Avv. Paolo Nesta


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PARERE DEONTOLOGICO ESPRESSO NELL’ADUNANZA DEL 23.6.2011-“Possibilità per l’Avvocato di creare e di far parte di un’associazione Onlus”

 

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L’Avv. …………, con istanza pervenuta il 16 maggio 2011, ha chiesto un parere deontologico in merito alla possibilità di creare e far parte di una Associazione ONLUS insieme ad altri Colleghi non specificati.

Detta Associazione, di cui viene fornito il nome, non avrebbe fini di lucro, ma di solidarietà sociale e volti a realizzare una tutela dei diritti civili a beneficio di persone svantaggiate per condizioni fisiche, psichiche, economiche e familiari.

L’oggetto dell’attività dell’Associazione riguarderebbe la tutela dei diritti civili dei medici, degli operatori del settore della medicina e dei pazienti, mediante attività di informazione, orientamento, consulenza e composizione legale delle controversie, nel settore della c.d “malasanità”, all’occorrenza agendo anche in sede giudiziale.

Le cariche sociali verrebbero ricoperte dagli stessi avvocati che si occuperebbero dell’attuazione dei fini dell’Associazione.

Il parere viene chiesto sulla conformità alle norme deontologiche per la costituzione di detta Associazione, con particolare riferimento al divieto di accaparramento di clientela.

Il Consiglio

- Udito il Consigliere Avv. Livia Rossi quale Coordinatore della Commissione Deontologica;

Premesso che nulla dice la Legge Professionale a proposito della partecipazione di avvocati a Organismi associativi di carattere non lucrativo con finalità come sopra indicate, nè l’art. 16 del Codice Deontologico Forense, il quale si limita a stabilire nella regola deontologica che “E’dovere dell’avvocato evitare situazioni di incompatibilità ostative alla permanenza all’albo ... ”, nè la dottrina, né la giurisprudenza, infine, hanno avuto modo, a quanto sembra, di interessarsi del caso in argomento. Il primo canone complementare di detto articolo prescrive che “L’avvocato non deve porre in essere attività commerciale o di mediazione” in linea con l’art. 3 della stessa Legge Professionale che recita: “L’esercizio della professione di avvocato è incompatibile [omissis] con l’esercizio di commercio in nome proprio o in nome altrui [omissis]. La ratio di tale disposizione risiede nella necessità di evitare che i principi della concorrenza commerciale tra professionisti possano inficiare la rispettabilità degli stessi, perdendo la propria autonomia e indipendenza,

osserva

-che il Codice Deontologico Forense nel Preambolo configura i principi e le modalità di esercizio dell’Avvocatura, a partire dalla tutela dei “diritti e interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia”;

- che il suddetto art. 16 del Codice Deontologico Forense pur non escludendo, sottacendola, l’eventuale partecipazione di un avvocato a Organismi associativi e, quindi, di fatto non impedendola -in ossequio ai principi dell’Ordinamento forense- suggerisce l’inopportunità della partecipazione a Organi in cui l’avvocato stesso abbia funzione amministrativa e/o gestionale, anche e soprattutto non escludendo i requisiti della continuità e della retribuzione;

- che, pertanto, risultano invece compatibili con la norma soltanto quegli incarichi che prevedano la sottrazione dell’avvocato alla gestione operativa, connotando così la carica dell’iscritto nell’Albo con una funzione di rappresentanza o di garanzia, incarichi che preservino, dunque, l’indipendenza e l’autonomia di giudizio che devono permanere in capo al libero professionista;

- che, come più volte evidenziato da questo Consiglio, le cause di incompatibilità, previste tassativamente dalla legge, non possono essere derogate da alcun parere e/o decisione dell’Istituzione forense;

- che sotto il profilo meramente deontologico si richiamano:

a)i pareri del Consiglio Nazionale Forense del 28 dicembre 2005, n. 217 “La gratuità delle prestazioni rese [dall’avvocato] non dà luogo ad alcuna lesione ove sia determinata ed ispirata da motivi esclusivamente etici e sociali, nè viola il divieto di accaparramento di clientela ex art. 19 c.d.f.”. Diversamente, quando il carattere della gratuità assume “un chiaro sapore accaparratorio di clientela lesivo del prestigio e del decoro della classe forense (Consiglio Nazionale Forense 19 dicembre 2008, n. 169);

b) gli articoli del Codice Deontologico Forense: n. 5  “Doveri di probità, dignità e decoro”, n. 10 “Dovere di indipendenza”, n. 37 “Conflitto di interessi”,

esprime parere

nel senso che la soluzione al quesito formulato debba conformarsi ai limiti sopra rappresentati.

 

 

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