Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

Spigarelli: senza correzioni effetto virtuale per il decreto "svuotacarceri" -di Patrizia Maciocchi (Guida al diritto)

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

Inizio modulo

Fine modulo

 

 

 

 

“L’intento del ministro Severino è apprezzabile ma Il decreto sulle carceri, se resta come è, avrà un effetto trascurabile, come è già successo la legge del 2010 sulla detenzione domiciliare”.   Il presidente dell’Unione Camere Penali , ricorda che la precedente legge “svuota carceri” ha fatto uscire 4 mila persone, al posto delle 11 mila annunciate.  E prevede affetti ancora più blandi per il decreto messo varato dal Consiglio dei ministri lo scorso 16 dicembre.  

Che impatto avranno le misure del Guardasigilli nel sistema carcerario?

Assai limitato. Secondo i dati dell’osservatorio carceri dell’Ucpi, ne usufruirebbero 3500 detenuti. Ben poca cosa a fronte di un sistema che sopporta un affollamento di 68 mila persone quando la capienza è di 45 mila. Per renderlo  efficace vanno eliminate molte preclusioni oggettive e soggettive.

Nel decreto è previsto che il fermato o l’arrestato anziché andare in carcere sia trattenuto nelle camere di sicurezza di polizia e carabinieri. Lo stesso ministro della giustizia Paola Severino ha ammesso che non tutte sono attrezzate. Ma al di là della logistica, temete anche possibili violazioni del diritto di difesa?

Sì. E’ meglio che l’arrestato non resti nella disponibilità di chi ha eseguito l’arresto, per evitare, ad esempio, il rischio di domande fatte in assenza del legale. Senza arrivare ai casi di cronaca, in cui si sono ipotizzate violazioni molte più gravi, è già un’ipotesi da evitare. Visto che lo stesso ministro ha sottolineato la necessità di mettere mano alle strutture esistenti, perché inadeguate, sarà meglio spendere gli stessi soldi per cercare soluzioni di accoglienza a ridosso dei tribunali. Come avviene adesso a Milano. Anche qui, va sottolineato che la strada è quella giusta ma la soluzione no.

Accanto al decreto il consiglio dei ministri ha varato anche un disegno di legge che prevede, tra l’altro, la possibilità di usufruire delle misure alternative per i reati puniti con pene non superiori ai 4 anni. Neppure questo può servire?

R.  Avrebbe un effetto assolutamente virtuale. Già ora, per quel tipo di reati, anche grazie alla condizionale, si evita il carcere. Per vedere dei risultati è necessario stabilire il limite  sulla pena effettivamente irrogata, quindi sulle condanne effettive a 4 anni.

Ma se già così alcuni partiti hanno paventato il rischio di avere i criminali di nuovo per la strada?

Mai allarmismo fu più ingiustificato. Numeri alla mano è dimostrato che chi usufruisce delle misure alternative, dai domiciliari all’affidamento in prova, non torna a delinquere. La percentuale di chi lo fa non è neppure paragonabile a quella di chi non ha avuto la possibilità di accedere alla legge Gozzini. 

Il ministro Paola Severino che, come sua collega, conosce bene il diritto, ha affermato che la riforma del codice penale e di procedura sarebbe ambiziosa ma non praticabile a causa dei tempi concessi a questo governo. E’ un “particolare” a cui si può ovviare?

E’ una posizione realistica ma la revisione dei codici è indispensabile. Da quella del codice penale, in particolare dalla revisione del sistema sanzionatorio, dipende l’effettività della pena ma anche  il reinserimento previsto dalla Carta.

A proposito di riforme. Proprio ieri avete messo a punto una delibera, inviata al presidente del consiglio Mario Monti, oltre che ai presidenti di Camera e Senato, per chiedere che la riforma dell’ordinamento sia affidata a una legge e non a un regolamento come previsto dall’articolo 33 del decreto “Salva Italia”. Che cosa vi aspettate che faccia il premier?

Intanto che ci ascolti, non è possibile non parlare con gli avvocati, e magari interloquire solo con i magistrati quando si parla di giustizia. Poi ci aspettiamo che tuteli l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocatura. Perché se questo non avverrà la protesta sarà forte. Molto forte.

