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Il trattamento tributario a cui sono soggetti gli organismi di mediazione istituiti presso i consigli degli ordini- Cataldo Maria

 

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Secondo le disposizioni del decreto legislativo 28/2010 in materia di mediazione civile e commerciale, il singoli consigli degli ordini degli avvocati possono istituire, presso ciascun tribunale, organismi aventi la funzione di gestire i procedimenti di mediazione finalizzati alla conciliazione di controversie vertenti su diritti disponibili. Tali organismi possono essere istituiti sia quali dipartimenti degli stessi consigli degli ordini sia quali enti autonomi rispetto agli stessi. In discussione il trattamento tributario ai fini IRES e IVA dei contributi erogati dai consigli degli ordini (o altri enti pubblici) in favore degli organismi in argomento e dei proventi conseguiti, nell’esercizio della propria attività, derivanti dagli importi versati dalle parti per avvalersi dell’istituto della mediazione (diritti di segreteria e indennità del mediatore).

 

A parere del Consiglio Nazionale Forense, organismo di rappresentanza istituzionale e generale dell’Avvocatura, l’attività svolta dai dipartimenti , poiché attribuita ex lege, costituisce attività istituzionale e non avrebbe natura commerciale. Stessa considerazione per quegli organismi dotati di autonomia rispetto al consiglio dell’ordine di riferimento, per l’attività stragiudiziale svolta, per i mezzi e il personale impiegati (propri del consiglio che lo ha istituito) e per la figura del prestatore d’opera che, non sarebbe l’organismo, ma il mediatore designato.

 

Le tesi rappresentante dal CNF non hanno convinto l’Agenzia delle Entrate, che, con risoluzione 113 del 29 novembre 2011, in risposta ad un interpello, ha chiarito che l’attività di mediazione deve qualificarsi, ai fini dell’imposizione diretta e dell’IVA, come attività organizzata in forma d’impresa diretta alla prestazione di servizi. Queste le motivazioni.

 

La normativa (L. 60/2009, D. Lgs 28/2010, D.M. 180/2010) definisce la mediazione come quella attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa, mentre configura la conciliazione quale composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione. Abilitati allo svolgimento dell’attività di mediazione sono quegli orgnismi professionali e indipendenti iscritti nel Registro istituito presso il Ministero della Giustizia. Per l’iscrizione a tale Registro il D.M. 180/2010 prevede una serie di requisiti (capacità finanziaria, polizza assicurativa, trasparenza amministrativa e contabile, numero minimo di mediatori), il cui riscontro assume eccezionali modalità applicative per gli organismi costituiti, anche in forma associata, dalle camere di commercio e dai consigli degli ordini professionali, tra cui i consigli degli ordini degli avvocati. Questi infatti si iscrivono su semplice istanza, atteso che la sussistenza dei requisiti afferenti la capacità finanziaria e organizzativa nonché la trasparenza amministrativa e contabile, non si espone ad una verifica ex ante in quanto implicitamente ritenuta già sussistente. Non si prescinde invece dalla stipulazione della polizza assicurativa per la responsabilità derivante a qualsiasi titolo dall’attività di mediazione. La distinzione messa in rilievo opera solo nella fase antecedente all’iscrizione nel Registro, poiché, superata tale fase, non assume più alcun rilievo la distinzione tra le varie tipologie di organismi e a tutti, indistintamente, è consentito, con l’adozione di un proprio regolamento, svolgere l’attività di mediazione. Tale attività viene svolta attraverso un apposito procedimento presso la sede dell’organismo, senza formalità e previa designazione di un mediatore, il quale incontra le parti, anche più volte, ed entro quattro mesi tenta di trovare un accordo conciliativo. Il mediatore non percepisce mai compenso dalle parti: queste infatti corrispondono solo all’organismo un compenso che comprende le spese di avvio del procedimento, ammontanti a 40 euro per parte, e le spese di mediazione che comprendono l’onorario che l’organismo dovrà corrispondere al mediatore per l’intero procedimento di mediazione. Il rapporto contrattuale avente ad oggetto il servizio di mediazione si instaura solo ed unicamente tra l’organismo e le parti. Il mediatore ha invece un rapporto contrattuale diretto solo con l’organismo dal quale percepisce, a seguito dell’attività svolta, un onorario che è solo uno degli elementi cui sono parametrate le spese di mediazione addebitate alle parti.

 

Tanto premesso, sotto il profilo fiscale, l’attività di mediazione deve qualificarsi come attività economica organizzata diretta alla prestazione di servizi, verso corrispettivo, avente ad oggetto l’assistenza di due o più parti nella ricerca di una conciliazione extragiudiziale, per cui, tanto ai fini dell’imposizione diretta quanto ai fini IVA, va qualificata come attività organizzata in forma d’impresa diretta alla prestazione di servizi ai sensi rispettivamente dell’art. 55 del TUIR (Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 917/1986) e dell’art. 4 del DPR 633/1972. Presupposto applicativo dell’IRES è il possesso dei redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art. 6 del TUIR, tra le quali è ricompresa quella dei redditi d’impresa e alla quale si possono ricondurre i redditi che derivano dall’”esercizio di imprese” commerciali. Per esercizio di imprese si intende, sia ai fini Ires che ai fini IVA, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali di cui all’art. 2195 cc, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non sono ricomprese nell’art. 2195 cc. Le disposizioni ai fini IVA del DPR 633/1972 hanno recepito la disciplina comunitaria dettata dalla Direttiva CE 112/2006 che, supportata dalla giurisprudenza comunitaria, ha posto in rilievo l’ampiezza della sfera di applicazione della nozione di attività economica e il suo carattere obiettivo, nel senso che l’attività viene considerata di per sé, indipendentemente dai suoi scopi o dai suoi risultati. Quanto al profilo dell’onerosità del servizio, la Corte di Giustizia UE ha chiarito che un’attività è considerata economica quando presenta un carattere stabile ed è svolta a fronte di un corrispettivo percepito dall’autore della prestazione. Gli organismi di diritto pubblico vanno considerati soggetti passivi ai fini IVA per le attività svolte in veste di pubblica autorità quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza (v. art. 13, par. 1, Direttiva CE 112/2006). Si esclude quindi che l’attività di mediazione svolta dagli organismi costituiti dai consigli degli ordini degli avvocati, come articolazioni interne piuttosto che enti autonomi, soddisfi i requisiti della pubblica autorità. Ciò posto, i contributi erogati dai consigli degli ordini in favore dell’organismo, concorrono, ai fini Ires, alla determinazione, quali componenti positivi, alla determinazione del reddito d’impresa. Diverso è se si tratta di un proprio dipartimento ove le movimentazioni di denaro nell’ambito dello stesso soggetto rilevano sotto il profilo patrimoniale come apporto di capitale ad una attività d’impresa da parte del titolare della stessa. Detti redditi saranno imputabili, per gli organismi di mediazione istituiti quali dipartimenti dei consigli degli ordini, in capo allo stesso consiglio dell’ordine, mentre, per gli organismi istituiti quali enti autonomi, in capo all’organismo di mediazione istituito appunto come ente autonomo. Ai fini IVA, invece, per entrambe le ipotesi, gli importi versati dalle parti all’organismo di mediazione costituiscono corrispettivi di prestazioni di servizi imponibili agli effetti del tributo.

 

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