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Cassazione, assegno ai figli legittimi ridotto per mantenere i figli naturali-Gadit.it

 

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 Assegno ridotto in caso di figli naturali

 

 

 

Motivi della decisione. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme del procedimento (artt. 112, 277, 345 e 359 c.p.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (omessa pronuncia in ordine all'eccezione tempestivamente formulata dal C. di inammissibilità in appello della domanda di attribuzione dell'assegno di divorzio). Deduce il ricorrente di avere tempestivamente sollevato l'eccezione di inammissibilità della domanda dell'assegno di divorzio, rilevando che, siccome l'istanza avversaria non era stata coltivata nel giudizio di primo grado, non essendo stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, doveva considerarsi rinunciata, per cui non poteva essere riproposta nel giudizio di appello. La domanda, peraltro, era stata formulata in primo grado in modo del tutto generico ed indeterminato, essendo stata richiesta la conferma dell'assegno stabilito in sede di separazione, "dimenticando" che in quella sede non era stato riconosciuto alcun assegno. Il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciare su detta eccezione.

 

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione ed omessa applicazione dell'art. 5 comma 6 l. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 l. 6 marzo 1987 n. 74, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (riconoscimento del diritto all'assegno di divorzio nonostante la manifesta insussistenza dei presupposti e requisiti richiesti dalla legge).

 

Lamenta il ricorrente che la Corte di merito abbia posto a suo carico l'obbligo del mantenimento alla ex moglie, nonostante sia risultato in giudizio e sia stato ritenuto nella sentenza impugnata che la D.B. possiede mezzi adeguati al proprio sostentamento ed è comunque in grado di procurarseli.

 

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (attribuzione dell'assegno divorzile nonostante dalla sentenza impugnata risulti sia l'insussistenza degli elementi costitutivi dello stesso, sia l'irrisoria differenza tra il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e il tenore di vita attuale).

 

Deduce il ricorrente che vi sarebbe un incontestabile contrasto tra l'avere considerato che il C. si è formato un nuovo nucleo familiare con due nuovi figli che è tenuto a mantenere, che la D.B. ha una potenzialità reddituale superiore a quanto emerge dalla sua dichiarazione, dato che collabora anche alla gestione del bar gestito dalla madre, e l'aver poi riconosciuto alla ex moglie un assegno di divorzio di Euro 150,00. Inoltre un assegno di tale modesto importo sarebbe di per sé indicativo del fatto che non vi sarebbe una rilevanza apprezzabile tra il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e quello attuale.

 

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia difetto assoluto di motivazione in relazione all'artt. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (attribuzione ex novo dell'assegno divorzile senza indicare i giustificati motivi idonei a modificare l'assetto realizzato con i precedenti provvedimenti giudiziali).

 

Deduce il ricorrente che il riconoscimento ex novo di un assegno di mantenimento al coniuge richiedente, negato sia in sede di separazione sia nel primo grado del giudizio di divorzio, sarebbe ammissibile solo qualora sopravvengano giustificati motivi tali da rendere la sentenza già emessa non più adeguata alle nuove condizioni di fatto o alle nuove esigenze emerse dopo la pronuncia e denunciate dal coniuge istante, mentre nel caso di specie l'assetto realizzato con i provvedimenti precedenti sarebbe rimasto inalterato per più di dieci anni.

 

Né in primo grado né in appello controparte aveva denunciato e men che meno provato la sopravvenienza di nuove circostanze.

 

La Corte di merito avrebbe accolto la domanda di controparte fondando l'attribuzione dell'assegno mai in precedenza riconosciuto esclusivamente sulle più recenti dichiarazioni dei redditi delle parti, senza esporre le ragioni sopravvenute, che giustificavano tale provvedimento.

 

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e omessa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (accoglimento della domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile in assenza di prove proposte e fornite dal coniuge richiedente sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio).

 

Deduce il ricorrente che avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che il coniuge richiedente l'assegno divorzile non fosse in grado di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio senza che fosse stato prima provato quale fosse il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dai coniugi C. - D.B. .

 

Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, in via subordinata, violazione di norme del procedimento (artt. 115 e 116 c.p.c., 2679 c.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (attribuzione dell'assegno divorzile nonostante la mancanza di prova fornita da controparte o comunque acquisita al processo sul tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio).

 

Secondo il ricorrente il giudice di merito avrebbe riconosciuto a controparte il diritto all'assegno divorzile in assenza di prove proposte e fornite dalla medesima o, comunque, acquisite al processo, del tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio.

