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Tetto crollato: pagano i condomini ? Cassazione, sez. II, 8 settembre 2011, n. 18420

 

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"- la questione concernente la responsabilità del crollo del tetto è stata affrontata dai giudici del merito con riferimento alla domanda riconvenzionale proposta dal P. avente ad oggetto la ripartizione delle spese necessarie alla ricostruzione del tetto ed alle contrapposte tesi sviluppate dalle parti in relazione alla responsabilità per il ritardo nell'esecuzione dei lavori necessari per la riparazione o il ripristino del tetto."

 

(Pres. Triola – Rel. Di Celso)

 

Svolgimento del processo

 

C..S. conveniva in giudizio A..P. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati all'immobile di proprietà di esso attore dal crollo del soprastante "suppenno" del convenuto.

 

 

Il P. si costituiva e deduceva che il crollo aveva riguardato non il "suppenno" ma il tetto comune mai riparato malgrado gli inviti rivolti al S.. Il convenuto proponeva domanda riconvenzionale per i danni subiti dalla sua proprietà, nonché per la ripartizione delle spese necessarie alla ricostruzione del tetto.

 

 

Con sentenza 31/1/2003 l'adito tribunale di Santa Maria Capua Vetere -accertata l'avvenuta riparazione del tetto a cura delle parti - dichiarava il P. tenuto a pagare al S. Euro 157,67.

 

 

Avverso la detta sentenza proponevano appello principale il P. e incidentale il S..

 

 

Con sentenza 25/10/2005 la corte di appello di Napoli rigettava l'appello incidentale e, in parziale accoglimento di quello principale, dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di primo grado. La corte di merito, per quel che ancora rileva in questa sede, osservava: che secondo il S. il tribunale avrebbe dovuto dichiarare la responsabilità esclusiva del P. ex articolo 2051 c.c. essendo il tetto, sia pur comune, nella sua completa disponibilità in quanto proprietario del sottotetto; che la detta tesi era infondata essendo la disciplina di cui all'articolo 2051 c.c. diretta a tutelare i terzi estranei danneggiati dalla cosa e non i condomini tra loro; che ad avviso del S. il tribunale si sarebbe dimenticato di liquidare in suo favore il danno indiretto costituito dal mancato reddito di L. 3.600.000 pari all'ammontare dei canoni non versati dai conduttori costretti ad abbandonare l'immobile in conseguenza del crollo del tetto; che anche questa censura era infondata in quanto l'espressa statuizione di rigetto della domanda risar-citoria si fondava sul giudizio del primo giudice, non specificamente impugnato dal S., secondo cui l'inerzia del P., rispetto alle sollecitazioni a riparare il tetto da parte del S., non integrava causa di responsabilità esclusiva perché l'appellato ben avrebbe potuto intraprendere concreta autonoma iniziativa giudiziaria o extragiudiziaria per eseguire i necessari lavori di ripristino del tetto comune con successivo recupero della quota di spesa a carco dei comunisti.

 

 

La cassazione della sentenza della corte di appello di Napoli è stata chiesta da S.C. con ricorso affidato a tre motivi. P.A. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

 

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso S.C. denuncia violazione degli art. 2051, 2053 e 2043 c.c. deducendo che la corte di appello ha errato nell'affermare che l'art, 2051 c.c. non è applicabile nei rapporti tra i condomini ma è diretto a tutelare i terzi estranei. La sentenza 6398/99 della Corte di cassazione richiamata nella sentenza impugnata afferma - al contrario di quanto ritenuto dal giudice di secondo grado - che il solaio interpiano tra due appartamenti, in quanto comune, è riparato dai comunisti in parti eguali a meno che detto solaio - come appunto nella specie - rimanga danneggiato per esclusiva responsabilità di uno dei comunisti tenuto di conseguenza a rispondere in proprio ex articolo 2051 c.c. Nel caso in esame la c.t.u. e la prova testimoniale hanno dimostrato che il solaio tra i due appartamenti non è stato danneggiato dal tempo o dall'usura, ma dal crollo del tetto in esclusivo possesso del P. quale proprietario del sottotetto. Alla sostituzione o riparazione del tetto più volte si era opposto, fino al suo crollo, il P. sul quale deve quindi ricadere la responsabilità per il detto crollo.

