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IL PREAVVISO DI RIGETTO DELLA DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA NON PUO ESSERE OGGETTO DI AUTONOMA IMPUGNAZIONE-T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 27 gennaio 2011, n. 322

 

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Diritto e processo.com

Francesco Magnosi

 

(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 11/2011)

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Con la sentenza che si commenta la prima sezione del T.A.R. della Calabria-Catanzaro ha stabilito un interessante principio applicabile anche alla complessa questione della comunicazione dei motivi che ostano alla concessione dell’autorizzazione paesaggistica – cd. pre-diniego o pre-rigetto - secondo cui, può costituire oggetto di ricorso amministrativo solo un atto amministrativo che abbia i caratteri della definitività.

 

Infatti, stabilisce il Collegio, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto avverso l’atto con cui l’amministrazione statale o locale comunica, a tenore dell’art. 10-bis della Legge 241/1990, l’intenzione di rigettare la domanda di autorizzazione paesaggistica.

 

Inoltre, la sentenza in esame rappresenta un interessante spunto di studio considerando che recentissimamente, e precisamente con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, il legislatore è intervenuto proprio sul procedimento di autorizzazione paesaggistica prevedendo, tra l’altro, l’obbligo per la Soprintendenza di comunicare agli interessati il preavviso di parere negativo alla concessione dell’autorizzazione paesaggistica.

 

Infatti, nella vigenza del precedente regime tale obbligo non era affatto previsto e sulla applicabilità dell’art. 10-bis della legge 241/1990 si erano formati degli orientamenti del tutto contrastanti, che avevano indotto la giurisprudenza amministrativa a decretare la inapplicabilità della norma alle vicende del procedimento autorizzatorio in esame .

 

Le altre modifiche introdotte dal summenzionato Decreto Legge di cui pare utile qui dare conto al fine di un corretto inquadramento della disciplina in esame, consistono nell’aver introdotto una forma di silenzio-assenso nella definizione della procedura di autorizzazione paesaggistica, quando le previsioni del piano paesaggistico sono recepite dagli strumenti urbanistici locali e quando il piano paesaggistico sia stato il risultato di una approvazione congiunta tra Ministero e Regione interessata .

 

L’altra significativa innovazione assegna alla Soprintendenza, come detto, una nuova incombenza che consiste nell’obbligo di comunicare il preavviso di parere negativo all'interessato ai sensi della legge sulla trasparenza amministrativa. Si osservi che questa nuova funzione attribuita alla Soprintendenza si inserisce nel complessivo progetto del legislatore avviato a partire dal 1 gennaio 2010 con l’introduzione della nuova procedura di autorizzazione paesaggistica, ed inteso ad accrescere il ruolo dell’organo ministeriale nella gestione del vincolo paesaggistico, che attraverso la verifica delle domande di autorizzazione si realizza con la massima intensità.

 

Un'ulteriore novità riguarda l’efficacia dell'autorizzazione paesaggistica: con la modifica del comma 11 dell'art. 146 del Codice dei beni culturali il provvedimento avrà efficacia immediata per cui non bisognerà più attendere i 30 giorni fino ad ora previsti per la sua validità e per dare corso alle opere autorizzate.

 

Come è noto, il procedimento di autorizzazione paesaggistica consiste in una valutazione degli effetti dell’intervento pianificato sulla natura e sul paesaggio attraverso la comparazione dello status quo dell’area protetto con lo stato risultante dopo l’esecuzione dei lavori. In pratica, si tratta di effettuare una sorta di prognosi sugli effetti che, anche nel futuro, potranno avere gli interventi progettati sul paesaggio sottoposto a tutela. La sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento progettato con le attuali esigenze di tutela e conservazione dei valori ambientali e paesaggistici determinati attraverso l’apposizione dei vincoli e l’approvazione dei piani .

 

 

 

QUAESTIO IURIS

 

La vicenda in esame prende le mosse da una nota della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Cosenza, Catanzaro e Crotone del 25 maggio 2010, con cui è stato espresso parere negativo vincolante, ai sensi dell’art. 146, comma 5, del D.Lgs. n. 42/2004, in ordine all’accoglimento dell’istanza presentata dalle società ricorrenti per ottenere il nulla-osta paesaggistico relativo al piano attuativo unitario per la realizzazione di un villaggio turistico. In particolare, la Provincia di Catanzaro comunicava alle ricorrenti società il preavviso di rigetto della citata istanza di nulla-osta paesaggistico, invitando le medesime a presentare le proprie osservazioni.

