Diritto e processo.com
Francesco Magnosi
(Estratto da Diritto e Processo
formazione n. 11/2011)
INTRODUZIONE
Con la sentenza che si commenta la
prima sezione del T.A.R. della Calabria-Catanzaro ha
stabilito un interessante principio applicabile anche
alla complessa questione della comunicazione dei motivi
che ostano alla concessione dell’autorizzazione
paesaggistica – cd. pre-diniego o pre-rigetto - secondo
cui, può costituire oggetto di ricorso amministrativo
solo un atto amministrativo che abbia i caratteri della
definitività.
Infatti, stabilisce il Collegio, è
inammissibile per carenza di interesse il ricorso
proposto avverso l’atto con cui l’amministrazione
statale o locale comunica, a tenore dell’art. 10-bis
della Legge 241/1990, l’intenzione di rigettare la
domanda di autorizzazione paesaggistica.
Inoltre, la sentenza in esame
rappresenta un interessante spunto di studio
considerando che recentissimamente, e precisamente con
il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, il legislatore è
intervenuto proprio sul procedimento di autorizzazione
paesaggistica prevedendo, tra l’altro, l’obbligo per la
Soprintendenza di comunicare agli interessati il
preavviso di parere negativo alla concessione
dell’autorizzazione paesaggistica.
Infatti, nella vigenza del
precedente regime tale obbligo non era affatto previsto
e sulla applicabilità dell’art. 10-bis della legge
241/1990 si erano formati degli orientamenti del tutto
contrastanti, che avevano indotto la giurisprudenza
amministrativa a decretare la inapplicabilità della
norma alle vicende del procedimento autorizzatorio in
esame .
Le altre modifiche introdotte dal
summenzionato Decreto Legge di cui pare utile qui dare
conto al fine di un corretto inquadramento della
disciplina in esame, consistono nell’aver introdotto una
forma di silenzio-assenso nella definizione della
procedura di autorizzazione paesaggistica, quando le
previsioni del piano paesaggistico sono recepite dagli
strumenti urbanistici locali e quando il piano
paesaggistico sia stato il risultato di una approvazione
congiunta tra Ministero e Regione interessata .
L’altra significativa innovazione
assegna alla Soprintendenza, come detto, una nuova
incombenza che consiste nell’obbligo di comunicare il
preavviso di parere negativo all'interessato ai sensi
della legge sulla trasparenza amministrativa. Si osservi
che questa nuova funzione attribuita alla Soprintendenza
si inserisce nel complessivo progetto del legislatore
avviato a partire dal 1 gennaio 2010 con l’introduzione
della nuova procedura di autorizzazione paesaggistica,
ed inteso ad accrescere il ruolo dell’organo
ministeriale nella gestione del vincolo paesaggistico,
che attraverso la verifica delle domande di
autorizzazione si realizza con la massima intensità.
Un'ulteriore novità riguarda
l’efficacia dell'autorizzazione paesaggistica: con la
modifica del comma 11 dell'art. 146 del Codice dei beni
culturali il provvedimento avrà efficacia immediata per
cui non bisognerà più attendere i 30 giorni fino ad ora
previsti per la sua validità e per dare corso alle opere
autorizzate.
Come è noto, il procedimento di
autorizzazione paesaggistica consiste in una valutazione
degli effetti dell’intervento pianificato sulla natura e
sul paesaggio attraverso la comparazione dello status
quo dell’area protetto con lo stato risultante dopo
l’esecuzione dei lavori. In pratica, si tratta di
effettuare una sorta di prognosi sugli effetti che,
anche nel futuro, potranno avere gli interventi
progettati sul paesaggio sottoposto a tutela. La sua
funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di
accertare in concreto la compatibilità dell’intervento
progettato con le attuali esigenze di tutela e
conservazione dei valori ambientali e paesaggistici
determinati attraverso l’apposizione dei vincoli e
l’approvazione dei piani .
QUAESTIO IURIS
La vicenda in esame prende le mosse
da una nota della Soprintendenza per i Beni
Architettonici e Paesaggistici per le Province di
Cosenza, Catanzaro e Crotone del 25 maggio 2010, con cui
è stato espresso parere negativo vincolante, ai sensi
dell’art. 146, comma 5, del D.Lgs. n. 42/2004, in ordine
all’accoglimento dell’istanza presentata dalle società
ricorrenti per ottenere il nulla-osta paesaggistico
relativo al piano attuativo unitario per la
realizzazione di un villaggio turistico. In particolare,
la Provincia di Catanzaro comunicava alle ricorrenti
società il preavviso di rigetto della citata istanza di
nulla-osta paesaggistico, invitando le medesime a
presentare le proprie osservazioni.
