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Tribunale di Bari: no scioglimento del contratto di lavoro dalla pa in via di autotutela -(Tribunale di Bari – Sezione Lavoro – Dott.ssa Silvia Rubino, Ordinanza 14 marzo 2011)- [Avv. Fabio Cardanobile-Filodiritto.it

 

 

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Nell’ordinanza cautelare, il Giudice di Bari affronta la questione (ancora poco affrontata dalla giurisprudenza di legittimità del Giudice ordinario) relativa ai poteri della P.A. datrice di lavoro, in relazione alla contrapposta posizione del contraente-lavoratore.

In particolare, il provvedimento del Giudice del Lavoro indaga i limiti entro i quali l’Amministrazione possa, provvedendo ad una rilettura delle norme di legge sottostanti alla sottoscrizione del contratto di lavoro subordinato, pretendere lo scioglimento del contratto di lavoro sulla base dell’annullamento, in via di autotutela, dell’atto amministrativo prodromico alla stipula del contratto stesso.

L’ordinanza del Tribunale di Bari si distingue poiché esamina la vicenda non soltanto alla luce della disciplina contenuta nel D.Lgs. 165/2001 (che comunque vincola l’Amministrazione ad agire “con i poteri e con le prerogative del datore di lavoro privato”, art. 2, D.Lgs. 165/2001), bensì affrontando anche la più ampia questione dell’affidamento del lavoratore e della irretroattività della “reinterpretazione unilaterale delle norme di legge”.

Nel provvedimento cautelare si evidenzia che la condotta dell’Amministrazione – che proceda, in via di autotutela, all’annullamento di un atto amministrativo (sulla base di una reinterpretazione delle norme di legge) e che voglia da ciò far discendere, tout court, lo scioglimento del contratto già perfezionatosi – “si traduce nella violazione dei più basilari principi propri del nostro ordinamento giuridico e che costituiscono conquiste di civiltà giuridica irrinunciabili, quali quello della tutela dei terzi, dell'apparenza del diritto, della rilevanza della buona fede, del formalismo giuridico, della certezza del diritto”.


 

[Avv. Fabio Cardanobile]

 

 

Tribunale Civile
Ordinanza 25.03.11
Tribunale di Bari: ordinanza cautelare illegittimo scioglimento del contratto di lavoro dalla pa sulla base dell’annullamento in via di autotutela

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI BARI
SEZIONE LAVORO

Il giudice, dott.ssa S. Rubino

sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 24.2.11, nella causa tra D., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Piero e Fabio Cardanobile, e la A.S.L., rappresentata e difesa dall’Avv. E.T.;

letti gli atti di causa e uditi i procuratori delle parti,

premesso il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso dal sig. D. ed inteso a sentir disporre la disapplicazione della Delibera n. 388 del 2010 e per l’effetto per sentir dichiarare il diritto alla conservazione delle mansioni di CPS – Tecnico della Prevenzione categoria D;

richiamate le difese dell’azienda;

osserva quanto segue.

È opportuno brevemente riassumere i fatti di causa.

Il ricorrente veniva assunto dalla USL BA/4 come Ausiliario Specializzato a seguito del superamento di pubblico concorso transitando poi nei ruoli della attuale ASL con inquadramento sino al 18.7.06 nella Categoria A per l’espletamento delle relative mansioni.

In seguito, vincitore di avviso pubblico, poneva in aspettativa il rapporto in atto e stipulava con la ASL contratto di lavoro a tempo determinato in data 17.7.06 per la durata dal 19.7.06 al 18.7.07 con inquadramento nel ruolo sanitario “profilo professionale: Collaboratore Professionale Sanitario – Tecnico della Prevenzione Categoria D” per la esecuzione delle prestazioni proprie della detta posizione. Da detta data pertanto, egli svolgeva le relative prestazioni presso il Dipartimento di Prevenzione SISP di Modugno ove era stato assegnato.

Alla scadenza del contratto la ASL deliberava di prorogarlo dal 19.7.07 sino al 31.12.07 in applicazione dell’art. 31 della legge Regionale n. 10/2007. Conseguentemente in data 1.8.07 le parti sottoscrivevano un ulteriore contratto a termine.