Accanto a decreto il consiglio dei ministri ha varato anche un disegno di legge che, tra le altre misure, garantirebbe la detenzione domiciliare per i reati puniti con pene fino a 4 anni.

 

UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE

OSSERVATORIO CARCERE

L’ALTRA EMERGENZA

In Italia, oggi, quando si parla di emergenza viene subito in mente quella economica, ma c’è

un’altra emergenza che mette quotidianamente in pericolo diritti costituzionalmente garantiti:

quella del carcere.

Basterebbe richiamare le dichiarazioni sul punto delle maggiori cariche dello Stato, dalla

dichiarazione dello “stato di emergenza” del precedente governo del 14/01/2010, prorogata ed

ancora in vigore, alle reiterate e ferme prese di posizione pubbliche del Presidente della

Repubblica.

La situazione attuale degli istituti penitenziari italiani è ormai al collasso e le cifre ne sono la

migliore testimonianza.

Costringere oltre 68 mila persone in spazi destinati ad ospitarne 45 mila non è fisicamente

possibile, così come è intollerabile, a causa di una carenza di organico per oltre 6500 unità circa,

costringere a turni massacranti gli operatori.

C’è però una cifra che non può e non deve rimanere una fredda valutazione matematica ed e'

quella delle morti in carcere: nel 2011 sono morte in carcere, ad oggi, 180 persone, e di queste 64

si sono suicidate; dal 2000 ad oggi i morti sono stati 1750, di cui 630 per suicidio.

***

Di fronte a questa vera e propria catastrofe il Ministro della Giustizia ha ribadito la necessità di

intervenire con priorità assoluta, ipotizzando riforme strutturali che possano contribuire a risolvere

l’ormai non più gestibile sovraffollamento.

Stando alle prime anticipazioni il Governo vuole incrementare le misure alternative alla

detenzione, prevedendo l’istituto della messa alla prova anche per la cognizione ordinaria, ovvero

operare una depenalizzazione di alcuni reati di minor allarme sociale e valutare i costi e l’effettiva

applicabilità di strumenti elettronici per il controllo dei detenuti in regime domiciliare. Da alcune

dichiarazioni del Ministro sembrerebbe, inoltre, che si ipotizzi anche la diretta applicazione della

reclusione domiciliare da parte del giudice della cognizione.

***

Alcune di queste proposte vengono avanzate da tempo (assieme ad altre associazioni che nel

carcere operano da anni) dall’Unione delle Camere Penali e dunque, in attesa della loro

formalizzazione e di un esame tecnico più compiuto, non possono che essere valutate con favore.

Ciò premesso occorre in ogni caso specificare che per la riuscita di una riforma strutturale si

devono innanzi tutto accantonare le logiche di esclusione che hanno caratterizzato la politica

penitenziaria degli ultimi decenni, a destra come a sinistra.

Misure quali quelle ipotizzate, infatti, possono sortire l’effetto deflattivo previsto solo se avranno

il coraggio di eliminare la maggior parte delle preclusioni soggettive ed oggettive che oggi

paralizzano l'applicazione della legge Gozzini.

Ritenere applicabile la detenzione domiciliare solo per una ristretta tipologia di reati, e con limiti

di pena assai contenuti, ovvero applicabile l’istituto della messa alla prova solo per reati con pene

edittali minime o, infine, ipotizzare una reclusione domiciliare come pena applicabile direttamente

dal giudice di cognizione solo a determinate condizioni, significherebbe vanificare in concreto i

buoni propositi che la riforma intende perseguire.

L’esempio della recente L. 199/2010 e il suo fallimento (meno di 4000 usciti in un anno rispetto

agli 11000 previsti) è la migliore dimostrazione del fatto che i buoni propositi devono implicare

scelte conseguenti, altrimenti si trasformano in mere enunciazioni.

***

In definitiva, una riforma strutturale in materia penitenziaria che abbia concreta possibilità di

successo deve prendere le mosse da scelte coraggiose, come la situazione emergenziale richiede,

partendo innanzitutto da una riforma della custodia cautelare che renda effettivamente eccezionale

la detenzione intramuraria e dalla previsione di misure e pene alternative svincolate da lacci e

laccioli che le rendono di difficile e residuale applicazione, improntate come sono ad una

legislazione penale che mette al centro il tipo di autore e privilegia, più che le istanze di tutela

sociale della sicurezza, la propaganda securitaria.

