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di Alessandro Santoro

 

La manovra realizzata con i decreti legge 98 e 138 del 2011 prevede interventi di riduzione dell’indebitamento netto del valore complessivo di 28 miliardi nel 2012, di 54 miliardi nel 2013 e di 60 miliardi nel 2014. Questi ingenti importi vanno ad aggiungersi ai 25 miliardi previsti per ciascuno degli anni 2012 e 2013 dal dl 78 del 2010.


In sostanza, nel biennio 2010-2011 il Governo ha previsto incrementi di imposte e riduzioni di spesa medi annuali per circa 60 miliardi nel triennio 2012-2014. Sono  numeri impressionanti e senza precedenti nella storia della finanza pubblica italiana.  Ci si aspetterebbe che manovre di questa dimensione fossero pensate e gestite in modo da prevedere, per quanto possibile,una trasparente ed equa distribuzione dei sacrifici fra tutti i cittadini. Questo, invece, non è avvenuto.  

Contributi di solidarietà e specchietti per le allodole

Dopo la presentazione della prima versione del decreto legge 138, le discussioni nella politica e sui media si sono concentrate quasi esclusivamente sul c.d. contributo di solidarietà, ovvero un incremento di carico fiscale su una percentuale modesta di contribuenti, il cui gettito (probabilmente sovrastimato) era comunque pari ad una percentuale irrisoria della manovra complessiva. Il contributo di solidarietà è stato poi azzerato, ma non sono affatto state riviste, e neppure messe in discussione, le parti più inique e ingiuste della manovra. Da questo punto di vista si può ben dire che il contributo di solidarietà ha lavorato come una sorta di specchietto per le allodole, distraendo l’attenzione dai punti veramente importanti del decreto.
Considerando insieme (com’è giusto fare, perché si tratta in realtà di una manovra unica durata 3 mesi) i decreti 98 e 138 del 2011, va ricordato che essi prevedono che le maggiori entrate, sia quelle tributarie sia quelle realizzate attraverso il cosiddetto riordino della spesa assistenziale di cui parleremo tra breve, rappresentino non meno di una percentuale compresa tra il 65 e il 73% della manovra complessiva nel triennio 2012-2014. In realtà, questa percentuale potrebbe a salire fino a più del 75% nel 2012 perché i tagli agli enti locali nel decreto 138 non sono stati realizzati come riduzioni dei trasferimenti, ma invece come vere e proprie riduzioni di spesa obbligatorie cui gli enti locali potranno (e dovranno) fare fronte con incrementi del prelievo fiscale (in particolare, delle addizionali regionali e comunali all’Irpef) se non vogliono pregiudicare il livello dei servizi.


Tabella 1: composizione della manovra estiva (ddl 98 e 138/2011) di correzione dell’indebitamento netto rispetto ai tendenziali a legislazione vigente.
tab1


Discutere dell’equità e dell’efficienza della manovra significa quindi discutere principalmente degli interventi dal lato delle entrate.