Ai fini di una corretta esegesi
delle motivazioni della sentenza emessa dai Giudici del
T.A.R.-Calabria, occorre evidenziare che le ricorrenti,
nonostante la sollecitazione a partecipare attivamente
alla formazione del provvedimento amministrativo di loro
interesse, hanno risposto di non volere interloquire con
l’amministrazione in quanto, una volta intervenuto tale
parere, la determinazione finale sarebbe stata comunque
negativa.
Sulla base di questa premessa, è
stato assunto che sia il preavviso di rigetto sia il
successivo parere finale sarebbero stati comunque
illegittimi per violazione dell’art. 10-bis della Legge
n. 241 del 1990, in quanto, ad avviso dei ricorrenti,
comunicare le ragioni ostative al rilascio
dell’autorizzazione successivamente all’adozione di un
parere negativo sarebbe inutile attesa la vincolatività
di quest’ultimo.
In particolare, si sottolinea che
il parere negativo sarebbe stato reso avendo riguardo
alla situazione esistente nel 1967 allorquando la zona
era vincolata. Non si sarebbe tenuto conto del fatto che
al momento tale zona è stata trasformata in area
edificabile destinata ad espansione turistica.
In terzo luogo, si è fatta valere
la violazione degli artt. 5 e 114 della Costituzione e
dell’art. 146, comma 6, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché
l’invalidità degli atti impugnati per eccesso di potere,
sub specie di sviamento dalla causa tipica. Ciò in
quanto la Soprintendenza, pur in assenza di un piano
paesaggistico contenente opposte indicazioni, ossia
dell’unico strumento di pianificazione in grado di
imporre ai Comuni la modifica della loro
regolamentazione urbanistica, ha preteso di determinare
una variazione implicita del Piano Regolatore Generale
del Comune.
L’obbligatorietà
dell’autorizzazione paesaggistica per l’avvio di opere
edilizia in zone vincolate si coglie nella definizione
stessa che dell’autorizzazione viene data: essa
costituisce, infatti, atto autonomo e presupposto
rispetto al permesso di costruire o ad altri atti
legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio e può
essere rilasciata quando si verifica la compatibilità
fra l’interesse paesaggistico tutelato e l’oggetto della
progettazione. Siamo, dunque, in presenza di beni
privati di interesse pubblico soggetti a un rigoroso
regime conservativo.
La competenza ad adottare
l’autorizzazione spetta alla Regione che può avvalersi
di propri uffici dotati di adeguate competenze
tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Il
Codice dei beni culturali prevede che l’ente regionale
può delegare l’esercizio delle funzioni, per i
rispettivi territori, a Province, a forme associative e
di cooperazione fra enti locali come definite dalle
vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali,
ovvero a Comuni. Nella specie, la Legge della Regione
Calabria 28 febbraio 1995, n. 3 ha delegato la
Provincia.
Nell’ambito del procedimento volto
all’adozione del provvedimento in esame, è necessario
acquisire il parere vincolante del Soprintendente, il
quale parere assume la caratteristica della sola
obbligatorietà quando il piano paesistico sia stato
approvato congiuntamente dalla Regione e dal Ministero.
Innovando rispetto alla previgente
disciplina, dal 1 gennaio 2010 le funzioni statali
vengono eserciate non in via successiva attraverso
l’adozione di un atto di autotutela ma in via preventiva
mediante un parere che si inserisce nell’ambito di un
unico procedimento complesso.
Il successivo comma 8 dell’articolo
146 del Codice prescrive che «il Soprintendente rende il
suddetto parere limitatamente alla compatibilità
paesaggistica del progettato intervento nel suo
complesso ed alla conformità dello stesso alle
disposizioni contenute nel piano paesaggistico entro il
termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti». La
stessa disposizione prescrive che «entro 20 giorni dalla
ricezione del parere, l’amministrazione rilascia
l’autorizzazione ad esso conforme oppure comunica agli
interessati il preavviso di provvedimento negativo ai
sensi dell’art. 10-bis della Legge 7 agosto 1990, n.
241, e successive modificazioni ».
Il richiamato art. 10-bis prevede
che «nei procedimenti ad istanza di parte il
responsabile del procedimento o l’autorità competente,
prima della formale adozione di un provvedimento
negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi
che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il
termine di 10 giorni dal ricevimento della
comunicazione, gli istanti hanno il diritto di
presentare per iscritto le loro osservazioni,
eventualmente corredate da documenti. Dell’eventuale
mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione
nella motivazione del provvedimento finale».
La norma in esame mira ad
«instaurare un contraddittorio a carattere necessario
tra la P.A. ed il cittadino» al fine sia di «aumentare
le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira,
sia di acquisire elementi che arricchiscono il
patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, consentendo
una migliore definizione dell’interesse pubblico
concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire» .
LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO
AUTORIZZATORIO
La prescritta partecipazione
svolge, pertanto, una funzione difensiva e
collaborativa.
L’osservanza degli obblighi posti
dall’art. 10-bis potrebbe assolvere anche ad una
importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando
che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi
nel procedimento. Se, infatti, non si rende edotto il
privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto
della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere,
in ambito procedimentale, il suo punto di vista, si
costringe l’interessato a proporre ricorso
giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che
avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede
amministrativa.
Dall’analisi del contenuto delle
riportate disposizioni di regolamentazione del settore,
risulta come l’articolo 146 del Codice, in ragione del
richiamo effettuato all’art. 10-bis, presenti un
contenuto non chiaro suscettibile di una duplice
interpretazione.
Secondo una prima lettura, avendo
il parere natura vincolante, nel caso di attuazione del
piano paesistico solo da parte della Regione, ed
intervenendo il preavviso di rigetto successivamente ad
esso, la partecipazione del privato non sarebbe comunque
idonea a mettere in discussione il contenuto del parere
già reso. In questa prospettiva, il suddetto preavviso –
che normalmente, in ragione della sua natura
endoprocedimentale, non è autonomamente impugnabile –
dovrebbe essere oggetto di immediata contestazione
giudiziale per la sua capacità di determinare un arresto
procedimentale e per il carattere della definitività.
È evidente come tale ricostruzione,
per quanto possa essere giustificata dalla lettera della
legge, vanificherebbe le plurime funzioni degli obblighi
di comunicazione posti dall’art. 10-bis, riducendo la
partecipazione procedimentale ad un mero simulacro
formale, inidonea ad incidere sugli aspetti di rilevanza
paesaggistica del provvedimento finale.
In una diversa prospettiva
interpretativa, più aderente all’evoluzione dottrinale,
la disposizione in esame deve essere intesa nel senso
che, successivamente alla comunicazione del preavviso di
rigetto in cui è reso noto, in particolare, il contenuto
del parere vincolante, si può e si dovrebbe sempre
instaurare un contraddittorio assicurando la
partecipazione del privato che deve essere in grado di
indurre le amministrazioni competenti a mutare,
eventualmente, il contenuto della determinazione che si
intendeva adottare. Ciò implica che le osservazioni
fatte pervenire devono essere oggetto, quando tendono a
contestare le motivazioni di natura paesaggistica
contenute nel parere, di una autonoma valutazione da
parte del Soprintendente, suscettibili di indurlo a
propendere per la compatibilità dei progettati
interventi con i valori paesaggistici espressi dall’area
di riferimento.
Ecco perché a tal fine,
l’interessato potrebbe anche apportare delle modifiche
al progetto precedente tali che, esse, possano
consentirne l’approvazione in sede di esame delle
osservazioni proposte a seguito del preavviso inviato a
mente dell’art. 10-bis.
In altri termini, le
amministrazioni statali che hanno, a diverso titolo,
concorso alla definizione del contenuto del preavviso di
rigetto sono obbligate ad aprire una parentesi
procedimentale, seguendo l’iter prefigurato dall’art.
10-bis, al fine di valutare le eventuali osservazioni o
un diverso progetto, fatti pervenire entro 10 giorni dal
pre-diniego all’amministrazione, e di cui occorre tenere
conto nell’adozione dell’atto finale, il quale è l’unico
che può essere oggetto di un eventuale ricorso
giurisdizionale.
In questa ottica, il preavviso di
rigetto non è idoneo a determinare un arresto
procedimentale e non assume i caratteri delle
definitivà, con la conseguenza che oggetto di
impugnazione deve essere esclusivamente l’atto finale
adottato dall’amministrazione a seguito dello
svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale, nel
quale si sarà tenuto conto anche delle osservazioni al
provvedimento di rigetto.
Appare preferibile seguire questa
seconda opzione interpretativa, in quanto essa è la sola
in grado di assegnare una valenza utile al richiamo
operato dall’art. 146 del Codice alla norma contenuta
nella legge n. 241/1990, consentendo, al contempo, la
piena attuazione delle plurime funzioni perseguite
mediante la garanzia della partecipazione del privato
nelle forme indicate, ed una effettiva realizzazione del
principio della trasparenza amministrativa .
Infatti, anche alla luce delle
recentissime modifiche apportate al Codice dei beni
culturali con il D.L. del maggio 2011 il legislatore,
pur introducendo con l’obbligo della comunicazione da
parte della Soprintendenza dei motivi che ostano alla
concessione del nulla osta paesistico, degli elementi di
apparente aggravamento ad una procedura che già si
presentava per molti versi complicata, ha sicuramente
inteso valorizzare il principio della trasparenza
amministrativa. Quanto all’osservanza degli obblighi
posti dall’art. 10-bis applicato alle vicende del
procedimento paesistico esso potrà, inoltre, assolvere
anche ad una importante finalità deflattiva del
contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che
dovrebbe svolgersi nel procedimento.
