offesa dell'anzidetta violenza sessuale, benefici o utilità imprecisate per indurla a commettere il delitto di cui all'art. 372 c.p. (capo 2);

 

artt. 110, 56, 81 e 378 c.p., perché, in concorso con C.P., contattava ripetutamente B.V., chiedendole di ritrattare le dichiarazioni accusatorie contro gli imputati del reato commesso a suo danno, tentando in tal modo di aiutarli a eludere le investigazioni dell'autorità giudiziaria (capo 3).

 

C., arrestato, nell'interrogatorio reso al pubblico ministero l'1.7.2008 confessava i reati ascrittigli e chiamava in correità l'amico M., anche per i reati del secondo gruppo riguardanti la manovre messe in atto per eludere la propria responsabilità in ordine alla contravvenzione di guida in stato di ebbrezza:

 

- artt. 81, 110 e 368 c.p., perché, in concorso con C.P., elaborava un esposto-denuncia contro i carabinieri che la notte del 2.12.2007 avevano contestato a C.P. il reato di guida in stato di ebbrezza, affermando che lo stesso non aveva guidato e che, quando i militari erano intervenuti, la sua autovettura non stava circolando, e ribadendo, nell'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione, che la contestazione era "falsa", con ciò incolpando i carabinieri dei reati di calunnia e di falso ideologico in atto pubblico (capo 4);

 

- art. 371 bis c.p., perché, a seguito dell'opposizione all'archiviazione, sentito dal pubblico ministero quale persona informata sui fatti, affermava falsamente che alla guida dell'autovettura non stava C.P., ma il fratello C. (capo 5);

 

- art. 81 e 378, comma 3, c.p., perché, con le condotte sopra precisate, aiutava C.P. a eludere le investigazioni dell'autorità nel procedimento per la guida in stato di ebbrezza (capo 7);

 

- art. 495 c.p., perché, dichiarandosi avvocato, partecipava all'udienza tenuta dal giudice di pace per trattare l'opposizione proposta da C.P. alla cennata contravvenzione stradale.

 

Contro la sentenza la difesa di M. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione.

 

Deduce:

 

1. in ordine ai reati di cui all'art. 378 c.p. (capi 3 e 9):

 

- insussistenza del reato, perché, in forza della sentenza, seppure non ancora definitiva, che ha mandato assolti i giovani accusati della violenza sessuale di gruppo, sarebbe venuto meno il reato presupposto;

 

- inconfigurabilità del reato di cui al capo 3, perché le pressioni furono esercitate sulla B. quando il processo era già pervenuto alla fase del giudizio e, quindi, non potevano incidere sulle investigazioni di competenza degli organi inquirenti, ormai esaurite;

 

- insussistenza del reato, perché le prospettazioni di danno miranti a determinare la ritrattazione non sarebbero state idonee a influire sulla volontà sia della B. che di C..

 

2. in ordine al reato di cui all'art. 377 c.p. (capo 2):

 

insussistenza del fatto per mancata indicazione, finanche nel capo d'imputazione, delle utilità che sarebbero state date o promesse per indurre la B.      alla falsa testimonianza.

 

3. in ordine al reato di cui all'art. 368 c.p. (capo 4):

 

mancata dimostrazione della partecipazione al reato, essendo insufficiente il richiamo alla prova logica secondo cui soltanto l'imputato poteva avere suggerito la preparazione della denuncia calunniosa.

 

4. in ordine al reato di cui all'art. 371 bis c.p. (capo 5):

 

- inosservanza della disposizione del secondo comma dell'articolo citato, perché non sarebbe stato rispettato l'obbligo di sospendere il procedimento, donde la richiesta di proscioglimento per difetto della prescritta condizione di procedibilità;

 

- mancanza di prova delle falsità delle dichiarazioni incriminate;

 

- le dichiarazioni incriminate, rifluendo nella condotta calunniosa, non potrebbero costituire un'autonoma fattispecie di reato.

 

5. in ordine al reato di cui all'art. 378, comma 3, c.p. (capo 7):

 

- mancanza di prova sulla condotta favoreggiatrice;

 

- inapplicabilità dell'art. 378 c.p. perché tra la fattispecie prevista da detto articolo e quella descritta dall'art. 371 bis c.p. intercorre un rapporto di specialità.

 

6. mancanza di motivazione sulla misura della pena, sul diniego delle attenuanti generiche e sulla concessione della provvisionale e relativa determinazione.