Insomma, per realizzare le riforme bisogna fare delle scelte di fondo, culturali, prima ancora che

politiche, e per ottenere questo bisogna avere una idea complessiva ed omogenea del problema.

Se si avrà il coraggio di fare questo, saremo in presenza di quella auspicata inversione di tendenza

che sino ad oggi la politica non ha saputo operare, e l'Unione delle Camere Penali Italiane sarà

ancora una volta pronta a dare il suo contributo per porre rimedio alle illegittime condizioni degli

istituti penitenziari italiani.

Roma, 15 dicembre 2011

Il Responsabile dell’Osservatorio Carcere

Avv. Alessandro De Federicis

 

 GIUNTA DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE

Delibera 21 dicembre 2011

La Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane,

premesso

che la situazione che si è determinata negli ultimi mesi, già denunciata nelle delibere del 3 e 24 ottobre, del 30 novembre e nel comunicato del 3 dicembre 2011, ha visto un progressivo attacco al tradizionale assetto della professione forense, in ordine alla quale si sono registrate, nel corso del tempo, ipotesi estreme di totale liberalizzazione, con abolizione degli ordini, degli esami di accesso e persino della difesa tecnica in primo grado in alcuni settori, ovvero previsioni meno radicali ma altrettanto destabilizzanti di decurtazione del periodo di praticantato e di introduzione di società di capitali, per di più con soci maggioritari non professionisti;

che, in particolare, nei provvedimenti emanati tanto dal precedente che dall’attuale Governo, la parola d’ordine che si è imposta è stata quella della liberalizzazione sia per risolvere i mali dell’avvocatura sia per restituire maggior efficienza complessiva al sistema giudiziario, ciò a fronte di un settore che vede nella inflazione dei numeri, nella sempre maggiore dequalificazione e nella progressiva caduta della deontologia i suoi veri mali strutturali;

che queste scelte, lungi dall'essere imposte dal quadro normativo europeo, ovvero da esigenze obiettive, restano in realtà legate a concessioni nei confronti di potentati economici per un verso e ad una visione mercificata della professione forense da un altro;

che, peraltro, in base a mal interpretate esigenze di tempestività, la scelta che il sistema politico ha adottato, con sostanziale adesione di tutti i partiti e delle compagini governative che si sono succedute negli ultimi mesi, é stata quella di operare una radicale delegificazione della materia dell'ordinamento forense, affidandone la disciplina ad un regolamento governativo;

che tale ultima opzione, come sottolineato in numerose prese di posizione del mondo forense, prime tra tutte quelle del CNF, presta il fianco a censure di costituzionalità;

che, al di là di tale aspetto, ciò comporta una delega totale al Governo che, con le norme previste nel decreto legge varato il 5 dicembre scorso, solo parzialmente corrette dal primo passaggio parlamentare, ha anche illogicamente condizionato alla propria eventuale inerzia l'eventuale decadenza delle norme attualmente in vigore, ad esempio in tema di disciplina;2

che queste scelte politiche hanno finito per porre su di un binario morto la legge di riforma della professione, che pure era stata già esaminata dal Senato e giace ormai da mesi, sostanzialmente accantonata, avanti alla Commissione Giustizia della Camera;

considerato

che l’Unione delle Camere Penali Italiane ha sempre sostenuto la necessità di una riforma strutturale dell’ordinamento forense, soprattutto in tema di accesso, di aggiornamento professionale, di specializzazione e di disciplina non come pretesa conservativa ma nell’interesse dei cittadini;

che, in particolare, il tema del riconoscimento della specializzazione in campo forense è stato negli ultimi anni un terreno sul quale l'Unione ha prodotto il maggiore sforzo, nella consapevolezza che la delicata funzione di garanzia che viene affidata al difensore penale necessita di una preparazione e di un aggiornamento specifici proprio nell’interesse dell’assistito;

che la vera rivoluzione copernicana dell'avvocatura, in favore dei cittadini, sarebbe quella di programmare e formare adeguatamente i professionisti nei vari settori, di riconoscere il merito abbattendo i nepotismi, di tutelare con severità e rigore i comportamenti deontologicamente scorretti, anche attraverso una profonda riforma del procedimento disciplinare teso al riconoscimento del principio di terzietà del giudice previsto dall’art. 111 della Costituzione;

