Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

Riconosciuto per l'opera di tutela del territorio-Danno ''morale'' anche alle associazioni ambientali- (Cassazione penale Sentenza 26/09/2011, n. 3476-Ipsoa.it

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

 

di Alessio Scarcella

Il danno risarcibile all'associazione ambientalista non e' solo quello patrimoniale, ma anche il danno morale derivante dal pregiudizio arrecato all'attivita' da quest'ultima concretamente svolta per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo, come normativamente desumibile dal combinato disposto degli artt. 185, comma 2, c.p. e 2059 c.c.

 

La sentenza qui commentata si sofferma su un tema assai dibattuto nella giurisprudenza di legittimità, concernente non tanto la questione, ormai pacifica, della legittimazione delle associazioni ambientaliste a costituirsi parte civile nei processi penali per reati ambientali, quanto, piuttosto, sulla determinazione del «tipo» di danno risarcibile. Come, infatti, si vedrà oltre, si registra sul punto un contrasto giurisprudenziale che, assai probabilmente, potrebbe condurre nei prossimi mesi i giudici di Piazza Cavour a rimettere la decisione alle Sezioni Unite. La tesi sostenuta dalla decisione in commento, infatti, si inserisce in quel filone giurisprudenziale secondo cui il danno risarcibile secondo la disciplina civilistica può anche configurarsi sub specie del pregiudizio arrecato all'attività concretamente svolta dall'associazione ambientalista per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo. In tali ipotesi, infatti, potrebbe identiï¬carsi un nocumento suscettibile anche di valutazione economica in considerazione degli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall'ente per l'espletamento dell'attività di tutela. La possibilità di risarcimento in favore dell'associazione ambientalista, in ogni caso, secondo l'orientamento di cui è espressione la decisione in esame, non deve ritenersi limitata all'ambito patrimoniale di cui all'art. 2043 c.c., poiché l'art. 185, comma 2, c.p. - che costituisce l'ipotesi più importante “determinata dalla legge” per la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. - dispone che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti non solo del soggetto passivo del reato stesso, ma di chiunque possa ritenersi “danneggiato” per avere riportato un pregiudizio eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo.

 

Il caso

 

La vicenda processuale sottoposta all'attenzione del Supremo Collegio vedeva imputati alcuni soggetti (privati ed amministratori comunali) per i reati di falso ed abuso d'ufficio, commessi alla fine degli anni novanta in un comune pugliese e relativi alla realizzazione di attività edilizie eseguite, da un alto, senza le necessarie autorizzazioni edilizie ed ambientali e, dall'altro, attestando falsamente alla Soprintendenza dei BB.CC.AA. l'entità delle opere realizzate e la loro non-incidenza su un'area di interesse archeologico. I giudizi di merito, conclusisi con la condanna in sede penale degli imputati, si erano altresì definiti con la condanna generica al risarcimento dei danni in favore di una nota associazione ambientalista, considerando quale fatto illecito produttivo di danno civile risarcibile il reato di abuso d'ufficio. La Corte d'appello, per quanto qui di interesse, aveva osservato, nel confermare le statuizioni civili, che l'associazione ambientalista deve sempre considerarsi come "danneggiata" dai falsi e dall'abuso d'ufficio, i quali hanno consentito che non fermasse in tempo la devastazione ambientale.

 

Il ricorso

 

Il giudizio di condanna veniva ritenuto eccessivamente severo dalla difesa degli imputati i quali affidavano le censure alla condanna in sede penale e civile a plurimi motivi di ricorso. Limitando l'attenzione ai soli motivi inerenti il danno risarcibile, in particolare veniva contestata sia legittimazione dell'associazione ambientalista che il diritto al risarcimento del danno sostenendosi, quanto al danno, che lo stesso avrebbe potuto essere risarcito solo se discendente in maniera immediata e diretta dai reati ambientali «stricto sensu» intesi, ma giammai poteva essere ricollegato ai reati di abuso d'ufficio e falso, da cui non potrebbe mai derivare, in via diretta, un danno per l'ambiente.

 

La decisione della Cassazione

 

La Corte ha invece, con ampia e lucida motivazione, ritenuto destituiti di fondamento gli argomenti sostenuti dalla difesa degli imputati, giungendo a dichiarare inammissibile il ricorso.

