Avv. Paolo Nesta


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Giudizio amministrativo, spese senza soccombenza- (Decisione Consiglio di Stato 05/05/2011, n. 2695-Ipsoa.it

 

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Evoluzione legislativa

 

 

Vi è una palese tendenza del legislatore a rendere sempre più stringente la deroga alla regola secondo cui le spese seguono la soccombenza. La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che il T.A.R. ha amplissimi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare, totalmente o parzialmente alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi.

Nel caso di specie i giudici di Palazzo Spada hanno esaminato il capo degli appelli volto a censurare la compensazione delle spese resa nel giudizio di primo grado, e che la Sezione ha ritenuto non meritevole di accoglimento, intendendo conformarsi al pacifico orientamento del Consiglio (cfr, da ultimo, Sezione VI, n. 892, 14 dicembre 2010, depositata il 9 febbraio 2011).

L’articolo 26 del codice del processo amministrativo stabilisce, al comma 1, la regola secondo cui, “quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile”, quindi confermando il principio secondo cui la pronuncia sulle spese del giudizio è soggetta alla stessa disciplina prevista per il processo civile e, in linea generale, in base all’art. 91 dello stesso codice, le spese seguono la soccombenza.

Tuttavia, in forza dell’articolo 92, comma secondo, del codice, nel testo originario “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

Successivamente, la legge 28 dicembre 2005 n. 263 ha modificato la disposizione prevedendo che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

Infine, il testo attualmente vigente, derivante dalle ulteriori modifiche disposte dalla legge n. 69/2009, stabilisce che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

Vi è quindi una palese tendenza del legislatore a rendere sempre più stringente la deroga alla regola secondo cui le spese seguono la soccombenza.

In tale quadro di riferimento, la giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che il T.A.R. ha amplissimi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare, totalmente o parzialmente alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (cfr., fra le altre, citato Cons. Stato, VI, n. 892/2011), e la valutazione di merito sulla compensazione delle spese non è sindacabile neppure per difetto di motivazione.

Quanto detto vale sia in riferimento alle sentenze di merito che a quelle meramente processuali nelle quali, infatti, pur sussiste una soccombenza virtuale nei confronti del soggetto che ha agito con un atto poi dichiarato inammissibile o improcedibile (Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2010 n. 8224).

 

 

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