 

Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e omessa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 (attribuzione dell'assegno divorzile nonostante la mancanza di prova diretta degli elementi costitutivi dello stesso e nonostante la contestuale sussistenza della prova contraria).

 

Deduce il ricorrente che la D.B. non avrebbe avanzato con la comparsa di risposta in primo grado (unico scritto difensivo della predetta) richieste istruttorie né allegato documentazione diretta a provare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, il deterioramento della condizione economica ascrivibile al divorzio, la mancanza di mezzi economici o la oggetti va incapacità economica di procurarseli. Tali prove non sarebbero state fornite od acquisite neppure in grado di appello.

 

Con l'ottavo motivo il ricorrente denuncia, in via subordinata, violazione di norme del procedimento (artt. 115, 116 c.p.c., 2697 c.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (riconoscimento del diritto all'assegno divorzile nonostante la mancanza della prova diretta degli elementi costitutivi dello stesso e nonostante la contestuale sussistenza della prova contraria).

 

Secondo il ricorrente il giudice di merito avrebbe riconosciuto al coniuge istante il diritto all'assegno divorzile, nonostante la mancanza di prova diretta dei fatti costitutivi dello stesso e nonostante la contestuale mancanza di prova contraria.

 

Con il nono motivo il ricorrente denuncia erroneità e incongruità della motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 (erroneo e incongruo apprezzamento dell'esito della prova, erronea e incongrua applicazione dell'art. 2697 c.c.).

 

Secondo il ricorrente il diritto all'assegno divorzile sarebbe stato riconosciuto a controparte malgrado la assoluta assenza di prova dei fatti costitutivi.

 

Con il decimo motivo il ricorrente denuncia violazione e omessa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (omessa valutazione delle prove acquisite nel primo e nel secondo grado del giudizio dimostranti l'insussistenza del diritto all'assegno divorzile).

 

Lamenta il ricorrente che nel riconoscere il diritto all'assegno di divorzio il giudice di merito non avrebbe tenuto conto di tutta una serie di circostanze dedotte dal ricorrente nella comparsa di costituzione in grado di appello e risultate provate in giudizio e precisamente che la D.B. svolge una stabile e retribuita attività lavorativa, come dalla stessa ammesso in grado di appello; che le condizioni economiche di quest'ultima sono migliorate rispetto a quelle godute all'epoca della convivenza coniugale; che la stessa possiede la capacità di collocarsi utilmente sul mercato; che dall'epoca della separazione la stessa provvede da sé al proprio mantenimento; che dal XXXX abita con la madre e con il fratello e che, quindi, con questi divide le spese di gestione dell'appartamento in cui abita.

 

Inoltre il giudice di merito avrebbe omesso del tutto di considerare che la nascita di altri due figli ed il relativo obbligo di mantenimento degli stessi avevano valore decisivo e determinante per il rigetto della richiesta dell'assegno di divorzio, costituendo un valido e giustificato motivo di esclusione dello stesso.

 

La Corte di merito non avrebbe, poi, preso in esame la busta paga del mese di febbraio 2007, dalla quale risultava che il reddito, di cui usufruiva il ricorrente, era di gran lunga inferiore a quello risultante dal CUD e dal 730 del 2006; né avrebbe considerato che il ricorrente, come risultava dalla documentazione prodotta, era tenuto al pagamento di una rata mensile di Euro 279,60 per un mutuo chiesto alla Findomestic nel 2004.

 

Con l'undicesimo motivo il ricorrente, in via subordinata, denuncia violazione di norme del procedimento (artt. 115 e 116 c.p.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (attribuzione dell'assegno divorzile nonostante le prove acquisite nel primo e nel secondo grado di giudizio dimostrino l'insussistenza dei presupposti del diritto medesimo).

 

Secondo il ricorrente il giudice di merito non avrebbe posto a fondamento della decisione le plurime e concordanti prove acquisite al processo, pur non potendosi oggettivamente escludere la loro rilevanza probatoria e la loto consequenziale incidenza ai fini della decisione.

 

Con il dodicesimo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (omessa valutazione di circostanze determinanti e rilevanti per la decisione, provate in giudizio e risultanti dagli atti di causa. Omessa valutazione comparativa delle stesse. Omessa giustificazione dell'implicita scelta di disattendere tali circostanze).