 

La motivazione della decisione, assai completa e dettagliata, può essere così sintetizzata anche ai fini di una miglior comprensione del percorso logico – giuridico ad essa sotteso. I giudici di legittimità, infatti, nel ricostruire con attenzione l'iter legislativo tendente al riconoscimento della legittimazione risarcitoria delle associazioni ambientaliste, evidenziano come il fondamento della legitimatio ad causam delle associazioni ambientaliste fosse stato per la prima volta riconosciuto dalla nota legge istitutiva del Ministero dell'Ambiente (L. 8 luglio 1986, n. 349) che, all'art. 18, introdusse un'azione di risarcimento del danno ambientale conseguente ad una responsabilità di tipo extracontrattuale od aquiliana, prevista dall'art. 2043 c.c.

 

L'attuale T.U.A. (D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) ha poi disciplinato in maniera più dettagliata la questione in quanto, pur abrogando il richiamato art. 18, ha fornito la definizione di «danno ambientale» (art. 300 T.U.A.) ed ha riservato allo Stato l'azione risarcitoria in caso di danno all'ambiente (art. 311 T.U.A.), ma ha mantenuto intatto il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi (art. 313, comma 7, T.U.A.).

 

Quanto, in particolare, alle associazioni ambientaliste, pur ritenendosi ormai pacifica la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi penali per reati ambientali (pur in presenza dell'art. 311 T.U.A. che ha attribuito in via esclusiva la richiesta risarcitoria per danno ambientale al Ministero dell'Ambiente), si precisa che la loro legittimazione è consentita al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti dal sodalizio a causa del degrado ambientale, mentre le stesse non possono agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica (v., da ultimo: Cass., Sez. 3, 11 febbraio 2010, n. 14828, Imp. D.F. e altro, Ced Cass., n. 246812; nella specie detta legittimazione è stata riconosciuta al Circolo Legambiente ed al WWF Italia).

 

Posto tale limite, tuttavia, non v'è uniformità di vedute sulla natura del danno risarcibile alle associazioni di protezione ambientale. Sulla questione, infatti, si registrano divergenti posizioni.

 

A fronte di decisioni, espressione di un orientamento più rigoroso (da cui si discosta consapevolmente la sentenza in commento), secondo cui le associazioni ambientaliste possono agire ai sensi dell'art. 2043 c.c. per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno "patrimoniale", ulteriore e concreto da essi subito, diverso da quello ambientale (v., ad es.: Cass., Sez. 3, 21 ottobre 2010, n. 41015, imp. G., Ced Cass., n. 248707), si affiancano decisioni, come quella qui commentata, che ritengono invece che il danno risarcibile ad un'associazione ambientalista possa consistere anche nel pregiudizio arrecato all'attività concretamente svolta da quest'ultima per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo. In tali ipotesi, infatti, evidenziando gli Ermellini, potrebbe identiï¬carsi un nocumento suscettibile anche di valutazione economica in considerazione degli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall'ente per l'espletamento dell'attività di tutela. In tale contesto, quindi, sarebbe riduttivo limitare la possibilità di risarcimento in favore dell'associazione ambientalista all'ambito patrimoniale di cui all'art. 2043 c.c., poiché l'art. 185, comma 2, c.p. - che costituisce l'ipotesi più importante “determinata dalla legge” per la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. - dispone che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti non solo del soggetto passivo del reato stesso, ma di chiunque possa ritenersi “danneggiato” per avere riportato un pregiudizio eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo.

 

La soluzione offerta dalla Corte nel caso in esame, pur in presenza di divergenti vedute dello stesso giudice di legittimità, sembrerebbe quella più corretta. Ed infatti, è sicuramente ipotizzabile la lesione del diritto della personalità dell'ente e la conseguente facoltà dell'associazione di protezione ambientale di agire per il risarcimento dei danni morali e materiali relativi all'offesa, diretta ed immediata, dello "scopo sociale", che costituisce la finalità propria del sodalizio. Non a caso la stessa Corte, in una vicenda che vedeva coinvolta la stessa associazione ambientalista di cui si discute nella sentenza in commento, aveva ritenuto detta associazione, quale ente esponenziale della comunità in cui si trovava il bene collettivo oggetto di lesione ed avente a scopo la salvaguardia degli interessi lesi dal reato, era legittimata a costituirsi parte civile, ai sensi degli artt. c.p. e 74 c.p.p., sia per la tutela del diritto collettivo all'ambiente salubre sia per la protezione del diritto della personalità in conseguenza del discredito derivante alla propria sfera funzionale dalla condotta illecita (Cass., Sez. 3, 9 luglio 1996, n. 8699, imp. P. e altri, Ced Cass., n. 209096).

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici