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Prescrizione e decadenza per le prestazioni previdenziali dopo la L. 111/2011-Altalex.it

 

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 (Pietro Capurso)

Il make up dell’art. 47 del d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639, è contenuto nell’art. 38, comma 1, lettera d, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in Legge 15 luglio 2011, n. 111, disposizioni urgenti per la stabilizzazione economica (Manovra economica 2).

All’art. 47 viene aggiunto, in fine (e diventa quindi il sesto), il seguente comma: “Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”.

Di seguito viene poi inserito il seguente art. 47 bis: “Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art. 24 della legge 9 marzo 1988, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni”.

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Prescrizione e decadenza sono istituti giuridici intesi alla certezza dei rapporti giuridici e consistono nella estinzione di una situazione soggettiva di vantaggio - con liberazione del titolare passivo del rapporto di debito/credito - in ragione del suo mancato esercizio entro un certo arco temporale.

In materia previdenziale, evidente è la funzione di protezione dell’interesse pubblico alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spesa gravanti su bilanci pubblici.

Il diritto alla pensione - costituzionalmente tutelato - è però certamente indisponibile, imprescrittibile e non assoggettabile a termini di decadenza.

Sono invece soggetti a prescrizione e decadenza i ratei delle prestazioni previdenziali.

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Il regime della prescrizione dei ratei delle prestazioni previdenziali non presenta marcate differenze rispetto alla disciplina del codice civile.

Il termine di prescrizione comincia quindi a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, e la prescrizione è interrotta dalla notificazione di qualunque atto che valga a costituire in mora il debitore.

Quanto ai termini, com’è noto il codice civile fissa in dieci anni il termine di prescrizione ordinaria, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente.

La legislazione previdenziale contiene però una norma speciale - art. 129, comma 1, r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 – che prevede un termine di prescrizione quinquennale per le rate di pensione liquidate e non riscosse.

Dal combinato disposto scaturisce un doppio regime prescrizionale, quinquennale nel caso in cui l’ente previdenziale abbia riconosciuto e liquidato la prestazione, e decennale negli altri casi.

La riforma del 2011, con il sopra riportato art. 38, comma 1, lett. d, n. 2, Legge 15 luglio 2011, n. 111, pone fine a questo doppio regime, ed allinea a cinque anni i termini di prescrizione dei ratei pensionistici, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, nonché delle differenze dovute a seguito di riliquidazioni.

Resta il dubbio se la norma abbia cancellato anche - in evidente controtendenza con la ratio del contenimento della spesa - i termini prescrizionali più abbreviati, quali ad esempio il termine annuale previsto per le prestazioni di malattia e maternità.

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Più articolata è la disciplina della decadenza delle prestazioni previdenziali.

Ai sensi dell’art. 47 d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639, come modificato con l’art. 4, legge 14 novembre 1992, n. 438, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza sostanziale, entro tre anni per le prestazioni pensionistiche ed un anno per le prestazioni temporanee.

L’unico atto impeditivo della decadenza previdenziale è il ricorso giudiziario, e quindi occorre tenere conto della data del deposito dello stesso presso la cancelleria del tribunale.

Come previsto dal codice civile con riguardo alle decadenze che ineriscono a diritti indisponibili, le parti non possono modificare il regime previsto dalla legge, né rinunziare alla decadenza, che anzi deve essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

In ordine agli effetti della decadenza, la giurisprudenza più accreditata ritiene che essa operi unitariamente, dando luogo alla inammissibilità della domanda giudiziaria ed all’estinzione di tutti i ratei della prestazione nel frattempo maturati.

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Se per la prescrizione il legislatore del 2011 è intervenuto riducendo i termini, per la decadenza si è orientato per l’estensione delle fattispecie sottoposte al regime.

La Legge n. 111, sul punto, pone fine alla lunga querelle sulla applicazione dei termini decadenziali alle domande giudiziarie finalizzate ad ottenere la riliquidazione di una prestazione già riconosciuta, che aveva prima dato prima luogo ad una importante pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che aveva statuito per la non applicazione, e che poi era sfociata – proprio nel 2011 - nella nuova trasmissione degli atti alle sezioni unite per la composizione del perdurante contrasto.

Con l’aggiunta, all’art. 47 del d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639, di un comma che estende la decadenza alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito, viene quindi stabilito che nel caso di adempimento parziale o anche integrale ma senza gli accessori, il richiedente dovrà comunque agire per la parte residua nei termini di decadenza, e non più solo di prescrizione.

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Ho già detto che la decadenza è impedita dall’azione giudiziaria e che il termine è triennale per le prestazioni pensionistiche ed annuale per le prestazioni temporanee. Resta da fissare il dies a quo.

Il computo del termine deve essere effettuato a far data dal giorno in cui la reiezione della domanda diventa definitiva.