 

 

La censura è manifestamente infondata posto che, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso, il S. con l'atto introduttivo del giudizio aveva sostenuto che i danni al suo appartamento erano derivati dal crollo del "suppenno" di proprietà del P.. Dalla c.t.u. espletata in primo grado è invece emerso che i danni alla proprietà del S. erano stati causati dal crollo non del "suppenno" di proprietà esclusiva del P., ma del tetto di copertura dell'edificio condominiale rientrante tra i beni comuni con conseguente inapplicabilità dell'articolo 2051 c.c., norma che, come è noto, pone la presunzione di responsabilità per i danni provocati dalla cosa stessa a carico di chi ha l'effettivo potere fisico su di essa, cioè chi ne ha l'effettiva padronanza e disponibilità. Del pari è pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui, in tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 cod. civ,, riguarda le ipotesi in cui la necessità delle riparazioni non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li ha cagionati (sentenza 23/6/1999 n. 6398 richiamata dalla corte di appello e dallo stesso ricorrente).

 

 

In applicazione dei detti principi correttamente è stata rigettata dai giudici del merito la domanda come formulata dall'attore il quale nell'atto introduttivo del giudizio non aveva fatto alcun riferimento al possesso del tetto da parte del P. - in quanto proprietario del sottotetto - e ad una imputabilità del crollo del bene comune a carico esclusivo del condomino convenuto.

 

 

Al riguardo è opportuno evidenziare che - come puntualmente precisato dalla corte di appello alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata - la questione concernente la responsabilità del crollo del tetto è stata affrontata dai giudici del merito con riferimento alla domanda riconvenzionale proposta dal P. avente ad oggetto la ripartizione delle spese necessarie alla ricostruzione del tetto ed alle contrapposte tesi sviluppate dalle parti in relazione alla responsabilità per il ritardo nell'esecuzione dei lavori necessari per la riparazione o il ripristino del tetto.

 

 

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 2043 e 2051 c.c. sostenendo che, in base ad una corretta interpretazione di detti articoli, il P. deve rispondere anche del danno indiretto subito da esso S. per la mancata riscossione dei canoni di locazione durante il periodo occorso per la riparazione dell'immobile condotto in locazione dai coniugi Pa. Il P., proprietario del sottotetto e custode del tetto, si è rifiutato di ripararlo ed al riguardo è evidente l'errore commesso dalla corte di appello nell’affermare che era onere di esso S. intraprendere un'azione legale nei confronti del P.

 

 

Il motivo è inammissibile.

 

 

Come sopra riportato nella parte narrativa che precede, la corte di appello ha affermato che la domanda proposta dal S. - volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti per la mancata percezione dei canoni di locazione dell'appartamento di sua proprietà e derivanti dal rifiuto del P. di riparare il tetto comune - era stata rigettata dal primo giudice sulla base del rilievo "non specificamente impugnato dal S." dell'omessa iniziativa in via giudiziaria o extragiudiziaria al fine al fine di poter eseguire i lavori di ripristino del tetto per poi recuperare la quota di spesa a carico del P..

 

 

La detta affermazione della corte di appello, circa la mancata specifica impugnazione della "ratio decidendi" della pronuncia di primo grado in tema di risarcimento danni, non è stata contestata dal S. nel motivo di ricorso in esame per cui il capo della sentenza di primo grado di rigetto della detta domanda risarcitoria deve ritenersi coperto da giudicato non potendo il ricorrente riproporre in questa sede di legittimità una questione risolta dal giudice di primo grado sulla base di una ragione giuridica non oggetto di censura in sede di appello ed idonea di per sé - indipendentemente dalla sua fondatezza - a reggere la decisione.

 

 

Dal rigetto dei primi due motivi di ricorso deriva logicamente l'infondatezza del terzo motivo con il quale il S. deduce che le spese del giudizio di primo e di secondo grado e quelle della c.t.u. devono essere poste per intero a carico del P. in quanto soccombente. Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

 

 

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