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E' LEGITTIMA LA DETERMINAZIONE DEL RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO IN MISURA SUPERIORE A QUELLA TABELLARE - In base al criterio della personalizzazione (Cassazione Sezione Lavoro n. 9238 del 21 aprile 2011, Pres. Vidiri, Rel. Meliadò)-Legge e giustizia.it.

 

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Franco R., dipendente della s.p.a. Rinaldo Piaggio, dopo avere a lungo lavorato in condizioni di esposizione all'amianto, è stato colpito da una forma tumorale maligna che, dopo quasi tre anni di malattia, lo ha condotto alla morte. Gli eredi hanno chiesto, tra l'altro, al Tribunale di Genova di condannare l'azienda al risarcimento del danno subito dal loro congiunto. Il Tribunale ha accolto le domande e ha determinato il risarcimento in misura pari al doppio di quanto previsto dalla tabella normalmente applicata in materia di danno biologico. La decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Genova. La Gestione Liquidazione dell'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte genovese, tra l'altro, per avere determinato il risarcimento in misura superiore a quella tabellare.

 

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 9238 del 21 aprile 2011, Pres. Vidiri, Rel. Meliadò) ha rigettato il ricorso. Richiamando l'orientamento espresso alle Sezioni Unite nella sentenza n. 26973 del 2008, la Corte ha ricordato che nello specifico ambito lavoristico, che costituisce da sempre terreno di elezione per l'emersione ed il riconoscimento dei danni alla persona, per tali intendendosi il complesso dei pregiudizi che possono investire l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, si riscontra "un reticolato di disposizioni specifiche volte ad assicurare una ampia e speciale tutela alla <<persona>> del lavoratore con il riconoscimento espresso dei diritti a copertura costituzionale". In tal contesto - ha rilevato la Corte - la regola chiave dell'intervento delle SU - che il risarcimento "deve ristorare interamente il pregiudizio", a condizione che sia superata la soglia di offensività, posto che il sistema richiede "un grado minimo di tolleranza" - impone, in presenza di un pregiudizio costituzionalmente qualificato, quale criterio direttivo essenziale per la liquidazione del danno, una volta esclusa ogni operazione di mera sommatoria, un criterio di personalizzazione del risarcimento, che risulti strumentale alla direttiva del "ristoro del danno nella sua interezza". Ciò implica, in primo luogo, che, esclusa ogni duplicazione meramente nominalistica delle voci e dei titoli di danno, a fronte dell'omnicomprensività  che assume la categoria del torto non patrimoniale, si dovrà, comunque, tener conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, purché sia provata nel giudizio l'autonomia e distinzione degli stessi, atteso che, ove non  si realizzasse tale condizione, verrebbe vanificata la necessità di assicurare l'effettività della tutela, con la piena reintegrazione della sfera giuridica violata. Ne discende - ha affermato la Corte - che, in presenza della lesione di un diritto fondamentale della persona, la personalizzazione (id est l'integrità) del risarcimento imporrà la considerazione per ogni conseguenza del fatto lesivo, ivi compresi i pregiudizi esistenziali (quali le sofferenze di lungo periodo e il deterioramento obiettivamente accertabile della qualità della vita, che pur non si accompagnino ad una contestuale lesione dell'integrità psico-fisica in senso stretto), che siano riflesso della gravità della lesione e della capacità di compromettere bisogni ed esigenze fondamentali della persona. Così come ne deriva che il bisogno, segnalato dalle SU, che i giudici accertino "l'effettiva entità del pregiudizio" e provvedano "all'integrale riparazione" rende il criterio della personalizzazione del danno tendenzialmente incompatibile con metodologie di calcolo puramente automatiche ed astratte (v. ad es. Cass. n. 29191/2008, per la quale "vanno esclusi i meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico"), e cioè che non tengano conto, nell'ambito di una valutazione esaustiva e complessa e pur facendo ricorso a criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione, e quindi della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno. Deve, quindi, in sintesi affermarsi - ha concluso la Corte - che, in presenza della lesione di un diritto fondamentale della persona, la regola per cui il risarcimento deve ristorare interamente il pregiudizio impone di tener conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, purché sia provata nel giudizio l'autonomia e distinzione degli stessi, e che, a tal fine, il giudice deve provvedere all'integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell'ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione, e quindi della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno. Nel caso in esame - ha osservato la Cassazione - la corte territoriale, facendo corretta applicazione di tali principi, ha determinato la misura del risarcimento (quantificato in misura pari al doppio del danno biologico), tenendo conto delle ripercussioni, "massimamente penalizzanti", che la malattia aveva avuto sulla vita del danneggiato, e valorizzando, pertanto, nell'ottica di un risarcimento personalizzato, la penosità della sofferenza, le quotidiane difficoltà, le cure estenuanti e l'assenza di ogni prospettiva di guarigione, proprie di una persona affetta da un grave forma tumorale maligna ad esito infausto, che lo aveva condotto alla morte dopo quasi tre anni di malattia.

 

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