 

Ai fini di una corretta esegesi delle motivazioni della sentenza emessa dai Giudici del T.A.R.-Calabria, occorre evidenziare che le ricorrenti, nonostante la sollecitazione a partecipare attivamente alla formazione del provvedimento amministrativo di loro interesse, hanno risposto di non volere interloquire con l’amministrazione in quanto, una volta intervenuto tale parere, la determinazione finale sarebbe stata comunque negativa.

 

Sulla base di questa premessa, è stato assunto che sia il preavviso di rigetto sia il successivo parere finale sarebbero stati comunque illegittimi per violazione dell’art. 10-bis della Legge n. 241 del 1990, in quanto, ad avviso dei ricorrenti, comunicare le ragioni ostative al rilascio dell’autorizzazione successivamente all’adozione di un parere negativo sarebbe inutile attesa la vincolatività di quest’ultimo.

 

In particolare, si sottolinea che il parere negativo sarebbe stato reso avendo riguardo alla situazione esistente nel 1967 allorquando la zona era vincolata. Non si sarebbe tenuto conto del fatto che al momento tale zona è stata trasformata in area edificabile destinata ad espansione turistica.

 

In terzo luogo, si è fatta valere la violazione degli artt. 5 e 114 della Costituzione e dell’art. 146, comma 6, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché l’invalidità degli atti impugnati per eccesso di potere, sub specie di sviamento dalla causa tipica. Ciò in quanto la Soprintendenza, pur in assenza di un piano paesaggistico contenente opposte indicazioni, ossia dell’unico strumento di pianificazione in grado di imporre ai Comuni la modifica della loro regolamentazione urbanistica, ha preteso di determinare una variazione implicita del Piano Regolatore Generale del Comune.

 

L’obbligatorietà dell’autorizzazione paesaggistica per l’avvio di opere edilizia in zone vincolate si coglie nella definizione stessa che dell’autorizzazione viene data: essa costituisce, infatti, atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o ad altri atti legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio e può essere rilasciata quando si verifica la compatibilità fra l’interesse paesaggistico tutelato e l’oggetto della progettazione. Siamo, dunque, in presenza di beni privati di interesse pubblico soggetti a un rigoroso regime conservativo.

 

La competenza ad adottare l’autorizzazione spetta alla Regione che può avvalersi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Il Codice dei beni culturali prevede che l’ente regionale può delegare l’esercizio delle funzioni, per i rispettivi territori, a Province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, ovvero a Comuni. Nella specie, la Legge della Regione Calabria 28 febbraio 1995, n. 3 ha delegato la Provincia.

 

Nell’ambito del procedimento volto all’adozione del provvedimento in esame, è necessario acquisire il parere vincolante del Soprintendente, il quale parere assume la caratteristica della sola obbligatorietà quando il piano paesistico sia stato approvato congiuntamente dalla Regione e dal Ministero.

 

Innovando rispetto alla previgente disciplina, dal 1 gennaio 2010 le funzioni statali vengono eserciate non in via successiva attraverso l’adozione di un atto di autotutela ma in via preventiva mediante un parere che si inserisce nell’ambito di un unico procedimento complesso.

 

Il successivo comma 8 dell’articolo 146 del Codice prescrive che «il Soprintendente rende il suddetto parere limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti». La stessa disposizione prescrive che «entro 20 giorni dalla ricezione del parere, l’amministrazione rilascia l’autorizzazione ad esso conforme oppure comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell’art. 10-bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ».

 

Il richiamato art. 10-bis prevede che «nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di 10 giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale».

 

La norma in esame mira ad «instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la P.A. ed il cittadino» al fine sia di «aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira, sia di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, consentendo una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire» .

 

 

 

LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AUTORIZZATORIO

 

La prescritta partecipazione svolge, pertanto, una funzione difensiva e collaborativa.

 

L’osservanza degli obblighi posti dall’art. 10-bis potrebbe assolvere anche ad una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento. Se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo punto di vista, si costringe l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa.

 

Dall’analisi del contenuto delle riportate disposizioni di regolamentazione del settore, risulta come l’articolo 146 del Codice, in ragione del richiamo effettuato all’art. 10-bis, presenti un contenuto non chiaro suscettibile di una duplice interpretazione.

 

Secondo una prima lettura, avendo il parere natura vincolante, nel caso di attuazione del piano paesistico solo da parte della Regione, ed intervenendo il preavviso di rigetto successivamente ad esso, la partecipazione del privato non sarebbe comunque idonea a mettere in discussione il contenuto del parere già reso. In questa prospettiva, il suddetto preavviso – che normalmente, in ragione della sua natura endoprocedimentale, non è autonomamente impugnabile – dovrebbe essere oggetto di immediata contestazione giudiziale per la sua capacità di determinare un arresto procedimentale e per il carattere della definitività.

 

È evidente come tale ricostruzione, per quanto possa essere giustificata dalla lettera della legge, vanificherebbe le plurime funzioni degli obblighi di comunicazione posti dall’art. 10-bis, riducendo la partecipazione procedimentale ad un mero simulacro formale, inidonea ad incidere sugli aspetti di rilevanza paesaggistica del provvedimento finale.

 

In una diversa prospettiva interpretativa, più aderente all’evoluzione dottrinale, la disposizione in esame deve essere intesa nel senso che, successivamente alla comunicazione del preavviso di rigetto in cui è reso noto, in particolare, il contenuto del parere vincolante, si può e si dovrebbe sempre instaurare un contraddittorio assicurando la partecipazione del privato che deve essere in grado di indurre le amministrazioni competenti a mutare, eventualmente, il contenuto della determinazione che si intendeva adottare. Ciò implica che le osservazioni fatte pervenire devono essere oggetto, quando tendono a contestare le motivazioni di natura paesaggistica contenute nel parere, di una autonoma valutazione da parte del Soprintendente, suscettibili di indurlo a propendere per la compatibilità dei progettati interventi con i valori paesaggistici espressi dall’area di riferimento.

 

Ecco perché a tal fine, l’interessato potrebbe anche apportare delle modifiche al progetto precedente tali che, esse, possano consentirne l’approvazione in sede di esame delle osservazioni proposte a seguito del preavviso inviato a mente dell’art. 10-bis.

 

 

 In altri termini, le amministrazioni statali che hanno, a diverso titolo, concorso alla definizione del contenuto del preavviso di rigetto sono obbligate ad aprire una parentesi procedimentale, seguendo l’iter prefigurato dall’art. 10-bis, al fine di valutare le eventuali osservazioni o un diverso progetto, fatti pervenire entro 10 giorni dal pre-diniego all’amministrazione, e di cui occorre tenere conto nell’adozione dell’atto finale, il quale è l’unico che può essere oggetto di un eventuale ricorso giurisdizionale.

 

In questa ottica, il preavviso di rigetto non è idoneo a determinare un arresto procedimentale e non assume i caratteri delle definitivà, con la conseguenza che oggetto di impugnazione deve essere esclusivamente l’atto finale adottato dall’amministrazione a seguito dello svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale, nel quale si sarà tenuto conto anche delle osservazioni al provvedimento di rigetto.

 

Appare preferibile seguire questa seconda opzione interpretativa, in quanto essa è la sola in grado di assegnare una valenza utile al richiamo operato dall’art. 146 del Codice alla norma contenuta nella legge n. 241/1990, consentendo, al contempo, la piena attuazione delle plurime funzioni perseguite mediante la garanzia della partecipazione del privato nelle forme indicate, ed una effettiva realizzazione del principio della trasparenza amministrativa .

 

Infatti, anche alla luce delle recentissime modifiche apportate al Codice dei beni culturali con il D.L. del maggio 2011 il legislatore, pur introducendo con l’obbligo della comunicazione da parte della Soprintendenza dei motivi che ostano alla concessione del nulla osta paesistico, degli elementi di apparente aggravamento ad una procedura che già si presentava per molti versi complicata, ha sicuramente inteso valorizzare il principio della trasparenza amministrativa. Quanto all’osservanza degli obblighi posti dall’art. 10-bis applicato alle vicende del procedimento paesistico esso potrà, inoltre, assolvere anche ad una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento.