Nel frattempo la ASL, in attuazione della predetta L. n. 10/2007, con delibera n. 1657 del 15.10.07 stabiliva che “al personale in servizio presso le Aziende Regionali Sanitarie e gli IRCCS pubblici, destinatari della stabilizzazione, sino alla stipula del contratto a tempo indeterminato, viene prorogato il contratto in essere a tempo determinato”. Di conseguenza il Commissario Straordinario della ASL con delibera n. 4839 del 6.12.07 disponeva la proroga tra gli altri, anche del rapporto dell’odierno istante.

[omissis]

Quindi, a seguito della ulteriore proroga del contratto dal 21.11.08 al 17.7.09, le parti, in data 10.2.09 sottoscrivevano il contratto di lavoro a tempo indeterminato per il profilo di Coll. Prof. Sanit. – Tecnico della Prevenzione Cag. D. posto che, come espressamente stabilito nel contratto, il ricorrente “si trovava nelle condizioni previste dalla normativa per accedere alla stabilizzazione del rapporto di lavoro”.

Ebbene, con nota del 21.9.09 la ASL BA comunicava al ricorrente di aver avviato un procedimento per la risoluzione/annullamento di tutti gli atti amministrativi e/o contratti che lo vedevano inquadrato nel predetto profilo professionale; ciò avveniva in quanto la ASL procedeva alla reinterpretazione della normativa sulla stabilizzazione fornita dall’Assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia, secondo cui “le stabilizzazioni non avrebbero potuto interessare i lavoratori con rapporto di lavoro a tempo indeterminato che usufruivano dell’istituto della aspettativa in quanto costoro non avrebbero potuto essere considerati “precari”.

Quindi, con deliberazione n. 388 notificata al ricorrente in data 31.3.10, la ASL disponeva l’annullamento del contratto.

[omissis]

Tutto ciò premesso, il ricorrente rivendica con la presente azione la conservazione del posto di lavoro di cui al contratto sottoscritto in data 10.2.2009 denunciando la illegittimità della condotta tenuta dall’Azienda sotto i diversi profili che di seguito di vanno ad esaminare.

Orbene, ad avviso di questo giudice il ricorso merita accoglimento.

Circa il fumus boni iuris.

L’intervenuto scioglimento del vincolo contrattuale quale disposto dalla azienda appare invero connotato da illegittimità.

Come evidenziato, la azienda, in seguito alla rilettura della normativa sulla stabilizzazione quale fornita dall’Assessorato delle Politiche Sociali, ha ritenuto di avviare la procedura di annullamento del contratto sottoscritto con il ricorrente.

Dunque, a prescindere per il momento dalla analisi circa la legittimità o meno della rilettura della normativa e sulla scorta della quale l’ASL ha proceduto ad annullare il rapporto in essere con l’istante, ci si intende qui soffermare su un punto assolutamente rilevante e nel contempo decisivo della questione in esame, quello cioè, attinente alla possibilità per la pubblica amministrazione di rileggere una determinata normativa e, in via di autotutela, di poterla applicare retroattivamente a rapporti già regolarmente perfezionati.

Molteplici e diverse sono le ragioni per le quali non può ammettersi che diritti regolarmente acquisiti vengano in tal modo rimossi.

Innanzitutto si consideri che il ricorrente, in data 10.2.2009 veniva riconosciuto dalla stessa ASL in possesso dei requisiti per accedere alla procedura di stabilizzazione del proprio rapporto tanto che in detta data sottoscriveva il relativo contratto. Ciò significa che la azienda aveva evidentemente, ma altrettanto espressamente riconosciuto in capo al ricorrente contraente la sussistenza delle condizioni perché questi beneficiasse della stabilizzazione del proprio rapporto lavorativo. Ciò significa altresì che in capo al ricorrente, con la sottoscrizione del contratto, si cristallizzava il diritto soggettivo a quella situazione sostanziale e che il medesimo legittimamente confidava nella conservazione di quel determinato posto di lavoro.