 

Secondo il ricorrente la Corte di merito avrebbe dovuto esporre l'iter logico, cosa che non avrebbe fatto, che l'aveva portata ad attribuire valore decisivo ad un solo elemento di giudizio acquisito al processo (ossia, la più recente documentazione fiscale prodotta in giudizio dalle parti) e ad escludere contestualmente la rilevanza degli ulteriori plurimi elementi di giudizio acquisiti all'incartamento processuale, in virtù dei quali quel valore decisivo poteva essere infirmato o disatteso.

 

Con il tredicesimo motivo il ricorrente denuncia motivazione illogica, incoerente e, comunque, insufficiente in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (attribuzione dell'assegno divorzile in assenza di prova dell'unico parametro individuato nella sentenza impugnata per determinare il tenore di vita da mantenere).

 

Secondo il ricorrente mancherebbe del tutto la prova dei redditi percepiti dai coniugi in costanza di matrimonio, necessari per stabilire se il reddito della D.B. è idoneo a consentirle di mantenere un tenore di vita analogo a quello che godeva in costanza di matrimonio.

 

Con il quattordicesimo motivo il ricorrente denuncia illogicità, incoerenza e contraddittorietà della motivazione in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (la sentenza impugnata, pur affermando che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio va commisurato ai redditi percepiti durante la convivenza, non tiene conto di detto parametro e utilizza un parametro diverso e inammissibile).

 

Secondo il ricorrente il giudice di merito, pur avendo affermato che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio va stabilito in base ai redditi percepiti dai coniugi durante la convivenza, si sarebbe limitato a considerare esclusivamente la più recente documentazione fiscale, ossia i redditi percepiti dai coniugi dopo il decorso di più di dieci anni dalla cessazione della convivenza.

 

Con il quindicesimo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (omessa esposizione dei motivi in fatto e in diritto che hanno portato la Corte di Appello a fondare la propria decisione solo sulla più recente documentazione fiscale. Omessa applicazione dei principi di diritto in materia di adeguatezza dei mezzi del richiedente l'assegno divorzile a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio).

 

Secondo il ricorrente dal fatto che la sentenza impugnata ha posto a proprio fondamento della propria decisione la valutazione del solo reddito annuale più recente del ricorrente stesso, nonostante la evidente differenza di esso rispetto a quello degli anni precedenti, si dovrebbe desumere che il giudice di merito abbia ritenuto detto reddito prevedibile sviluppo di situazioni e aspettative già presenti durante la convivenza matrimoniale. Se così è, la sentenza impugnata avrebbe omesso del tutto di esporre l'iter logico che ha portato il giudice di appello a siffatta conclusione.

 

Con il sedicesimo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (omessa valutazione del modesto tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio nei limiti in cui risultava dagli atti di causa).

 

La Corte di appello avrebbe omesso di valutare circostanze dalle quali risultava che il tenore di vita dei coniugi C. -D.B. in costanza di matrimonio era decisamente modesto.

 

Con il diciassettesimo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme del procedimento (artt. 115 e 116 c.p.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (omessa valutazione di elementi di prova risultanti dagli atti di causa). Il giudice di merito nel riconoscere l'assegno divorzile avrebbe omesso di valutare elementi dai quali poteva essere desunto quale fosse il tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio.

 

Con il diciottesimo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme del procedimento (artt. 112, 113, 345 c.p.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (pronuncia sulla decorrenza e sulla rivalutazione anticipate dell'assegno divorzile, nonostante la rinuncia in primo grado alla domanda di attribuzione di quest'ultimo- ivi formulata, peraltro, in modo generico e indeterminato, non coltivata e non provata - e la consequenziale non riproponibilità della stessa in appello).

 

Secondo il ricorrente la D.B. avrebbe rinunciato in primo grado alla domanda di assegno di divorzio e, comunque, l'avrebbe formulata in modo generico ed indeterminato, non avendo indicato la somma richiesta, e l'avrebbe riproposta soltanto nel giudizio di appello. Pertanto il giudice di secondo grado avrebbe errato a riconoscere l'assegno divorzile con decorrenza dalla pronuncia di primo grado e con rivalutazione secondo gli indici ISTAT dal marzo 2006, essendo stata la richiesta di detto assegno avanzata in data successiva con l'atto di appello.

 

Con il diciannovesimo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione, in ragione della carente ricostruzione della fattispecie concreta, degli artt. 4, comma 10, e 5, comma 7, della legge n. 898/1970, come modificato dalla legge n. 74/1987 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 (erroneo riconoscimento della decorrenza e della rivalutazione anticipate dell'assegno divorzile).

 

Deduce il ricorrente che la fattispecie concreta presenterebbe peculiarità tali (il C. percepirebbe una retribuzione mensile netta di poco più di Euro 1.500,00, con i quali, avendo peraltro la convivente disoccupata, dovrebbe provvedere anche al mantenimento di tre figli) da escludere tanto la rivalutazione dell'assegno di mantenimento, quanto la retrodatazione della sua decorrenza.

 

Con il ventesimo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme del procedimento (artt. 24 e 111 Cost., 99 e 101 c.p.c., 2907 c.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (pronuncia sulla decorrenza e rivalutazione anticipate dell'assegno divorzile senza contraddittorio).

 

Essendo state riconosciute la decorrenza e la rivalutazione anticipata dell'assegno divorzile in assenza di domanda di parte al ricorrente sarebbe stato del tutto precluso in appello il diritto di difesa sul punto e di esporre le ragioni della inammissibilità e della iniquità della pronuncia censurata.

 

Con il ventunesimo motivo il ricorrente denuncia difetto di motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (omessa motivazione in ordine alla pronuncia di decorrenza e rivalutazione anticipata dell'assegno divorzile).

 

In assenza di domanda di parte - tanto nel primo quanto nel secondo grado di giudizio - in ordine alla retrodatazione della decorrenza e della rivalutazione dell'assegno divorzile, la Corte di merito era tenuta a motivare adeguatamente la concessione del beneficio non richiesto, esponendo le ragioni che l'avevano portata a riconoscere a controparte un diritto maggiore rispetto a quello domandato.

 

Con il ventiduesimo motivo il ricorrente denuncia contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (riconoscimento della decorrenza e della rivalutazione dell'assegno divorzile da un momento precedente a quello individuato nella sentenza come momento di maturazione delle condizioni dell'attribuzione dell'assegno medesimo).

 

Secondo il ricorrente il riconoscimento ex novo dell'assegno divorzile sulla base della più recente documentazione fiscale comporterebbe la implicita ammissione da parte del giudice di merito che le condizioni per l'attribuzione dell'assegno erano maturate solo di recente, per cui detto giudice, al massimo, avrebbe dovuto fissare la decorrenza di detto assegno solo al momento della pronuncia di secondo grado, motivando, comunque, adeguatamente la decisione.

 

Con il ventitreesimo motivo il ricorrente denuncia insufficienza, incongruenza ed illogicità della motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (aumento del contributo per il mantenimento della figlia legittima esclusivamente in base all'errata interpretazione ed applicazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 15065/2000) Deduce il ricorrente che la corte di merito avrebbe erroneamente applicato il principio affermato da Cass. n. 15065/2000 - secondo cui il solo cambiamento delle condizioni familiari del genitore tenuto all'assegno per la formazione di una nuova famiglia e le sue accresciute responsabilità non legittimano di per sé una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza - avendo tratto da tale sentenza la illogica conclusione che la formazione della nuova famiglia fosse idonea a legittimare l'aumento del contributo per la figlia nata dal precedente matrimonio Con il ventiquattresimo motivo il ricorrente denuncia insufficiente motivazione in relazione all'art. 360 comma 1, n. 5 (insufficiente valutazione di circostanze rilevati e determinanti per la decisione, provate in giudizio e risultanti dagli atti di causa). Deduce il ricorrente che la nascita di due nuovi figli, generati nel corso della convivenza more uxorio, costituirebbe un motivo più che valido per una conferma dell'importo dell'assegno per il mantenimento della figlia nata dal precedente matrimonio, essendo subentrato all'obbligo di mantenimento di quest'ultima anche l'onere per il mantenimento dei nuovi due figli, cui è tenuto a far fronte con un reddito rimasto immutato. Pertanto il giudice d'appello avrebbe errato nel non considerare che tale nuova situazione aveva valore decisivo per il rigetto della richiesta di aumento del contributo per il mantenimento della figlia legittima.

 

Con il venticinquesimo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (omessa valutazione di circostanze rilevanti e determinanti per la decisione, provate in giudizio e risultanti dagli atti di causa. Omessa giustificazione dell'implicita scelta di disattendere tali circostanze. Omessa valutazione comparativa degli elementi di giudizio acquisiti al processo).

 

La Corte di merito nel determinare il contributo di mantenimento per la minore avrebbe del tutto omesso di considerare una serie di ulteriori circostanze, provate in giudizio e risultanti dagli atti, che, se valutate, avrebbero certamente portato ad una conferma della sentenza di primo grado e precisamente: il fatto che la retribuzione del ricorrente era rimasta inalterata da dieci anni a questa parte, la richiesta di un finanziamento, nel 2004, alla Findomestic, che comportava per il rimborso il versamento di rate mensili di 270,60 Euro, la esistenza di altro finanziamento contratto con l'INPDAP, con scadenza 2012, comportante, per il rimborso, un esborso mensile di Euro 292,45. Con il ventiseiesimo motivo il ricorrente denuncia difetto di motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 (aumento del contributo per il mantenimento della figlia legittima senza indicare i giusti motivi idonei a riconoscerlo. Omessa esposizione dell'iter logico che ha portato la Corte d'Appello a fondare la propria decisione solo sulla più recente documentazione fiscale).

 

Il giudice di merito non avrebbe indicato i motivi che l'avevano portato a ritenere più equo ed equilibrato determinare il contributo dovuto dal padre per il mantenimento della figlia in Euro 400,00, né i motivi per i quali avrebbe posto a fondamento della propria decisione la valutazione del solo reddito annuale lordo più recente del ricorrente. Con il ventisettesimo motivo il ricorrente denuncia violazione ed omessa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (accoglimento della domanda di aumento del contributo per il mantenimento della figlia in assenza di prove sulla sopravvenienza di giustificati motivi).

 

La Corte d'Appello in assenza di prove sulla sopravvenienza di giustificati motivi idonei a disporre l'aumento del contributo per il mantenimento della figlia avrebbe dovuto concludere per la conferma sul punto della sentenza di primo grado.

 

Con il ventottesimo motivo il ricorrente denuncia, in via subordinata, violazione di norme del procedimento (artt. 115 e 116 c.p.c.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (aumento del contributo per il mantenimento della figlia nonostante la mancanza di prova di giustificati motivi idonei a fondare il riconoscimento dell'aumento e nonostante la contestuale sussistenza di prova idonea ad escluderlo).

 

Censura il ricorrente la sentenza impugnata per avere il giudice di merito riconosciuto l'aumento del contributo per il mantenimento della figlia in assenza di prova della sopravvenienza di giustificati motivi idonei a fondare la decisione e per aver omesso di procedere alla prudente valutazione delle plurime prove acquisite al processo, pur non potendo escludersi oggettivamente la loro rilevanza probatoria e la loro consequenziale incidenza ai fini della decisione.

 

Con il ventinovesimo motivo il ricorrente denuncia erronea, incongrua, incoerente e, comunque, insufficiente motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (la sentenza impugnata dichiara di voler realizzare l'equilibrato impegno del padre nei confronti dei nuovi nati e della figlia legittima, ma crea un evidente squilibrio a svantaggio dei figli naturali).

 

La sentenza impugnata, nell'aumentare il contributo per il mantenimento della figlia legittima ad Euro 400,00 mensili, avrebbe determinato un evidente squilibrio a svantaggio dei nuovi nati.

 

Con il trentesimo motivo il ricorrente denuncia violazione ed omessa applicazione degli artt. 30 e 3 Cost., 261, 147 e 148 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (violazione del principio di uguaglianza dei figli legittimi e naturali). Deduce il ricorrente che il riconoscimento dei figli naturali comporta da parte dei genitori l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che questi hanno nei confronti dei figli legittimi. Pertanto il reddito mensile netto del ricorrente dovrebbe essere distribuito equamente tra i tre figli senza creare alcuna discriminazione in relazione al loro status e in modo da consentire loro di vivere dignitosamente con quel che residua dello stipendio del genitore, dopo avere scorporato tutte le spese fisse, e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, tra le quali anche il fatto che mentre il genitore del figlio legittimo può contribuire al mantenimento di questo in quanto esercita una stabile attività lavorativa, l'altro genitore dei figli naturali non può apportare alcun contributo al mantenimento degli stessi, in quanto è disoccupato.

 

Con il trentunesimo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione, in ragione della carente ricostruzione della fattispecie concreta, della retrodatazione della decorrenza e della rivalutazione dell'aumento del contributo per il mantenimento della figlia in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 (erroneo riconoscimento della decorrenza e della rivalutazione anticipate dell'aumento del contributo per il mantenimento del minore). La fattispecie sottoposta all'esame della Corte d'Appello presenterebbe peculiarità tali da escludere la retrodatazione tanto della decorrenza, quanto della rivalutazione del contributo per il mantenimento della figlia, atteso che, pur avendo una retribuzione di poco superiore a 1500,00 Euro mensili, dovrebbe far fronte alla corresponsione a titolo di arretrati per il mantenimento della figlia della somma di Euro 2.800,00 al quale devesi aggiungere la somma di quasi Euro 4.100,00 a titolo di arretrati per il mantenimento dell'ex coniuge, pur dovendo contestualmente provvedere al mantenimento di tre figli, al proprio mantenimento ed a quello della convivente disoccupata.

 

Con il trentaduesimo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione, in ragione della carente ricostruzione della fattispecie, dell'art. 91 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (erronea condanna del C. alle spese del giudizio di appello).

 

Il giudice di secondo grado avrebbe applicato l'art. 91 c.p.c. in assenza dei presupposti in esso previsti a causa della carente, contraddittoria ed illogica ricostruzione della fattispecie sottoposta al suo esame, per cui l'accoglimento del ricorso per cassazione dovrebbe portare anche alla cassazione della condanna alle spese del secondo grado di giudizio.

 

Con il trentatreesimo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 (omessa valutazione di circostanze decisive che avrebbero escluso la condanna dell'odierno ricorrente alle spese del secondo grado di giudizio).

 

Siccome le domande proposte con l'appello sono state accolte, in relazione al quantum, nei termini formulati da controparte, sussistevano giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di secondo grado.

 

Con il trentaquattresimo motivo 1 ricorrente denuncia violazione e omessa applicazione dell'art. 92 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (omessa valutazione della sussistenza di giustificati motivi per la compensazione tra le parti delle spese di giudizio, tenuto conto del comportamento processuale di controparte).

 

Deduce il ricorrente che sussistevano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado in considerazione del fatto che controparte aveva proposto l'appello per recuperare gli effetti della sua colpevole inerzia in primo grado, ove aveva abbandonato il giudizio e rinunciato implicitamente alla prova e alle domande.

 

Il primo motivo di ricorso è infondato.

 

È pacifico tra le parti che la D.B. ha chiesto, nella comparsa di risposta nel giudizio di primo, la attribuzione dell'assegno di divorzio, quantificandone l'importo in misura pari a quella dell'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione. Tale domanda, secondo il ricorrente, sarebbe inammissibile, perché formulata in modo del tutto generico ed indeterminato, avendo la D.B. richiesto la conferma dell'assegno stabilito in sede di separazione, rapportando la propria domanda ad un assegno di mantenimento inesistente, non essendo stato riconosciuto in detta sede alcun assegno.

 

In ogni caso, secondo il ricorrente, il giudice a quo avrebbe dovuto ritenere detta domanda rinunciata per non essere stata più coltivata con richieste istruttorie dopo la sentenza non definitiva di divorzio e per non essere stata più riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. Pertanto tale domanda, perché nuova - in mancanza della sopravvenienza di nuovi elementi di fatto, che ne giustificassero la formulazione - non avrebbe più potuto essere proposta dinanzi al giudice di appello. Questo, pertanto, avrebbe dovuto dichiararla inammissibile.

 

Il collegio osserva che il fatto che la D.B. abbia indicato la misura dell'assegno di divorzio richiesto facendo riferimento alla entità di un assegno che in sede di giudizio di separazione personale non era stato riconosciuto, non comporta che la domanda di attribuzione dell'assegno di divorzio debba ritenersi generica ed indeterminata, atteso che la richiesta di scioglimento del matrimonio, fatto costitutivo dell'assegno richiesto, attribuisce specificità al diritto di credito fatto valere e rende così specifica e determinata la domanda senza che sia necessaria, perché possa ritenersi determinata, la indicazione dell'importo dell'assegno richiesto, dovendosi questo determinare in base a criteri predeterminati dalla legge, quelli previsti dal comma 6 dell'art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, come modificata dalla legge n. 74 del 1987.

 

Né tale domanda può ritenersi rinunciata per il fatto di non essere stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni, atteso che la mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia tacita in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo necessario che, dalla condotta complessiva processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno del relativo interesse (cfr. Cass. n. 3593 del 2010; n.409 del 2006), cosa che deve escludersi proprio per il fatto che la domanda dell'assegno divorzile è stata riproposta in sede di appello. Conseguentemente deve escludersi anche che per la proposizione di tale domanda in sede di appello fosse necessaria la sopravvenienza di nuovi fatti che potessero giustificare la richiesta e l'attribuzione dell'assegno di mantenimento, essendo stato il giudice di secondo grado chiamato ad esaminare, non una domanda nuova, che come tale sarebbe stata inammissibile, ma la stessa domanda formulata dalla D.B. con la comparsa di risposta nel giudizio di primo grado.