che su questo terreno i penalisti sono da sempre pronti ad accettare il confronto con il Governo e le forze politiche e parlamentari, senza indulgere in quei riflessi corporativi o quei toni ribellistici che pure affliggono parte del mondo forense e soprattutto quelle virtuali rappresentanze che si autoproclamano e si autolegittimano senza avere una investitura frutto di scelta e di consenso;

che, allo stesso tempo, i penalisti sono prima di tutto avvocati, eredi di un tradizione di libertà e di indipendenza professionale che non può essere sacrificata in nome di concetti evanescenti o vuote parole d’ordine;

che l’indipendenza dell’avvocato deve essere tutelata sia verso l’esterno che all’interno del mandato professionale;

sottolineato

che la riforma dell’ordinamento forense non è argomento che si possa sottrarre al confronto con l’avvocatura attraverso scelte unilaterali;3

che la materia in esame mal si presta anche a scelte dettate dall’impellenza finanziaria, poiché i suoi riflessi sull'efficienza del sistema giudiziario, e dunque sui rapporti economici, non soddisfano le esigenze di cassa o di bilancio che restano l’oggetto degli interventi d’urgenza di questi giorni;

che il Ministro della Giustizia ha anche recentemente indicato la necessità, su questo terreno, di interventi misurati ed equilibrati che, per definizione, non possono essere frutto di scelte dettate dalla auto imposizione di termini di decadenza della normativa che si vuole modificare;

che la stessa scelta di modificare il contenuto dell’art 33 del DL, prevedendo la caducazione, nella ipotesi di mancata riforma alla data del 13 agosto 2012, delle sole norme riguardanti la pubblicità, le tariffe e la disciplina, testimonia la presa d’atto, da parte del Governo e più in generale del sistema politico, della insostenibilità di un vuoto normativo riguardo ad una professione che possiede un autonomo rilievo costituzionale;

che in data 16.12.11 la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno con cui ha impegnato il Governo “a valutare l'opportunità di attuare la riforma della professione forense con atto normativo di rango primario, considerando il progetto di legge già incardinato in Commissione Giustizia della Camera dei deputati contenente la riforma organica della disciplina della professione di avvocato, al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi economici rivolti alla stabilità del mercato e alla ripresa economica e salvaguardare al contempo i principi, anche costituzionalmente garantiti, sui quali si fonda la professione forense e l'antica tradizione giuridica nazionale preservandone il decoro, l'autonomia e l'indipendenza”;

evidenziata

l’esistenza di alcuni punti ineludibili dai quali ogni possibile intervento riformatore non potrà prescindere, che si individuano:

nell’inserimento di criteri di selezione fondati sul merito e sull’attitudine nell’accesso alle facoltà universitarie;

nella previsione di serie verifiche della competenza professionale in sede di prima abilitazione e dell’aggiornamento professionale continuo;

nel riconoscimento della specializzazione in campo forense legata alla effettiva pratica e non alla mera preparazione teorico-accademica;

nella tutela reale della indipendenza sostanziale dell’avvocato, anche all’interno delle società professionali;4

nell’affermazione del principio di terzietà del giudice disciplinare e nella riforma della procedura disciplinare;

chiede

al Governo, ai partiti, ai singoli parlamentari, di tutelare la figura dell’avvocato, libero difensore degli interessi del cittadino, stralciando la materia del riordino dell’ordinamento forense dal decreto legge all’esame del Parlamento;

in ogni caso di riaprire immediatamente il dibattito parlamentare sul testo di legge di riforma attualmente all’esame della Camera dei Deputati, ovvero di adottare tale testo come base dei futuri regolamenti governativi che dovessero disciplinare la materia;

dispone

l’invio della presente delibera al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro della Giustizia, ai Presidenti delle Camere, ai Presidenti delle Commissioni Giustizia dei due rami del Parlamento, ai capigruppo del Senato ed a tutti i senatori.

Roma, 21 dicembre 2011 Il Segretario

Il Presidente

Avv. Franco Oliva

Avv. Valerio Spigarelli

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici