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RIFLESSIONI IN MATERIA DI ACCORDO AMICHEVOLE EX D.LGS. 28/2010 di Carlo Berti- Diritto e Processo.it

 

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di Carlo Berti, Professore associato di Diritto Privato presso l’Università degli Studi di Bologna

 

Il recente D.Lgs. 04.03.2010, n. 28, in materia di conciliazione nelle controversie civili e commerciali, stimola il civilista ad investigare natura e caratteristiche sostanziali dell’ “accordo amichevole” cui è preordinata la procedura conciliativa che trova proprio in quella normativa la propria fonte regolatrice.

 

Emerge, infatti, l’esigenza di verificare se possa dirsi introdotto un “nuovo contratto”, con propria causa tipica, oppure se trattasi di accordo già presente e regolato nel nostro ordinamento. Esigenza tanto più avvertita se si tiene conto della scarsa disciplina regolatrice fornita dal legislatore, con riguardo alle “regole” e ai “contenuti” di tale accordo.

 

La descritta lacuna non esonera, però, l’interprete dal dare risposta al necessario interrogativo correlato alla esigenza di conformare anche questo atto di autonomia contrattuale a regole già previste per gli altri contratti tipici - eventualmente individuando quali tra questi possa essere l’eventuale modello di riferimento - oppure ad una nuova categoria - e/o “tipo” - negoziale.

 

Le conseguenze che possono derivare dal condividere una delle divisate opzioni piuttosto che l’altra, sono evidenti: nel primo caso, infatti, il giudizio di “meritevolezza di tutela” ex art. 1322 c.c. potrebbe dirsi già integrato; nel secondo, invece, trattandosi di “nuovo” contratto, spetterebbe all’interprete verificare se ed in che termini potrebbe dirsi positivamente superato.

 

Trattasi di problema di non poco conto, se solo si considera che anche l’art. 12 del D.Lgs. 28/2010 presuppone una sua soluzione, nella parte in cui richiede, in sede di omologazione del verbale di “accordo amichevole”, un necessario vaglio di conformità dello stesso “alle norme imperative ed all’ordine pubblico”. Optando per una supposta natura ricognitiva di figure negoziali già presenti nel nostro ordinamento, verrebbe infatti meno per il giudice la necessità di condurre una indagine volta ad isolare l’elemento causale di siffatta figura negoziale, per poi differenziarlo da quello caratterizzante le altre figure contrattuali affini, individuando, così, la relativa meritevolezza di tutela. In questo caso, infine, la fonte disciplinatrice di riferimento andrebbe individuata nelle - non di certo sufficienti - norme sostanziali contenute nel D.Lgs. 28/2010, oltre che nella disciplina generale del contratto (artt. 1322-1469 c.c.) ed, infine, nella disciplina di ciascun contratto tipico attraverso il ricorso all’analogia, pur sempre, però, nei limiti consentiti dall’art. 12 delle preleggi. Nella differente soluzione prospettabile, l’“accordo amichevole” parteciperebbe della disciplina negoziale via via in concreto utilizzata dalle parti, sulla base di una valorizzazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, senza la necessità di attribuire allo stesso un profilo di autonomia causale che lo differenzi rispetto ai tipi legali previsti ex artt. 1470 ss c.c.; in tal caso, il ricorso alla disciplina generale sul contratto sarebbe consentito solo nei casi di lacuna normativa palesata dalla singola e tipica disciplina negoziale di riferimento.

 

Anche sotto il profilo dei rimedi invalidanti l’ “accordo amichevole”, diverse sarebbero le soluzioni prospettabili ove si giungesse a considerare tale figura negoziale come dotata di rilevanza e/o autosufficienza causale o meno, tenuto conto del differente regime eventualmente invocabile: si pensi, ad esempio, nel caso di sostanziale e concreta assimilazione causale dell’ “accordo amichevole” alla transazione, ai notevoli limiti posti dall’art. 1969 c.c. all’annullamento della transazione in errore di diritto, ovvero allo specifico regime previsto, sempre per tale figura negoziale, in tema di rescissione ex art. 1970 c.c..

 

Diverse sarebbero, ovviamente, le conseguenze, sul descritto piano, in presenza di una disciplina alternativa rispetto a quella del contratto tipico di riferimento.

 

Posti in tali termini le premesse della prospettata problematica, ritengo che, da un corretto approccio alla disciplina introdotta dal D.Lgs. 28/2010, non possa che discendere la impossibilità di ricorrere, nell’ “accordo amichevole” introdotto dalla richiamata normativa, un tipo contrattuale autonomo rispetto alle figure negoziali via via utilizzate per realizzare il fine cui la procedura ivi prevista è strumentale.

 

L’ “accordo amichevole”, privo di una dignità causale autonoma sembra, quindi, potersi conformare alle varie figure contrattuali già esistenti - e già ritenute meritevoli di tutela - via via ed in concreto ritenute più idonee a soddisfare gli interessi delle parti in sede conciliativa.

 

Compito dell’interprete sarà pertanto verificare la causa - tipica - in concreto prescelta dalle parti al fine di ritenere applicabile, anzitutto, la correlata disciplina negoziale.

 

Sotto un ulteriore profilo, il sindacato giudiziale di conformità dell’ “accordo amichevole” ai principi di ordine pubblico ed alle norme imperative previste dall’art. 12 del D.Lgs. 28/2010 non potrà essere condotto se non dopo avere individuato il titolo negoziale in concreto utilizzato dalle parti per giungere ad una soluzione conciliativa della lite.

 

Tale sindacato, poi, non potrà prescindere dalla disciplina imperativa prevista dal nostro ordinamento rispetto alla tipologia contrattuale in concreto condivisa e prescelta dalle parti.

 

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