 

Anche tutti i motivi di ricorso dal secondo al ventiduesimo motivo, con i quali si censura la attribuzione alla D.B. di un assegno di divorzio di 150,00 Euro mensili e la determinazione della decorrenza dell'attribuzione dell'assegno dalla pubblicazione della pronuncia di primo grado (1 marzo 2005) con rivalutazione secondo gli indici Istat dal marzo 2006, sono infondati.

 

L'art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dalla l. n. 74 del 1987, dispone che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Dispone, inoltre, che la sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria e che, in caso di palese iniquità, può escluderne la previsione, ma con motivata decisione.

 

In relazione a tale disposizione la Suprema Corte di Cassazione ha formulato i seguenti principi: 1) L'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione di un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio, intendendo per tale quello che i coniugi tenevano o avrebbero potuto tenere in base ai loro redditi (cfr. tra le molte: Cass. n. 19446 del 2005; Cass. n. 13169 del 2004; n. 15055 del 2000); 2) con riguardo alla quantificazione dell'assegno di divorzio, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987 n. 74, per la determinazione dell'importo spettante all'ex coniuge, anche in relazione alle deduzioni ed alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno (cfr. Cass. n. 13169 del 2004; n. 10210 del 2005 ).

 

Il giudice a quo nel riconoscere e quantificare l'assegno di divorzio attribuito alla D.B. si è attenuto a questi principi, avendo valutato la condizione in cui si trovavano gli ex coniugi in costanza di matrimonio e considerato, per quanto riguarda il ricorrente, la circostanza della nascita di due figli naturali, avuti dalla convivente, e delle ulteriori responsabilità derivanti dalle nuove nascite.

 

Tenendo conto anche di detta situazione, ha valutato le potenzialità reddituali di entrambe le parti, ritenendo implicitamente che quelle attuali non differissero sostanzialmente da quelle esistenti in costanza di matrimonio, pervenendo così al riconoscimento ed alla determinazione dell'assegno di divorzio di Euro 150,00. Il ricorrente è insorto nei confronti di detta determinazione assumendo che il giudice non avrebbe tenuto conto di elementi probatori, in ordine ai quali i vari motivi difettano del requisito dell'autosufficienza e chiedendo sostanzialmente a questa Suprema Corte un non consentito riesame del merito, mentre la sentenza appare adeguatamente e logicamente motivata in ordine agli elementi di prova considerati da ritenersi essenziali e decisivi ai fini della decisione.

 

Con riferimento alla determinazione del momento di decorrenza dell'assegno e della sua rivalutazione, decorrenza che secondo il ricorrente il giudice a quo avrebbe dovuto fissare dalla data della sentenza di secondo grado, il collegio osserva. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte di Cassazione l'assegno di divorzio può essere preteso solo dopo che si sia formato il titolo costitutivo e cioè dal momento in cui la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti del matrimonio celebrato con rito concordatario sia passata in giudicato ed annotata nei registri dello stato civile (cfr. in tal senso Cass. n. 660 del 1977; n. 3050 del 1994; n. 317 del 1998).

 

L'art. 4, comma 9, della legge n. 898 del 1970 stabilisce che avverso la sentenza non definitiva relativa allo scioglimento od alla cessazione degli effetti civili del matrimonio è solo ammesso l'appello immediato. Qualora non venga immediatamente impugnata tale sentenza passa in giudicato.

 

Il successivo comma 10 del citato art. 4 stabilisce, altresì, che, quando sia intervenuta detta sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l'obbligo della somministrazione dell'assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.

 

Nel caso che ne occupa il Tribunale di Roma ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto da G..C. e da M..D.B. con sentenza non definitiva, depositata il 4.7.2003.

 

Tale sentenza non è stata impugnata immediatamente, per cui è passata in giudicato nella data sopraindicata.

 

Pertanto alla luce della normativa surriportata il giudice a quo aveva il potere di stabilire quale data per la decorrenza dell'assegno di divorzio la data del passaggio in giudicato di detta sentenza, essendo questa il titolo costitutivo per il riconoscimento e l'attribuzione dell'assegno divorzile, oppure la data della proposizione della domanda.

 

Nel caso in esame il giudice a quo ha fissato una data successiva a quelle suindicate, quella della sentenza di primo grado., emessa in data 21 gennaio 2005 e depositata il 1 marzo 2005. In siffatto contesto il ricorrente non può dolersi del fatto che il giudice a quo non abbia fissato, come momento della decorrenza dell'assegno divorzile, quella successiva della pubblicazione delle sentenza di secondo grado, non essendo ciò consentito dalla richiamata normativa.