Orbene, una successiva diversa interpretazione di quella medesima normativa alla luce della quale la ASL aveva espressamente riconosciuto di poter stabilizzare il rapporto lavorativo del ricorrente, non legittimava affatto la azienda stessa a rimuovere quella situazione soggettiva legittimamente acquisita. Infatti la azienda aderiva ad una lettura della normativa sulla stabilizzazione intervenuta allorquando il rapporto con il ricorrente era già perfezionato. In alcun modo la azienda poteva applicare detta nuova interpretazione normativa, intervenuta nel giugno 2009, retroattivamente ed unilateralmente a rapporti già definiti. Tale operato si traduce nella violazione dei più basilari principi propri del nostro ordinamento giuridico e che costituiscono conquiste di civiltà giuridica irrinunciabili quali quello della tutela dei terzi, dell'apparenza del diritto, della rilevanza della buona fede, del formalismo giuridico, della certezza del diritto. Sul punto efficacemente il Consiglio Stato sez. VI nella pronuncia del 30 maggio 2003 evidenzia come “… sarebbe infatti incongruo che l'annullamento di un atto amministrativo potesse intervenire con efficacia caducante su una serie di atti giuridici privatistici senza apprezzamento alcuno delle posizioni soggettive che i paciscenti hanno tenuto nel contrarre”.

Innanzitutto, come efficacemente evidenziato dalla difesa attorea, ammettendo tale operato significherebbe violare innanzitutto il principio di irretroattività della legge sancito dall’art. 14 delle Preleggi e dall’art. 3 Cost..

Non di meno esso comporta una inammissibile violazione della regola della vincolatività degli obblighi assunti dalle parti con la sottoscrizione del contratto, quale sancito dall’art. 1372 c.c.; non ultima rileva la lesione del principio dell’affidamento riposto dal soggetto nella certezza dei rapporti giuridici già regolarmente perfezionati.

Sul punto si richiama il monito espresso dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n.525 del 2000: “l’affidamento del cittadino sulla certezza giuridica – essenziale elemento dello Stato di diritto – non può essere leso da disposizioni retroattive che trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”. Dunque già un serio rispetto del principio dell’affidamento evidenzia la illegittimità dell’operato dell’azienda convenuta.

Si consideri peraltro che l’affidamento generato nel ricorrente nel diritto alla conservazione della posizione lavorativa acquisita è stato ulteriormente alimentato dalla stessa azienda mercè le diverse delibere e bandi emanati con i quali espressamente la stessa evidenziava che “vanno ovviamente compresi i dipendenti a tempo indeterminato, risultanti incaricati… a tempo determinato per altro profilo professionale (ed eventualmente altra categoria) rispetto al profilo professionale di appartenenza” (circ. prot. N. 205272 del 6.11.07); in particolare si richiama la delibera n. 960 del 21.4.08 con cui espressamente la ASL riconosceva in capo al ricorrente la sussistenza dei requisiti legittimanti la stabilizzazione del proprio rapporto lavorativo.

Allora, a ben vedere, la nota dell’Assessorato Regionale che forniva una diversa interpretazione della normativa sulla stabilizzazione avrebbe potuto, una volta recepita dalla ASL, avere incidenza e spiegare i sui conseguenti effetti sul rapporto de quo solo nella fase antecedente la sottoscrizione dello stesso. Tuttavia, in quanto intervenuta solo nel giugno 2009, allorquando il rapporto con il ricorrente era già definitivamente concluso, avrebbe legittimato una diversa regolamentazione solo con riferimento ai rapporti ancora da stabilizzare.

Ma, come accennato, ulteriori sono le ragioni per cui l’operato della azienda non può assolutamente considerarsi legittimo.

Ai sensi infatti dell’art. 2 del D.LGS 165/2001 la Pubblica Amministrazione opera nei rapporti con i privati, con i poteri propri del privato datore di lavoro. Ciò vuol dire che ad essa ormai resta precluso l’esercizio di poteri autoritativi. In altre parole il cd. potere di agire in autotutela ha oggi spazi assolutamente limitati non potendo spingersi esso sino a violare diritti acquisiti dai terzi in buona fede. In altre parole il nuovo modello di rapporto quale appunto delineato all’indomani della contrattualizzazione del pubblico impiego, impone alla PA di agire nel pieno rispetto dell’assetto negoziale conferito al rapporto. Trattasi di principio assolutamente pacifico ed acquisito come tale nell’ordinamento giuridico. In tal senso numerose e conformi sono le pronunce rese sia nella giurisprudenza di legittimità che in quella di merito. Si consideri Cass. Sez Un. 26 luglio 1993 n. 8347: “una volta che la volontà dell’ente e quella del concorrente si siano trasfuse in un atto di autonomia privata, come appunto il contratto di impiego, evocare il principio dell’autotutela significherebbe neutralizzare e porre nel nulla la rilevanza giuridica ed il conseguente regime di disciplina dell’assetto negoziale di interessi”. Parimenti il Consiglio di Stato stabilisce che “ la violazione delle norme attinenti alla fase di scelta dei contraenti nei procedimenti di formazione dei contratti ad evidenza pubblica, con conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione, determina la inefficacia del contratto stipulato… tale caducazione trova però temperamento nella salvezza dei diritti acquistati dai terzi in buona fede” (Cons. Stato Sez VI 30 maggio 2003 n. 2992).

Così nella giurisprudenza di merito: “la risoluzione del contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato con un docente, disposta dal provveditore agli Studi in via di autotutela è illegittima, presupponendo un'ottica provvedimentale incompatibile con il nuovo modello di rapporto di lavoro delineato dal D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modificazioni e con la conseguente privatizzazione del pubblico impiego" (T.a.r. Lazio, sez. Latina, 15 ottobre 1997, n. 977).
Dunque il richiamo al principio dell’autotutela, richiamato dalla difesa dell’azienda convenuta, resta assolutamente irrilevante in quanto configgente con il modello contrattuale delineato dal D.LGS 165/01 che vede la P.A. operante con i medesimi limiti propri del potere esercitato dal privato datore di lavoro: “In seguito alla contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego prevista dal d.lg. n. 165 dei 2001 la p.a. adotta le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro per cui non può più adottare unilateralmente modifiche od ancor peggio risoluzioni, rescissioni, revoche del contratto di lavoro, potendo conseguire il suddetto risultato solo con il ricorso all'autorità giudiziaria con gli strumenti del diritto comune (azione di annullamento, di risoluzione, di accertamento della nullità). La posizione equiordinata delle parti introdotta dalla nuova normativa rende infatti inammissibile il ricorso da parte della p.a. a strumenti di autotutela” (Tribunale Roma 03 marzo 2002).

Infine, “Qualora datore di lavoro sia la p.a., la regolamentazione del rapporto di pubblico impiego comporta per essa l'assoggettamento ad obblighi e doveri vincolativi che escludono o limitano, in larga misura, l'esercizio di poteri discrezionali nello svolgimento del rapporto di pubblico impiego. Ciò non comporta, tuttavia, che la p.a. difetti, sul piano prettamente privatistico, della capacità negoziale di transigere in materia, ma semmai implica che l'inosservanza di una disposizione inderogabile determina l'illegittimità degli eventuali atti o comportamenti adottati in contrasto con la normativa. Tale illegittimità può, ovviamente, formare oggetto, nelle forme previste dall'ordinamento, di contestazioni da parte dei soggetti che ne abbiano interesse ovvero di provvedimenti di autotutela (purché, in quest'ultimo caso, sussista un interesse pubblico specifico, adeguatamente motivato, alla rimozione dell'atto). Nondimeno l'illegittimità delle procedure amministrative propedeutiche alla conclusione del contratto non si riverbera nella successiva fase negoziale come causa di nullità assoluta o di automatica caducazione del contratto stipulato in forza di un provvedimento meramente illegittimo (che non sia precedentemente annullato o sospeso), nè può comportare una potestà dell'amministrazione di sciogliere, in via unica ed autoritativa, una pattuizione contrattuale già assunta negozialmente. Vero è piuttosto che i vizi del consenso della parte pubblica possono dar luogo, se del caso, alla annullabilità relativa del contratto”. (T.A.R. Napoli Campania sez. V 17 dicembre 2001 n. 5478).

Né la posizione acquisita dal ricorrente a seguito della sottoscrizione del proprio contratto di lavoro può definirsi “affievolita” a mero interesse legittimo. Trattasi di assunto assolutamente privo di qualsivoglia giustificazione giuridica: non può discutersi sulla valenza di pieno diritto soggettivo quale quello costituitosi in capo al ricorrente a seguito della sottoscrizione del contratto: intervenuta la stipula del contratto a tempo indeterminato ed instaurato quindi validamente il rapporto di lavoro, le sue vicende possono essere interpretate e valutate unicamente alla luce della categoria del diritto soggettivo.

A questo punto, se, in base a quanto sin qui esposto non può ritenersi legittima la delibera di annullamento n. 388 del 1.3.10, conseguentemente non può ritenersi operante l’”evento” cui le parti condizionavano la risoluzione del contratto, laddove e se la azienda ritiene integrato detto evento risolutivo appunto dalla reinterpretazione della normativa sulla stabilizzazione.

E’ ben vero che le parti nel contratto stabilivano che “è in ogni modo condizione risolutiva del contratto l’annullamento delle procedure che ne costituiscono il presupposto”. Ed infatti l’ASL nella nota inviata al ricorrente in data 14.12.10, richiamava, ai fini dell’annullamento del contratto, “l’annullamento della procedura di reclutamento”.

Ma è evidente in primo luogo che avrebbe dovuto trattarsi di procedure evidentemente legittime; ma, soprattutto la clausola fa evidentemente riferimento a eventi, interventi normativi nuovi, non certo potendo detto “evento” risolutivo essere costituito, come nella fattispecie in esame, dalla mera rilettura di una norma che ha costituito la base per il riconoscimento del diritto al reclutamento.

Né vale, a legittimare le determinazioni aziendali contestate, richiamare le finalità della stabilizzazione sottese, a dire della difesa convenuta, nel fornire stabilità ai lavoratori precari, posto che, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato “la finalità principale sottesa alle procedure di stabilizzazione del personale precario deve ravvisarsi non già nella esigenza di far venir meno la situazione di precarietà, bensì in quella di consentire all’Amministrazione di continuare ad avvalersi di particolari professionalità acquisite nell’ambito della stessa” (Cons. Stato n.101/2011). Conseguentemente, il fatto che il ricorrente avesse già in essere, sebbene quiescente, un rapporto a tempo indeterminato con l’Amministrazione, non può in alcun modo costituire legittimo ostacolo alla stabilizzazione del nuovo rapporto lavorativo.

Ma trattasi di circostanze e rilievi che perdono la loro valenza alla luce delle ragioni sin qui esposte che, ad avviso di questo giudice, travolgono ogni validità ed efficacia alla delibera impugnata.

Quanto sin qui esposto integra efficacemente il fumus boni iuris assorbendo ogni questione concernente la legittimità della interpretazione fornita dall’Assessorato e recepita dalla Azienda. Non è invero l’eventuale riconoscimento della legittimità di detta interpretazione che a sua volta legittimerebbe l’operato della ASL che, come sin qui spiegato, evidenzia tutta la propria lesività a prescindere dalle ragioni ad esso sottese, per il solo fatto che incide su di una situazione soggettiva già perfezionata.

Quanto all’elemento del periculum in mora, si ritiene che esso sia nella specie integrato dalla circostanza che le mansioni proprie della categoria A, affidate dalla azienda con la delibera n. 388/2010, sono palesemente inferiori a quelle proprie della categoria D quali invece afferenti al rapporto stabilizzato.

Dalla lettura del CCNL allegato agli atti, si evince che le mansioni proprie della categoria D sono connotate da un indiscutibile rilievo e professionalità richiedendo autonomia e responsabilità, capacità organizzative, conoscenze teoriche e pratiche, discrezionalità operativa, che invece difettano in quelle di cui alla categoria A. Le mansioni inerenti la categoria D rilevano senza dubbio per la delicatezza ed importanza, trattandosi di compiti di prevenzione, di verifica e controllo (in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande). Si consideri che il ricorrente nello svolgimento delle mansioni di cui a detta categoria è Ufficiale Giudiziario, nel mentre, le mansioni di cui alla categoria A consistono nella pulizia e riordino degli ambienti, apertura e chiusura degli uffici, nonché nelle operazioni di trasporto dei materiali in uso. Orbene, è evidente la palese dequalificazione professionale che il passaggio alla categoria A comporterebbe per il ricorrente; e si ritiene che si tratti di danno non certo quantificabile quindi risarcibile per equivalente in quanto in gioco vi è l’immagine professionale del ricorrente costretto a svolgere, nel medesimo ambiente lavorativo, mansioni palesemente inferiori a quelle in precedenza svolte. Detto danno, a parere di questo giudice, legittima una tutela immediata soprattutto in considerazione del complessivo atteggiarsi della vicenda.

Conclusivamente, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso va accolto e statuito in conformità.

PQM

Il Giudice accoglie il ricorso, sospende l’efficacia della deliberazione n. 388/2010 e ordina alla ASL convenuta di rassegnare il ricorrente alle mansioni di CPS – Tecnico della Prevenzione, Categoria D.

Condanna la ASL a rifondere il ricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessivi *** euro oltre iva e cpa.

Bari, 14.3.2011

Il giudice
Dr. Simonetta RUBINO

 

 

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