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ADIBIRE UN LAVORATORE A MANSIONI PER LE QUALI NON ABBIA RICEVUTO IL NECESSARIO ADDESTRAMENTO PUO' LEDERE LA SUA DIGNITA' - Ne consegue il diritto al riconoscimento deldanno non patrimoniale (Cassazione Sezione Lavoro n. 8527 del 14 aprile 2011,Pres. Roselli, Rel. Stile)-Legge egiustizia.it.

 

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RobertoD. dipendente della s.p.a. AEM Service, Azienda Energetica Milanese, conqualifica di impiegato ASS, dopo aver svolto per alcuni anni le mansioni diresponsabile della contabilità analitica è stato destinato all'ufficiofatturazioni con mansioni di mero controllo e collocato in sottordine a unimpiegato di qualifica inferiore. Dopo circa due anni egli si è rivolto alTribunale di Milano, sostenendo di avere subito una dequalificazione echiedendo la condanna dell'azienda al risarcimento del danno non patrimonialecostituito dalla lesione della dignità personale e del prestigio professionale.L'azienda si è difesa negando la dequalificazione e sostenendo che comunquel'assegnazione delle nuove mansioni era stata concordata con il lavoratore. IlTribunale, dopo avere svolto l'istruttoria ha condannato la datrice di lavoroal risarcimento del danno non patrimoniale in misura di euro 36.500. Questadecisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Milano.L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione dellaCorte milanese per vizi di motivazione e violazione di legge.

 

La Suprema Corte(Sezione Lavoro n. 8527 del 14 aprile 2011, Pres. Roselli, Rel. Stile) ha rigettato ilricorso osservando che la sentenza impugnata, alla luce delle risultanzeprobatorie emerse nel primo grado di giudizio, ha comparato, attraverso la lorodescrizione analitica, le mansioni in concreto svolte da Roberto D. fino all'agostodel 1999 (ovvero quelle di responsabile della contabilità analitica eresponsabile della contabilità fornitori) con quelle svolte successivamente atale data (ovvero quelle di controllo delle fatture con riferimento alleclausole contrattuali) ed è quindi giunta ad accertare la sussistenza delladequalificazione a cui è stato sottoposto il lavoratore. Il procedimentologico-giuridico seguito dalla Corte d'Appello di Milano - ha affermato laCassazione - è pertanto corretto e conforme agli insegnamenti dellagiurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della verifica dellegittimo esercizio dello "ius variandi"da parte del datore di lavoro, deve essere valutata dal giudice di merito - congiudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato - laomogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originariaappartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto allacompetenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazionedel patrimonio professionale acquisito dal dipendente nella pregressa fase delrapporto e nella precedente attività svolta.

Con riferimento alla possibilità di ritenerelegittima la dequalificazione ove oggetto di accordo con il lavoratore, laCorte ha rilevato che l'art. 2103 cod. civ., che tutela la professionalità delprestatore di lavorononché il diritto a prestare l'attività lavorativa per laquale si è stati assunti o si è successivamente svolta, vietandone l'adibizionea mansioni inferiori, è norma imperativa e quindi non derogabile nemmeno tra leparti, come sancisce l'ultimo comma di tale norma: "Ogni patto contrario è nullo". La Suprema Corte haritenuto prive di fondamento anche le censure concernenti l'accertamento deldanno non patrimoniale e la liquidazione del risarcimento. La sentenzaimpugnata - ha affermato la Cassazione - ha correttamente motivato la suadecisione rilevando come il lavoratore fosse stato assegnato all'usodell'elaboratore elettronico senza la previa, necessaria istruzione e quindicon disagio dovuto all'evidente ed incolpevole imperizia e con conseguentepregiudizio per la dignità personale e per il prestigio professionale, tutelatidall'art. 35, primo comma, Cost.. La giurisprudenza di legittimità ha in piùoccasioni affermato che "in caso diaccertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art.2103 cod. civ., il giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabilein cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativodanno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processologico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, inbase agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienzalavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata deldemansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altrecircostanze del caso concreto".   

 

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