 

In particolare, l’introduzione della obbligatorietà per la Soprintendenza di comunicare agli interessati il preavviso di rigetto dell’autorizzazione a tenore dell’art. 10-bis della legge 241/1990, assicurerà il dialogo permanente tra cittadino ed amministrazione, e contribuirà ad evitare il ricorso alla tutela giurisdizionale poiché l’interessato avrà la possibilità di far confluire nel procedimento tutte le sue osservazioni in merito al prospettato rigetto da parte dell’organo ministeriale, sottraendo il provvedimento finale alle lungaggini di un contenzioso amministrativo che può essere evitato se si osservano le norme sul procedimento.

 

Occorre altresì sottolineare come la sentenza in esame abbia attribuito un rinnovato valore alle osservazioni che devono essere fatte pervenire entro 10 giorni all’ente che comunica il pre-diniego, le quali devono essere oggetto, quando tendono a contestare le motivazioni di natura paesaggistica contenute nel detto parere, di una autonoma valutazione da parte del Soprintendente.

 

Diversamente si creerebbe un vulnus nei confronti degli obiettivi che il legislatore si è imposto con la previsione contenuta nell’art. 10-bis, che è rivolta non solo a favorire il dialogo tra privato e P.A., ma è anche tesa ad evitare che le contestazioni e le osservazioni avanzate nei confronti del preavviso di rigetto, se fondate ed accoglibili siano prese seriamente in considerazione dalla P.A. al fine di evitare che, in caso di analisi superficiale, esse vadano a costituire l’ossatura di un ricorso giurisdizionale che potrebbe venir tranquillamente evitato. Solo così si assicurerebbe la funzionalità dell’art. 10-bis.

 

Dunque, i ricorrenti hanno errato nell’impugnare il preavviso, potendo formare esclusivo oggetto del loro gravame solo il provvedimento finale diretto a negare l’autorizzazione, e non già il pre-diniego, che per la sua natura di atto endoprocedimentale non assume i caratteri della definitività, attesa la possibilità di essere modificato, nelle more del procedimento, sulla base delle osservazioni presentate dall’interessato.

 

In questa ottica, il preavviso di rigetto non è idoneo a determinare un arresto procedimentale, con la conseguenza che oggetto di impugnazione deve essere esclusivamente l’atto finale adottato dall’amministrazione a seguito dello svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale. Sulla base di tale interpretazione, il T.A.R. ha dichiarato inammissibile il ricorso per mancanza di interesse. Infatti, l’amministrazione provinciale si è limitata a comunicare il preavviso di rigetto e non ha adottato la determinazione finale che è l’unica che può essere oggetto di impugnazione.

 

È evidente che il Tribunale adito ha voluto anche affermare e valorizzare il principio della partecipazione procedimentale, secondo cui per il privato è più conveniente ed utile partecipare attivamente al procedimento amministrativo, visto e considerato il favore del legislatore stesso per questa partecipazione, sancita dalla legge sul procedimento amministrativo, che al momento viene estesa anche al procedimento paesaggistico grazie alla previsione del dialogo obbligato con la Soprintendenza.

 

Infatti, la previsione dell’obbligo di comunicazione costituisce un importante estensione dell’istituto della partecipazione procedimentale, in base al principio che la decisione amministrativa deve essere sempre il risultato di una dialettica tra le parti interessate .

 

Infine, il coinvolgimento effettivo dell’interessato al procedimento autorizzatorio, per l’importanza che assume l’interesse pubblico paesistico nel nostro ordinamento, può altresì consentire il superamento di dubbi e difficoltà che ove non chiariti in sede di procedimento, possono condurre ad apprestare una tutela affievolita al bene paesaggistico ed all’emanazione di provvedimenti imperfetti ed inidonei alla salvaguardia dell’interesse paesistico.

 

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso amministrativo per mancanza di interesse ogni qualvolta oggetto del ricorso sia il preavviso di rigetto a cui non è seguito un completo ed esauriente contraddittorio tra privato ed amministrazione diretto a completare la fase istruttoria e a rendere completa la determinazione finale che, secondo l’interpretazione fatta propria dalla sentenza in commento, ed a cui si aderisce, è l’unica che può essere oggetto di impugnazione.

 

 

 

 

 

 

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