 

Considerato in diritto

 

p.2.1 Cominciando dal primo motivo di ricorso, si osserva che l'art. 378 c.p., prima di descrivere la condotta del favoreggiatore, esordisce con la proposizione "dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione", per significare che il reato di favoreggiamento personale ha come presupposto la commissione, da parte di un altro soggetto, di un delitto per il cui accertamento sono in corso le indagini. Ne consegue, per coerenza logica, il corollario che il reato in questione non è configurabile allorché sia accertata l'insussistenza oggettiva del reato presupposto.

 

Orbene l'assunto del ricorrente, che la sentenza assolutoria emessa nei confronti degli autori della violenza sessuale con la formula "perché il fatto non sussiste" (peraltro ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.), imporrebbe, per consequenzialità logica, l'assoluzione dal favoreggiamento per mancanza del reato presupposto, non è condivisibile.

 

Anzitutto perché contro la citata sentenza assolutoria pende l'appello del pubblico ministero e, alla stregua dell'art. 288 bis c.p.p., soltanto la sentenza irrevocabile, sempre che sia confermata da altri elementi, può costituire prova del fatto in essa accertato.

 

In secondo luogo, perché i giudici di merito, svincolati da ogni pregiudiziale penale, hanno ritenuto veritiere le dichiarazioni accusatorie della B., fondando tale convincimento sugli ulteriori risultati probatori acquisiti nel presente procedimento grazie alle intercettazioni telefoniche.

 

Piuttosto va riconosciuto che le pressioni dirette a indurre la B. alla ritrattazione delle accuse furono attuate dopo il rinvio a giudizio, ossia quando il processo per violenza sessuale pendeva davanti al tribunale collegiale e la persona offesa dal reato aveva già assunto la veste di testimone. È evidente, allora, che le pressioni esercitate sulla B., non potevano ricadere nella fattispecie del favoreggiamento personale, essendo le "investigazioni dell'autorità" già terminate, ma andavano a incidere sulla veridicità della testimonianza che la vittima era stata chiamata a rendere.

 

Sappiamo, però, che la B. non cedette alle pressioni e testimoniò il vero, per cui il fatto descritto nel capo 3 dell'imputazione si è risolto in un'istigazione, non accolta (e, quindi, non punibile), a commettere falsa testimonianza.

 

La ritrattazione di C., invece, è avvenuta mentre erano in corso le indagini preliminari e - come ha diffusamente e logicamente motivato la corte distrettuale - fu M. (in concorso con l'avv. P.) a convincerlo a compiere il passo, frastornandolo e impaurendolo con la rappresentazione dei guai di natura patrimoniale e penale che gli sarebbero capitati, se il processo si fosse concluso con l'assoluzione. E non ha senso dedurre che i danni prospettati sarebbero stati inidonei a indurre C. alla ritrattazione, giacché quel risultato, in realtà, lo produssero.

 

In conclusione, la sentenza va annullata senza rinvio per il capo relativo all'imputazione sub 3, perché il fatto non sussiste; il ricorso nella parte relativa all'imputazione sub 7 va invece rigettato.

 

p.2.2 Il secondo motivo di ricorso è fondato.

 

Il capo d'imputazione è nato zoppo là dove assume che gli imputati, per indurre la B. a rendere falsa testimonianza, le promisero "benefici e utilità non meglio precisati (tra cui comunque un mazzo di fiori)" e le indagini non hanno permesso di individuare quali fossero le utilità "imprecisate". La stessa sentenza impugnata, valutando l'inconsistenza dell'omaggio floreale, afferma che si tratterebbe di una metafora per indicare altri, più corposi vantaggi, che sarebbero allusivamente adombrati nella conversazione intercettata il 14.4.2008, ove M., data per certa la ritrattazione, dice a C.: "poi ci troveremo e parleremo con calma, per la nostra parte ci metteremo d'accordo, vai tranquillo" e l'amico replica: "si, era solo per sapere, non è che ci faccio affidamento, però, insomma...".

 

Senonché, ammesso pure che i conversanti si riferissero a un compenso da spartire in caso di buona riuscita dell'operazione, è chiaro, per l'uso dei modi verbali in prima persona singolare o plurale ("per la nostra parte ci metteremo d'accordo" e "e faccio affidamento"), che i beneficiari sarebbero stati gli stessi interlocutori e non la povera B. che, in effetti, mai ha detto di avere ricevuto promesse di denaro o di altre utilità.

 

Quindi si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza in ordine al capo 2 perché il fatto non sussiste.