In materia previdenziale, secondo il chiaro dettato dell’art. 7, legge 11 agosto 1973, n. 533, la richiesta, che costituisce condizione di proponibilità dell’azione, si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione, senza che l’ente previdenziale istituto si sia pronunciato (cd. silenzio rifiuto).

La reiezione della domanda non è però il provvedimento definitivo, perché la legge prevede il ricorso amministrativo avverso la reiezione della domanda. Dispone infatti l’art. 443 c.p.c. che la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza obbligatoria non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi 180 giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo.

L’art. 46, commi 5 e 6, legge 9 marzo 1989, n. 88, assegna al richiedente, a seguito del rigetto della domanda, un termine di 90 giorni per la proposizione del ricorso amministrativo, e prevede, dalla proposizione del ricorso amministrativo, un ulteriore termine di 90 giorni per consentire all’organo amministrativo di decidere sul ricorso, trascorso il quale gli interessati hanno facoltà di adire l’autorità giudiziaria.

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Ricomposto il quadro normativo, posso richiamare i diversi dies a quibus per il computo della decadenza.

Come prevede l’art. 47, comma 2, d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639, Il termine di decadenza deve essere calcolato dalla data di comunicazione della decisione del ricorso amministrativo, nelle ipotesi di adozione del provvedimento nei termini avverso ricorso amministrativo proposto nei termini, e dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione, nei casi di silenzio rifiuto a seguito di ricorso amministrativo proposto nei termini.

In tutti gli altri casi – in cui vi sia formazione del silenzio rifiuto, o ricorsi proposti oltre il termine fissato ovvero provvedimenti amministrativi di rigetto sopravvenuti alla formazione del silenzio rifiuto - il termine di decadenza deve invece essere calcolato dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione (data della domanda + 120 + 90 + 90 = 300 giorni), configurandosi tale disposizione come norma di chiusura volta ad evitare una incontrollabile dilatabilità del termine di una decadenza avente natura pubblica.

Nell’estendere l’applicazione della decadenza alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito il legislatore del 2011 ha anche fissato i due nuovi dies a quibus, rispettivamente dal riconoscimento parziale della prestazione e dal pagamento della sorte capitale, ma sembra aver dimenticato che avverso questi provvedimenti il richiedente è tenuto a proporre il ricorso amministrativo (nel termine di 90 giorni) e ad attendere la decisione – anche solo implicita – dell’organo competente (altri 90 giorni).

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Nel complesso siamo davanti ad una modifica delle regole che da un lato è sicuramente improntata ad un maggiore rigore, e dall’altro, salvo quanto dirò al paragrafo successivo, semplifica la disciplina di entrambi gli istituti giuridici, perché unifica i termini di prescrizione dei diritti previdenziali ed esclude che la decadenza possa essere impedita da atti diversi da quello previsto dalla legge (ricorso giudiziario).

All’esito della riforma la prescrizione dei ratei pensionistici è sempre quinquennale e l’azione giudiziaria è sempre soggetta a decadenza per la parte non riconosciuta in sede amministrativa, nel termine di un anno per le prestazioni temporanee e di tre anni per le prestazioni pensionistiche, con salvezza però del diritto stipite, e quindi dei ratei successivi al deposito del ricorso giudiziario.

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L’art. 38, comma 4, Legge 111 del 2011 stabilisce che le disposizioni qui in esame si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto (6 luglio 2011), introducendo in tal modo una retroattività attenuata, criticabile per motivi anche contrapposti.

In materia di prescrizione, infatti, dovrebbero trovare applicazione sia l’art. 11 delle disposizioni preliminari che l’art. 252 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Ai sensi dell’art. 11 la nuova legge regolamenta anche i rapporti giuridici sorti anteriormente ma solo per il segmento temporale successivo all’entrata in vigore della legge stessa, mentre il richiamato art. 252 prevede che i nuovi termini trovino applicazione anche ai rapporti giuridici in corso ma con un nuovo dies a quo, la data di entrata in vigore della legge. Nella pratica i termini prescrizionali relativi a ratei di pensione non liquidati dall’ente in corso al 6 luglio 2011, prima di dieci anni, dovrebbero comunque cadere in prescrizione il 6 luglio 2016, fatta eccezione per quelli scadenti prima in ossequio al previgente termine decennale.

Quanto invece al nuovo art. 47, comma 6, in tema di decadenza sostanziale per le prestazioni previdenziali, si tratta di norma di interpretazione autentica, perché già la formulazione previgente consentiva una tale interpretazione. Appare dunque illogica, per la sola disciplina della decadenza, che è rilevabile anche d’ufficio, la scelta di limitare la retroattività ai soli giudizi pendenti in primo grado alla data del 6 luglio 2011, dovendo la stessa trovare applicazione a tutte le fattispecie non coperte dal giudicato.

  Articolo di Pietro Capurso)1

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(1) Le riflessioni contenute nello scritto rappresentano esclusivamente le opinioni dell’autore.

 

 

 

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