In particolare, l’introduzione
della obbligatorietà per la Soprintendenza di comunicare
agli interessati il preavviso di rigetto
dell’autorizzazione a tenore dell’art. 10-bis della
legge 241/1990, assicurerà il dialogo permanente tra
cittadino ed amministrazione, e contribuirà ad evitare
il ricorso alla tutela giurisdizionale poiché
l’interessato avrà la possibilità di far confluire nel
procedimento tutte le sue osservazioni in merito al
prospettato rigetto da parte dell’organo ministeriale,
sottraendo il provvedimento finale alle lungaggini di un
contenzioso amministrativo che può essere evitato se si
osservano le norme sul procedimento.
Occorre altresì sottolineare come
la sentenza in esame abbia attribuito un rinnovato
valore alle osservazioni che devono essere fatte
pervenire entro 10 giorni all’ente che comunica il
pre-diniego, le quali devono essere oggetto, quando
tendono a contestare le motivazioni di natura
paesaggistica contenute nel detto parere, di una
autonoma valutazione da parte del Soprintendente.
Diversamente si creerebbe un vulnus
nei confronti degli obiettivi che il legislatore si è
imposto con la previsione contenuta nell’art. 10-bis,
che è rivolta non solo a favorire il dialogo tra privato
e P.A., ma è anche tesa ad evitare che le contestazioni
e le osservazioni avanzate nei confronti del preavviso
di rigetto, se fondate ed accoglibili siano prese
seriamente in considerazione dalla P.A. al fine di
evitare che, in caso di analisi superficiale, esse
vadano a costituire l’ossatura di un ricorso
giurisdizionale che potrebbe venir tranquillamente
evitato. Solo così si assicurerebbe la funzionalità
dell’art. 10-bis.
Dunque, i ricorrenti hanno errato
nell’impugnare il preavviso, potendo formare esclusivo
oggetto del loro gravame solo il provvedimento finale
diretto a negare l’autorizzazione, e non già il
pre-diniego, che per la sua natura di atto
endoprocedimentale non assume i caratteri della
definitività, attesa la possibilità di essere
modificato, nelle more del procedimento, sulla base
delle osservazioni presentate dall’interessato.
In questa ottica, il preavviso di
rigetto non è idoneo a determinare un arresto
procedimentale, con la conseguenza che oggetto di
impugnazione deve essere esclusivamente l’atto finale
adottato dall’amministrazione a seguito dello
svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale.
Sulla base di tale interpretazione, il T.A.R. ha
dichiarato inammissibile il ricorso per mancanza di
interesse. Infatti, l’amministrazione provinciale si è
limitata a comunicare il preavviso di rigetto e non ha
adottato la determinazione finale che è l’unica che può
essere oggetto di impugnazione.
È evidente che il Tribunale adito
ha voluto anche affermare e valorizzare il principio
della partecipazione procedimentale, secondo cui per il
privato è più conveniente ed utile partecipare
attivamente al procedimento amministrativo, visto e
considerato il favore del legislatore stesso per questa
partecipazione, sancita dalla legge sul procedimento
amministrativo, che al momento viene estesa anche al
procedimento paesaggistico grazie alla previsione del
dialogo obbligato con la Soprintendenza.
Infatti, la previsione dell’obbligo
di comunicazione costituisce un importante estensione
dell’istituto della partecipazione procedimentale, in
base al principio che la decisione amministrativa deve
essere sempre il risultato di una dialettica tra le
parti interessate .
Infine, il coinvolgimento effettivo
dell’interessato al procedimento autorizzatorio, per
l’importanza che assume l’interesse pubblico paesistico
nel nostro ordinamento, può altresì consentire il
superamento di dubbi e difficoltà che ove non chiariti
in sede di procedimento, possono condurre ad apprestare
una tutela affievolita al bene paesaggistico ed
all’emanazione di provvedimenti imperfetti ed inidonei
alla salvaguardia dell’interesse paesistico.
Ne consegue la declaratoria di
inammissibilità del ricorso amministrativo per mancanza
di interesse ogni qualvolta oggetto del ricorso sia il
preavviso di rigetto a cui non è seguito un completo ed
esauriente contraddittorio tra privato ed
amministrazione diretto a completare la fase istruttoria
e a rendere completa la determinazione finale che,
secondo l’interpretazione fatta propria dalla sentenza
in commento, ed a cui si aderisce, è l’unica che può
essere oggetto di impugnazione.
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