 

p.2.3 Il terzo motivo è infondato.

 

La prova sicura che M. aiutò C. nella preparazione della denuncia contro i carabinieri che avevano elevato a quest'ultimo la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza, ritirandogli la patente e sequestrandogli la macchina, emerge dall'esplicita, attendibilissima chiamata in correità, confermata dai riscontri offerti dalle conversazioni intercettate, nel corso delle quali M. e C. concordano la tattica per vanificare la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero.

 

La Corte territoriale mette bene in luce il ruolo di consigliere, ispiratore e regista che M., dotato di una certa esperienza di cose giudiziarie, ha svolto nei confronti dello sprovveduto e condiscendente C., incapace di redigere un qualsiasi atto di parvenza legale. E l'interessamento prestato da M. alla vicenda non fu soltanto verbale, essendo accertato che assistette al dissequestro e restituzione dell'autovettura, che accompagnò C. davanti al giudice di pace all'udienza in cui fu discussa la causa in questione, che rese false dichiarazioni al pubblico ministero che lo escusse a seguito dell'opposizione alla richiesta di archiviazione. Comportamenti tutti idonei a dimostrare - come hanno logicamente ritenuto i giudici del merito - la consapevole partecipazione alla calunnia architettata in danno dei carabinieri che verbalizzarono la contravvenzione in discorso.

 

p.2.4 Anche il quarto motivo è infondato.

 

Va anzitutto disattesa l'eccezione di improcedibilità dell'azione penale per l'asserita inosservanza dell'obbligo di sospensione imposto al pubblico ministero dal secondo comma dell'art. 371 bis c.p.

 

Infatti la sentenza impugnata afferma che il procedimento avente per oggetto il reato di false informazioni al pubblico ministero fu instaurato dopo l'emissione del decreto di archiviazione (v. pag. 68), e la difesa, nel sollevare l'eccezione, non allega atti né fornisce indicazioni atte a smentire l'assunto.

 

In merito alla falsità delle informazioni rese i giudici di merito hanno richiamato la confessione resa da C. l'1.7.2008 e soprattutto le numerose conversazioni intercettate nelle quali M. e C. concordarono la falsa versione abbozzata nell'atto di opposizione all'archiviazione e poi sostenuta oralmente avanti al pubblico ministero, ossia che alla guida dell'autovettura non c'era C.P. ma suo fratello C..

 

Pertanto solo il plateale disconoscimento delle risultanze processuali può permettere di sostenere che mancherebbe la prova della commissione del mendacio.

 

Infine va respinta la tesi dell'assorbimento del reato in questione in quello di calunnia, perché le false informazioni rese al pubblico ministero, pur se germinate nell'ambito del medesimo disegno criminoso, non ripetono il fatto già esposto nella denuncia del 20.12.2007, ma rappresentano un'evoluzione innovativa. Infatti, mentre nella denuncia si espone che C. sedeva al posto di guida ma l'autovettura non stava circolando, nelle false dichiarazioni rese al pubblico ministero non si contesta più che l'auto sia stata fermata dai carabinieri, ma si afferma che alla guida era C.C.. Pertanto non si è verificata una reiterazione di precedenti dichiarazioni già integranti il reato di calunnia, bensì la falsa rappresentazione in tempi diversi di fatti diversi, che danno luogo ad autonome e diverse fattispecie di reato (v. Cass., Sez. VI 6.5.2003, Fedeli, rv 227714).

 

p.2.5 Il quinto motivo è fondato.

 

Sul tema dei rapporti tra falsa testimonianza o false dichiarazioni al pubblico ministero e favoreggiamento personale non esiste in dottrina né in giurisprudenza uniformità di vedute, pur essendo prevalente l'indirizzo che tende a riconoscere un concorso apparente di norme che va risolto con l'applicazione esclusiva delle ipotesi di reato previste dagli artt. 371 bis e 372 c.p., che, anche per la maggiore severità della pena, più compiutamente esprimono il disvalore della condotta perseguita.