Le verità nascoste

Per quanto riguarda le maggiori entrate “pure” (cioè valutate non considerando né la delega assistenziale e neppure l’aumento delle addizionali locali), in ciascun anno, al netto dei proventi (molto incerti) della lotta all’evasione, che rappresentano tra il 15 e il 20% del totale,  l’incremento dell’imposizione indiretta (soprattutto IVA e accise, in misura inferiore i giochi) è solo leggermente superiore a quello delle imposte dirette, sui profitti e sulle rendite finanziarie, e dell’imposta di bollo (assimilabile ad un’imposta sul patrimonio). Se ci si fermasse a questo stadio di analisi, apparirebbe criticabile la scarsa quota di gettito di tipo patrimoniale e l’affidamento troppo elevato ad imposte indirette, che per loro natura sono regressive, nonché l’aleatorietà delle stime relative all’evasione fiscale, ma tutto sommato il profilo distributivo della manovra potrebbe risultare accettabile.  
Ma è proprio analizzando la natura del recupero di gettito derivante dalla cosiddetta “delega assistenziale” che si scoprono le maggiori iniquità. L’intervento di riordino della spesa sociale e assistenziale, già previsto nel del 98/2011, è stato anticipato e rimodulato nel decreto 138/2011 e dovrebbe produrre risparmi crescenti nel tempo: 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013, 20 nel 2014. Il decreto 138/2011 anticipa la clausola di salvaguardia già prevista dal decreto 98/2011, ovvero il taglio lineare dei (cosiddetti) regimi di agevolazione fiscale del 5 e del 20 per cento rispettivamente al 2012 e al 2013 nel caso l’intervento legislativo non abbia luogo o sia insufficiente rispetto agli importi sopra ricordati. Infine,sempre per questo caso, il decreto aggiunge un’ulteriore clausola di salvaguardia (che può operare insieme con la precedente) ovvero la rimodulazione delle aliquote dell’IVA e delle accise
Il primo aspetto da notare riguarda la composizione della manovra. Il complesso della spesa sociale di competenza statale ammonta a circa 30 miliardi di euro, di cui 16 di prestazioni agli invalidi civili, 9 tra assegni familiari e prestazioni per la maternità e i residui 5 suddivisi tra assegni sociali ed integrazioni al minimo. Considerando le numerose “strette” che vi sono già state sulle “false invalidità” negli anni passati, è del tutto improbabile che da questo insieme di spese possano essere trovati risparmi per più di qualche miliardo di euro, a fronte dei 16 miliardi di risparmi da raggiungere entro il 2013 e dei 20 previsti per il 2014. Ciò a meno di non voler sostanzialmente azzerare l’intervento sociale e assistenziale nel nostro Paese.
Anche l’altra possibilità prevista dal dl 138/2011, ovvero di ricorrere ad ulteriori aumenti dell’aliquota IVA (in particolare di quella ordinaria) e delle accise appare oggi insufficiente, considerato che la manovra le aumenta già in misura consistente. Ne segue che buona parte, se non la totalità dell’intervento sarà in realtà affidato alla revisione dei cosiddetti regimi di agevolazione fiscale. La (furba) scelta terminologica ha una valenza profondamente mistificante: dietro il termine agevolazione fiscale si potrebbe essere indotti a credere che vi siano chissà quali ingiuste prebende (“gli aiuti a chi guida il Suv” per usare un’espressione del Ministro Tremonti). Niente di più falso: le agevolazioni fiscali incluse nell’allegato C-bis del decreto 98/2011 sono, per la stragrande maggioranza, strumenti finalizzati ad aumentare l’equità verticale ed orizzontale del nostro sistema fiscale. Per rendersene conto, basti considerare la tipologia di queste cosiddette agevolazioni che emerge dallo stesso allegato, e su cui, dunque, scatteranno i tagli lineari in caso di totale (o parziale) mancata riforma della spesa assistenziale (si veda la Tabella 2).

Tabella 2: composizione delle agevolazioni fiscali (allegato C-bis decreto 98/2011)
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Le agevolazioni sono in realtà le detrazioni per lavoro dipendente e per pensioni, le detrazioni per carichi familiari, le aliquote Iva ridotte per beni a largo consumo, ovvero un insieme di disposizioni la cui presenza è motivata da esigenze di equità, verticale e orizzontale, di discriminazione qualitativa dei redditi nonché di equilibrio del sistema fiscale. E’ proprio il più che probabile intervento su queste misure che dà il segno profondamente ingiusto e regressivo di questa manovra.

Un’alternativa

Nella situazione di emergenza appare ancor meno comprensibile che il Governo abbia voluto escludere qualsiasi forma di tassazione patrimoniale con riferimento, in primo luogo, ai beni immobili. Come già sottolineato, è oggi disponibile una quantità notevole di informazioni (raccolte nella banca dati dell’OMI, Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio) che consentono di ricostruire con esattezza il valore di mercato dei beni immobili e, quindi, la differenza tra tale valore e quello, normalmente inferiore, delle rendite catastali. Recenti resoconti giornalistici riferiscono che la perdita di gettito attualmente causata da questa differenza, oltre che dalla sciagurata (seppure non priva di un consenso bipartisan) esclusione della prima casa dall’Ici, sarebbe stata stimata dallo stesso Ministero in un ammontare annuo di 62 miliardi di euro, di cui circa la metà di imposte dirette (Irpef e Ires), 25 miliardi di Ici e la parte restante di imposte indirette sui trasferimenti1.
Un simile importo consentirebbe, da un lato, di modulare la revisione, ad esempio esentando ampie fasce della popolazione i cui immobili hanno un valore di mercato inferiore a quello medio del contesto di riferimento e, dall’altro lato, di ridurre o financo di azzerare i tagli lineari delle agevolazioni fiscali. A parità di entità della manovra, si rimedierebbe in misura significativa alle sue iniquità.

     

 

 

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