 

La legge, inoltre, prevede un criterio di adeguamento automatico dell'assegno divorzile, il che comporta che esso è rivalutabile anche in assenza di domanda di parte e senza obbligo di motivazione. Questo è quanto ha fatto la sentenza impugnata.

 

Né il ricorrente può lamentarsi che il giudice di merito non abbia escluso la rivalutazione monetaria per palese iniquità. Prevedendo la rivalutazione secondo gli indici Istat, il giudice a quo ha implicitamente escluso che detta rivalutazione fosse palesemente iniqua. Per quanto riguarda la decorrenza fissata dal marzo 2006 vale quanto già detto con riferimento alla decorrenza dell'assegno divorzile.

 

Con i motivi dal ventitreesimo al trentunesimo il ricorrente lamenta che l'assegno di mantenimento per la figlia legittima, determinato dal giudice di primo grado in Euro 300,00, sia stato portato ad Euro 400,00 mensili, ed inoltre che la decorrenza e rivalutazione siano state fissate a partire dal febbraio 2005, cioè dal mese precedente quello di deposito della sentenza (definitiva) di primo grado.

 

La richiesta di una diversa decorrenza dell'assegno di mantenimento per la figlia legittima e della sua rivalutazione sono infondate Questa Suprema Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio, al quale il collegio intende attenersi, secondo cui in tema di separazione o divorzio e nella ipotesi in cui uno dei coniugi abbia chiesto un assegno di mantenimento per i figli, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla sua proposizione e non da quella della sentenza, atteso che i diritti ed i doveri dei genitori verso la prole, salve le implicazioni dei provvedimenti relativi all'affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione o divorzio, rimanendo identico l'obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire in proporzione delle sue capacità, all'assistenza ed al mantenimento dei figli (cfr. Cass. n. 21087 del 2005; Cass. n. 317 del 1998; Cass. n. 3050 del 1994).

 

Fondata è invece la censura con la quale si lamenta che l'aumento dell'assegno per la figlia legittima crea uno squilibrio, considerate le possibilità economiche del ricorrente, a svantaggio dei due figli naturali che il C. ha avuto dalla convivente.

 

L'art. 261 c.c. stabilisce che il riconoscimento del figlio naturale comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi, che sono quelli previsti nell'art. 147 c.c. (obblighi di mantenere, educare ed istruire il figlio), con conseguente applicazione dell'art. 148 c.c., che specifica la misura in cui i coniugi sono tenuti ad adempiere all'obbligazione di mantenimento dei figli.

 

Con l'art. 261 c.c. il legislatore ha affermato il principio di parità di trattamento da parte del genitore dei figli naturali e legittimi, e, quindi, di parità di trattamento anche per quanto riguarda l'obbligo del mantenimento.

 

Con un reddito mensile netto che si aggira sui 1.600,00 Euro il ricorrente, considerato che con tale reddito deve provvedere al proprio mantenimento ed alle spese fisse che riguardano la gestione familiare, non appare in grado di destinare al mantenimento di ciascuno degli altri due figli naturali un importo mensile di Euro 400,00, per cui appare maggiormente conforme alla normativa summenzionata l'importo di Euro 300,00 mensili riconosciuto dal tribunale.

 

Con i motivi dal trentaduesimo al trentaquattresimo il ricorrente censura la statuizione della sentenza impugnata sulle spese, sostenendo che il giudice a quo, anziché procedere alla condanna del C. al pagamento delle spese del giudizio, avrebbe dovuto procedere alla loro integrale compensazione.

 

Anche tale censura è infondata, atteso che non sussistevano seri motivi perché il giudice potesse essere indotto a ritenere opportuno derogare al principio della soccombenza. Pertanto il ricorso deve essere accolto soltanto nei limiti suindicati. Nei limiti suindicati deve essere cassata la impugnata sentenza e, siccome non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito rideterminando l'assegno per il mantenimento della figlia legittima in Euro 300,00 (trecento) mensili. Il ricorso va rigettato per il resto. Il notevole numero dei motivi formulati, non giustificati data la semplicità delle questioni oggetto del giudizio, giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

 

 

 

P.Q.M.

 

  

 

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata negli stessi limiti e, decidendo nel merito, ridetermina l'assegno di mantenimento per la figlia legittima in Euro 300,00 ( trecento) mensili. Rigetta nel resto il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità delle parti e delle altre persone in esso indicate.

 

Fonte: http://www.gadit.it/

 

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