 

Volendo sintetizzare, si possono enucleare due orientamenti:

 

- uno, che sottolinea la diversità dei beni tutelati, rilevando che le norme di cui agli artt. 371 bis e 372 c.p. tendono a preservare la veridicità e completezza delle dichiarazioni, mentre il favoreggiamento tende a evitare intralci all'opera di investigazione degli organi inquirenti;

 

- l'altro, invece, partendo dalla considerazione che le norme incriminatrici di cui agli artt. 371 bis e 378 c.p. disciplinano la stessa materia dal momento che tutelano entrambe il regolare svolgimento dell'attività investigativa, ravvisa un rapporto di specialità unilaterale per specificazione, perché alla norma generale dettata dall'art. 378 c.p. che prevede una fattispecie a condotta libera, se ne accosta un'altra che, tra le molteplici azioni potenzialmente idonee a pregiudicare il regolare sviluppo delle indagini, incrimina soltanto quella che si materializza in dichiarazioni false o reticenti rese al pubblico ministero (Cass., Sez. VI 12.10.1998 n. 13398, Forni, rv 212108).

 

Di recente la Corte costituzionale si è soffermata sull'argomento, osservando che le attività di indagine compiute dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero mediante l'assunzione delle sommarie informazioni rispettivamente previste dagli artt. 351 e 362 c.p.p. "presentano una sostanziale omogeneità, in quanto appartengono alla fase procedimentale delle indagini preliminari. Pertanto, tra il delitto di false dichiarazioni rese al pubblico ministero e quello di favoreggiamento dichiarativo commesso con la condotta di false o reticenti informazioni rese alla polizia giudiziaria, si evidenzia una sostanziale omogeneità del bene protetto, che consiste nella funzionalità di ciascuna fase rispetto agli scopi propri nei quali le esigenze investigative e quelle di ricerca della verità si sommano, sicché gli artt. 378, 371 bis e 372 c.p. finiscono per presidiare ciascuno una fase distinta del procedimento e del processo, restando simmetricamente esclusa l'eventualità che la stessa condotta integri la violazione di più d'una di tali norme secondo lo schema del concorso formale di reati" (sentenza n. 75/2009).

 

Pertanto, che si voglia assegnare alle norme in questione una distinta oggettività giuridica o che si preferisca accomunarle nella sostanziale omogeneità del bene protetto, il risultato è il medesimo, ossia l'inapplicazione dell'art. 378 c.p. in favore del reato previsto dall'art. 371 bis c.p..

 

p.2.6 Infine sono infondati i motivi raccolti sotto il numero 6.

 

I giudici del merito hanno ritenuto di infliggere una pena superiore al minimo edittale al fine di adeguarla - come prescrive l'art. 133 c.p. - alla gravità del fatto e alla personalità del reo. A tale scopo, con valutazione discrezionale non sindacabile in sede di legittimità, hanno rimarcato la notevole gravità dei fatti, la forte intensità del dolo, l'elevata capacità a delinquere, il numero dei reati commessi, la totale assenza di qualsivoglia minimo senso di legalità e di rispetto delle norme sociali.

 

 

Hanno altresì negato le attenuanti generiche, osservando che M. è soggetto plurirecidivo, che non ha mai manifestato il minimo segno di ravvedimento, per cui non esistevano ragioni per concedere le invocate attenuanti.

 

Quanto alla provvisionale, la sua concessione non abbisogna di una particolare motivazione ed è per legge immediatamente esecutiva. L'importo è stato determinato con criterio equitativo, commisurandolo alla gravità, più volte sottolineata, dell'offesa arrecata alle parti lese e, comunque, non ha valore vincolante di giudicato per il giudice civile che dovrà pronunciare le statuizioni definitive sul risarcimento del danno.

 

p.2.7 Per concludere, gli annullamenti pronunciati, riguardando reati satelliti, comportano la necessità di rideterminare l'aumento di pena da infliggere a titolo di continuazione per i residui reati di cui ai capi 5, 6 e 7, ferma restando la pena base irrogata per la violazione più grave, rappresentata dalla calunnia (capo 4).

 

Ai sensi dell'art. 627, comma 5, c.p.p., per l'effetto estensivo dell'impugnazione fondata motivi non esclusivamente personali, l'annullamento della sentenza relativamente alle condanne per i reati di cui ai capi 2 e 3, vale anche nei confronti di C.P. e, quindi, il giudice del rinvio dovrà rideterminare, anche per costui, l'aumento di pena a titolo di continuazione per il residuo reato di cui al capo 5.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

La Corte di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M. e, per l'estensione dell'impugnazione, nei confronti di C., limitatamente ai reati di cui ai capi 2 e 3, perché il fatto non sussiste e, inoltre, nei confronti di M. in ordine al reato di cui al capo 7, perché assorbito in quello di cui al capo 5;

 

rinvia per la determinazione delle pene ad altra sezione della Corte d'appello di Milano;

 

rigetta nel resto il ricorso.

 

 

 

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