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"- la questione concernente la
responsabilità del crollo del tetto è stata affrontata
dai giudici del merito con riferimento alla domanda
riconvenzionale proposta dal P. avente ad oggetto la
ripartizione delle spese necessarie alla ricostruzione
del tetto ed alle contrapposte tesi sviluppate dalle
parti in relazione alla responsabilità per il ritardo
nell'esecuzione dei lavori necessari per la riparazione
o il ripristino del tetto."
(Pres. Triola – Rel. Di Celso)
Svolgimento del processo
C..S. conveniva in giudizio A..P.
chiedendone la condanna al risarcimento dei danni
causati all'immobile di proprietà di esso attore dal
crollo del soprastante "suppenno" del convenuto.
Il P. si costituiva e deduceva che
il crollo aveva riguardato non il "suppenno" ma il tetto
comune mai riparato malgrado gli inviti rivolti al S..
Il convenuto proponeva domanda riconvenzionale per i
danni subiti dalla sua proprietà, nonché per la
ripartizione delle spese necessarie alla ricostruzione
del tetto.
Con sentenza 31/1/2003 l'adito
tribunale di Santa Maria Capua Vetere -accertata
l'avvenuta riparazione del tetto a cura delle parti -
dichiarava il P. tenuto a pagare al S. Euro 157,67.
Avverso la detta sentenza
proponevano appello principale il P. e incidentale il
S..
Con sentenza 25/10/2005 la corte di
appello di Napoli rigettava l'appello incidentale e, in
parziale accoglimento di quello principale, dichiarava
interamente compensate tra le parti le spese del
giudizio di primo grado. La corte di merito, per quel
che ancora rileva in questa sede, osservava: che secondo
il S. il tribunale avrebbe dovuto dichiarare la
responsabilità esclusiva del P. ex articolo 2051 c.c.
essendo il tetto, sia pur comune, nella sua completa
disponibilità in quanto proprietario del sottotetto; che
la detta tesi era infondata essendo la disciplina di cui
all'articolo 2051 c.c. diretta a tutelare i terzi
estranei danneggiati dalla cosa e non i condomini tra
loro; che ad avviso del S. il tribunale si sarebbe
dimenticato di liquidare in suo favore il danno
indiretto costituito dal mancato reddito di L. 3.600.000
pari all'ammontare dei canoni non versati dai conduttori
costretti ad abbandonare l'immobile in conseguenza del
crollo del tetto; che anche questa censura era infondata
in quanto l'espressa statuizione di rigetto della
domanda risar-citoria si fondava sul giudizio del primo
giudice, non specificamente impugnato dal S., secondo
cui l'inerzia del P., rispetto alle sollecitazioni a
riparare il tetto da parte del S., non integrava causa
di responsabilità esclusiva perché l'appellato ben
avrebbe potuto intraprendere concreta autonoma
iniziativa giudiziaria o extragiudiziaria per eseguire i
necessari lavori di ripristino del tetto comune con
successivo recupero della quota di spesa a carco dei
comunisti.
La cassazione della sentenza della
corte di appello di Napoli è stata chiesta da S.C. con
ricorso affidato a tre motivi. P.A. ha resistito con
controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso S.C.
denuncia violazione degli art. 2051, 2053 e 2043 c.c.
deducendo che la corte di appello ha errato
nell'affermare che l'art, 2051 c.c. non è applicabile
nei rapporti tra i condomini ma è diretto a tutelare i
terzi estranei. La sentenza 6398/99 della Corte di
cassazione richiamata nella sentenza impugnata afferma -
al contrario di quanto ritenuto dal giudice di secondo
grado - che il solaio interpiano tra due appartamenti,
in quanto comune, è riparato dai comunisti in parti
eguali a meno che detto solaio - come appunto nella
specie - rimanga danneggiato per esclusiva
responsabilità di uno dei comunisti tenuto di
conseguenza a rispondere in proprio ex articolo 2051
c.c. Nel caso in esame la c.t.u. e la prova testimoniale
hanno dimostrato che il solaio tra i due appartamenti
non è stato danneggiato dal tempo o dall'usura, ma dal
crollo del tetto in esclusivo possesso del P. quale
proprietario del sottotetto. Alla sostituzione o
riparazione del tetto più volte si era opposto, fino al
suo crollo, il P. sul quale deve quindi ricadere la
responsabilità per il detto crollo.
La censura è manifestamente
infondata posto che, come risulta dalla lettura della
sentenza impugnata e dello stesso ricorso, il S. con
l'atto introduttivo del giudizio aveva sostenuto che i
danni al suo appartamento erano derivati dal crollo del
"suppenno" di proprietà del P.. Dalla c.t.u. espletata
in primo grado è invece emerso che i danni alla
proprietà del S. erano stati causati dal crollo non del
"suppenno" di proprietà esclusiva del P., ma del tetto
di copertura dell'edificio condominiale rientrante tra i
beni comuni con conseguente inapplicabilità
dell'articolo 2051 c.c., norma che, come è noto, pone la
presunzione di responsabilità per i danni provocati
dalla cosa stessa a carico di chi ha l'effettivo potere
fisico su di essa, cioè chi ne ha l'effettiva padronanza
e disponibilità. Del pari è pacifico nella
giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui,
in tema di condominio di edifici, la ripartizione delle
spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti,
delle volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125
cod. civ,, riguarda le ipotesi in cui la necessità delle
riparazioni non sia da attribuirsi ad alcuno dei
condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a
singoli condomini trova applicazione il principio
generale secondo cui il risarcimento dei danni è a
carico di colui che li ha cagionati (sentenza 23/6/1999
n. 6398 richiamata dalla corte di appello e dallo stesso
ricorrente).
In applicazione dei detti principi
correttamente è stata rigettata dai giudici del merito
la domanda come formulata dall'attore il quale nell'atto
introduttivo del giudizio non aveva fatto alcun
riferimento al possesso del tetto da parte del P. - in
quanto proprietario del sottotetto - e ad una
imputabilità del crollo del bene comune a carico
esclusivo del condomino convenuto.
Al riguardo è opportuno evidenziare
che - come puntualmente precisato dalla corte di appello
alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata - la
questione concernente la responsabilità del crollo del
tetto è stata affrontata dai giudici del merito con
riferimento alla domanda riconvenzionale proposta dal P.
avente ad oggetto la ripartizione delle spese necessarie
alla ricostruzione del tetto ed alle contrapposte tesi
sviluppate dalle parti in relazione alla responsabilità
per il ritardo nell'esecuzione dei lavori necessari per
la riparazione o il ripristino del tetto.
Con il secondo motivo il ricorrente
denuncia violazione degli articoli 2043 e 2051 c.c.
sostenendo che, in base ad una corretta interpretazione
di detti articoli, il P. deve rispondere anche del danno
indiretto subito da esso S. per la mancata riscossione
dei canoni di locazione durante il periodo occorso per
la riparazione dell'immobile condotto in locazione dai
coniugi Pa. Il P., proprietario del sottotetto e custode
del tetto, si è rifiutato di ripararlo ed al riguardo è
evidente l'errore commesso dalla corte di appello
nell’affermare che era onere di esso S. intraprendere
un'azione legale nei confronti del P.
Il motivo è inammissibile.
Come sopra riportato nella parte
narrativa che precede, la corte di appello ha affermato
che la domanda proposta dal S. - volta ad ottenere il
risarcimento dei danni subiti per la mancata percezione
dei canoni di locazione dell'appartamento di sua
proprietà e derivanti dal rifiuto del P. di riparare il
tetto comune - era stata rigettata dal primo giudice
sulla base del rilievo "non specificamente impugnato dal
S." dell'omessa iniziativa in via giudiziaria o
extragiudiziaria al fine al fine di poter eseguire i
lavori di ripristino del tetto per poi recuperare la
quota di spesa a carico del P..
La detta affermazione della corte
di appello, circa la mancata specifica impugnazione
della "ratio decidendi" della pronuncia di primo grado
in tema di risarcimento danni, non è stata contestata
dal S. nel motivo di ricorso in esame per cui il capo
della sentenza di primo grado di rigetto della detta
domanda risarcitoria deve ritenersi coperto da giudicato
non potendo il ricorrente riproporre in questa sede di
legittimità una questione risolta dal giudice di primo
grado sulla base di una ragione giuridica non oggetto di
censura in sede di appello ed idonea di per sé -
indipendentemente dalla sua fondatezza - a reggere la
decisione.
Dal rigetto dei primi due motivi di
ricorso deriva logicamente l'infondatezza del terzo
motivo con il quale il S. deduce che le spese del
giudizio di primo e di secondo grado e quelle della
c.t.u. devono essere poste per intero a carico del P. in
quanto soccombente. Il ricorso va pertanto rigettato con
la conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella
misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro
200,00, oltre Euro 2.000,00 a titolo di onorari ed oltre
accessori come per legge.
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